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martedì 10 luglio 2018

Lettera di Aleppo n. 33: la Siria dimenticata


 Aleppo, 1 luglio 2018
Le notizie dalla Siria sono state accantonate dall'attualità. Il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme, la tragedia dei migranti, le elezioni in alcuni paesi europei, il vertice Trump/Kim-Jong-Un, e la coppa del mondo di calcio sono state, dopo la nostra ultima lettera, la notizia in evidenza per i giornali e i media. Tuttavia, la situazione in Siria continua ad essere molto preoccupante e noi viviamo su un barile di dinamite. Gli interventi o la presenza di alcuni Paesi sul terreno rendono la situazione molto complessa, il futuro incerto, i negoziati compromessi e aumentano il rischio di una conflagrazione regionale. Gli Stati Uniti con due basi militari e la Francia, illegalmente installati sul territorio di uno Stato sovrano, sono presenti a nord-Est per sostenere le forze curde che occupano buona parte del territorio. Dall'altra parte, alla fine del gennaio 2018 la Turchia ha invaso il nord-Ovest della Siria per cacciare i gruppi armati curdi ed ora occupa tutta la regione di Afrin. Infine, Israele esegue in totale impunità incursioni aeree sul territorio siriano e sostiene i jihadisti del sud della Siria. Lo stato siriano ha appena lanciato un'offensiva per cacciare gli ultimi gruppi armati ribelli dal sud della Siria, della Regione di Dara'a.
In seguito all'invasione turca della regione di Afrin, 27.000 famiglie composte da 137.000 persone sono fuggite dalle loro città e villaggi. Non hanno portato niente con sè: solo i vestiti che indossavano. Hanno perso tutto: la loro casa, il loro trattore, il loro bestiame, la loro auto... si sono insediati in 11 villaggi e in diversi accampamenti di tende, tra cui «il Campo Shahba», intorno alla piccola città di Tel-Rifaat a 25 km. da Aleppo. Noi, i Maristi blu, non potevamo rimanere indifferenti alle sofferenze di questi nuovi sfollati; abbiamo sentito il loro appello al soccorso (il nostro gruppo non si chiamava forse "L' Orecchio di Dio" prima che diventassimo i Maristi Blu?). Dopo un periodo di esitazione e di riflessione, temendo per la vita dei nostri volontari, (le forze turche sono a 4-5 km. da Tel-Rifaat), abbiamo deciso di agire: di andare loro incontro, di provare a provvedere ai loro bisogni, di occuparci dei loro figli non scolarizzati, di farci solidali con queste famiglie. E così abbiamo iniziato il progetto e l'avventura "Campo Shahba".
Con la collaborazione della Mezzaluna Rossa Siriana abbiamo preso in carico le 650 famiglie del villaggio di Kafar Nasseh e soprattutto il Campo Shahba, un campo di 107 tende per 107 famiglie, situato in una pianura nel deserto:
450 bambini che aspettano con impazienza e tanta gioia le nostre visite del mercoledì e della domenica, che ci aspettano all'ingresso del campo e che si riuniscono, in 2 minuti, intorno a noi e ai nostri volontari che li fanno giocare al pallone, disegnare e colorare, ballare, che li educano all'igiene e insegnano loro le basi della scrittura e del calcolo;
110 madri o nonne sono diventate le amiche delle nostre dame volontarie che le riuniscono per ascoltarle, condividere, e consigliarle;
107 famiglie che ci aspettano per avere pacchi alimentari e sanitari, fornelli a gas per la cucina, thermos per conservare l'acqua potabile, pastiglie per sterilizzare l'acqua, ciabatte, vestiti....
Tutto si fa all'aperto, sotto un sole cocente, con 38-40 gradi all'ombra. Abbiamo appena installato una grande tenda, che funge da spazio organizzativo per gli incontri con i bambini e le donne, almeno all'ombra.
Ci andiamo almeno 2 volte a settimana; un'ora e mezza di tragitto e molteplici check-points da attraversare; i 15-20 volontari ad ogni visita sono attesi con il sorriso e la gioia, tanta gratitudine e anche molta attesa. Gli sfollati sono disperati: vogliono tornare a casa o andare ad Aleppo, ma le 2 opzioni sono loro vietate.
Ad Aleppo, la situazione di sicurezza era molto buona dopo l'evacuazione dei gruppi armati e la liberazione di Aleppo dai terroristi di al Nusra. Tuttavia, i mortai lanciati dai ribelli installati ad ovest di Aleppo continuano a cadere quotidianamente su alcuni quartieri periferici. Il 27 giugno abbiamo vissuto la giornata peggiore da 18 mesi: molte granate sono cadute su Aleppo, nei quartieri residenziali, facendo molti morti e feriti. Le schegge hanno persino raggiunto i nostri locali. Uno dei nostri volontari ci ha quasi lasciato la vita.
La vita quotidiana migliora progressivamente con il ripristino dell'erogazione di acqua ed elettricità, anche se razionate, la disponibilità sul mercato di prodotti e merci. Per contro, la situazione economica è ai livelli infimi; il tasso di disoccupazione è molto elevato, il costo della vita è altissimo, i salari sono talmente bassi da non permettere ad una famiglia di vivere degnamente, e gli aleppini, che hanno i mezzi per investire e che erano fuggiti dal paese, non sono tornati. La maggior parte delle famiglie di Aleppo ha sempre bisogno di essere aiutata per vivere e sopravvivere.
Noi Maristi Blu, abbiamo mantenuto la distribuzione dei panieri alimentari e sanitari alle famiglie che abbiamo in carico, ma riteniamo che dopo 6 anni di aiuto queste distribuzioni, un giorno, dovranno fermarsi. Crediamo che la priorità delle priorità sia trovare un lavoro ad ogni persona aiutata. Lavorando, potrà farsi carico dei propri bisogni; essere finalmente indipendente dagli aiuti ricevuti per anni; vivere dignitosamente del proprio lavoro e non pensare più di lasciare il Paese.
Così abbiamo creato il nostro programma "i micro-progetti": Abbiamo già organizzato 7 sessioni di formazione con 16-20 adulti per sessione. Gli esperti insegnano in 48 ore "come creare il proprio progetto". Alla fine delle sessioni, i candidati presentano i loro progetti alla giuria che li valuta, fornisce i consigli necessari e sceglie i migliori progetti in termini di fattibilità, redditività e sostenibilità per essere finanziati da noi. Da un anno e mezzo abbiamo già finanziato 50 progetti e permesso a più di 90 famiglie di vivere del loro lavoro.
Il nostro progetto "Heart Made", dove le donne trasformano abiti fuori moda in pezzi unici molto apprezzati, dà lavoro a 11 madri di famiglia.
Il nostro altro progetto "Marie" per la confezione di indumenti di cotone per neonati fa vivere 24 famiglie.
Vi avevamo annunciato, nell'ultima lettera, la prossima pubblicazione della nostra opera, "Le Lettere di Aleppo". Si tratta di una raccolta di tutte le nostre lettere scritte dall'inizio della guerra da frère Georges e me, arricchito di estratti d'interviste, di articoli di stampa e testi scritti dall' uno o dall'altro. La nostra opera è stata finalmente pubblicata dalle edizioni "L'Harmattan". Potete acquistarlo o ordinarlo nelle librerie o online sui siti della FNAC, Amazon o l'Harmattan. Vi invitiamo ad acquistarlo, a leggerlo o a regalarlo; ci auguriamo che la nostra testimonianza possa raggiungere il maggior numero di persone possibile; il giornale "La Croix" l'ha appena selezionato tra i quattro libri, sul Medio Oriente, che bisogna assolutamente leggere quest'estate (La Croix, supplemento di giovedì 28 giugno).
Tutti i nostri progetti continuano grazie alla vostra solidarietà e ai vostri doni. L'aiuto all'alloggio delle famiglie sfollate, la distribuzione dei panieri alimentari e sanitari, la distribuzione mensile di latte a 3000 lattanti e bambini di età inferiore ai 11 anni.... e soprattutto il nostro programma medico che con il progetto "Camp Shahba" e il programma "Micro-progetti" citati in precedenza, è uno dei 3 programmi prioritari dei Maristi Blu. Sì, la gente ha bisogno di sostegno finanziario per le cure mediche o i loro interventi chirurgici e il nostro dovere è di aiutarli.
Riguardo poi ai nostri progetti educativi, alcuni sono in pausa estiva come "Imparare a crescere" e "Voglio imparare" per i bambini dai 3 ai 7 anni.
Il "MIT" (per la formazione degli adulti), "Skill school" (per l'accompagnamento degli adolescenti), "L' eradicazione dell'analfabetismo", l'insegnamento del cucito (taglio e cucito) e delle lingue (Progetto Speranza), proseguono i loro compiti pedagogici. Abbiamo appena concluso un ciclo di sessioni di 4 mesi per la "formazione e lo sviluppo della donna". 80 donne di età superiore ai 30 anni e 80 ragazze di età inferiore ai 30 anni, ne hanno beneficiato. Dopo una pausa in luglio e agosto, speriamo che il ciclo riprenda con altri beneficiari. Nel frattempo organizziamo incontri di formazione e di accompagnamento per le ragazze che hanno tra i 12 e i 15 anni.
Ecco, in breve, le nostre notizie. Proseguiamo la nostra missione, che consiste nel "vivere la solidarietà con i più poveri per alleviarne le sofferenze, sviluppare l'umano e seminare la speranza. "
Spero che questa "lettera di Aleppo n. 33" vi troverà, cari amici, in buona salute e vi auguro buone vacanze estive.
Nabil Antaki, per i Maristi Blu

