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mercoledì 18 luglio 2018

Per un pugno di petrodollari, l'Europa ha venduto la sua anima.


Per conoscere, per riflettere.
Al servizio degli obiettivi della NATO. L’integralismo islamico saudita e le sue collusioni col potere occidentale.” Questo è il tema centrale dell’articolo.
L’autore ripercorre la storia quasi interamente sottaciuta, ignorata o sottovalutata dei legami perversi tra l’Arabia Saudita e l’Europa. Spesso la confusione e il disorientamento regnano sovrani in questa epoca di contrapposizioni alimentate da un’informazione asservita o latitante e di insofferenza verso comunità che percepiamo come ‘’corpo estraneo’’, benché ormai da lungo tempo costituiscano parte integrante della storia e della civiltà del Continente Europeo. I nostri governanti ci raccontano di ‘’lotta senza tregua al terrorismo’’ e si presentano come ‘’paladini della democrazia’’, ma ci coinvolgono in guerre predatorie che contribuiscono a indebolirci economicamente: cessazione di traffici commerciali, sanzioni usate come atti bellici… o all’insorgere di tensioni sociali pericolose per l’inevitabile arrivo 'anomalo' di rifugiati dai Paesi aggrediti e devastati. Questi stessi governanti, che non esito a definire scellerati, ricevono in pompa magna i leaders tirannici di Qatar, Arabia Saudita e compagnia, si fanno corrompere da loro, gli hanno ceduto e continuano a cedere quote di sovranità in svariati campi, anche a scapito della nostra incolumità proprio con l’uso del terrorismo preordinato dagli stessi ‘’amici’’ abietti. E continuano a ingannare, a strumentalizzare e a mettere gli uni contro gli altri tutti i popoli, tutte le etnie, tutte le credenze e opinioni per i loro scopi miserabili.
    Maria Antonietta Carta

Per un pugno di petrodollari, l'Europa ha venduto la sua anima.

di René Naba
(scrittore e giornalista specializzato nel mondo arabo. E' responsabile del coordinamento editoriale del sito Madaniya)
  Nota del redattore www.madaniya.info, 2 febbraio 2018:
..... madaniya.info sottopone all'attenzione dei suoi lettori un’analisi sulla forma più perniciosa di strumentalizzazione dell’Islam al servizio degli obiettivi della NATO, in una strategia a doppio attacco:
Contro l'ateismo dell'Unione Sovietica, al culmine della guerra fredda sovietico-americana (1945-1990), da un lato.
Come freno all'impegno nelle lotte sindacali della popolazione immigrata musulmana dell'Europa occidentale, dall'altro.
Una strumentalizzazione operata con l'effetto corruttore dei petrodollari, tanto disastrosa per il mondo arabo, per il mondo musulmano e per il mondo occidentale quanto per l'Islam stesso.

I – LA COMUNITA ARABO-MUSULMANA D’EUROPA, VENTOTTESIMO STATO DELL'UNIONE EUROPEA.
A - principale gruppo etnico-identitario sedimentato dopo quello centro-europeo e giudeo-cristiano.
Cinque secoli di colonizzazione intensiva in tutto il mondo non hanno ancora normalizzato la presenza di "mori" sul suolo europeo, proprio come tredici secoli di presenza continua, materializzata da cinque ondate di emigrazione, non hanno conferito all'Islam lo status di religione indigena in Europa, dove da mezzo secolo si dibatte sulla compatibilità dell'Islam con la Repubblica, quasi a scongiurare l'inevitabile aggregazione ai popoli europei di questo gruppo etnico-identitario, primo per importanza fuori dalla sfera europea centrista e giudeo-cristiana.
Le domande sono reali e giustificate: problema della compatibilità tra Islam e modernità, compatibilità tra Islam e secolarismo, ma per la loro declinazione ripetitiva variazioni su questo tema rimandano principalmente al vecchio dibattito coloniale sull'assimilazione dei nativi. Come a dimostrare il carattere inassimilabile dell'Islam nell'immaginario europeo per nascondere le antiche fobie scioviniste, nonostante gli accoppiamenti ancillari delle colonie d'oltremare, nonostante le mescolanze in Nord Africa e nel Continente nero, nonostante il missaggio demografico avvenuto, in particolare, nelle ex potenze coloniali (Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi) a causa delle successive ondate di profughi nel XX secolo da Africa, Asia, Indocina, Medio Oriente e da altre parti.
Così come la composizione demografica del continente europeo è interrazziale. Certamente europea, ma anche, in misura minore, arabo-berbero, negro-africano e turco-indo-pakistano.

II - FRANCIA PRIMO PAESE EUROPEO PER L'IMPORTANZA DELLA SUA COMUNITÀ MUSULMANA
Primo Paese europeo per l’entità della sua comunità musulmana, la Francia è anche, proporzionalmente alla superficie e alla popolazione, il più importante centro musulmano del mondo occidentale con circa sette milioni di musulmani, 2,5 milioni di nazionalità francese. Più musulmani di quanti ve ne siano complessivamente in poco meno di otto Paesi membri della Lega araba (Libano, Kuwait, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Palestina, Isole Comore et Djibouti). La Francia potrebbe, a giusto titolo giustificare l’adesione all’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI), il forum politico panislamico che raggruppa cinquantatré Stati di diversi continenti, o almeno disporre di un seggio come osservatore.
In confronto, gli Stati Uniti, in un'area di 9,3 milioni di km2 e con una popolazione di 280 milioni, hanno circa 12 milioni di musulmani.
La comunità arabo-musulmana dell'Europa occidentale costituisce il nucleo principale della popolazione immigrata, nonostante la sua eterogeneità linguistica ed etnica e, con 25 milioni di persone, potrebbe dirsi - battuta che maschera una realtà - il 28 ° Stato dell’Unione Europea. Tanto come il Benelux.
Circa 5 milioni risiedono nei tre Paesi dell'ex blocco comunista (Albania, Bosnia-Erzegovina e Bulgaria) e il resto nei Paesi fondatori dell'Unione Europea (Germania, Benelux, Francia, Italia). A questa cifra, si aggiunge il nuovo flusso migratorio generato dalle guerre di predazione economica del mondo arabo da parte della NATO (Siriani, Libici, Iracheni, Somali, ecc.). Il Regno Unito, che ha una grande comunità indo-pakistana asiatica, non è incluso in questo conteggio a causa del BREXIT.
Secondo Pew Research Center, un istituto indipendente americano specializzato nello studio della demografia religiosa, i musulmani potrebbero rappresentare tra il 7,4% e il 14% della popolazione europea entro il 2050, contro il 4,9% nel 2016. Sempre secondo stime Pew, 53 % è il tasso dei musulmani tra gli immigrati arrivati in Europa tra il 2010 e il 2016 nei 28 Paesi dell'Unione europea (incluso il Regno Unito), Norvegia e Svizzera compresi.
In "Limine Limitis’’ (prima che abbia inizio la lite), usciamo dall’ambiguità: l'Islam non ha conquistato l'Europa, per non parlare della Francia. È l'Europa che ha deciso di conquistare i Paesi arabi e in prevalenza musulmani africani. La Francia: il Maghreb e l'Africa nera, i Paesi Bassi: l'Indonesia, il Regno Unito: l'Impero indiano (India, Pakistan, Bangladesh) e l'Africa orientale.
L'Islam non è quindi un prodotto del territorio francese, come il Cristianesimo, ma la conseguenza residua del riflusso dell'impero. Il prodotto deriva dalla turgescenza coloniale francese e dalla sua escrescenza d’Oltremare.
Senza colonizzazione, niente « burnous à faire suer»: burnous da far sudare, espressione usata in epoca coloniale, quando i coloni facevano faticare duramente, o sudare, i Maghrebini. Né "bougnoule": muso nero, né "there is good banania": lessico razzista nella pubblicità di una bevanda al cioccolato, né "flesh with cannon": carne da cannone. Nessun "bicot": persona mediorientale o nordafricana, o "ratonnade": violenta spedizione punitiva di matrice razzista contro i nordafricani, o "« délits de faciès»: delitti in base all’apparenza fisica o del vestiario: pratiche discriminatorie e razziste, nessun "Codice di Indigenato" o "Codice Nero", non più "Venus callipigia" o "Setif": massacro di, né "Thiaroye": massacro di, né "Sanaga": massacro di, Per non parlare di "territori perduti della Repubblica"! E non l'Islam, almeno in questa densità.
"Il burro e i soldi del burro ed anche il sorriso della lattaia": fa pensare ad una favola morale. O ad una fiaba. Come il "peso dell'uomo e il suo fardello di nascita": Rudyard Kipling descrive con suprema arroganza il compito dei colonizzatori occidentali chiamandolo "il fardello dell'uomo bianco" (sic!). Cioè il peso che grava sulle spalle dell'uomo europeo
Un alibi destinato a mascherare la megalomania predatoria.

LA LEGGE DEL 9 DICEMBRE 1905 SULLA SEPARAZIONE TRA STATO E CHIESA.
Affermare che l'Islam non esisteva in Francia al momento dell'adozione della Legge sulla separazione tra Chiesa e Stato, che sanciva la laicità, è una menzogna spudorata. Tranne considerare "subumane" le popolazioni musulmane dell'Africa occidentale (Senegal, Mali, Mauritania, Guinea, Ciad, ecc.) e del Nord Africa (Algeria, Tunisia, Marocco). L'Islam, presente in Francia al tal punto che la patria della laicità intendeva proclamarsi "Califfo d'Occidente" in contrapposizione al califfato dell'Impero ottomano e nominare Hubert Lyautey Maresciallo dell'Islam.

III - EUROPA LUOGO DI PASSAGGIO O DI RADICAMENTO DEI MUSULMANI?
Issam Al Attar contro Saïd Ramadan. La controversia sul tentativo di aggiornamento dell'Islam politico.
La disputa è di vecchia data e, negli anni ’70 del secolo scorso, contrappose due leader dei ‘’Fratelli Musulmani’’: il siriano Issam Al Attar in esilio ad Aachen (Germania) e l'egiziano Said Ramadan a Monaco di Baviera, dove partecipava al programma di sedizione dei contingenti musulmani dell'esercito sovietico, attraverso le radio americane dell'Europa centrale.
Issam Al Attar, fratello di Najah Al Attar, attuale vicepresidente della Repubblica araba siriana [questa posizione così antitetica all’interno di una stessa famiglia ci fa immaginare quanto sia complessa la realtà della società sunnita siriana. N.d.T.], riteneva che l'Europa fosse una destinazione temporanea per l'emigrazione, un luogo di transizione, che fosse importante per i musulmani in Europa rispettare le leggi di ospitalità dei Paesi ospitanti e sfruttare al massimo le esperienze europee nei vari settori dell'attività intellettuale, economica e scientifica per farne beneficiare poi il loro Paese di origine.
Saïd Ramadan, al contrario, riteneva che l'Europa fosse un luogo di ancoraggio stabile della popolazione immigrata musulmana e che il loro ambiente socio-culturale doveva essere modificato di conseguenza, per adattarlo ad una presenza duratura dei lavoratori musulmani immigrati nel territorio dei loro ex colonizzatori.
Agitatore di professione per conto dei suoi sponsor, Said Ramadan trionfò in questa disputa non tanto con la pertinenza delle sue argomentazioni, ma con la forza finanziaria e il sostegno dei servizi segreti occidentali, che lo spinsero alla leadership dell'Islam europeo con il fine di ostacolare l'inserimento degli immigrati musulmani nelle lotte di rivendicazione sociale all'interno di sindacati o di partiti percepiti dagli strateghi atlantisti come "compagni di strada" dell'Unione Sovietica.
La tesi di Saïd Ramadan prevalse non certo perché in linea con gli interessi a lungo termine del mondo arabo, la sua ripresa e la promozione dell'Islam, ma perché rispondeva agli obiettivi strategici della NATO.

