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23 marzo: 13 morti e 35 feriti
per i lanci dei 'cannoni dell'inferno' dei ribelli
sui quartieri civili di Aleppo
al Jamiliyeh e Baron Street |
Terza
lettera di fr. Ibrahim da Aleppo
Aleppo, 5 marzo 2015
Aleppo: “città devastata”
Per descrivere la realtà
di Aleppo, non ci sono parole sufficienti. L’intelletto con tutto
il suo talento creativo in composizioni concettuali si trova
impotente. La mano che scrive ha una grande esitazione e non va più
avanti e la penna si blocca con riverenza, davanti al mistero della
Crocifissione dell’umanità, umanità creata dal “Principio
d’amore” a Sua “immagine e somiglianza” con tanta cura e
creatività. Aleppo è una città devastata, colpita profondamente!
Un sacerdote, facendo
confronto fra quello che è successo durante la guerra civile in
Libano e ciò che sta accadendo in Siria oggi, mi ha detto: “È
vero che in Libano eravamo sotto tiro, eravamo in piena guerra porta
a porta, ma continuavamo a lavorare: c’era lavoro. Il problema con
la guerra siriana, in special modo ad Aleppo, è che la gente ha
perso il lavoro. La prima devastazione ha comportato la distruzione
delle risorse di base e delle industrie”.
Assistiamo ad una
catastrofe del sistema economico, a un crollo dell’intera società,
di un popolo e di una cultura. In mezzo a tutto questo disastro noi,
come Chiesa, cerchiamo di essere quella rete di relazioni che
impedisce all’uomo di crollare.
Mentre Damasco è stata
colpita duramente con la mancanza di elettricità, con il caro vita e
con i bombardamenti sulle abitazioni, Aleppo è stata colpita più
duramente, con l’aggiunta della mancanza d’acqua, di viveri e,
soprattutto, di lavoro.
Nonostante tutto ciò, io
vedo che le famiglie e le singole persone, almeno la maggior parte di
loro, riescono ancora a reggersi in piedi. I cuori non si sono ancora
indeboliti al punto da perdersi d’animo. C’è una forte
resistenza di tipo passivo che attinge la sua vera forza nella
preghiera, nella fede retta e nella speranza certa. E questo accade
sotto i colpi durissimi che essi ricevono ogni giorno, con la morte
di bambini e di giovani, con l’emorragia dell’emigrazione dei
giovani maschi e con lo stillicidio della perdita del lavoro.
Quello che m’incoraggia
ad andare avanti nella mia missione quotidiana, nonostante tutti i
segnali di morte che vedo quotidianamente, sono quelle parole che
Gesù ha pronunciato sulla figlia di Jairo: “non è morta, ma è
solo addormentata”.
“C’è ancora
Speranza”: questa frase è diventata, ad
Aleppo, la professione di fede del Parroco di Aleppo, dei suoi
parrocchiani, di tutti i cristiani. Questa è la frase che dimora nei
nostri cuori e che è sulle nostre labbra, quella che pronunciamo
instancabilmente al posto delle diverse e antiche professioni di fede
dei primi cristiani: “Gesù
è Signore” oppure “Maranatha
(Vieni Signore Gesù)”.
La missione pubblica di Gesù che
continua oggi ad Aleppo
Ultimamente nella Liturgia
eucaristica, vi era il racconto di S. Marco della missione pubblica
di Gesù. Egli percorreva le strade delle città predicando il
Vangelo, scacciando i demòni
e guarendo la gente da ogni sorta di malattia. Pensando alla mia
missione ad Aleppo con tutte le dure realtà di cui vi ho già
parlato, in special modo con i casi difficili che quotidianamente
affronto nell’accoglienza in parrocchia, veramente mi scopro, come
persona credente e come sacerdote, a continuare la missione pubblica
di Gesù. E non solo con gli interventi miracolosi di guarigione
dalle malattie del corpo, quelle psicologiche e spirituali,
attraverso la Parola e i Sacramenti, ma anche con i piccoli gesti
concreti di carità che faccio ogni giorno. Come ci ha detto Papa
Francesco nel suo recente “Messaggio per la
Quaresima”, la Chiesa è “la mano di
Dio”, una mano che guarisce.
E io mi sento parte di
questa tenera mano, che sfiora le ferite molto profonde dell’umanità
curandole, di quell’umanità devastata che è qui in Aleppo e che
nient’altro è che il Suo Corpo violentato incessantemente. Io sono
sinceramente fiero di essere parte e strumento della Sua tenerezza,
presenza amorevole del buon Pastore. Sperimento ogni giorno quella
“forza di guarigione” che è presente nella Parola di Dio e nei
sacramenti, in modo speciale nella santissima Eucaristia e nel
sacramento della Riconciliazione. Sono sempre più consapevole di
come questa mano “ricca di tenerezza” non possa fermarsi ad
ammaestrare richiamando alla santità; occorre anche che
concretamente accada quello che era proprio del “tocco di Gesù”:
quella pienezza di compassione che arriva a toccare il lebbroso
prima di guarirlo (Mc 1, 39).