PER SOSTENERE IL PROGETTO 'EMERGENZA SFOLLATI DI AFRIN' , la ONLUS ITALIANA AIULAS IN COLLABORAZIONE CON I MARISTI BLU DI ALEPPO promuove una raccolta di fondi destinati all'acquisto di beni di prima necessità per le famiglie sfollate da Afrin che vivono nel Campo Shahba . Qui il link per tutti i dettagli su come inviare un contributo :
https://www.aiulas.org/i-nostri-progetti/emergenza-sfollati-di-afrin/

venerdì 6 luglio 2018

Pulizia etnica e persecuzione di Yazidi e Cristiani ad Afrin, Siria nord-occidentale


Estratto dal Report di un gruppo di missionari umanitari (FBR) che si recano in Siria per fornire assistenza medica e altri aiuti umanitari, costruire parchi giochi in aree precedentemente occupate dall'ISIS e condividere l'amore di Gesù. 
Si tratta di una squadra di 17 persone; cinque medici e operatori originari della Birmania, tre volontari americani,  coordinatori curdi, iracheni e siriani e una famiglia. Entrati in Siria dall'Iraq, si sono recati a Raqqa, Tabqa, Deir ez-Zor, Ayn Issa, Membij, Kobani, Qamishli, Tel Tamir, Hasakah e le aree circostanti.