IV - EUROPA RETROVIA DEI "COMBATTENTI PER LA LIBERTÀ" NEL PERIODO AFGHANO.
Sotto l'ala protettrice degli Stati Uniti, l'Arabia Saudita schierò la più grande ONG caritatevole del mondo, con il fine di fare proselitismo e conquistare nuove terre di missione negli anni '70 -'80, specialmente in Europa, grazie al boom del petrolio e alla guerra in Afghanistan.
Questo spiegamento tentacolare avvenne attraverso l'uso intensivo della politica del libretto degli assegni. L'Arabia Saudita sviluppò quindi una diplomazia d'influenze basata sulla strumentalizzazione della religione musulmana per fini politici, sulla corruzione di coloro che hanno il potere decisionale a livello mondiale e sull’azzittire le critiche alla dinastia wahhabita per mezzo di un impero mediatico straordinario.
Per un pugno di dollari, l'Europa ha perso la sua anima. Signora di alta moralità, ma di piccole virtù, ha ceduto al sottile fascino dei petrodollari per diventare la piattaforma principale dell’impero mediatico saudita e il rifugio principale dei leaders islamici, additati poi [ipocritamente] alla pubblica riprovazione. I governanti europei riuscirono anche nell'impresa di dar rifugio a più dirigenti islamici di tutti i Paesi arabi congiuntamente.

V - EUROPA, RIFUGIO DI AYMAN AL ZAWAHIRI, L’ATTUALE NUMERO UNO DI AL QAIDA.
In Europa occidentale - dove ai jihadisti si conferiva il titolo di "combattenti per la libertà" dall’ingannatore del Panshir Bernard-Henri Lévy, interlocutore virtuale del Leone del Panshir, il Comandante Massoud Shah - dopo la guerra antisovietica dell’Afghanistan, negli anni ’80 del secolo scorso, risiedevano sessanta leaders islamici.
Quindici di loro avevano lo status di "rifugiato politico" nella maggior parte dei Paesi europei: Regno Unito, Germania, Svizzera, Norvegia, Danimarca.
A - Londra, capitale mondiale della protesta contro l'Islam, ma anche piattaforma dello schieramento mediatico internazionale saudita (1), aveva tra i suoi ospiti i principali oppositori islamici:
1. Rachid Ghannouchi (Tunisia-An Nahda).
2. Kamar Eddin Katban (Algeria-Vicepresidente della Commissione FIS algerina: Islamic Salvation Front).
3. Mubarak Fadel Al-Mahdi (Sudan).
4. Attaf Hussein (leader pakistano dell'opposizione: Muhajir Qawmi Movement (MQM).
5. Adel Abdel Majid (Egitto).
6. Ibrahim Mansour (Egitto), vice Leader Supremo dei Fratelli Musulmani.
7. Ali Sadreddin Bayanouni (Siria), controllore generale dei Fratelli Musulmani della Siria.
8. Azzam A Tamimi (Palestina), membro del comando ombra di Hamas, il ramo palestinese della fratellanza.
9. Abu Moussa'b As Soury (Siria), alias Moustapha Abdel Kader Sitt Mariam), teorico dei "lupi solitari".
10. Abu Hamza Al Masri (Moustapha Kamal Moustapha).
11. Qtada Abu Al Falastini (Omar Mohamad Osman).
12. Abu Farès, nome di guerra dell’algerino Farouk Danish.
13. E, per un breve periodo, il più illustre di loro, Osama Bin Laden, fondatore di Al Qaida.
Londra ospitava anche la redazione del periodico jihadista "Al Ansar", pubblicato nella capitale britannica, ma con residenza in Svezia presso Abdel Karim Danish, che godeva dello status di rifugiato politico. La capitale britannica sarebbe stata meno permissiva nei loro riguardi dopo l'attacco del 7 luglio 2005, avvenuto durante lo svolgimento del Vertice del G8 , nel giorno successivo alla decisione del Comitato olimpico internazionale di assegnarle l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 2012. In questo attacco furono uccise 50 persone.
Londra era anche la piattaforma strategica per il dispiegamento dei media internazionali del Regno Wahhabita, che aveva conservato quasi integra la sua forza d'attacco: una catena transfrontaliera MBC (Middle East Broadcasting Center), due radio a diffusione transcontinentale MBC FM e la radio communitaria inglese SPECTRUM, nonché cinque giornali, tra cui due ammiraglie della stampa trans-araba "Al Hayat" e "Al Charq Al Awsat".
B - La ripartizione di altri famosi rifugiati politici (2)
La Germania era al secondo posto, con due esiliati: Issam Al Attar, leader dei Fratelli Musulmani in Siria e Saïd Ramadan (Egitto), genero di Hassan Al Banna, il fondatore della Fratellanza.
Esiliato ad Aquisgrana, Issam Al Attar esercitava il suo magistero europeo dalla "Casa dell'Islam" a Francoforte, in collaborazione con il Centro Islamico di Ginevra. Come affronto per l'Occidente e per la Fratellanza Musulmana, il presidente siriano Bashar al-Assad ha nominato la sorella di Issam Al Attar, Najah Al Attar, che fu ministro della cultura per 32 anni, Vice Presidente della Repubblica nelle ultime elezioni presidenziali del giugno 2014. Una donna sunnita garante del potere baathista.
Invece Said Ramadan, da precursore, aveva fondato nel 1961, con il sostegno del futuro re Faisal d'Arabia, il "Centro islamico di Ginevra " e guidato un'organizzazione islamica a Monaco: il "Gemeinschaft in Islmische Deutchland", incaricato di riqualificare i disertori musulmani dell'Armata Rossa.
Nel 1962, sotto la sua presidenza, i sostenitori ebbero un ruolo importante nella fondazione della "World Islamic League’’, la struttura parallela a base religiosa creata dall'Arabia Saudita per contrastare l'influenza della diplomazia di Nasser e dell'Università Al Azhar, che è la più prestigiosa università religiosa del mondo musulmano.
La spinta politica e finanziaria dei Sauditi e degli Statunitensi fornì all'organizzazione i mezzi per creare una struttura islamica giusto in tempo per accogliere l'ondata migratoria musulmana verso l'Europa negli anni '70, sulla scia del boom petrolifero.
Una nota confidenziale del servizio segreto svizzero, datata 17 agosto 1966, riferisce sulla "simpatia" del BUPO, polizia federale per la protezione dello Stato, nei confronti di Said Ramadan specificando: "È certamente in ottimi rapporti con Inglesi e Americani". Un altro documento, datato 5 luglio 1967, è ancora più preciso. Saïd Ramadan è presentato come un "agente segreto degli Inglesi e degli Americani. Inoltre, credo che abbia reso servizi - sul piano informativo - a BUPO. "
Fatto sta che, in una riunione presieduta dal capo della Procura federale, il 3 luglio 1967, si decise di concedere un permesso di soggiorno a Said Ramadan, mentre egli avrebbe dovuto essere espulso il 31 gennaio 1967.
Le ragioni di questa tolleranza? La possibilità "che gli amici di Saïd Ramadan prendessero il potere nei mesi successivi in uno o nell'altro Stato qualificato di progressista o di socialista". Fantasia tenace tra gli Occidentali, fino alla loro frustrazione collettiva della "primavera araba".
A leggere la lista di illustri ospiti dell'Europa, la "guerra al terrorismo" sembra ridicola. Indice della duplicità della diplomazia occidentale, sia nei confronti dell'opinione pubblica occidentale sia nei confronti del mondo arabo.
C - Tra i famosi rifugiati politici c'erano:
Ayman Al-Zawahiri , successore di Osama Bin Laden alla testa di Al Qaeda. Nel periodo in cui ricopriva il ruolo di "Comandante dei gruppi islamici in Europa", egli risiedeva in Svizzera. Coinvolto in attività sovversive del gruppo islamico "Al-Awdah" (Il ritorno), non fu oggetto di alcuna condanna. Negli anni '80 aderì alla formazione "Al-Jihad"e fu condannato a 3 anni di prigione per l’assalto alla tribuna presidenziale, che condusse all’assassinio del presidente egiziano Anwar Al-Sadat, ottobre 1981. Uscito dal carcere, trascorse del tempo in Afghanistan prima di tornare in Europa.
Talaat Fouad Kassem, portavoce dei movimenti islamici in Europa, beneficiario di asilo politico in Danimarca. Condannato a 7 anni di carcere al momento dell'assassinio di Sadat, fu il primo a unirsi ai ranghi dei combattenti islamici afghani, distinguendosi negli squadroni della morte durante le operazioni di guerriglia antisovietica. Prima del soggiorno danese, diresse i raggruppamenti islamici a Peshawar, in Pakistan: punto di transito per i Mujahidin in Afghanistan. Incaricato di coordinare le attività dei vari funzionari e di trasmettere consegne, istruzioni e sussidi tra l'Europa e gli attivisti di base in Egitto, dovette sospendere le sue attività nel giugno del 1995, dopo il 20 ° tentativo di assassinio del presidente Hosni Mubarak.
Mohamad Chawki Al-Islambouli, fratello dell'assassino di Anwar Sadat, Khaled Al-Islambouli. Prosciolto al processo dell'assassinio dell'ex Capo di Stato egiziano, si unì ai ranghi dei combattenti anti-israeliani nel sud del Libano prima di recarsi nel Peshawar. Residente a Kabul, Chawkat Al-Islambouli è stato condannato in contumacia nel processo "Egitto-Afghanistan".
Infine, Hani Al-Sibai (Egitto) beneficiò dell'asilo politico norvegese.