Visite nella zona di Middàn
Il nome di Middàn
significa in arabo il campo. Da quando è
iniziato il “caos” ad Aleppo, Middàn è diventato seriamente un
campo non di fiori, ma un campo di battaglia, un campo dove si muore
con estrema facilità. In questa zona popolare abitano tante famiglie
cristiane di origine armena, numerose di figli. I negozi sono
prossimi alle loro abitazioni vicinissime l’una all’altra; le
case sono piccole e gli edifici alti, di cinque o sei piani.
Questa zona di Middàn ha
subìto e continua a subire la sorte peggiore. Le famiglie, in
maggioranza poverissime, non ce la fanno ad abbandonare le case
poiché non hanno altro luogo in cui rifugiarsi. Se ne stanno
rintanati nelle loro case a distanza di solo 100 metri dalle milizie
armate, che continuamente lanciano i loro “regali di morte”:
bombole di gas, mortai e missili.
Si odono insistenti i
rumori delle sparatorie e le strade non sono agibili se non correndo
e a rischio della vita per la presenza dei cecchini che si divertono
a puntare e ammazzare uomini e donne disarmati, costretti a uscire
dalle case in cerca di lavoro o per comprare qualcosa da mangiare.
Due famiglie le cui case
sono state visitate da quei “regali di morte” e che, nonostante
ciò, continuano ad abitare in quelle case notevolmente danneggiate,
mi hanno chiesto un aiuto per ripararle, anche se parzialmente. Dopo
uno studio accurato, li ho incoraggiati a cominciare a fare delle
riparazioni seppur limitate, in modo da poter continuare a viverci
dignitosamente, nonostante il reale pericolo di venir bombardati di
nuovo…
Bassam, il marito della
prima famiglia, mi ferma alcuni passi prima dell’edificio per
spiegarmi come e dove è caduta la bombola di gas che ha distrutto il
suo balcone, tutte le finestre e le porte della casa e, fissando lo
sguardo su di me, mi dice: “Padre, è una grande gioia che tu venga
a casa nostra in questo momento di grande pericolo. Io e mia moglie
siamo senza parole dalla gioia di ricevere la benedizione della casa,
questo nonostante i molti impegni che tu hai. Il valore di questo
gesto è che, visitando la nostra casa, tu ci porti la benedizione
dal Signore”.
All’uscita dell’edificio
egli mi mostra la strada dove sono morte 18 persone a causa di un
cecchino delle milizie armate che sparava sulla gente inerme,
disarmata. Quando siamo entrati ho benedetto con l’acqua santa la
casa, abbiamo pregato di fronte a una piccola icona della Madonna,
dove egli prega solitamente con sua moglie. Abbiamo controllato parte
dei lavori già terminati e poi siamo scesi di nuovo. Nel timore per
la mia vita per via dei cecchini, egli, che sa come muoversi, mi
accompagna alla seconda casa; però lui non entra, per rispetto
dell’intimità delle persone che vi abitano.
La seconda casa è quella
di una coppia, marito e moglie. Lui lavorava come autista, ma poi ha
perso il lavoro e ora a mala pena trova qualcosa da fare. Sua moglie
è casalinga. Entro da loro e vedo che la casa è composta di una
stanza da letto, una cucina e una stanzetta piccolissima dove possono
sedersi strette strette quattro persone. È proprio questa stanza che
è stata colpita da un “regalo di morte” mentre loro due erano in
casa.
L’esito dell’esplosione
è stato il tetto forato, la distruzione di una parete e tutto
l’arredamento poverissimo andato perduto nell’incendio. Da quel
momento la moglie ha sofferto ripetutamente di collassi nervosi e il
marito era molto preoccupato ma, nonostante tutto questo, il sorriso
non ha mai lasciato il suo volto. Dopo aver pregato con loro, li ho
benedetti con quel che rimane della casa e ho ispezionato i lavori di
ricostruzione già cominciati.
Il tetto è stato coperto
con una “lastra di zinco” che ha sostituito i precedenti mattoni,
ma ancora ha da essere cementata. La scelta di non costruire con i
mattoni è stata loro, per via del pericolo quotidiano di subire
nuovi crolli. È stata rifatta una finestra e sono arrivate alcune
sedie, prestate da famigliari.
Il terzo caso che vi
racconto è quello di una signora, madre di cinque figli, che si
presenta informandomi che il marito è stato ricoverato d’urgenza
all’ospedale perché soffre di “cirrosi virale del fegato”.
Egli ultimamente non lavorava più e lei è casalinga e tutti e
cinque i figli sono troppo piccoli per lavorare. Come fare a pagare
l’ospedale, le ricette mediche e il farmaco, molto caro, necessario
per curare la malattia del marito? Come Parrocchia abbiamo contattato
la clinica dove Mosés (questo il nome del marito) è stato
ricoverato e abbiamo promesso di coprire tutte le spese di ricovero
e per i medicinali. Dopo le dimissioni dalla clinica, Mosés è
ritornato a casa stanco e senza forza. Ora, egli necessita di un
nuovo trattamento medico e di nuove cure e per questo deve
raggiungere la città di Homs oppure Damasco. Per i viaggi, i
ricoveri e la lunga lista di medicinali che sta prendendo e che deve
continuare a prendere… si accumulano le fatture!
