Gli struggenti racconti dei membri del Movimento dei Focolari nel Paese distrutto
fonte: Città Nuova - a cura di Maddalena Maltese
«Sembra che in questi giorni non ci sia regione della Siria risparmiata dalle violenze. Ieri ho telefonato ad un’amica ortodossa sfollata a Banias, sulla costa, per farle gli auguri di Pasqua. Non c’è stata alcuna celebrazione liturgica a Banias, mi dice accorata. La città dove sono morte in questi giorni almeno centoquaranta persone vive in un clima irreale. Nel Giovedì Santo il sacerdote a metà liturgia ha fatto uscire la gente in fretta dalla chiesa ortodossa mentre cominciavano a piovere i colpi e da allora tutte le chiese, e non solo quella, sono rimaste chiuse. Anche lì la situazione è diventata davvero pesante.
«Dalla Siria ormai fuggono non solo i cristiani, ma anche i sunniti moderati preoccupati della deriva integralista. Nessuna donna prima di questo conflitto era obbligata ad indossare il velo, adesso viaggiare sicuri fuori città significa doverlo portare o tenerlo a portata di mano: impensabile in uno Stato che si è sempre definito laico. Ci sorprendono questi cambiamenti a vista d’occhio che non appartenevano alla cultura siriana.
«In questo clima di sospensione per un peggio che potrebbe arrivare ci interroghiamo senza sosta sul significato che le istituzioni internazionali danno all’espressione: Stato sovrano. Ci chiediamo: perché l’Onu tace? Perché i suoi organismi non hanno la forza di “obbligare” alla pace e al dialogo, come si dovrebbe fare quando fratelli incoscienti vogliono picchiarsi a morte, e sanno invece molto bene e molto in fretta votare embarghi che fanno poi solo la disperazione della gente?
«Perché tanti regimi in Medio Oriente vengono sostenuti e poi in un giorno tutto si capovolge e si aprono conflitti sanguinosi, dove massacri e omicidi diventano linfa per l’odio religioso? Perché sempre due pesi e due misure? Perché la verità tace o è sovente contraffatta e l’opinione pubblica mondiale è anestetizzata?
A Banias due anni fa nelle memorabili manifestazioni del venerdì si gridava: “Alaouiti nella fossa e cristiani in Libano!” eppure all’opinione pubblica interna ed estera con un tam-tam insistente si vendevano storie di libertà di un popolo che finalmente aveva il coraggio di rivoltarsi, e lo si affermava, ahimè, per depistare il grande pubblico soprattutto esterno sulla vera realtà del conflitto siriano.
«Chi osava sottolineare tale incongruenza pur ammettendo con chiarezza le colpe del regime era tacciato di fautore di dittature e filo-non so che! Ora che la Siria è devastata e divisa, ora che il sangue di fratelli è versato copioso ogni giorno e c’è chi purtroppo crede nella vendetta e la usa, ora che i terroristi hanno raggiunto le montagne sopra Damasco e quartieri di Homs e Aleppo, ora si parla finalmente con tutta sincerità del gas del Qatar e della Russia e della volontà di indebolimento della politica shiita contro quella sunnita, dell’annosa questione palestinese e del gioco “fuori casa” tra Russia, Cina, Iran, Stati Uniti e Israele e del sogno turco di fare da padrone e di altro ancora.
«La parola libertà non la si nomina più. Forse perché si sa che la libertà, quella vera, nasce solo dalla giustizia, che vuol dire: dare a ciascuno il suo. Non armi o altro. Era probabilmente quella la libertà che anche il popolo siriano sognava, ma che nessun Paese ha saputo aiutarlo a realizzare. Forse perché non c’è più, o non c’è ancora, la cultura della fraternità universale. Sono ancora troppo pochi gli uomini adeguatamente preparati e convinti a percorrere in economia e politica o nel diritto questa strada come quella che paga davvero.
«È alla fraternità però che ci aggrappiamo ancora oggi, come ad un filo di speranza, che ogni giorno diventa sempre più sottile. Tutto deve sempre cominciare da ciascuno di noi, ne siamo convinti, ma abbiamo bisogno di aiuto e di preghiere per poterlo fare».