VI - UN IMPERO PER ‘’STERILIZZARE’’ LO SPAZIO HERZIANO (3)
In un decennio, l'Arabia Saudita, autoproclamandosi leader del mondo islamico, si affermava come holding multimediale. Un gigante dei mass media - alla pari dei conglomerati occidentali - per una strategia offensiva con l'intento non confessato di ‘’sterilizzare’’ le telecomunicazioni da qualsiasi inquinamento anti-saudita, di "predicare la buona parola" e di annientare la contaminazione rivoluzionaria, pregiudizievole per la sua leadership, nella sfera musulmana.
Esercitando un monopolio di fatto sia nella zona euro-mediterranea sia all'interno del mondo anglosassone, il dispositivo multimediale saudita comprendeva due gruppi multimediali con la loro schiera di canali televisivi transfrontalieri: dieci canali tematici, stazioni radio transcontinentali, un'agenzia di stampa internazionale (United Press International) e cinque riviste pan-arabe. Non sorprende che una simile quantità di strumenti appartenesse alla famiglia reale saudita, tanto da giustificare questa battuta: "la dinastia wahabita è l'unica azienda di famiglia nel mondo che siede alle Nazioni Unite."
Un doppio imperativo guidava i leaders sauditi nella loro avventura mediatica: la necessaria neutralizzazione del successo della rivoluzione iraniana presso l’opinione pubblica musulmana e la necessità altrettanto urgente di giustificare, durante la prima Guerra del Golfo (1990-1991), la presenza di quasi 500.000 soldati occidentali sul suolo saudita, vicino ai Luoghi Santi dell'Islam.  
Circostanza senza precedenti: una massiccia presenza di non-musulmani - tra cui 60.000 soldati americani di religione ebraica – percepita come profanazione del santuario per il quale la dinastia wahhabita avrebbe, in linea di principio, il dovere di tutela e protezione.
Considerato come segnale della collusione dei "Guardiani dei Luoghi Santi" con gli oppressori dei musulmani, servì per giustificare la rottura di molte formazioni islamiche con il regno saudita loro finanziatore. In particolare il leader di Al Qaida, Osama Bin Laden, e la FIS algerina.
L'apparato multimediale saudita fu esteso al territorio nazionale con due strumenti atti a guidare proselitismo religioso e jihadismo asiatico: L’operazione ‘’Holy Qoran (Santo Corano)" e "La Voce dell'Islam": ONG di predicazione e imprecazione le cui metastasi jihadiste si sarebbero trasformate in proto-stati con stigmatizzazione e decapitazione come marchi di fabbrica.  
Il programma “Holy Qoran’’.
Lanciata nel 1972, un anno prima della guerra dell' ottobre 1973, durante la quale il Regno saudita utilizzò l'arma del petrolio per piazzarsi come il nuovo leader del mondo musulmano, ‘’Holy Qoran’’ era una trasmissione in arabo emessa da Riyadh per 18 ore quotidiane verso il mondo arabo e l'Asia meridionale e destinata ai grandi Paesi musulmani (Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, Malesia, Indonesia e India). Ad essa si aggiungeva “Voice of Islam’’, trasmessa dalla Mecca. Il tutto sotto la protezione degli American AWACS, i famosi radar aerei che solcavano il cielo saudita per scongiurare qualsiasi aggressione contro la dinastia wahabita.

VI - DISTRIBUZIONE A TELA DI RAGNO.
Il proselitismo in loco era coadiuvato a livello internazionale da una struttura discreta ma efficace: la ‘’World Islamic League’’, strumento preminente nel controllo delle comunità musulmane della diaspora. Fondata nel 1962 a La Mecca, la ‘’World Islamic League’’ esercitava l’autorità nella formazione di imam e predicatori, nella gestione delle borse di studio e nello sviluppo di strumenti di comunicazione didattica (diffusione del Corano, documenti audiovisivi, cassette, film).
Così, durante gli anni '80, al culmine della guerra in Afghanistan, il regno saudita pubblicò 53 milioni di copie del Corano, donandone 36 milioni ai fedeli di 78 Paesi in occasione del Ramadan, come indicano i dati forniti alla stampa dell'epoca da Mohamad Ben Abdel Rahman Ben Salamah, vice ministro saudita dei Beni religiosi (waqf ) ai tempi della prima guerra del Golfo (1990-1991).
Ventisei milioni ne furono offerti ai fedeli dell'Asia, cinque milioni per l'Africa, un milione per l'Europa e quattro milioni per l'America Latina. Nel frattempo, le due principali Università islamiche del Regno ammaestravano 39.000 predicatori di 47 nazionalità - la ‘’Mohammed bin Saud University’’ (Riyadh) contava 23.000 studenti di 40 nazionalità e la ‘’Umm al Core University ‘’ (Mecca) ne aveva 16.000 di 47 nazionalità - che dovevano diventare propagandisti zelanti della concezione ultra rigorista dell’Islam saudita presso le comunità dei Paesi musulmani.
Il "Consiglio superiore delle moschee", il cui compito esclusivo consiste nella promozione dei luoghi di culto in tutto il mondo, è affiliato al “World Islamic League ‘’.
All'epoca, re Salman, che è protetto dal Presidente degli Stati Uniti, lo xenofobo e populista Donald Trump, era il governatore di Riyadh, e, paradossalmente, il più grande moltiplicatore di fondi per la jihad afgana attraverso il suo giornale "Al Sharq Al Awsat".
In Europa, la ‘’World Islamic League’’ ha collocato suoi rappresentanti nella maggior parte delle città: Londra, Bruxelles, Roma, Ginevra, Copenaghen, Lisbona e Madrid. L’infiltrazione nelle popolazioni musulmane è avvenuta e avviene in maniera trasversale, con la proliferazione di centri culturali e religiosi e di istituzioni specializzate.
L'Arabia Saudita ha suddiviso le principali istituzioni tra le grandi capitali europee, per coinvolgere il maggior numero di Paesi dell'Unione Europea nella sua politica di proselitismo islamico-wahhabita e per prevenire qualsiasi vuoto istituzionale e ideologico che andrebbe a vantaggio dei rivali.
- Il Consiglio continentale delle moschee d'Europa ha sede a Bruxelles.
La Grande Moschea di Bruxelles è anche sede del Centro islamico e culturale del Belgio. Nel padiglione orientale della sede dell'Esposizione nazionale di Bruxelles del 1880 c’era un affresco monumentale, Veduta del Cairo di Emile Wauters, che aveva un grande successo. Nel 1967, re Baldovino donò l'edificio al re Faisal Ben Abdelaziz Al Saoud dell'Arabia Saudita, in visita ufficiale in Belgio.
- La ‘’European Academy of Islamic Jurisprudence’’ ha sede a Londra.
- La ‘’Word Assembly of Muslim Youth’’, istituzione transnazionale, serviva da contrappunto alla corrispondente organizzazione dei Fratelli Musulmani ‘’The International Islamic Federation of Students Organization’’, in quanto la Fratellanza, a lungo in grembo ai Sauditi, rivaleggiava con loro nel teatro europeo dopo il massiccio afflusso di lavoratori immigrati dal Maghreb, dall'Africa nera, dalla Turchia (Germania) e dal Pakistan (Regno Unito).
Sotto l’autorità saudita, i Fratelli Musulmani ebbero un ruolo importante nella creazione di strutture panislamiche:
- La ‘’World Islamic League’’ (1962), struttura religiosa parallela creata dall'Arabia Saudita per contrastare l'influenza della diplomazia di Nasser e il prestigio dell'Università Al Azhar che è una delle principali fonti di giurisprudenza islamica.
- Il ‘’Consiglio Islamico Europeo’’, creato dieci anni dopo, nel 1973, anno del primo shock petrolifero e dello spostamento del centro di gravità del mondo arabo dalla zona popolosa e ribelle del Mediterraneo alla zona di abbondanza abulica del Golfo, doveva essere lo sponsor spirituale dell' ‘’Unione delle Organizzazioni islamiche in Europa’’ (UOIE) e dell' ‘’Unione delle Organizzazioni islamiche in Francia’’ nel 1983, nel bel mezzo dell'ascesa della terza generazione di immigrazione musulmana araba.
Parigi, dal canto suo, ha creato uno spazio di prestigio per lo spiegamento mediatico saudita, concedendo il benestare, in tutta l’accezione del termine, a Radio Orient e dotandola di un potere smisurato: si tratta dell’unica radio al mondo appartenente al capo di un governo straniero o in altre parole di un capo dell’opposizione di un Paese amico della Francia.
Noto per la permeabilità saudita, Radio Orient, in onda ogni venerdì, diffonde i sermoni del predicatore della Mecca, megafono dell’integralismo wahabita verso una popolazione arabo-musulmana bersaglio del fondamentalismo islamico. Come è avvenuto durante il decennio nero in Algeria (1990-2000) o nella guerra di Siria (2011- ancora in corso), in cui la Francia, patria dei diritti umani, si è schierata con i jihadisti takfiri, pagando il prezzo in termini di ricaduta terroristica, dalle uccisioni di Mohamad Merah a Tolosa, a Montauban (2012), a Mehdi Nemmoush, carceriere di quattro giornalisti francesi tenuti in ostaggio da Jabhat Al Nusra, alla carneficina di Charlie Hebdo ( gennaio 2015) alla decapitazione di Isère (luglio 2015), alla strage di Parigi-Bataclan (13 novembre 2015).

RIFERIMENTI
1 - Sull'Europa "Base operativa dei leader islamici nell'era afghana"
2 - Arabia Saudita: "L'unica azienda di famiglia al mondo a sedere alle Nazioni Unite. Vedere il Capitolo V di " La guerra delle onde, la guerra delle religioni, la battaglia senza fili nel cielo dell’area mediterranea ". René Naba - Harmattan 1998.
3 - La Fratellanza Musulmana, una traccia della Guerra Fredda.
Qatar-Arabia Saudita
http://www.madaniya.info/2017/06/08/arabie-saoudite-qatar-guerre-freres-ennemis-wahhabisme-guerre-de-defausse/

Copyright © René Naba , madaniya.info , 2018
Traduzione dal francese di Maria Antonietta Carta

domenica 15 luglio 2018

La Vergine di Soufanieh per l'unità dei Cristiani dell'Oriente e dell'Occidente.

