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domenica 9 agosto 2015

Il nostro dovere di proteggere i cristiani  perseguitati

La solidarietà è il minimo che si possa fare. 

È una domanda da porre anche in Italia



Anche i Cristiani di SADAD fuggono di nuovo, memori del massacro di ottobre 2013.

Andrea Riccardi su Corriere della Sera
8 agosto 2015


Siamo abituati alle cattive notizie dalla Siria. Tanto abituati da essere distratti, avendo quasi rinunciato alla soluzione di una guerra terribile, lunga ormai come la Prima Guerra Mondiale. Pochi giorni fa è avvenuto un altro rapimento di civili in Siria: circa 230 nel villaggio di Al Qaryatain nella provincia di Homs. È la provincia che le truppe di Assad, appoggiate dagli hezbollah, tentano di controllare, per bloccare il passaggio tra Siria e frontiera libanese. In questo villaggio, gli uomini del «califfato» hanno prelevato circa 6o cristiani, accusati di intelligenza con il regime di Assad.
Al Qaryatain è una cittadina, trovatasi a contatto con i territori dal sedicente califfato, dopo la presa di Palmira. Qui risiedeva una cospicua comunità cristiana di tutte le confessioni, ma soprattutto appartenenti alla Chiesa siriaca (del gruppo unito a Roma). In Siria, nonostante le differenze di tradizione e confessione, da secoli i cristiani non solo vivono tra loro, ma anche assieme ai musulmani negli stessi quartieri o villaggi. 
Il «califfato» ha cominciato a imporre la Sharia con durezza ai cristiani, discriminandoli e imponendo loro di pagare una tassa speciale. Anche la condizione di dhimmi, che riduce i cristiani a cittadini di serie B, non dà nessuna sicurezza di vita. Quindi, con l`estendersi della guerra, i cristiani sono assediati nelle città come Aleppo e hanno cominciato a muoversi dai villaggi. Non è facile orientarsi nell`intrico della guerra, tra mutevoli organizzazioni, nello spostamento delle aree di controllo, in un quadro di estrema violenza. Chi poteva ha abbandonato la Siria. Oggi però il Libano (che ha chiuso le frontiere ai profughi) smantella vari campi, lasciando all`aperto i rifugiati, musulmani o cristiani. Chi fugge non sa più dove andare.
I cristiani sono considerati «nemici» dagli estremisti islamici. E` chiaro anche nel caso di Al Qaryatain. Gli uomini del «califfato» li hanno ricercati, casa per casa, seguendo una lista, come complici del regime alauita di Assad. Di fronte al caos della guerra, le autorità cristiane hanno guardato al regime come l`unica protezione possibile, criticando l`ostilità occidentale ad esso. Del resto, anche una personalità cristiana di altro sentire, come il gesuita Paolo Dall`Oglio, ostile al regime, è stata rapita dagli oppositori. Un altro sacerdote legato a Dall`Oglio, Jacques Murad, che risiedeva in un monastero vicino a Al Qaryatain (e lavorava per aiutare gli sfollati da Palmira), è stato rapito tre mesi fa. Da più di due anni non si hanno più notizie dei vescovi Mar Gregorios Ibrahim e Bulos Yazigi, che guidavano i cristiani siriaci e ortodossi ad Aleppo. Erano rispettati dal governo e avevano un`autorità morale nella regione. Sono scomparsi nel nulla. Altri religiosi, rimasti tra la gente, sono stati rapiti o uccisi.
Sembra ormai impossibile o molto difficile per i cristiani vivere in larga parte della Siria. La loro condizione (e quella del Paese) pone alla comunità internazionale il problema della pacificazione, come un obiettivo prioritario su cui concentrare l`attenzione, al di là della ritualità degli incontri internazionali e delle azioni dell`Onu.