Nel gennaio 2018, l'Esercito Turco, insieme a elementi dell'Esercito Libero Siriano (FSA) che in quest'area sono composti da gruppi musulmani radicali e da alcuni resti dell'ISIS, ha lanciato una campagna aerea e terrestre dalla Turchia contro la città e l'area di Afrin, una delle poche zone pacifiche della Siria. I curdi avevano tenuto a bada l'ISIS durante tutta la guerra e Afrin, che storicamente era per l'80% curda con un'antica popolazione cristiana e Yazidi, era diventata un rifugio per migliaia di fuggitivi curdi e arabi di diversi gruppi e fedi. La Turchia ora sta procedendo ad una pulizia etnica di proporzioni enormi in Afrin. Il governo turco ha condotto questo assalto per annientare i curdi delle YPG e bloccare il loro accesso al Mar Mediterraneo. Considera i curdi una minaccia alla sicurezza turca e non ha avuto riguardo per i Cristiani o gli Yazidi. Il governo turco sostiene anche l'FSA contro il governo siriano ed Afrin è diventata una base per l'FSA. Un nuovo regno di terrore è sceso su Afrin.
Attacchi congiunti di turchi e FSA hanno spazzato via oltre 200.000 curdi, oltre a 35.000 Yazidi e 3.000 Cristiani dai loro villaggi e città. Le loro case sono state espropriate da migliaia di islamisti radicali portati dalla Siria meridionale e occidentale, che sono stati a loro volta cacciati dalle loro posizioni dall'Esercito Siriano. Anche gli abitanti Musulmani originari che non si sono sottomessi alla legge della Sharia e all'FSA hanno dovuto fuggire. Dalle interviste, l'unica chiesa nella città di Afrin è stata saccheggiata, bruciata all'interno e poi occupata da due fazioni di miliziani.
Cristiani fuggiti da Afrin
A Kobane e in una nuova chiesa cristiana di 20 credenti, abbiamo incontrato due famiglie cristiane che sono fuggite da Afrin quando l'FSA e l'esercito turco l'hanno invasa. Dopo il servizio di culto, abbiamo parlato con i Cristiani di Afrin, una madre e suo figlio di 18 anni, Baran, suo genero e sua figlia incinta. Erano fuggiti da Afrin appena l'FSA e i Turchi avevano assalito la città e la regione, uscendo e salvando a malapena le loro vite. La madre ci ha detto che c'erano più di 3000 Cristiani che vivevano ad Afrin, ma adesso quasi tutti sono fuggiti. Conosce solo due persone rimaste: suo marito che era troppo malato per camminare e un altro uomo ferito durante gli attacchi.
Mentre tratteneva le lacrime, raccontava: "Sono cristiana. Mio marito era troppo malato per uscire e fuggire [con noi] e ora si nasconde in Afrin. Ho solo mio figlio e mia figlia rimasti con me e nient'altro al mondo. Potete aiutarci? Grazie per essere venuti a trovarci e per l'aiuto che ci avete dato. Preghiamo con voi per la risposta di Dio e confidiamo in Lui.”
L'FSA e i Turchi hanno invaso Afrin in una serie brutale di attacchi di fanteria, sostenuti da artiglieria, elicotteri da combattimento e jet-caccia. Centinaia di civili sono stati uccisi e case distrutte. Molte delle forze curde YPG sono state uccise e gli altri costretti a ritirarsi. L'FSA e i turchi hanno circondato, uccidendo e saccheggiando. Le persone hanno cercato di fuggire.
"I nostri peggiori timori sono stati confermati quando è stata instaurata la legge della Sharia, le case saccheggiate e le persone che hanno resistito messe a morte. Noi Cristiani e la maggior parte dei 35.000 Yazidi siamo fuggiti, temendo un annientamento simile a quello avvenuto a Sinjar, in Iraq ", ha continuato la madre. Ha continuato poi raccontandoci come una donna sia stata catturata dall'FSA, violentata e poi uccisa e un video poi inviato al marito della donna.
"Anche mia nipote, una bambina piccola è stata uccisa", ci ha detto. "Il suo nome era Riven Khandofan Hamdoush ed è stata uccisa vicino a noi nel villaggio di Kafarganeh. Il villaggio si trova ai margini della città di Afrin. Il 27 aprile 2018, quando la piccola giocava per strada, fu uccisa a colpi di arma da fuoco quando le fazioni islamiche litigavano tra loro sulla proprietà. Ecco la sua foto." "Siamo molto tristi e ci sentiamo senza speranza, ma rimaniamo vicini a Gesù e mettiamo la nostra speranza in Lui. Io ero musulmana, ma quattro anni fa mi sono stancata e ho chiesto a Gesù di aiutarmi. La maggior parte della mia famiglia è ancora musulmana ma questo non li ha risparmiati dagli attacchi. Mia nipote che è stata uccisa era musulmana con genitori musulmani".
Militanti del FSA nelle loro posizioni a nord di Manbij.
La chiesa del "Buon Pastore" in Afrin