Mentre il sangue scorre in Siria da oltre sette anni, l'olio della Vergine Maria di Soufanieh ha continuato a scorrere, da oltre 35 anni a Damasco, la capitale siriana.


di Nadine Zelhof - Aleteia
traduzione: Gb.P.
È una storia relativamente sconosciuta in Occidente. Nel novembre 1982, in un quartiere modesto del nord di Damasco vicino a "La porta di Tommaso" un olio profumato è colato da una piccola icona della Vergine Maria che porta in braccio il bambino Gesù, una riproduzione della Vergine di Kazan. Questo olio è apparso per la prima volta sulle mani della giovane sposa della famiglia, Myrna Nazzour, il 22 novembre di quell'anno. "Non aver paura figlia mia, io sono con te. Apri le porte e non privare nessuno della mia vista!" È in questi termini che la Vergine Maria apparve per la prima volta a Myrna. Con le lacrime agli occhi e molto commossa, la ragazza ha testimoniato: "Sorpresa, paura, gioia o emozione, io non posso descrivere i miei sentimenti, tanto ero confusa, ma la domanda che si ripropone sempre nella mia testa è: perché proprio a me? ".
Soufanieh, è questo olio puro che trasuda dall'immagine della Vergine, ma anche dalle mani, dagli occhi e dalla fronte di Myrna. La ragazza ha avuto anche delle stigmate sulle mani, sui piedi e sulla fronte durante tutta la Settimana Santa, quando la celebrazione della Pasqua delle due comunità cristiane, ortodossa e cattolica, era unificata. Questo è accaduto ben cinque volte: 1984, 1987, 1990, 2001 e 2004.
Soufanieh, sono anche quei messaggi consegnati da Gesù Cristo e dalla Vergine Maria per la prima volta in lingua araba. Messaggi dello stesso spirito del Vangelo e della Santa Chiesa, dei quali Myrna ha confessato di non capire nulla al momento, ma che sono diventati più chiari in seguito, alla luce dei tragici eventi bellici.
Dal dicembre 1982, questi messaggi ricordano la necessità dell'unità delle Chiese. Nel suo ultimo messaggio, la Madonna ha detto a Myrna Nazzour: "Non temere figlia mia, se ti dico che questa è l'ultima volta che mi vedi, fino a che la Pasqua sia unificata . (...) Per quanto riguarda l'olio, continuerà a manifestarsi sulle tue mani per la glorificazione di mio figlio Gesù ".
Nel 2004, ha avuto poi un'apparizione di Gesù Cristo che le diceva: "Questo è il mio ultimo comando, che ognuno ritorni alla propria casa, ma che porti l'Oriente nel suo cuore. Da qui è brillata di nuovo una luce di cui voi siete l'irradiazione per un mondo sedotto dal materialismo, dalla sensualità e dalla celebrità. (..) Quanto a voi, preservate la vostra autenticità orientale, non permettete che siate alienati della vostra volontà, della vostra libertà e della vostra fede in questo Oriente ".
L'anno 2014, dieci anni dopo, mentre i cristiani d'Oriente si ritrovano sprofondati nella disperazione in una Siria completamente distrutta, accade un altro miracolo. Gesù manda un messaggio: "Le ferite che hanno sanguinato su questa terra sono le stesse che sono presenti nel mio corpo. Perché l'autore e la causa sono gli stessi.". Nel 2017, l'anno scorso, le tre Pasque coincidevano: la Pasqua dei cattolici, quella degli ortodossi e quella degli ebrei. Il Sabato Santo l'icona trasudava olio dopo sedici anni di interruzione!
Testimonianze: passato e presente
Non si può parlare di Soufanieh senza menzionare Padre Elias Zahlaoui, fondatore del Coro della Gioia, la corale della Chiesa di Nostra Signora di Damasco e il primo testimone dei miracoli di Soufanieh. Accompagna Myrna ovunque nei suoi spostamenti, nei suoi interventi e nei suoi viaggi, di cui è il principale organizzatore.
"Ho scritto un primo libro su Soufanieh nel 1990 per comunicare agli altri ciò che mi è stato dato di vedere, ascoltare e di vivere. Poi l'ho ristampato e aggiornato nell'ottobre 2008, e l'ultima edizione è della fine del 2013. È mio dovere rendere noti i suoi fatti, i suoi messaggi, la sua spiritualità, il suo movimento di preghiera e i suoi appelli. Ho visto l'olio trasudare più volte dalle mani di Myrna, e specialmente la volta in cui lei ha spalmato con questo strano olio sua madre e sua cognata sofferenti e costrette a letto, e come esse si sono subito ristabilite. E tante altre volte quando io sono accompagnato da semplici civili, cardinali o sacerdoti, come il prete Pierre Boz dell'Arcivescovado di Parigi, e si compiono miracoli ".
Dal novembre 1982, Padre Zahlaoui è diventato un fedele testimone della quotidianità di Soufanieh. Questa casa modesta, trasformata da un giorno all'altro in un luogo di pace e conforto, nella "Casa della Vergine". Inizialmente, le preghiere si svolgevano giorno e notte spontaneamente, affidate all'improvvisazione delle persone. Quindi Padre Zahlaoui ne prese la guida per far uso delle preghiere liturgiche bizantine come pure delle preghiere e dei canti maroniti e latini.
Nel 1992, durante la celebrazione della Messa a Soufanieh del Nunzio Apostolico, l'olio è stillato dalle mani di Myrna durante la comunione. Alla fine della messa, quando il Nunzio annunciò il suo desiderio di vedere un centro ecumenico di Nostra Signora di Soufanieh costruito a Roma, l'olio ricoprì di nuovo le mani di Myrna. Nell'ottobre 1999, quando fu inaugurato il centro, l'olio colò nuovamente dalle sue mani.
Una sola voce con più espressioni
"Già venticinque anni son trascorsi, ma la voce del Signore e della sua Santa Madre continuano a mormorare in noi e rafforzarci. Una singola voce dai molteplici accenti. Una sola voce con più espressioni. Soufanieh è Soufanieh per l'oggi e per domani e realizza ciò che lì abbiamo ascoltato: l'unità della Chiesa ", ha dichiarato il Patriarca melchita greco-cattolico Joseph Absi, all'epoca vicario patriarcale, durante la sua omelia per la messa che celebrava i 25 anni di Soufanieh.
"L'evento Soufanieh si erge in Oriente come un potente faro destinato a rettificare il cammino di un'umanità che è diventata per i suoi progressi scientifici così arrogante che sembra aver perso il suo giusto orientamento", ha detto Zakka Iwaz, il Patriarca siriaco ortodosso di Antiochia. È in questo paese arabo che Gesù e la Vergine Maria hanno scelto per la prima volta di mandarci messaggi universali, spirituali, cristiani e umani in lingua araba, affinché i cristiani approfondiscano la loro fede in questo Oriente arabo e musulmano ".
Il cuore di Soufanieh senza confini
Grazie a Soufanieh, delle petizioni sono state lanciate in tutto il mondo per l'unità dei Cristiani e della festa di Pasqua. Televisioni straniere si sono mosse e continuano ad affluire qui, anche in questi difficili tempi di guerra. Da quando Roma ha riconosciuto questo fenomeno e ha inaugurato il centro "Notre-Dame de Soufanieh" in Vaticano nel 1999, vi sono presenti gruppi provenienti da Russia, Grecia, Germania, Belgio, Canada e paesi scandinavi. In Francia, il professore di teologia Patrick Sbalchiero si era molto interessato a questi eventi, e ha organizzato molti viaggi sul posto considerandoli come veri pellegrinaggi.
"In particolare nella festa di Pasqua del 2004 posta sotto il segno dell'unità dei cristiani. Appena arrivato, ho notato un'immensa fatica sul viso di Myrna, benchè fosse felice di vedere la folla che affluiva per pregare e testimoniare degli eventi futuri. C'era anche un'equipe medica di Oslo venuta per fare un'analisi approfondita su Myrna. Esami del sangue, esami cardiaci, test cutanei, un doppler a risonanza magnetica per comprendere la formazione delle ferite della Passione. Così come altri fedeli da Los Angeles, dalla Francia o dal Libano ", testimonia.
Una preghiera insegnata da Maria a Soufanieh: nel corso della quarta apparizione del 8 gennaio 1983, Myrna vede la Madonna piangere e riceve queste parole "« Je vous demande un mot que vous graverez dans votre mémoire, que vous répéterez toujours : “Dieu me sauve, Jésus m’éclaire, le Saint-Esprit est ma vie, c’est pourquoi je ne crains rien”. »

Soufanieh è oggi un evento che riveste un significato molto speciale in questo Oriente a maggioranza musulmana e in questa Siria a fuoco e sangue dal marzo 2011. Come Myrna ripete instancabilmente: "Il Signore ha fatto irruzione nella mia vita, io non ho paura e sono fiduciosa. Egli mi ha chiesto di pregare affinchè la Sua volontà si realizzi perché una nuova luce brillerà dall'Oriente e noi dobbiamo essere testimoni di questa luce ".
Riferimenti :
bibliografia: E. Zahlaoui, Soufanieh. Chronique des apparitions et manifestations de Jésus et de Marie à Damas (1982-1990), Paris, 1991 ; id.Souvenez-vous de Dieu. Messages de Jésus et de Marie à Soufanieh, Paris, 1991 ; id., « Soufanieh », DMEC, 2002, 738-741 