Esiste una seconda questione che i Paesi europei devono affrontare nel caso che la guerra si protragga: il futuro dei cristiani. Dove possono andare? Non riescono a sopravvivere nelle regioni controllate dalle organizzazioni islamiste. Ieri papa Francesco, in un messaggio ai cristiani del Medio Oriente, ha avuto parole forti: «La comunità internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine». Non c`è un dovere verso di loro? E` vero: molti musulmani siriani e iracheni soffrono. Ma, per i cristiani, c`è una vera impossibilità a sopravvivere in terra islamista. La Francia ha accolto, lo scorso anno, alcuni cristiani iracheni. Il Belgio, recentemente, ha ricevuto 244 cristiani, trasferendoli da Aleppo. La solidarietà ai rifugiati cristiani è il minimo che si possa fare. E' una domanda anche all'Italia.


http://www.corriere.it/opinioni/15_agosto_08/siria-proteggere-cristiani-perseguitati-riccardi-c9ca95ec-3d8d-11e5-9df9-e4a39ac26db0.shtml?refresh_ce-cp

Il comunicato della chiesa syro-ortodossa di Antiochia e di tutto l'Oriente chiama al soccorso e alla preghiera per la liberazione dei 227 cristiani agli arresti domiciliari e che saranno utilizzati come scudi umani da Daesh in caso di risposta dell'esercito siriano...
Chiedono a tutte le chiese, ai responsabili nel mondo e tutte le coscienze di manifestare pacificamente il loro sostegno e di interagire per la liberazione di questi civili innocenti che vivevano pacificamente e in spirito fraterno con le altre comunità...

giovedì 6 agosto 2015

ISIS attacca l'antica città cristiana Al-Qaryatayn, da cui fu prelevato padre Jacques Murad 2 mesi fa: 150 ostaggi


Mercoledì mattina, lo Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham (ISIS) ha lanciato un'offensiva su vasta scala nella campagna orientale del Governatorato di Homs, dove attualmente sta prendendo di mira l'antica città siriaca cristiana di Qurayteen e l'importante Aeroporto Militare Tiyas che si situano al ovest di Palmira.
Il gruppo terroristico ha iniziato l'assalto all'alba di mercoledì, tentando di utilizzare un veicolo improvvisato imbottito di ordigno esplosivo (VBIED) per rompere le difese della prima linea delle Forze armate siriane 'al perimetro sud-est dell'aeroporto militare Tiyas;  tuttavia, questo tentato attacco suicida è stato respinto dalle guardie dell'esercito siriano prima che potesse raggiungere la destinazione.


Dopo il tentato attacco kamikaze, ISIS ha preso d'assalto il posto di blocco del Airbase Militare Tiyas, dove ha trovato forte resistenza da parte dell'esercito siriano e le Forze di Difesa Nazionale (NDF), riuscendo però a infiltrarsi oltre le difese della prima linea delle Forze Armate Siriane.
Nel frattempo, a sud-ovest dell' Aeroporto Militare, ISIS ha lanciato un assalto potente sulla città di Qurayteen, prendendo di mira i checkpoint alla periferia sud-est.
ISIS è riuscito a catturare due posti di blocco al di fuori di Qurayteen, il che gli ha consentito finalmente di entrare in città e trincerarsi lungo la strada che porta al quartiere est.
Scontri a fuoco tra il gruppo terroristico e le Forze armate siriane sono ancora in corso all'interno della città di Qurayteen, nonostante le recenti affermazioni di cattura da parte di attivisti dei social media pro ISIS.
Secondo una fonte militare di Homs est, le relazioni all'interno della città di Qurayteen hanno confermato la morte di 5 civili per mano di ISIS ed altri sono stati catturati dal gruppo terroristico nel distretto est della città.
foto di 'Chrétiens de Syrie pour la Paix'

Oltre ai numerosi profughi fuggiti precipitosamente dalla città, ISIS detiene 150 ostaggi.
E' lo stesso villaggio in cui viveva padre Jacques Mourad, qui rapito il 21 maggio dagli islamisti e di cui non si ha alcuna notizia.