Il figlio Baran ha continuato raccontandoci della chiesa di Afrin: "La Chiesa del Buon Pastore è stata occupata dall'FSA e dall'esercito turco. Le fazioni armate dell'occupazione turca combatterono tra loro per il controllo e la confisca della chiesa. I combattimenti che hanno avuto luogo tra le due fazioni di "Sultan Murad" e l'"Esercito dell'Est" si sono conclusi con un accordo tra le due parti sulla spartizione dell'edificio della chiesa e degli edifici circostanti e dei suoi beni. Hanno bruciato l'interno della chiesa e hanno scritto i nomi delle loro fazioni sui muri esterni. Prima dell'arrivo dell'FSA e dei turchi, oltre 250 famiglie cristiane erano ancora nel centro della città di Afrin e nei villaggi circostanti. Prima che Afrin fosse sopraffatto, il prete della chiesa, il Rev. Valentin Hanan, ha rilasciato una dichiarazione angosciata alla comunità internazionale dopo l'inizio dell'attacco turco ad Afrin. Ha chiesto l'urgente protezione internazionale dei credenti in Afrin e la cessazione dei bombardamenti turchi. Ha detto: "In questo momento siamo sottoposti a pesanti bombardamenti e le fazioni islamiche promettono di entrare nella regione e noi come chiesa chiediamo anzitutto al Signore la protezione e poi ai fratelli di pregare e aiutarci".
Dei circa 3.000 Cristiani nell'area di Afrin, il reverendo Hanan ha detto che c'erano 190 famiglie nel centro della città di Afrin, 45 famiglie nella zona di Gendressa e 15 famiglie nella zona di Maabtli. Ora che l'occupazione è completa, non sono rimasti quasi più Cristiani. "
Gli Yazidi di Afrin raccontano gli orrori che hanno affrontato.
In questa missione di soccorso, abbiamo incontrato alcuni degli Yazidi che erano fuggiti da Afrin quando l'FSA e i turchi hanno attaccato. C'erano 68 famiglie che vivevano tra le macerie di un villaggio cristiano abbandonato vicino a Tel Tamir. La chiesa, una volta magnifica, è stata distrutta dall'ISIS e tutti i Cristiani sono spariti. Una volta che l'ISIS è stato sconfitto qui l'anno scorso, ai Cristiani proprietari di edifici, molti dei quali sono attualmente fuori dalla Siria, è stato chiesto se gli Yazidi potessero rimanere nelle loro case. Hanno risposto che gli Yazidi erano benvenuti nel villaggio e così gli Yazidi si sono trasferiti, scegliendo tra le case meglio conservate, rattoppando buchi nei tetti e nei muri.
Uno degli uomini Yazidi ci ha detto: "Non c'è modo di rimanere di nuovo in Afrin. L'FSA ha fatto sapere che ci avrebbero fatto lo stesso che è stato fatto dall'ISIS al popolo Yazidi di Sinjar. Avrebbero ucciso tutti gli uomini e schiavizzato le donne. Abbiamo dovuto fuggire. Perché nessuno ci ha aiutato? Non sono state sufficienti le morti di migliaia di Yazidi a Sinjar e in altre parti dell'Iraq? Dov'era l'America? Dov'era il mondo? Abbiamo perso tutto e non possiamo tornare indietro. Migliaia di musulmani provenienti dall'esterno dell'area vi si sono installati e ci hanno preso casa e terra. Cosa ne sarà di noi? "
Avevamo i cuori spezzati e annuimmo con simpatia. Poi uno degli uomini Yazidi disse: "Questo potrebbe farti arrabbiare, ma dovresti sapere che noi tutti incolpiamo l'America per questo". Ho pregato per capire come rispondergli e ho detto: "L'America non ha fatto questo. Non dobbiamo incolparla degli attacchi e delle vostre perdite."   L'uomo aprì la bocca per rispondere ma io continuai: "Ma dobbiamo incolparla di non averli fermati, mentre avremmo potuto farlo. Lo abbiamo lasciato accadere e non abbiamo fatto nulla per fermare l'FSA e i Turchi. Non abbiamo dato l'aiuto necessario alle persone che sono fuggite. Mi dispiace molto. Per favore perdonaci e prega per noi. L'America non è Dio né è il diavolo. Siamo persone. Le persone non possono risolvere ogni problema, ma possiamo rispondere a quelli che abbiamo di fronte come possiamo. L'America è in Siria, sarebbe stata in grado di aiutare e non l'ha fatto. Mi dispiace. Per favore prega che il Governo Americano cambi le sue idee e vi aiuti. Ci sono molti in America che vi hanno a cuore e siamo stati mandati qui da loro ".
Potevo sentire il dolore che queste persone provavano e l'evidente disperazione della situazione. Potevo vedere il dolore nei loro occhi.
La disperazione e l'impotenza non possono peggiorare più di così. Non dimenticherò mai le lacrime della donna Yazida che mi ha parlato dei suoi ulivi. Era stata un'ingegnere civile di successo e quando i suoi tre figli crebbero e divennero indipendenti, iniziò la sua fattoria di olio d'oliva. Mi ha raccontato di come i suoi alberi fossero come i suoi figli. Mi ha detto del dolore che stava provando. I suoi alberi si sentivano come suoi figli e così quando è fuggita le sembrava che stesse abbandonando i suoi figli a essere incendiati e ridotti in cenere. Il mondo non ha fatto nulla per salvare i suoi alberi. E non ha fatto nulla per salvare lei o i suoi figli ....
Dave, famiglia e squadre.