martedì 10 luglio 2018

Lettera di Aleppo n. 33: la Siria dimenticata


 Aleppo, 1 luglio 2018
Le notizie dalla Siria sono state accantonate dall'attualità. Il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, la tragedia dei migranti, le elezioni in alcuni paesi europei, il vertice Trump/Kim-Jong-Un, e la coppa del mondo di calcio sono state, dopo la nostra ultima lettera, la notizia in evidenza per i giornali e i media. Tuttavia, la situazione in Siria continua ad essere molto preoccupante e noi viviamo su un barile di dinamite. Gli interventi o la presenza di alcuni Paesi sul terreno rendono la situazione molto complessa, il futuro incerto, i negoziati compromessi e aumentano il rischio di una conflagrazione regionale. Gli Stati Uniti con due basi militari e la Francia, illegalmente installati sul territorio di uno Stato sovrano, sono presenti a nord-Est per sostenere le forze curde che occupano buona parte del territorio. Dall'altra parte, alla fine del gennaio 2018 la Turchia ha invaso il nord-Ovest della Siria per cacciare i gruppi armati curdi ed ora occupa tutta la regione di Afrin. Infine, Israele esegue in totale impunità incursioni aeree sul territorio siriano e sostiene i jihadisti del sud della Siria. Lo stato siriano ha appena lanciato un'offensiva per cacciare gli ultimi gruppi armati ribelli dal sud della Siria, della Regione di Dara'a.
In seguito all'invasione turca della regione di Afrin, 27.000 famiglie composte da 137.000 persone sono fuggite dalle loro città e villaggi. Non hanno portato niente con sè: solo i vestiti che indossavano. Hanno perso tutto: la loro casa, il loro trattore, il loro bestiame, la loro auto... si sono insediati in 11 villaggi e in diversi accampamenti di tende, tra cui «il Campo Shahba», intorno alla piccola città di Tel-Rifaat a 25 km. da Aleppo. Noi, i Maristi blu, non potevamo rimanere indifferenti alle sofferenze di questi nuovi sfollati; abbiamo sentito il loro appello al soccorso (il nostro gruppo non si chiamava forse "L' Orecchio di Dio" prima che diventassimo i Maristi Blu?). Dopo un periodo di esitazione e di riflessione, temendo per la vita dei nostri volontari, (le forze turche sono a 4-5 km. da Tel-Rifaat), abbiamo deciso di agire: di andare loro incontro, di provare a provvedere ai loro bisogni, di occuparci dei loro figli non scolarizzati, di farci solidali con queste famiglie. E così abbiamo iniziato il progetto e l'avventura "Campo Shahba".
Con la collaborazione della Mezzaluna Rossa Siriana abbiamo preso in carico le 650 famiglie del villaggio di Kafar Nasseh e soprattutto il Campo Shahba, un campo di 107 tende per 107 famiglie, situato in una pianura nel deserto:
450 bambini che aspettano con impazienza e tanta gioia le nostre visite del mercoledì e della domenica, che ci aspettano all'ingresso del campo e che si riuniscono, in 2 minuti, intorno a noi e ai nostri volontari che li fanno giocare al pallone, disegnare e colorare, ballare, che li educano all'igiene e insegnano loro le basi della scrittura e del calcolo;
110 madri o nonne sono diventate le amiche delle nostre dame volontarie che le riuniscono per ascoltarle, condividere, e consigliarle;
107 famiglie che ci aspettano per avere pacchi alimentari e sanitari, fornelli a gas per la cucina, thermos per conservare l'acqua potabile, pastiglie per sterilizzare l'acqua, ciabatte, vestiti....
Tutto si fa all'aperto, sotto un sole cocente, con 38-40 gradi all'ombra. Abbiamo appena installato una grande tenda, che funge da spazio organizzativo per gli incontri con i bambini e le donne, almeno all'ombra.
Ci andiamo almeno 2 volte a settimana; un'ora e mezza di tragitto e molteplici check-points da attraversare; i 15-20 volontari ad ogni visita sono attesi con il sorriso e la gioia, tanta gratitudine e anche molta attesa. Gli sfollati sono disperati: vogliono tornare a casa o andare ad Aleppo, ma le 2 opzioni sono loro vietate.
Ad Aleppo, la situazione di sicurezza era molto buona dopo l'evacuazione dei gruppi armati e la liberazione di Aleppo dai terroristi di al Nusra. Tuttavia, i mortai lanciati dai ribelli installati ad ovest di Aleppo continuano a cadere quotidianamente su alcuni quartieri periferici. Il 27 giugno abbiamo vissuto la giornata peggiore da 18 mesi: molte granate sono cadute su Aleppo, nei quartieri residenziali, facendo molti morti e feriti. Le schegge hanno persino raggiunto i nostri locali. Uno dei nostri volontari ci ha quasi lasciato la vita.
La vita quotidiana migliora progressivamente con il ripristino dell'erogazione di acqua ed elettricità, anche se razionate, la disponibilità sul mercato di prodotti e merci. Per contro, la situazione economica è ai livelli infimi; il tasso di disoccupazione è molto elevato, il costo della vita è altissimo, i salari sono talmente bassi da non permettere ad una famiglia di vivere degnamente, e gli aleppini, che hanno i mezzi per investire e che erano fuggiti dal paese, non sono tornati. La maggior parte delle famiglie di Aleppo ha sempre bisogno di essere aiutata per vivere e sopravvivere.
Noi Maristi Blu, abbiamo mantenuto la distribuzione dei panieri alimentari e sanitari alle famiglie che abbiamo in carico, ma riteniamo che dopo 6 anni di aiuto queste distribuzioni, un giorno, dovranno fermarsi. Crediamo che la priorità delle priorità sia trovare un lavoro ad ogni persona aiutata. Lavorando, potrà farsi carico dei propri bisogni; essere finalmente indipendente dagli aiuti ricevuti per anni; vivere dignitosamente del proprio lavoro e non pensare più di lasciare il Paese.
Così abbiamo creato il nostro programma "i micro-progetti": Abbiamo già organizzato 7 sessioni di formazione con 16-20 adulti per sessione. Gli esperti insegnano in 48 ore "come creare il proprio progetto". Alla fine delle sessioni, i candidati presentano i loro progetti alla giuria che li valuta, fornisce i consigli necessari e sceglie i migliori progetti in termini di fattibilità, redditività e sostenibilità per essere finanziati da noi. Da un anno e mezzo abbiamo già finanziato 50 progetti e permesso a più di 90 famiglie di vivere del loro lavoro.
Il nostro progetto "Heart Made", dove le donne trasformano abiti fuori moda in pezzi unici molto apprezzati, dà lavoro a 11 madri di famiglia.
Il nostro altro progetto "Marie" per la confezione di indumenti di cotone per neonati fa vivere 24 famiglie.
Vi avevamo annunciato, nell'ultima lettera, la prossima pubblicazione della nostra opera, "Le Lettere di Aleppo". Si tratta di una raccolta di tutte le nostre lettere scritte dall'inizio della guerra da frère Georges e me, arricchito di estratti d'interviste, di articoli di stampa e testi scritti dall' uno o dall'altro. La nostra opera è stata finalmente pubblicata dalle edizioni "L'Harmattan". Potete acquistarlo o ordinarlo nelle librerie o online sui siti della FNAC, Amazon o l'Harmattan. Vi invitiamo ad acquistarlo, a leggerlo o a regalarlo; ci auguriamo che la nostra testimonianza possa raggiungere il maggior numero di persone possibile; il giornale "La Croix" l'ha appena selezionato tra i quattro libri, sul Medio Oriente, che bisogna assolutamente leggere quest'estate (La Croix, supplemento di giovedì 28 giugno).
Tutti i nostri progetti continuano grazie alla vostra solidarietà e ai vostri doni. L'aiuto all'alloggio delle famiglie sfollate, la distribuzione dei panieri alimentari e sanitari, la distribuzione mensile di latte a 3000 lattanti e bambini di età inferiore ai 11 anni.... e soprattutto il nostro programma medico che con il progetto "Camp Shahba" e il programma "Micro-progetti" citati in precedenza, è uno dei 3 programmi prioritari dei Maristi Blu. Sì, la gente ha bisogno di sostegno finanziario per le cure mediche o i loro interventi chirurgici e il nostro dovere è di aiutarli.
Riguardo poi ai nostri progetti educativi, alcuni sono in pausa estiva come "Imparare a crescere" e "Voglio imparare" per i bambini dai 3 ai 7 anni.
Il "MIT" (per la formazione degli adulti), "Skill school" (per l'accompagnamento degli adolescenti), "L' eradicazione dell'analfabetismo", l'insegnamento del cucito (taglio e cucito) e delle lingue (Progetto Speranza), proseguono i loro compiti pedagogici. Abbiamo appena concluso un ciclo di sessioni di 4 mesi per la "formazione e lo sviluppo della donna". 80 donne di età superiore ai 30 anni e 80 ragazze di età inferiore ai 30 anni, ne hanno beneficiato. Dopo una pausa in luglio e agosto, speriamo che il ciclo riprenda con altri beneficiari. Nel frattempo organizziamo incontri di formazione e di accompagnamento per le ragazze che hanno tra i 12 e i 15 anni.
Ecco, in breve, le nostre notizie. Proseguiamo la nostra missione, che consiste nel "vivere la solidarietà con i più poveri per alleviarne le sofferenze, sviluppare l'umano e seminare la speranza. "
Spero che questa "lettera di Aleppo n. 33" vi troverà, cari amici, in buona salute e vi auguro buone vacanze estive.
Nabil Antaki, per i Maristi Blu

PER SOSTENERE IL PROGETTO 'EMERGENZA SFOLLATI DI AFRIN' , la ONLUS ITALIANA AIULAS IN COLLABORAZIONE CON I MARISTI BLU DI ALEPPO promuove una raccolta di fondi destinati all'acquisto di beni di prima necessità per le famiglie sfollate da Afrin che vivono nel Campo Shahba . Qui il link per tutti i dettagli su come inviare un contributo :
https://www.aiulas.org/i-nostri-progetti/emergenza-sfollati-di-afrin/

venerdì 6 luglio 2018

Pulizia etnica e persecuzione di Yazidi e Cristiani ad Afrin, Siria nord-occidentale


Estratto dal Report di un gruppo di missionari umanitari (FBR) che si recano in Siria per fornire assistenza medica e altri aiuti umanitari, costruire parchi giochi in aree precedentemente occupate dall'ISIS e condividere l'amore di Gesù. 
Si tratta di una squadra di 17 persone; cinque medici e operatori originari della Birmania, tre volontari americani,  coordinatori curdi, iracheni e siriani e una famiglia. Entrati in Siria dall'Iraq, si sono recati a Raqqa, Tabqa, Deir ez-Zor, Ayn Issa, Membij, Kobani, Qamishli, Tel Tamir, Hasakah e le aree circostanti.