 http://aramictv.com/isis-conducts-major-offensive-to-capture-an-ancient-christian-town-in-the-west-countryside-of-palmyra/


Aggiornamento da Radio Vaticana 7 agosto:

Testimonianza del patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan:

R. – Era previsto l’arrivo di questa gente: queste bande di terrore religioso hanno avuto dei complici nella città di Qaryatain … Adesso parlavo con il nostro amministratore patriarcale, che mi diceva che non si sa cosa potrà accadere alla nostra comunità e come andrà a finire. Dopo il rapimento del padre Jacques Murad, erano rimaste ancora circa 120 famiglie in Siria: alcune di loro sono riuscite a fuggire nei campi due giorni fa, ma non sono ancora arrivate… Non si sa cosa sarà di loro.
D. – Questi terroristi compiono una vera e propria pulizia etnica: vogliono cancellare il cristianesimo e i cristiani dalla Siria, come dall’Iraq…

R. – Noi non parliamo di etnie, perché noi siamo della stessa etnia di coloro che sono musulmani in Siria. E’ una pulizia religiosa! Quella che i vostri governanti non vogliono vedere: non ne vogliono sapere niente! A loro importa poco delle libertà religiosa di queste comunità, che sono riuscire a sopravvivere per centinaia di anni proprio perché attaccate al loro Salvatore e al Vangelo. E’ una pulizia religiosa! Non ci vogliono! Tutto questo è colpa di quei governanti machiavellici, che pensano solamente a cercare le opportunità economiche e che pensano che se quella gente - senza alcuna difesa, innocente - può rimanere che rimanga; se non può rimanere, che allora prenda il mare.
D. – Papa Francesco ha inviato una lettera al vicario apostolico di Giordania per sottolineare, appunto, quanto ci sia un’accoglienza dei popoli in questa vostra terra e invece un silenzio assordante della cosiddetta Comunità internazionale…

R. – Siamo sempre grati a Sua Santità Papa Francesco. Lui ci ricorda sempre nelle sue preghiere e sta cercando di fare qualcosa. Purtroppo, però, la ragione è sempre del più forte! Anche ai nostri giorni in cui ci dicono che ci sono delle istituzioni internazionali per la difesa dei diritti umani e della libertà religiosa… Ma dove? E’ una bugia! Il fatto è qui: a Qaryatain, fino a due mesi fa, c’erano circa 300 famiglie, che erano rimaste lì. Erano veramente degli eroi! Come il  loro parroco, il parroco siro-cattolico, padre Jacques Murad, che è stato rapito: era nel convento di Mar Elian a ricevere tanti musulmani, ad aiutarli… Che possiamo fare? Come è riuscito lo Stato Islamico ad arrivare lì, come è riuscito ad entrare e penetrare a Qaryatain, dove c’era l’esercito? Gli stessi abitanti, i sunniti, che sono pro questi terroristi, aspettavano solo il momento per attaccare i soldati…

mercoledì 5 agosto 2015

Gli Usa colpiscono Assad oltre che i jihadisti


 di Gianandrea Gaiani
 LA BUSSOLA, 05-08-2015

L’ambiguità dilaga nella guerra, sempre più da barzelletta, della Coalizione internazionale contro lo Stato Islamico. A dieci giorni dall’intervento militare turco contro lo Stato Islamico ma soprattutto contro i curdi che dei jihadisti sono acerrimi nemici, anche gli Stati Uniti avviano una nuova campagna aerea che non può non suscitare perplessità.