La situazione in Siria raccontata direttamente da chi la vive in prima persona. La toccante esperienza degli sfollati di Matcha Helou.
Ciò che vi scriviamo non vuole essere un’analisi economica o politica della situazione in Siria. È una testimonianza di vita, quella vita che grazie anche alle azioni di aiuto intraprese in tutto il mondo con grande generosità, ci permette di essere ancora qui a raccontare e a fissare attimo per attimo quei tasselli di pace, di condivisione e solidarietà, di ascolto profondo e di dialogo che impediscono la disperazione e mantengono tanta gente ancora sana (psicologicamente) e in piedi. A credere che la pace arriverà.
La gente è allo stremo. Il fatto di coabitare con la morte che può arrivare per tutti senza troppi annunci rende la vita sempre più pesante. Non si osa pensare al futuro per paura di affrontare la prospettiva che esso possa continuare ad esprimersi in questo modo e costringa quindi ad alzare le mani in segno di resa. “Non ce la faremmo a sopportare ancora per mesi un tale stress a livello psicologico, fisico ed economico” è la frase che si sente pronunciare da tanti. Poi, nel presente, si cuce quel “punto” che permette di continuare e di andare avanti, nonostante la distruzione circostante.
L’economia è in ginocchio per l’embargo e per la distruzione o la chiusura o la rapina di industrie e laboratori artigianali. A ciò vanno aggiunti i giochi di potere dei grandi commercianti che incidono paurosamente sulla svalutazione della moneta locale, ripercuotendosi in maniera drammatica sul caro vita. Non c’è ormai posto della Siria dove i generi alimentari o quelli di prima necessità non siano a prezzi esorbitanti, nemmeno nelle campagne; delle altre cose (vestiario ecc.) non se ne parla nemmeno perché tutto in fondo, tranne le medicine, è sentito come superfluo dalla gente, che economizza al massimo.
Un chilo di patate, ad esempio, è passato da 30 a 150 lire siriane, il latte in polvere da 700 a 2.500, la carne da 450 a 1.200 al kg, il pane in tutto il Paese non scende sotto alle 100 lire, quando prima la “rabta”- così si chiamano qui nove pezzi del buon pane arabo – costava 15 lire. Ma gli stipendi sono restati, per chi ancora lavora, gli stessi.
In questo contesto drammatico si disegnano però fatti di riconciliazione, di comprensione reciproca, di dialogo, di aiuto concreto.
Shaza e gli sfollati di Machta Helou:
Machta Helou è un grande villaggio in una zona collinare non lontano dalla costa, dove si sono rifugiate tantissime famiglie di Homs, fra cui alcune persone del Movimento dei Focolari con cui siamo in contatto. Una di loro, Shaza, racconta che all’inizio dell’inverno erano arrivate famiglie bisognose di tutto: cibo, vestiti, riscaldamento. Sono state accolte in un vecchio convento abbandonato, arredato con mezzi di fortuna. Il trauma della fuga e della perdita di tutto erano schiaccianti. Ascoltarle, raccogliere le loro esperienze e le loro necessità, visitarle regolarmente, è stato il primo impegno di Shaza e dei suoi amici. Questo ha fatto nascere un rapporto di fiducia e di amicizia che ha consentito alle famiglie di esprimere la loro situazione senza paura e vergogna. Le organizzazioni presenti riescono a dare mensilmente a ciascuna famiglia un pacchetto di cibo di base (riso, olio, zucchero e legumi secchi) e a garantire alcune medicine ma ci si è resi conto per esempio che da molti mesi nessuno di loro mangiava carne o latticini, che i bambini non avevano latte a sufficienza, né si poteva andare dal medico per controlli o cure indispensabili.