Nel gennaio 2018, l'Esercito Turco, insieme a elementi dell'Esercito Libero Siriano (FSA) che in quest'area sono composti da gruppi musulmani radicali e da alcuni resti dell'ISIS, ha lanciato una campagna aerea e terrestre dalla Turchia contro la città e l'area di Afrin, una delle poche zone pacifiche della Siria. I curdi avevano tenuto a bada l'ISIS durante tutta la guerra e Afrin, che storicamente era per l'80% curda con un'antica popolazione cristiana e Yazidi, era diventata un rifugio per migliaia di fuggitivi curdi e arabi di diversi gruppi e fedi. La Turchia ora sta procedendo ad una pulizia etnica di proporzioni enormi in Afrin. Il governo turco ha condotto questo assalto per annientare i curdi delle YPG e bloccare il loro accesso al Mar Mediterraneo. Considera i curdi una minaccia alla sicurezza turca e non ha avuto riguardo per i Cristiani o gli Yazidi. Il governo turco sostiene anche l'FSA contro il governo siriano ed Afrin è diventata una base per l'FSA. Un nuovo regno di terrore è sceso su Afrin.
Attacchi congiunti di turchi e FSA hanno spazzato via oltre 200.000 curdi, oltre a 35.000 Yazidi e 3.000 Cristiani dai loro villaggi e città. Le loro case sono state espropriate da migliaia di islamisti radicali portati dalla Siria meridionale e occidentale, che sono stati a loro volta cacciati dalle loro posizioni dall'Esercito Siriano. Anche gli abitanti Musulmani originari che non si sono sottomessi alla legge della Sharia e all'FSA hanno dovuto fuggire. Dalle interviste, l'unica chiesa nella città di Afrin è stata saccheggiata, bruciata all'interno e poi occupata da due fazioni di miliziani.
Cristiani fuggiti da Afrin
A Kobane e in una nuova chiesa cristiana di 20 credenti, abbiamo incontrato due famiglie cristiane che sono fuggite da Afrin quando l'FSA e l'esercito turco l'hanno invasa. Dopo il servizio di culto, abbiamo parlato con i Cristiani di Afrin, una madre e suo figlio di 18 anni, Baran, suo genero e sua figlia incinta. Erano fuggiti da Afrin appena l'FSA e i Turchi avevano assalito la città e la regione, uscendo e salvando a malapena le loro vite. La madre ci ha detto che c'erano più di 3000 Cristiani che vivevano ad Afrin, ma adesso quasi tutti sono fuggiti. Conosce solo due persone rimaste: suo marito che era troppo malato per camminare e un altro uomo ferito durante gli attacchi.
Mentre tratteneva le lacrime, raccontava: "Sono cristiana. Mio marito era troppo malato per uscire e fuggire [con noi] e ora si nasconde in Afrin. Ho solo mio figlio e mia figlia rimasti con me e nient'altro al mondo. Potete aiutarci? Grazie per essere venuti a trovarci e per l'aiuto che ci avete dato. Preghiamo con voi per la risposta di Dio e confidiamo in Lui.”
L'FSA e i Turchi hanno invaso Afrin in una serie brutale di attacchi di fanteria, sostenuti da artiglieria, elicotteri da combattimento e jet-caccia. Centinaia di civili sono stati uccisi e case distrutte. Molte delle forze curde YPG sono state uccise e gli altri costretti a ritirarsi. L'FSA e i turchi hanno circondato, uccidendo e saccheggiando. Le persone hanno cercato di fuggire.
"I nostri peggiori timori sono stati confermati quando è stata instaurata la legge della Sharia, le case saccheggiate e le persone che hanno resistito messe a morte. Noi Cristiani e la maggior parte dei 35.000 Yazidi siamo fuggiti, temendo un annientamento simile a quello avvenuto a Sinjar, in Iraq ", ha continuato la madre. Ha continuato poi raccontandoci come una donna sia stata catturata dall'FSA, violentata e poi uccisa e un video poi inviato al marito della donna.
"Anche mia nipote, una bambina piccola è stata uccisa", ci ha detto. "Il suo nome era Riven Khandofan Hamdoush ed è stata uccisa vicino a noi nel villaggio di Kafarganeh. Il villaggio si trova ai margini della città di Afrin. Il 27 aprile 2018, quando la piccola giocava per strada, fu uccisa a colpi di arma da fuoco quando le fazioni islamiche litigavano tra loro sulla proprietà. Ecco la sua foto." "Siamo molto tristi e ci sentiamo senza speranza, ma rimaniamo vicini a Gesù e mettiamo la nostra speranza in Lui. Io ero musulmana, ma quattro anni fa mi sono stancata e ho chiesto a Gesù di aiutarmi. La maggior parte della mia famiglia è ancora musulmana ma questo non li ha risparmiati dagli attacchi. Mia nipote che è stata uccisa era musulmana con genitori musulmani".
Militanti del FSA nelle loro posizioni a nord di Manbij.
La chiesa del "Buon Pastore" in Afrin
Il figlio Baran ha continuato raccontandoci della chiesa di Afrin: "La Chiesa del Buon Pastore è stata occupata dall'FSA e dall'esercito turco. Le fazioni armate dell'occupazione turca combatterono tra loro per il controllo e la confisca della chiesa. I combattimenti che hanno avuto luogo tra le due fazioni di "Sultan Murad" e l'"Esercito dell'Est" si sono conclusi con un accordo tra le due parti sulla spartizione dell'edificio della chiesa e degli edifici circostanti e dei suoi beni. Hanno bruciato l'interno della chiesa e hanno scritto i nomi delle loro fazioni sui muri esterni. Prima dell'arrivo dell'FSA e dei turchi, oltre 250 famiglie cristiane erano ancora nel centro della città di Afrin e nei villaggi circostanti. Prima che Afrin fosse sopraffatto, il prete della chiesa, il Rev. Valentin Hanan, ha rilasciato una dichiarazione angosciata alla comunità internazionale dopo l'inizio dell'attacco turco ad Afrin. Ha chiesto l'urgente protezione internazionale dei credenti in Afrin e la cessazione dei bombardamenti turchi. Ha detto: "In questo momento siamo sottoposti a pesanti bombardamenti e le fazioni islamiche promettono di entrare nella regione e noi come chiesa chiediamo anzitutto al Signore la protezione e poi ai fratelli di pregare e aiutarci".
Dei circa 3.000 Cristiani nell'area di Afrin, il reverendo Hanan ha detto che c'erano 190 famiglie nel centro della città di Afrin, 45 famiglie nella zona di Gendressa e 15 famiglie nella zona di Maabtli. Ora che l'occupazione è completa, non sono rimasti quasi più Cristiani. "
Gli Yazidi di Afrin raccontano gli orrori che hanno affrontato.
In questa missione di soccorso, abbiamo incontrato alcuni degli Yazidi che erano fuggiti da Afrin quando l'FSA e i turchi hanno attaccato. C'erano 68 famiglie che vivevano tra le macerie di un villaggio cristiano abbandonato vicino a Tel Tamir. La chiesa, una volta magnifica, è stata distrutta dall'ISIS e tutti i Cristiani sono spariti. Una volta che l'ISIS è stato sconfitto qui l'anno scorso, ai Cristiani proprietari di edifici, molti dei quali sono attualmente fuori dalla Siria, è stato chiesto se gli Yazidi potessero rimanere nelle loro case. Hanno risposto che gli Yazidi erano benvenuti nel villaggio e così gli Yazidi si sono trasferiti, scegliendo tra le case meglio conservate, rattoppando buchi nei tetti e nei muri.
Uno degli uomini Yazidi ci ha detto: "Non c'è modo di rimanere di nuovo in Afrin. L'FSA ha fatto sapere che ci avrebbero fatto lo stesso che è stato fatto dall'ISIS al popolo Yazidi di Sinjar. Avrebbero ucciso tutti gli uomini e schiavizzato le donne. Abbiamo dovuto fuggire. Perché nessuno ci ha aiutato? Non sono state sufficienti le morti di migliaia di Yazidi a Sinjar e in altre parti dell'Iraq? Dov'era l'America? Dov'era il mondo? Abbiamo perso tutto e non possiamo tornare indietro. Migliaia di musulmani provenienti dall'esterno dell'area vi si sono installati e ci hanno preso casa e terra. Cosa ne sarà di noi? "
Avevamo i cuori spezzati e annuimmo con simpatia. Poi uno degli uomini Yazidi disse: "Questo potrebbe farti arrabbiare, ma dovresti sapere che noi tutti incolpiamo l'America per questo". Ho pregato per capire come rispondergli e ho detto: "L'America non ha fatto questo. Non dobbiamo incolparla degli attacchi e delle vostre perdite."   L'uomo aprì la bocca per rispondere ma io continuai: "Ma dobbiamo incolparla di non averli fermati, mentre avremmo potuto farlo. Lo abbiamo lasciato accadere e non abbiamo fatto nulla per fermare l'FSA e i Turchi. Non abbiamo dato l'aiuto necessario alle persone che sono fuggite. Mi dispiace molto. Per favore perdonaci e prega per noi. L'America non è Dio né è il diavolo. Siamo persone. Le persone non possono risolvere ogni problema, ma possiamo rispondere a quelli che abbiamo di fronte come possiamo. L'America è in Siria, sarebbe stata in grado di aiutare e non l'ha fatto. Mi dispiace. Per favore prega che il Governo Americano cambi le sue idee e vi aiuti. Ci sono molti in America che vi hanno a cuore e siamo stati mandati qui da loro ".
Potevo sentire il dolore che queste persone provavano e l'evidente disperazione della situazione. Potevo vedere il dolore nei loro occhi.
La disperazione e l'impotenza non possono peggiorare più di così. Non dimenticherò mai le lacrime della donna Yazida che mi ha parlato dei suoi ulivi. Era stata un'ingegnere civile di successo e quando i suoi tre figli crebbero e divennero indipendenti, iniziò la sua fattoria di olio d'oliva. Mi ha raccontato di come i suoi alberi fossero come i suoi figli. Mi ha detto del dolore che stava provando. I suoi alberi si sentivano come suoi figli e così quando è fuggita le sembrava che stesse abbandonando i suoi figli a essere incendiati e ridotti in cenere. Il mondo non ha fatto nulla per salvare i suoi alberi. E non ha fatto nulla per salvare lei o i suoi figli ....
Dave, famiglia e squadre.

martedì 3 luglio 2018

L'Archimandrita padre Dottor Chihade Abboud nuovo rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin


Il sito del Vicariato della Diocesi di Roma informa che il sacerdote siriano damasceno Padre Chihade Abboud, del Patriarcato di Antiochia dei Greco-Melkiti, il 23 maggio 2018 è stato nominato Rettore della Basilica Cattolica di Santa Maria in Cosmedin,  officiata in Rito Orientale Bizantino Greco-Melkita.

Padre Chihade Abboud è nato il 21 Ottobre 1978 in Jdaydet Artouz (Siria). 
Entrato nel seminario minore nel 1990 a Damasco, ha in seguito frequentato il seminario maggiore dal 1996 in Libano.
Ha completato i suoi studi in filosofia e teologia presso l'Istituto di St. Paul per la Filosofia e la Teologia a Harissa in Libano.
Ordinato dall'Arcivescovo Isidoro diacono nella Cattedrale di Nostra Signora Al-niah il 9 Maggio 2004, e sacerdote da Sua Beatitudine il Patriarca Gregorio III Laham il 2 luglio 2004 nella sua città natale di Jdaydet Artouz.  Nominato parroco di Nostra Signora della Pace in Harasta. 
Inviato a specializzarsi in materia di diritto canonico della Chiesa latina, ha conseguito la laurea presso l'Istituto San Pio X a Venezia, associata con l'Università della Santa Croce a Roma, ha ottenuto il titolo di dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense in Roma.
Ha svolto l'incarico di Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico e di Segretario della Conferenza Episcopale Siriana fino al 19 maggio 2018, quando è stato elevato al rango di Archimandrita da Sua Beatitudine Youssef Absi Patriarca della Chiesa Cattolica Greco-Melkita.

Che Dio benedica il ministero di Padre Chihade Abboud! 

sabato 30 giugno 2018

Il 7 luglio, il Papa e i Patriarchi Orientali a Bari per la pace nel Medio Oriente


Sabato 7 luglio papa Francesco si recherà a Bari per una giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente, un incontro ecumenico per la pace al quale sono invitati i capi di Chiese e Comunità cristiane di quella regione. Un evento che il Pontefice esorta a preparare con la preghiera di tutte le comunità cristiane.
A Bari il Papa sarà accolto da monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, e dalle autorità civili. Nella basilica pontificia di San Nicola l’incontro con i Patriarchi, insieme ai quali scenderà nella cripta per la venerazione delle reliquie di San Nicola e l’accensione della lampada uniflamma. Successivamente il Papa e i Patriarchi raggiungeranno la “Rotonda” sul Lungomare, dove incomincerà l’incontro di preghiera comune; al termine ritorno alla basilica per un dialogo a porte chiuse.
«Vedo il Papa respirare la sofferenza del mondo sin dall’inizio del pontificato. Quindi questo convocare il 7 luglio i patriarchi delle Chiese cattoliche e ortodosse del Medio Oriente, a Bari, è un gesto di grande sensibilità, un portare la sofferenza del mondo sulle sue spalle, in particolare quella della Siria, dell’Iraq e del Medio Oriente – così il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in un’intervista rilasciata a Vatican News -. Il Papa vuole essere accompagnato da tutti i capi delle Chiese per pregare il Signore, insieme, come fratelli e, nello stesso tempo, per manifestare al mondo questa sofferenza».  Secondo il Cardinale, con questa iniziativa Francesco intende «chiamare tutti alla giustizia, alla pace, al rispetto della dignità della persona umana e, in particolare, alla difesa dei cristiani, di quelli perseguitati e di quelli che vivono in questo ambiente tremendo di bombardamenti quotidiani, di uccisioni, di terrorismo, di vendette e separazioni». 
Sempre Sandri ha recentemente auspicato: «Prepariamo il cuore rivolgendo la supplica a Dio affinché l’incontro del prossimo 7 luglio a Bari per riflettere e impetrare dal Signore una nuova stagione di riconciliazione e prosperità per il Medio Oriente possa essere un segno come un arcobaleno di pace».

mercoledì 27 giugno 2018

Le Monache Trappiste e il compito della 'nuova Siria'


Incontriamo suor Marta, superiora delle Monache Trappiste di Azeir, durante la breve visita che sta svolgendo in Italia alla Comunità 'madre' di Valserena nel giugno 2018

OraProSiria: Suor Marta, ci racconti come sta andando avanti la vostra presenza, quello che avete costruito, quali sono i vostri progetti, desideri, e lo sguardo che ha su di voi la gente che incontrate ogni giorno..
E poi ciò che voi intravvedete come necessità di questo popolo, in questo che appare sempre più come uno scenario che va verso la fine della guerra, quello che a voi sembra importante in questa fase di fine conflitto sia dal punto di vista della Chiesa che dal punto di vista della società. Quindi quale può essere ora il vostro compito sia come religiosi che come Chiesa locale?