martedì 3 luglio 2018

L'Archimandrita padre Dottor Chihade Abboud nuovo rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin


Il sito del Vicariato della Diocesi di Roma informa che il sacerdote siriano damasceno Padre Chihade Abboud, del Patriarcato di Antiochia dei Greco-Melkiti, il 23 maggio 2018 è stato nominato Rettore della Basilica Cattolica di Santa Maria in Cosmedin,  officiata in Rito Orientale Bizantino Greco-Melkita.

Padre Chihade Abboud è nato il 21 Ottobre 1978 in Jdaydet Artouz (Siria). 
Entrato nel seminario minore nel 1990 a Damasco, ha in seguito frequentato il seminario maggiore dal 1996 in Libano.
Ha completato i suoi studi in filosofia e teologia presso l'Istituto di St. Paul per la Filosofia e la Teologia a Harissa in Libano.
Ordinato dall'Arcivescovo Isidoro diacono nella Cattedrale di Nostra Signora Al-niah il 9 Maggio 2004, e sacerdote da Sua Beatitudine il Patriarca Gregorio III Laham il 2 luglio 2004 nella sua città natale di Jdaydet Artouz.  Nominato parroco di Nostra Signora della Pace in Harasta. 
Inviato a specializzarsi in materia di diritto canonico della Chiesa latina, ha conseguito la laurea presso l'Istituto San Pio X a Venezia, associata con l'Università della Santa Croce a Roma, ha ottenuto il titolo di dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense in Roma.
Ha svolto l'incarico di Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico e di Segretario della Conferenza Episcopale Siriana fino al 19 maggio 2018, quando è stato elevato al rango di Archimandrita da Sua Beatitudine Youssef Absi Patriarca della Chiesa Cattolica Greco-Melkita.

Che Dio benedica il ministero di Padre Chihade Abboud! 

sabato 30 giugno 2018

Il 7 luglio, il Papa e i Patriarchi Orientali a Bari per la pace nel Medio Oriente


Sabato 7 luglio papa Francesco si recherà a Bari per una giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente, un incontro ecumenico per la pace al quale sono invitati i capi di Chiese e Comunità cristiane di quella regione. Un evento che il Pontefice esorta a preparare con la preghiera di tutte le comunità cristiane.
A Bari il Papa sarà accolto da monsignor Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, e dalle autorità civili. Nella basilica pontificia di San Nicola l’incontro con i Patriarchi, insieme ai quali scenderà nella cripta per la venerazione delle reliquie di San Nicola e l’accensione della lampada uniflamma. Successivamente il Papa e i Patriarchi raggiungeranno la “Rotonda” sul Lungomare, dove incomincerà l’incontro di preghiera comune; al termine ritorno alla basilica per un dialogo a porte chiuse.
«Vedo il Papa respirare la sofferenza del mondo sin dall’inizio del pontificato. Quindi questo convocare il 7 luglio i patriarchi delle Chiese cattoliche e ortodosse del Medio Oriente, a Bari, è un gesto di grande sensibilità, un portare la sofferenza del mondo sulle sue spalle, in particolare quella della Siria, dell’Iraq e del Medio Oriente – così il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in un’intervista rilasciata a Vatican News -. Il Papa vuole essere accompagnato da tutti i capi delle Chiese per pregare il Signore, insieme, come fratelli e, nello stesso tempo, per manifestare al mondo questa sofferenza».  Secondo il Cardinale, con questa iniziativa Francesco intende «chiamare tutti alla giustizia, alla pace, al rispetto della dignità della persona umana e, in particolare, alla difesa dei cristiani, di quelli perseguitati e di quelli che vivono in questo ambiente tremendo di bombardamenti quotidiani, di uccisioni, di terrorismo, di vendette e separazioni». 
Sempre Sandri ha recentemente auspicato: «Prepariamo il cuore rivolgendo la supplica a Dio affinché l’incontro del prossimo 7 luglio a Bari per riflettere e impetrare dal Signore una nuova stagione di riconciliazione e prosperità per il Medio Oriente possa essere un segno come un arcobaleno di pace».

mercoledì 27 giugno 2018

Le Monache Trappiste e il compito della 'nuova Siria'


Incontriamo suor Marta, superiora delle Monache Trappiste di Azeir, durante la breve visita che sta svolgendo in Italia alla Comunità 'madre' di Valserena nel giugno 2018

OraProSiria: Suor Marta, ci racconti come sta andando avanti la vostra presenza, quello che avete costruito, quali sono i vostri progetti, desideri, e lo sguardo che ha su di voi la gente che incontrate ogni giorno..
E poi ciò che voi intravvedete come necessità di questo popolo, in questo che appare sempre più come uno scenario che va verso la fine della guerra, quello che a voi sembra importante in questa fase di fine conflitto sia dal punto di vista della Chiesa che dal punto di vista della società. Quindi quale può essere ora il vostro compito sia come religiosi che come Chiesa locale?