«Anche tanti di noi siamo sfollati, racconta Shaza, e quello che abbiamo ci è appena sufficiente per vivere ma, grazie all’unità fra noi, abbiamo avuto la forza di uscire da noi stessi e di guardarci attorno, visitando regolarmente queste famiglie, stando con loro ed ascoltandole a lungo. Era difficile per noi vederli in quello stato, anche perché alcuni di loro erano nostri vicini a Homs o persone benestanti che si trovavano senza più nulla. Per noi la cosa più importante è stata fare tutto con amore, cercare di dare quel poco che avevamo con amore, ascoltando ognuno profondamente. Il rapporto con queste famiglie si è intensificato a tal punto che ci hanno chiesto espressamente di continuare a visitarle anche se non avevamo nulla da dare poiché si sentivano amate.»
Quando Shaza e gli amici di Machta Helou hanno condiviso questa esperienza per cercare una soluzione per il futuro si è visto che, grazie agli aiuti raccolti per l’emergenza in Siria, avremmo potuto sostenere un piccolo progetto per almeno 3 mesi, per aiutare queste famiglie in modo mirato. L’aiuto economico è quindi arrivato come una preziosissima opportunità per alleviare i bisogni di queste persone, secondo un progetto personalizzato per ogni famiglia, che ha alla base l’offerta di un po’ di carne e formaggio, vestiti (un bonus per ogni famiglia), pannolini per i bambini, medicine e analisi mediche. Speriamo certamente che gli aiuti continuino e che queste famiglie possano continuare a trovare un po’ di sollievo.
Nel mese di maggio, che in Siria dai cristiani è molto sentito come il mese dedicato a Maria,abbiamo pensato che avremmo potuto anche proporre di recitare insieme il Rosario, come abbiamo poi fatto in una delle visite. Al termine, una delle persone a nome di tutte ci ha detto: «Grazie, grazie infinite di questo momento, ne avevamo estremamente bisogno”. L’esperienza più significativa che stiamo facendo è certamente quella della reciprocità: non c’è chi dà e riceve ma tutti diamo e riceviamo, ci sentiamo davvero fratelli e sorelle, una sola famiglia.
Nella notte del dolore, il miracolo della solidarietà
Una commovente telefonata mondiale con i membri del Movimento dei Focolari nel Paese allo stremo delle forze riporta l’attenzione sulla forza della preghiera e dell’aiuto concreto.
«"Noi stiamo bene. Da Damasco e da Aleppo vi salutiamo! In questo momento un gruppo di noi è ad un incontro di giovani, che si fa ormai da due mesi regolarmente in una parrocchia, perché vogliono conoscere l’ideale dell’unità.
Certo, la “notte” nel Paese si fa sempre più scura, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di stress, che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo, perché tutto il resto è diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa guerra.
In tante località o quartieri poi si convive con il rischio, quando si esce di casa, ci si chiede: rientreremo? Ci sono poi i due Vescovi e i due sacerdoti rapiti di cui non si sa assolutamente nulla e per i quali si levano preghiere incessanti come per le altre persone rapite.
Ma in questa “notte”, ve lo possiamo assicurare, c’è una luce molto forte e sono le parole di Gesù, l’insegnamento di Chiara Lubich, che ci ripete di vivere l’attimo presente, di amare, restare uniti, tenere viva la presenza spirituale di Gesù tra noi.
E allora ecco il miracolo che davvero ci stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a disarmarci continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare nel cuore, a migliorare i rapporti tra noi e con tutti. Questo ci fa restare in una certa normalità, ci dà la pace e in tanti sentiamo che è proprio qui il nostro posto, perché proprio qui si può portare l’unità e la serenità, e di questo la gente è assetata.
Un giovane che fa il servizio militare e lavora negli uffici, in un posto che subisce molti attacchi, ci ha raccontato che durante uno degli ultimi, molto forti, mentre scappava con i colleghi nel rifugio, si è reso conto che uno di loro era stato colpito e giaceva a terra. Per un attimo il dubbio: “Torno indietro ad amare questo fratello o continuo a scappare?”. Nel cuore, chiara, una voce che gli diceva: “Non avere paura, Io sono con te”. È tornato indietro, si è tolto la camicia per arrestare il sangue che scendeva dalla gamba e ha aspettato, sotto i colpi, l’arrivo dell’ambulanza.