Suor Marta: quello che noi viviamo giorno dopo giorno è proprio la presenza, cioè l'essere lì. Siamo molto contente perché gli ospiti arrivano sempre più numerosi, si passano la voce gli uni con gli altri e quindi poco a poco, pur secondo le nostre limitate possibilità di accoglienza che non sono enormi, vediamo che le persone che vengono al monastero trovano un luogo di riposo, di incontro e anche di riflessione. E in questo momento per la Siria è in atto un cambiamento, non voglio parlare delle ingerenze esterne e delle pressioni ai confini che permangono a motivo delle varie situazioni internazionali, però all'interno la Siria si sta stabilizzando, lo Stato siriano sta ritrovando la sua unità: anche il fatto che si possa andare in macchina da Damasco ad Aleppo dice molto di questa normalizzazione.
È chiaro che dobbiamo fare i conti con tutta la distruzione che si è creata, le sanzioni internazionali che ci soffocano, la mancanza di materie prime e di scambi, e quindi si vive una grande privazione, molto bisogno materiale, ma noi sentiamo che dentro questo pesante bisogno la gente ha un bisogno spirituale, spirituale in senso lato cioè come tempo dello spirito e di preghiera, di ritrovare una motivazione profonda alla dimensione umana ferita che questa guerra atroce ha creato, come umiliazione e poco rispetto della persona. Tutto questo chiede delle risposte, chiede una riflessione su cosa vuol dire essere uomini, essere credenti, di qualunque fede si sia. Mi sembra che oggi in Siria questo sia uno dei compiti più importanti: che senso ha costruire LA' un uomo!
Ma non solo: costruire INSIEME questa umanità che vogliamo vivere: questo non si riduce solo alla possibilità pur importante di studiare, lavorare, di un progresso economico e sociale, ma anche di un umanesimo che può attingere a un patrimonio immenso di cultura e di tradizione, che, anche se è stato distrutto nell'immagine e nel patrimonio storico-artistico, riguarda per lo più la distruzione delle pietre; però l'anima e la cultura che sono alla radice della Siria, continuano ad essere delle fonti preziose per questo umanesimo.
Da parte nostra la cosa importante per ora è l'accoglienza, che come dicevo si sta ampliando, anche se abbiamo ancora da costruire il nostro monastero, e questo è importante perché la nostra spiritualità non è una spiritualità solo di idee ma è incarnata: restare in un posto vuol dire anche investire sugli spazi, sui tempi, sul lavoro. Solo questo investire su una progettualità rende possibile pensare al futuro, alla ricostruzione. Così adesso è la Siria: alcune persone che tornano, piccole iniziative di lavoro, realtà di collaborazione che si stanno creando pur passando attraverso faticosi cammini di riconciliazione. Per questo occorre investire molto su una progettualità di pensiero. In questo le Chiese e i cristiani hanno un grosso compito, che è il loro proprio compito, di stimolare un pensiero e una coscienza di senso.

OPS: Perché è importante che i Cristiani non se ne vadano, come continuano a chiedere i Vescovi Siriani? Cosa convince un Cristiano a giocare la sua permanenza in un paese come la Siria o come altri paesi del Medio Oriente che stanno vedendo invece un esodo massiccio?

Suor Marta: Sì, potrebbe sembrare disumano chiedere alle famiglie cristiane di restare, perché di prospettive di lavoro, di carriere appaganti, di successo, non se ne vedono. Occorre essere chiari: non si può rimproverare nessuno per le scelte che fa; è comprensibilissima la preoccupazione di un genitore per i propri figli. Di solito è il pensiero del loro avvenire la molla che spinge ad andarsene, più che un egoismo personale, è proprio il cercare un futuro per i propri figli che è una cosa rispettabilissima. Allo stesso tempo i Cristiani sono di fatto l'anello che permette in molte situazioni la riconciliazione, sì, i Cristiani sono l'anello di congiunzione nella grossa divisione che si è creata a livello confessionale nella società siriana. Quindi questo è il primo fattore importante di cui i Cristiani sono portatori. Ma soprattutto, non è disumano chiedere di restare: tutto dipende dal tipo di umanità che vogliamo realizzare; se noi pensiamo che non solo in Siria ma in tutto il mondo oggi c'è una grossa battaglia che si gioca rispetto a una umanità nuova, che sia radicata su ciò che rende veramente uomini. È quello che chiediamo ai nostri giovani: “cosa vi impedisce di essere veramente uomini e donne qui in Siria?”. Anzi, forse la povertà di mezzi ci stimola a riscoprire i valori veri di un'umanità non come un fatto emotivo, una voglia, uno slancio al 'vogliamoci bene', ma la capacità di generare un tipo umano con un pensiero, una consapevolezza di ciò di cui consiste veramente l'uomo. Noi in Occidente abbiamo ridotto il lavoro al guadagno, alla sicurezza e alla molteplicità delle esperienze; mentre il lavoro è la prima espressione dell'uomo che si mette alla prova, si conosce e si sperimenta nei propri limiti e nelle proprie possibilità, s'inventa e crea. Possiamo restare, se crediamo che è possibile fare un'esperienza dell'umano come ciò che veramente realizza, perché la domanda vera è: che cosa realizza realmente la persona?

OPS: Oggi si ha molta paura del fondamentalismo che sembra sempre più pervadere il mondo islamico. Il popolo siriano ha la possibilità di resistere al virus del fanatismo?

Suor Marta: Credo proprio di sì, nella misura in cui ascolta l'esperienza che ha fatto, Oggi in tanti siriani c'è una sorta di stupore nel constatare una diffusione del fondamentalismo che non si credeva così forte nella sua propagazione, perché al di là del fondamentalismo organizzato dal paesi stranieri c'è qualcosa che ha attecchito anche nel pensiero di alcune persone e questa è la cosa che spaventa di più. Però quest'esperienza ha posto anche molti interrogativi: noi conosciamo molte persone che di fronte alla loro stessa fede nell'Islam si sono poste molte domande e quindi cercano ora un modo vero di vivere la loro fede, un modo più tollerante, un modo che è comunque aperto ad altre esperienze; certo non bisogna darlo per scontato, bisogna lavorare, bisogna dialogare, bisogna non avere paura di creare spazi di riflessione. Non è automatico ma io vedo che c'è una volontà, un desiderio di andare al fondo del vivere insieme quella diversità che ha caratterizzato questo paese, non bisogna però darlo per scontato, bisogna trovare il modo di lavorarci e farlo crescere.

OPS: Per quanto sperimentate voi, il governo siriano ha mantenuto quella sua tipica laicità che lo ha reso per decenni un'esperienza di convivenza particolare, quella per cui ancor più oggi si auspica che anche nella nuova Costituzione sia sempre più chiara la distinzione tra religione e forma di governo?

Suor Marta: Noi fin da quando siamo arrivate abbiamo sperimentato questa caratteristica della Siria: prima di tutto si è Siriani, la religione è un'altra cosa. E questa è una linea che permane, che noi sentiamo e che viene portata avanti: certo ora occorre fare i conti con le fratture che si sono create, perché purtroppo questa guerra ha minato questa coscienza dell'essere insieme, però questa coscienza dell'essere anzitutto Siriani non è stata distrutta, e il governo sta lavorando in questo senso, così come tutte le persone di tutte le religioni impegnate in un'ottica di ricostruzione sociale sono impegnate in questa direzione.

domenica 24 giugno 2018

Nasce SOS Chrétiéns d'Orient anche in Italia: intervista a Sebastiano Caputo


Sebastiano Caputo, responsabile di SOS Chrétiéns d'Orient in Italia: i bisogni dei Cristiani sono molto diversi in tutta la Regione.

di Edward Pentin*, National Catholic Register
traduzione: Gb.P.

Molti cristiani hanno lasciato l'Iraq e altri vogliono andarsene, a causa di conflitti apparentemente perpetui, instabilità e mancanza di posti di lavoro. Ma in Siria la situazione è molto diversa, e la ragione è da attribuire principalmente al presidente Bashar Assad che garantisce la sopravvivenza dei Cristiani.  "Se ci fosse un cambio di regime in Siria", avverte Sebastiano Caputo, a capo di SOS Chrétiéns d'Orient in Italia, un ente umanitario cattolico, "i Cristiani se ne andranno, come hanno fatto in Iraq". "Ecco perché" aggiunge," è molto importante offrire un aiuto umanitario, ma allo stesso tempo rendere consapevole la gente in Occidente sulla loro situazione, e portare il loro messaggio ai nostri paesi".
Recentemente, Caputo ha contribuito a creare una filiale italiana dell'ente benefico che è cresciuto rapidamente da quando è stata fondato da un gruppo di giovani Cattolici Francesi nel 2013. Ora ha oltre 1.400 volontari che lavorano in cinque Paesi. In questa intervista rilasciata al National Catholic Register a Roma il mese scorso, Caputo ha chiarito meglio il lavoro di SOS Chrétiéns d'Orient, su come i bisogni dei Cristiani variano ampiamente in Medio Oriente e perché SOS Chrétiéns d'Orient potrebbe, a un certo punto, anche indirizzare il suo aiuto ai Cristiani in Occidente, dove dice che la persecuzione è "psicologica" piuttosto che fisica.