Suor Marta: quello che noi viviamo giorno dopo giorno è proprio la presenza, cioè l'essere lì. Siamo molto contente perché gli ospiti arrivano sempre più numerosi, si passano la voce gli uni con gli altri e quindi poco a poco, pur secondo le nostre limitate possibilità di accoglienza che non sono enormi, vediamo che le persone che vengono al monastero trovano un luogo di riposo, di incontro e anche di riflessione. E in questo momento per la Siria è in atto un cambiamento, non voglio parlare delle ingerenze esterne e delle pressioni ai confini che permangono a motivo delle varie situazioni internazionali, però all'interno la Siria si sta stabilizzando, lo Stato siriano sta ritrovando la sua unità: anche il fatto che si possa andare in macchina da Damasco ad Aleppo dice molto di questa normalizzazione.
È chiaro che dobbiamo fare i conti con tutta la distruzione che si è creata, le sanzioni internazionali che ci soffocano, la mancanza di materie prime e di scambi, e quindi si vive una grande privazione, molto bisogno materiale, ma noi sentiamo che dentro questo pesante bisogno la gente ha un bisogno spirituale, spirituale in senso lato cioè come tempo dello spirito e di preghiera, di ritrovare una motivazione profonda alla dimensione umana ferita che questa guerra atroce ha creato, come umiliazione e poco rispetto della persona. Tutto questo chiede delle risposte, chiede una riflessione su cosa vuol dire essere uomini, essere credenti, di qualunque fede si sia. Mi sembra che oggi in Siria questo sia uno dei compiti più importanti: che senso ha costruire LA' un uomo!
Ma non solo: costruire INSIEME questa umanità che vogliamo vivere: questo non si riduce solo alla possibilità pur importante di studiare, lavorare, di un progresso economico e sociale, ma anche di un umanesimo che può attingere a un patrimonio immenso di cultura e di tradizione, che, anche se è stato distrutto nell'immagine e nel patrimonio storico-artistico, riguarda per lo più la distruzione delle pietre; però l'anima e la cultura che sono alla radice della Siria, continuano ad essere delle fonti preziose per questo umanesimo.
Da parte nostra la cosa importante per ora è l'accoglienza, che come dicevo si sta ampliando, anche se abbiamo ancora da costruire il nostro monastero, e questo è importante perché la nostra spiritualità non è una spiritualità solo di idee ma è incarnata: restare in un posto vuol dire anche investire sugli spazi, sui tempi, sul lavoro. Solo questo investire su una progettualità rende possibile pensare al futuro, alla ricostruzione. Così adesso è la Siria: alcune persone che tornano, piccole iniziative di lavoro, realtà di collaborazione che si stanno creando pur passando attraverso faticosi cammini di riconciliazione. Per questo occorre investire molto su una progettualità di pensiero. In questo le Chiese e i cristiani hanno un grosso compito, che è il loro proprio compito, di stimolare un pensiero e una coscienza di senso.

OPS: Perché è importante che i Cristiani non se ne vadano, come continuano a chiedere i Vescovi Siriani? Cosa convince un Cristiano a giocare la sua permanenza in un paese come la Siria o come altri paesi del Medio Oriente che stanno vedendo invece un esodo massiccio?

Suor Marta: Sì, potrebbe sembrare disumano chiedere alle famiglie cristiane di restare, perché di prospettive di lavoro, di carriere appaganti, di successo, non se ne vedono. Occorre essere chiari: non si può rimproverare nessuno per le scelte che fa; è comprensibilissima la preoccupazione di un genitore per i propri figli. Di solito è il pensiero del loro avvenire la molla che spinge ad andarsene, più che un egoismo personale, è proprio il cercare un futuro per i propri figli che è una cosa rispettabilissima. Allo stesso tempo i Cristiani sono di fatto l'anello che permette in molte situazioni la riconciliazione, sì, i Cristiani sono l'anello di congiunzione nella grossa divisione che si è creata a livello confessionale nella società siriana. Quindi questo è il primo fattore importante di cui i Cristiani sono portatori. Ma soprattutto, non è disumano chiedere di restare: tutto dipende dal tipo di umanità che vogliamo realizzare; se noi pensiamo che non solo in Siria ma in tutto il mondo oggi c'è una grossa battaglia che si gioca rispetto a una umanità nuova, che sia radicata su ciò che rende veramente uomini. È quello che chiediamo ai nostri giovani: “cosa vi impedisce di essere veramente uomini e donne qui in Siria?”. Anzi, forse la povertà di mezzi ci stimola a riscoprire i valori veri di un'umanità non come un fatto emotivo, una voglia, uno slancio al 'vogliamoci bene', ma la capacità di generare un tipo umano con un pensiero, una consapevolezza di ciò di cui consiste veramente l'uomo. Noi in Occidente abbiamo ridotto il lavoro al guadagno, alla sicurezza e alla molteplicità delle esperienze; mentre il lavoro è la prima espressione dell'uomo che si mette alla prova, si conosce e si sperimenta nei propri limiti e nelle proprie possibilità, s'inventa e crea. Possiamo restare, se crediamo che è possibile fare un'esperienza dell'umano come ciò che veramente realizza, perché la domanda vera è: che cosa realizza realmente la persona?

OPS: Oggi si ha molta paura del fondamentalismo che sembra sempre più pervadere il mondo islamico. Il popolo siriano ha la possibilità di resistere al virus del fanatismo?

Suor Marta: Credo proprio di sì, nella misura in cui ascolta l'esperienza che ha fatto, Oggi in tanti siriani c'è una sorta di stupore nel constatare una diffusione del fondamentalismo che non si credeva così forte nella sua propagazione, perché al di là del fondamentalismo organizzato dal paesi stranieri c'è qualcosa che ha attecchito anche nel pensiero di alcune persone e questa è la cosa che spaventa di più. Però quest'esperienza ha posto anche molti interrogativi: noi conosciamo molte persone che di fronte alla loro stessa fede nell'Islam si sono poste molte domande e quindi cercano ora un modo vero di vivere la loro fede, un modo più tollerante, un modo che è comunque aperto ad altre esperienze; certo non bisogna darlo per scontato, bisogna lavorare, bisogna dialogare, bisogna non avere paura di creare spazi di riflessione. Non è automatico ma io vedo che c'è una volontà, un desiderio di andare al fondo del vivere insieme quella diversità che ha caratterizzato questo paese, non bisogna però darlo per scontato, bisogna trovare il modo di lavorarci e farlo crescere.