In questo momento in cui ci sentiamo uniti a tutti voi, vorrei ringraziare ciascuno degli aiuti che ci arrivano in vari modi e che ogni volta ci commuovono. Sono un segno di quella realtà di famiglia che ci accompagna sempre. Sono preziosissimi, ci permettono di fare sentire a Gesù nel fratello quell’amore che ognuno di voi ha per Lui, di consolarLo, di darGli la forza di resistere e non disperare.
Se siamo qui è perché voi e tanti con voi ci siete e ci sono, e allora quindi un grandissimo grazie, grazie e un saluto speciale da tutti qui, dalla Siria».
Certo, la “notte” nel Paese si fa sempre più scura, non si sa fino a quando ce la faremo a resistere sia a livello di stress, che a livello economico. I prezzi sono alle stelle, la gente nella grande maggioranza pensa solo a garantirsi il cibo, perché tutto il resto è diventato superfluo e questo per persone abituate a lavorare è come uno schiaffo, sentono che anche la loro dignità è stata calpestata da questa guerra.
In tante località o quartieri poi si convive con il rischio, quando si esce di casa, ci si chiede: rientreremo? Ci sono poi i due Vescovi e i due sacerdoti rapiti di cui non si sa assolutamente nulla e per i quali si levano preghiere incessanti come per le altre persone rapite.
Ma in questa “notte”, ve lo possiamo assicurare, c’è una luce molto forte e sono le parole di Gesù, l’insegnamento di Chiara Lubich, che ci ripete di vivere l’attimo presente, di amare, restare uniti, tenere viva la presenza spirituale di Gesù tra noi.
E allora ecco il miracolo che davvero ci stupisce: viviamo “fuori di noi”, per gli altri, non pensiamo che ad amare, a disarmarci continuamente di fronte ai risentimenti o anche alla rabbia che si può provare nel cuore, a migliorare i rapporti tra noi e con tutti. Questo ci fa restare in una certa normalità, ci dà la pace e in tanti sentiamo che è proprio qui il nostro posto, perché proprio qui si può portare l’unità e la serenità, e di questo la gente è assetata.
Un giovane che fa il servizio militare e lavora negli uffici, in un posto che subisce molti attacchi, ci ha raccontato che durante uno degli ultimi, molto forti, mentre scappava con i colleghi nel rifugio, si è reso conto che uno di loro era stato colpito e giaceva a terra. Per un attimo il dubbio: “Torno indietro ad amare questo fratello o continuo a scappare?”. Nel cuore, chiara, una voce che gli diceva: “Non avere paura, Io sono con te”. È tornato indietro, si è tolto la camicia per arrestare il sangue che scendeva dalla gamba e ha aspettato, sotto i colpi, l’arrivo dell’ambulanza.
In questo momento in cui ci sentiamo uniti a tutti voi, vorrei ringraziare ciascuno degli aiuti che ci arrivano in vari modi e che ogni volta ci commuovono. Sono un segno di quella realtà di famiglia che ci accompagna sempre. Sono preziosissimi, ci permettono di fare sentire a Gesù nel fratello quell’amore che ognuno di voi ha per Lui, di consolarLo, di darGli la forza di resistere e non disperare.
Se siamo qui è perché voi e tanti con voi ci siete e ci sono, e allora quindi un grandissimo grazie, grazie e un saluto speciale da tutti qui, dalla Siria».
Per aderire al progetto Emergenza Siria lanciato dall'Amu (Azione Mondo Unito), l'organizzazione non governativa del Movimento dei Focolari: chiunque voglia contribuire può indirizzare i suoi aiuti specificando la causale del versamento Siria, Emergenza Siria su
c/c postale n. 81065005
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http://www.cittanuova.it/c/429534/Diario_dalla_Siria_37.html
http://www.focolare.org/it/news/2013/06/22/siria-nella-notte-del-dolore-il-miracolo-della-solidarieta/
http://www.amu-it.eu/2013/06/26/testimonianze-dalla-siria/?lang=it