SOS Chrétiéns d'Orient si è espansa ora in Italia. Come è successo, e come sei stato coinvolto?
Sono un giornalista. Lavoro per Il quotidiano italiano "Il Giornale" e la Treccani, un'enciclopedia in cui ho scritto sulla politica estera e le relazioni tra stati, con particolare attenzione al Medio Oriente. Quindi ho viaggiato molto negli ultimi tre anni. Quando ero a Damasco nel 2015 - a settembre, durante una conferenza - ero con il capo della missione di SOS Chrétiéns in Siria. L'ho conosciuto durante tutto il viaggio che ho fatto in Medio Oriente: Egitto, Libano, Iraq e Siria. Ho visto come questa associazione ha lavorato con i Cristiani in Medio Oriente. Così, quando sono tornato in Italia il mese scorso, ho chiamato Charles De Meyer e Benjamin Blanchard, fondatori della SOS Chrétiéns d'Orient con sede a Parigi, e ho chiesto se Parigi fosse interessata a creare un ufficio di rappresentanza a Roma.
Come hanno reagito?
Ne sono stati molto contenti perché Roma è la città del Vaticano e l'Italia è un paese nel mezzo del Mediterraneo ed ha un'importante cultura mediterranea. Quindi mi hanno aiutato a creare questo ufficio. Il 26 aprile, il co-fondatore di SOS, Charles De Meyer, è venuto a Roma e abbiamo tenuto una conferenza stampa per presentare i membri italiani. C'erano circa 100 persone interessate all'iniziativa. Ora l'obiettivo è quello di inviare una squadra di 10 volontari italiani per unirsi alle missioni francesi in tutto il Medio Oriente dove è presente "SOS". In secondo luogo, l'obiettivo è lavorare per costruire una rete per i donatori, perché "SOS" lavora solo con donazioni di privati. Raccolgono donazioni e i volontari cercano donazioni sul campo. Quindi è molto trasparente: fa bene ai donatori, ma anche ai volontari. Sono occidentali e molto giovani, stanchi di non fare nulla per aiutare chi è nel bisogno, quindi queste persone vanno in questi Paesi dove i Cristiani affrontano una situazione difficile, la guerra principalmente, ma non solo.
Il termine "persecuzione cristiana" è troppo generico?
Sì, è molto semplice parlare di persecuzione cristiana, ma tutti i paesi sono diversi: alcuni soffrono per guerra e discriminazione, ma il Libano è un paese multiconfessionale. In Iraq, il problema sussisteva durante l'occupazione di Daesh (ISIS). La maggior parte dei Cristiani ha lasciato la Piana di Ninive, ma in Siria i Cristiani hanno una buona posizione sociale. La cosa buona di SOS [i volontari] è che quando vanno in un Paese, rispettano quella società e cercano di non mettere i Cristiani in pericolo. Rispettano la società e la società multiconfessionale. Lavorano per la sopravvivenza di una società multietnica e multiconfessionale.
Anche alcuni Musulmani lavorano con SOS, giusto?
Sì, quando lavorano con la popolazione locale, è spesso con i Cristiani, ma anche con i Musulmani, per esempio in Siria e in altri Paesi musulmani, quindi non trovano discriminazione. Rispettano tutte le persone lì, e questa è una buona cosa.
Che aiuto pratico date, per esempio, in Iraq piuttosto che in Siria?
Una parte è il lavoro umanitario: diamo cibo alle persone e aiutiamo altre comunità cristiane a ricostruire chiese, scuole o ospedali o sostenere progetti come gli scout. E quando ricostruiscono ospedali e scuole, non è solo per i Cristiani, ma per tutta la popolazione. Non chiediamo loro se sono battezzati. Le differenze tra Iraq e Siria non sono notevoli, poiché entrambi i Paesi sono stati in guerra con Daesh. Quindi si trattava più di aiuti di emergenza, cibo e acqua, mentre in Egitto e Libano, che non sono in guerra, offriamo aiuto per insegnare l'Inglese e il Francese ai giovani, o semplicemente viviamo insieme a loro. È importante che essi sappiano che l'Occidente è con loro, è importante che ci conosciamo reciprocamente e loro sentano la nostra presenza lì.
I cristiani in Iraq e in Siria vogliono restare?
Questa è una domanda molto importante perché l'Iraq ha vissuto la guerra fin dal 2003. Molti hanno sempre e solo conosciuto la guerra e non sanno cosa sia la pace, quindi vogliono andarsene perché oramai non hanno più un passato. In Siria è diverso. Hanno avuto la guerra per otto anni, ma prima, la società era molto tollerante, multiconfessionale e pacifica. Quindi le persone hanno un ricordo di come era la vita prima della guerra e vogliono restarvi. Perciò è completamente diverso: tutti i cristiani Irakeni vogliono andarsene, mentre in Siria la maggior parte dei cristiani vuole restare. Ciò è molto interessante. L'ho notato quando sono stato in Siria. Prima e durante la guerra, essi hanno sempre avuto un buon rapporto con il governo e il governo rispetta le comunità cristiane.
Finché il presidente Bashar Assad è al potere, vorranno restare?
Sì, per otto anni hanno cercato di trasmettere un messaggio al mondo occidentale: cioè che se ci fosse un cambio di regime in Siria, i Cristiani se ne andrebbero, come hanno fatto in Iraq. Ecco perché è molto importante offrire loro aiuto umanitario, ma allo stesso tempo rendere consapevole la gente in Occidente della loro situazione e inviare il loro messaggio ai nostri Paesi.
Pensi che i Cristiani torneranno in Iraq?
Difficile a dirsi. Per anni, i cristiani sono diminuiti in gran numero, una caduta pazzesca. Inoltre, tutti i Cristiani che incontro lì vogliono andarsene. Quando andai in una casa di Cristiani, chiedemmo loro di cosa avevano bisogno. Tutti hanno detto: "Abbiamo bisogno di un biglietto aereo per partire", ma la missione di SOS è di aiutarli a rimanere, a non partire. Penso a Benedetto XVI°, che ha dato un principio importante: tutti hanno il diritto di vivere nel loro Paese perché è il loro Paese.
I Cristiani iracheni continueranno ad andarsene finché non avranno un capo che protegge i Cristiani?
Sì. La loro società è completamente diversa dalla nostra società; dobbiamo rispettare che la loro è una società tribale. Per le società tradizionali, la religione è molto importante per tutti; la cultura del leader è molto importante. Ecco perché è importante innanzitutto rispettare questo: anche la volontà delle persone e il leader che loro vogliono.
Vorresti che i giovani americani iniziassero un SOS negli Stati Uniti?
Sì, naturalmente. Ora stiamo costruendo un ufficio qui a Roma, ma forse in futuro altri Paesi potrebbero costruire qualcosa di simile, in modo che tutti i Paesi abbiano l'opportunità di fare volontariato e inviare denaro a queste persone. Sono cose importanti, e magari networking (fare rete), contatto e ascolto delle opinioni degli altri e conferenze nel Paese, incluse. Abbiamo molti problemi da affrontare.
Ritieni che anche in Occidente i Cristiani siano minacciati? Parliamo di Cristiani perseguitati in Medio Oriente, ma dovrebbe esserci anche un SOS Chrétiéns anche in Occidente?
Sì, naturalmente; lo spero, perché a volte parliamo dei Cristiani perseguitati in Medio Oriente, ma questa persecuzione è fisica. Nel mondo occidentale, è psicologica, morale e anche una persecuzione da parte dello Stato. È anche contro i simboli: vietare la croce, gli attacchi contro la famiglia. Quindi è molto importante lavorare insieme. E penso che i Cristiani in Oriente possano aiutare i Cristiani in Occidente a migliorare e viceversa, perché l'Occidente non è più cattolico o cristiano culturalmente parlando; siamo una minoranza. Le ideologie dell'Occidente sono il capitalismo, il consumismo e l'edonismo. I giovani che fanno volontariato in Medio Oriente sono spesso cattolici tradizionali, e questo può aiutare molto: l'interazione tra culture per riscoprire la nostra identità.

*Edward Pentin è il corrispondente del National Catholic Register di Roma.

http://www.ncregister.com/daily-news/aid-worker-persecuted-christians-in-middle-east-continue-to-need-aid-suppor

Chi volesse partire come volontario può richiedere il modulo a : 
roma@soschretiensdorient.fr

sabato 23 giugno 2018

I religiosi siriani: la vera opera umanitaria, oggi, sarebbe aiutare i siriani a tornare in patria, non a lasciarla.

Per svuotare la Siria una politica pro immigrazione

di Fulvio Scaglione

Visto da Aleppo, la città-martire della Siria che in quattro anni di assedio da parte dell’esercito islamista ha perso per emigrazione (interna alla Siria o verso l’estero) più di metà dei 4,6 milioni di abitanti che aveva prima della guerra, il dibattito europeo sull’immigrazione pare al tempo stesso ingenuo, ipocrita e, ma questa non è una novità, inconcludente.

Per quanta retorica si possa fare, infatti, i migranti non sono tutti uguali, nemmeno agli occhi di coloro che sono più disposti ad accoglierli. E questa dura legge sembra essere applicata, per quanto paradossale possa sembrare, soprattutto ai richiedenti asilo e a coloro che cercano una protezione internazionale. Ed è proprio il “caso Siria” che porta a pensarlo.

Tra il 2011 e il 2016 (ovvero, tra l’inizio della guerra civile e lo snodo fondamentale delle riconquista di Aleppo da parte dell’esercito siriano), più di 11 milioni di siriani (sui 23 milioni di abitanti del Paese) hanno dovuto abbandonare le loro case. La gran parte di loro è rimasta in Siria (più di 6,5 milioni, secondo l’Unhcr) o nei Paesi confinanti (poco meno di 5 milioni di Turchia. Libano, Iraq e Giordania, stessa fonte). Ma più di un milione di siriani ha chiesto asilo politico e protezione in Europa.

Chi si è fatto un minimo di esperienza di Siria in questi anni sa che ad andarsene all’estero non sono stati, necessariamente, i siriani più colpiti dalle atrocità e dalle miserie della guerra. Nella maggioranza dei casi sono riusciti ad arrivare in Europa i siriani più istruiti e benestanti, e quelli che avevano buoni contatti con i Paesi europei.

La diaspora, infatti, era nutrita anche prima di questa guerra, almeno una decina di milioni di persone con comunità cospicue in Germania (500mila persone) e Svezia (150mila) ma folte anche in Austria e Grecia, e chi aveva parenti già residenti sul suolo europeo ha avuto ovviamente vita più facile.

A fronte di tutto questo, i dati (elaborazione del Pew Research Center su cifre Eurostat) ci dicono che i siriani hanno fatto domanda d’asilo e richiesta di protezione in misura almeno doppia a quella di qualunque altra nazionalità. E che l’hanno ottenuta in una misura molto superiore a quella di qualunque altra nazionalità.
Nel 2015 e 2016 le richieste dei siriani sono state accolte (nei diversi Paesi Ue più Svizzera e Norvegia), nella misura dell’80%, assai più di quanto sia stato concesso agli eritrei (68%), ai somali (38%), agli iracheni (36%), ai sudanesi (36%) e agli afghani (22%). La media europea di concessione di una qualche forma di protezione internazionale è del 40%, quindi assai inferiore a quella già citata ottenuta dai siriani. Inoltre, il 52% dei 2,2 milioni di persone che in questi anni hanno chiesto asilo in Europa è ancora in attesa di una risposta, mentre solo il 20% dei siriani sta ancora aspettando. È davvero così stravagante ipotizzare che tutto questo non sia frutto del caso ma di una precisa scelta? Che non sia anche questa assai mirata “benevolenza” un’esca per svuotare la Siria, che l’Europa sottopone a embargo e di tanto in tanto bombarda, delle sue energie migliori? Che la solidarietà e la pietà delle organizzazioni di base non sia sapientemente indirizzata per il raggiungimento di uno scopo politico? 
È una domanda che tormenta, oggi, in primo luogo i rappresentanti delle comunità cristiane. I quali ripetono, ovviamente inascoltati, che la vera opera umanitaria, oggi, sarebbe aiutare i siriani a tornare in patria, non a lasciarla.

http://www.occhidellaguerra.it/migranti-siria-europa/