OPS: Per quanto sperimentate voi, il governo siriano ha mantenuto quella sua tipica laicità che lo ha reso per decenni un'esperienza di convivenza particolare, quella per cui ancor più oggi si auspica che anche nella nuova Costituzione sia sempre più chiara la distinzione tra religione e forma di governo?

Suor Marta: Noi fin da quando siamo arrivate abbiamo sperimentato questa caratteristica della Siria: prima di tutto si è Siriani, la religione è un'altra cosa. E questa è una linea che permane, che noi sentiamo e che viene portata avanti: certo ora occorre fare i conti con le fratture che si sono create, perché purtroppo questa guerra ha minato questa coscienza dell'essere insieme, però questa coscienza dell'essere anzitutto Siriani non è stata distrutta, e il governo sta lavorando in questo senso, così come tutte le persone di tutte le religioni impegnate in un'ottica di ricostruzione sociale sono impegnate in questa direzione.

domenica 24 giugno 2018

Nasce SOS Chrétiéns d'Orient anche in Italia: intervista a Sebastiano Caputo


Sebastiano Caputo, responsabile di SOS Chrétiéns d'Orient in Italia: i bisogni dei Cristiani sono molto diversi in tutta la Regione.

di Edward Pentin*, National Catholic Register
traduzione: Gb.P.

Molti cristiani hanno lasciato l'Iraq e altri vogliono andarsene, a causa di conflitti apparentemente perpetui, instabilità e mancanza di posti di lavoro. Ma in Siria la situazione è molto diversa, e la ragione è da attribuire principalmente al presidente Bashar Assad che garantisce la sopravvivenza dei Cristiani.  "Se ci fosse un cambio di regime in Siria", avverte Sebastiano Caputo, a capo di SOS Chrétiéns d'Orient in Italia, un ente umanitario cattolico, "i Cristiani se ne andranno, come hanno fatto in Iraq". "Ecco perché" aggiunge," è molto importante offrire un aiuto umanitario, ma allo stesso tempo rendere consapevole la gente in Occidente sulla loro situazione, e portare il loro messaggio ai nostri paesi".
Recentemente, Caputo ha contribuito a creare una filiale italiana dell'ente benefico che è cresciuto rapidamente da quando è stata fondato da un gruppo di giovani Cattolici Francesi nel 2013. Ora ha oltre 1.400 volontari che lavorano in cinque Paesi. In questa intervista rilasciata al National Catholic Register a Roma il mese scorso, Caputo ha chiarito meglio il lavoro di SOS Chrétiéns d'Orient, su come i bisogni dei Cristiani variano ampiamente in Medio Oriente e perché SOS Chrétiéns d'Orient potrebbe, a un certo punto, anche indirizzare il suo aiuto ai Cristiani in Occidente, dove dice che la persecuzione è "psicologica" piuttosto che fisica.