Ho
trovato l’intera famiglia riunita in una stanza: i figli tutti
insieme raccolti come pulcini attorno alla madre e al padre senza
fiato. Mi hanno raccontato della loro esperienza con la Provvidenza
divina che non è mai mancata, della speranza che tutto questo
finisca presto e che la figlia più grande, studentessa
universitaria, si possa finalmente laureare aiutando con il suo
lavoro l’intera famiglia. Abbiamo poi pregato tutti insieme, quindi
ho benedetto loro e la casa, assicurando che la mano tenera di Dio,
che è la Chiesa loro madre, sarà sempre presente accanto a loro,
non esitando ad aiutarli spiritualmente e anche nel bisogno concreto.
Sulla via del ritorno alla
Parrocchia, mentre riflettevo sull’esperienza e sul dono di questi
“incontri”, ho capito di aver percorso una Via
Crucis vera e propria. Sono infatti, entrato
profondamente nel Mistero della sofferenza di Gesù, della sua Morte
e della sua Risurrezione: in modo unico, speciale. Mi pareva, mentre
mi incamminavo tra una casa e l’altra, in quella zona colpita così
duramente, di percorrere con i miei Confratelli le Stazioni (della
Via Crucis) nella vecchia città di Gerusalemme. Spero che il Signore
mi dia la forza di non smettere mai di vivere quotidianamente questa
“Via Crucis” reale
per poter essere segno efficace del Suo tenero amore alle membra più
sofferenti del Suo Corpo, che è qua ad Aleppo.
Vi ho testimoniato solo
tre Stazioni, ma ve ne sono tante altre che vivo ogni giorno...
Sembra veramente che il “cuore” della mia missione ad Aleppo sia
proprio questa continua Via Crucis con
la scoperta, ogni santo giorno, di nuove Stazioni della sofferenza…
all’infinito.
La Mano tenera di Dio
Valeva la pena di visitare
le case semi-distrutte con gli uomini, le donne, i ragazzi e i
bambini che le abitano? E incontrare quell’uomo ammalato con la
sua famiglia? Non potevo pensare ad un aiuto “da lontano”, senza
sottopormi al rischio di un incontro improvviso con “sorella
morte”?
Questa è una bella
domanda che io come Parroco ho continuato a pormi fino a quando il
buon Pastore stesso ha mi dato la risposta, con un’altra domanda
che spiega tutto: “Valeva la pena di toccare il lebbroso, prima di
guarirlo? Non si poteva cioè guarirlo senza toccarlo?”.
Se si tratta di
manifestare la tenerezza di Dio che distrugge tutte le divisioni e le
barriere fra l’uomo e il suo Dio, se si tratta di manifestare il
Suo Amore verso la Sua creatura colpita e martoriata, questo gesto
del toccare è il gesto ESSENZIALE della “liturgia divina della
guarigione”.
È il mio piccolo gesto
della visita alle persone sofferenti nelle loro case, a rischio della
mia vita stessa, è questo gesto di starci, di esserci fisicamente,
che ha degli effetti quotidiani di “guarigione” nella vita delle
famiglie.
La visita a queste case di
Midàn, è il gesto più bello e più vero per testimoniare come
anche oggi Gesù non si vergogna di toccare la lebbra, pur di
manifestare quanto Lui è presente. Non c’è cosa più vera e
concreta di quel tocco di Gesù al lebbroso (la conversione di
Francesco comincia con l’incontro e il bacio dell’Amore al
lebbroso!), quel tenero tocco della Chiesa che aiuta a riparare
materialmente la casa danneggiata dalla bomba o quel tocco della
Chiesa che aiuta a guarire un padre di famiglia, altrimenti
condannato da una malattia che non perdona.
Questo gesto concreto vale
più di tantissime parole poiché ha la forza di guarire, anzi, di
risuscitare dalla morte!
Al gesto del “tocco”
al lebbroso se ne aggiunge un altro che manifesta l’immensa
tenerezza di Dio.
È il dono compassionevole
del cibo offerto da Gesù alla folla affamata, attraverso il miracolo
della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mc
6, 34-44).
Quanta letizia ho
sperimentato, dopo questa giornata faticosissima, ma ricolma di segni
di tenerezza e di compassione, appoggiando il capo sul cuscino prima
di addormentarmi in pace, consapevole di essere stato il tramite
affinché la missione pubblica di Gesù abbia a continuare qui e ora:
manifestando Egli stesso la tenerezza del Padre nei confronti dei
suoi figli!
“
Quanta più gioia
c’è nel dare che nel ricevere!” (At
20,35)
fr. Ibrahim