SOS Chrétiéns d'Orient si è espansa ora in Italia. Come è successo, e come sei stato coinvolto?
Sono un giornalista. Lavoro per Il quotidiano italiano "Il Giornale" e la Treccani, un'enciclopedia in cui ho scritto sulla politica estera e le relazioni tra stati, con particolare attenzione al Medio Oriente. Quindi ho viaggiato molto negli ultimi tre anni. Quando ero a Damasco nel 2015 - a settembre, durante una conferenza - ero con il capo della missione di SOS Chrétiéns in Siria. L'ho conosciuto durante tutto il viaggio che ho fatto in Medio Oriente: Egitto, Libano, Iraq e Siria. Ho visto come questa associazione ha lavorato con i Cristiani in Medio Oriente. Così, quando sono tornato in Italia il mese scorso, ho chiamato Charles De Meyer e Benjamin Blanchard, fondatori della SOS Chrétiéns d'Orient con sede a Parigi, e ho chiesto se Parigi fosse interessata a creare un ufficio di rappresentanza a Roma.
Come hanno reagito?
Ne sono stati molto contenti perché Roma è la città del Vaticano e l'Italia è un paese nel mezzo del Mediterraneo ed ha un'importante cultura mediterranea. Quindi mi hanno aiutato a creare questo ufficio. Il 26 aprile, il co-fondatore di SOS, Charles De Meyer, è venuto a Roma e abbiamo tenuto una conferenza stampa per presentare i membri italiani. C'erano circa 100 persone interessate all'iniziativa. Ora l'obiettivo è quello di inviare una squadra di 10 volontari italiani per unirsi alle missioni francesi in tutto il Medio Oriente dove è presente "SOS". In secondo luogo, l'obiettivo è lavorare per costruire una rete per i donatori, perché "SOS" lavora solo con donazioni di privati. Raccolgono donazioni e i volontari cercano donazioni sul campo. Quindi è molto trasparente: fa bene ai donatori, ma anche ai volontari. Sono occidentali e molto giovani, stanchi di non fare nulla per aiutare chi è nel bisogno, quindi queste persone vanno in questi Paesi dove i Cristiani affrontano una situazione difficile, la guerra principalmente, ma non solo.
Il termine "persecuzione cristiana" è troppo generico?
Sì, è molto semplice parlare di persecuzione cristiana, ma tutti i paesi sono diversi: alcuni soffrono per guerra e discriminazione, ma il Libano è un paese multiconfessionale. In Iraq, il problema sussisteva durante l'occupazione di Daesh (ISIS). La maggior parte dei Cristiani ha lasciato la Piana di Ninive, ma in Siria i Cristiani hanno una buona posizione sociale. La cosa buona di SOS [i volontari] è che quando vanno in un Paese, rispettano quella società e cercano di non mettere i Cristiani in pericolo. Rispettano la società e la società multiconfessionale. Lavorano per la sopravvivenza di una società multietnica e multiconfessionale.
Anche alcuni Musulmani lavorano con SOS, giusto?
Sì, quando lavorano con la popolazione locale, è spesso con i Cristiani, ma anche con i Musulmani, per esempio in Siria e in altri Paesi musulmani, quindi non trovano discriminazione. Rispettano tutte le persone lì, e questa è una buona cosa.
Che aiuto pratico date, per esempio, in Iraq piuttosto che in Siria?
Una parte è il lavoro umanitario: diamo cibo alle persone e aiutiamo altre comunità cristiane a ricostruire chiese, scuole o ospedali o sostenere progetti come gli scout. E quando ricostruiscono ospedali e scuole, non è solo per i Cristiani, ma per tutta la popolazione. Non chiediamo loro se sono battezzati. Le differenze tra Iraq e Siria non sono notevoli, poiché entrambi i Paesi sono stati in guerra con Daesh. Quindi si trattava più di aiuti di emergenza, cibo e acqua, mentre in Egitto e Libano, che non sono in guerra, offriamo aiuto per insegnare l'Inglese e il Francese ai giovani, o semplicemente viviamo insieme a loro. È importante che essi sappiano che l'Occidente è con loro, è importante che ci conosciamo reciprocamente e loro sentano la nostra presenza lì.
I cristiani in Iraq e in Siria vogliono restare?
Questa è una domanda molto importante perché l'Iraq ha vissuto la guerra fin dal 2003. Molti hanno sempre e solo conosciuto la guerra e non sanno cosa sia la pace, quindi vogliono andarsene perché oramai non hanno più un passato. In Siria è diverso. Hanno avuto la guerra per otto anni, ma prima, la società era molto tollerante, multiconfessionale e pacifica. Quindi le persone hanno un ricordo di come era la vita prima della guerra e vogliono restarvi. Perciò è completamente diverso: tutti i cristiani Irakeni vogliono andarsene, mentre in Siria la maggior parte dei cristiani vuole restare. Ciò è molto interessante. L'ho notato quando sono stato in Siria. Prima e durante la guerra, essi hanno sempre avuto un buon rapporto con il governo e il governo rispetta le comunità cristiane.
Finché il presidente Bashar Assad è al potere, vorranno restare?
Sì, per otto anni hanno cercato di trasmettere un messaggio al mondo occidentale: cioè che se ci fosse un cambio di regime in Siria, i Cristiani se ne andrebbero, come hanno fatto in Iraq. Ecco perché è molto importante offrire loro aiuto umanitario, ma allo stesso tempo rendere consapevole la gente in Occidente della loro situazione e inviare il loro messaggio ai nostri Paesi.
Pensi che i Cristiani torneranno in Iraq?
Difficile a dirsi. Per anni, i cristiani sono diminuiti in gran numero, una caduta pazzesca. Inoltre, tutti i Cristiani che incontro lì vogliono andarsene. Quando andai in una casa di Cristiani, chiedemmo loro di cosa avevano bisogno. Tutti hanno detto: "Abbiamo bisogno di un biglietto aereo per partire", ma la missione di SOS è di aiutarli a rimanere, a non partire. Penso a Benedetto XVI°, che ha dato un principio importante: tutti hanno il diritto di vivere nel loro Paese perché è il loro Paese.
I Cristiani iracheni continueranno ad andarsene finché non avranno un capo che protegge i Cristiani?
Sì. La loro società è completamente diversa dalla nostra società; dobbiamo rispettare che la loro è una società tribale. Per le società tradizionali, la religione è molto importante per tutti; la cultura del leader è molto importante. Ecco perché è importante innanzitutto rispettare questo: anche la volontà delle persone e il leader che loro vogliono.
Vorresti che i giovani americani iniziassero un SOS negli Stati Uniti?
Sì, naturalmente. Ora stiamo costruendo un ufficio qui a Roma, ma forse in futuro altri Paesi potrebbero costruire qualcosa di simile, in modo che tutti i Paesi abbiano l'opportunità di fare volontariato e inviare denaro a queste persone. Sono cose importanti, e magari networking (fare rete), contatto e ascolto delle opinioni degli altri e conferenze nel Paese, incluse. Abbiamo molti problemi da affrontare.
Ritieni che anche in Occidente i Cristiani siano minacciati? Parliamo di Cristiani perseguitati in Medio Oriente, ma dovrebbe esserci anche un SOS Chrétiéns anche in Occidente?
Sì, naturalmente; lo spero, perché a volte parliamo dei Cristiani perseguitati in Medio Oriente, ma questa persecuzione è fisica. Nel mondo occidentale, è psicologica, morale e anche una persecuzione da parte dello Stato. È anche contro i simboli: vietare la croce, gli attacchi contro la famiglia. Quindi è molto importante lavorare insieme. E penso che i Cristiani in Oriente possano aiutare i Cristiani in Occidente a migliorare e viceversa, perché l'Occidente non è più cattolico o cristiano culturalmente parlando; siamo una minoranza. Le ideologie dell'Occidente sono il capitalismo, il consumismo e l'edonismo. I giovani che fanno volontariato in Medio Oriente sono spesso cattolici tradizionali, e questo può aiutare molto: l'interazione tra culture per riscoprire la nostra identità.

*Edward Pentin è il corrispondente del National Catholic Register di Roma.

http://www.ncregister.com/daily-news/aid-worker-persecuted-christians-in-middle-east-continue-to-need-aid-suppor

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