Dopo i reiterati attacchi condotti dai miliziani qaedisti del Fronte al-Nusra (un tempo rivali dell’Isis ma che oggi collaborano in diverse zone del fronte con gli uomini del Califfo) contro i miliziani siriani “moderati” del movimento “Nuova Siria”  addestrati dai consiglieri militari americani in Turchia, il Pentagono ha minacciato di attaccare i qaedisti ma pure i reparti governativi siriani che combattono accanitamente contro al-Nusra e le altre milizie islamiste. Il 31 luglio sarebbe stata lanciata quella che il portavoce Bill Urban ha definito  “la prima di una serie di incursioni” contro i qaedisti. L’amministrazione Obama ha annunciato “misure addizionali” per difendere le forze filo-americane sul terreno e ha lanciato un monito al regime di Assad affinché “non interferisca”. 

Di recente gli Stati Uniti hanno addestrato ed equipaggiato un gruppo di poche decine di miliziani (dovevano essere 3/5mila quest’anno ma non hanno trovato molti volontari) per combattere le milizie jihadiste dello Stato islamico ma pure il governo del presidente Bashar al Assad. Come le residue forze laiche rimaste nel conflitto civile siriano, anche la “Nuova Siria” non ha alcun peso militare né nelle operazioni contro l’Isis né in quelle contro Damasco. Del resto è difficile comprendere come poche decine di uomini  appena addestrasti possano combattere al tempo stesso contro l’Isis e contro i suoi nemici. Paradossale poi che ad attaccare i miliziani “moderati” non siano le forze dello Stato Islamico ma i qaedisti di al-Nusra ormai “sdoganati” nell’alleanza Esercito della Conquista  che riunisce anche salafiti e fratelli musulmani. Movimento molto forte nell’area settentrionale di Idlib che gode dell’appoggio finanziario e militare di Arabia Saudita, Qatar e Turchia, cioè degli alleati degli USA.

Una conferma ulteriore di come l’ampio fronte di movimenti che combatte Assad sia composto ormai esclusivamente da milizie jihadiste che non tollerano la presenza di forze laiche. E se oggi l’Esercito della Conquista non si mischia con l’ISIS è solo per una questione di opportunità anche se l’intesa con il Califfato contro il regime di Damasco sembra essere ben oliata. Il 2 agosto il Fronte al-Nusra ha pubblicato un video in cui appaiono alcuni membri delle milizie ribelli siriane addestrati dagli Stati Uniti catturati nei pressi di Aleppo. Nel filmato, pubblicato ieri su Youtube, il gruppo terrorista che rappresenta al Qaeda in Siria, ha precisato che i guerriglieri sono stati catturati per la loro collaborazione con le forze della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico responsabile di diversi attacchi anche contro il Fronte al Nusra.

Vale la pena ricordare infatti che all’avvio delle operazioni aeree della Coalizione in Siria, il 23 settembre scorso, i primi raid aerei statunitensi presero di mira anche il Fronte al-Nusra uccidendo, a quanto risultò all’epoca, una cinquantina di miliziani inclusi alcuni comandanti. Nel video compaiono cinque uomini in piedi con la mani dietro la testa e sorvegliati da due uomini armati. Uno dei prigionieri afferma di essere stato arruolato dagli Stati Uniti e di essere stato addestrato in Turchia. Uno degli uomini di al-Nusra dichiara nel video che la cattura dei guerriglieri è un modo “per indebolire la mano dell’Occidente e degli Stati Uniti in Siria”, sottolineando la loro provata cooperazione con le forze della coalizione per individuare le posizioni e movimenti del Fronte al Nusra.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani, aveva diffuso il 30 luglio un comunicato secondo cui il Fronte al Nusra aveva sequestrato nella campagna a nord di Aleppo il colonnello Nadimal Hassan, leader del “Gruppo 30” dell’esercito libero, a capo della prima unità di combattenti addestrati ed equipaggiati dagli Stati Uniti composta da appena 54 uomini. Il Pentagono ha dapprima negato la cattura di elementi ribelli addestrati in Turchia ma ieri al Nusra ha annunciato la  cattura di altri cinque guerriglieri siriani addestrati dagli Stati Uniti. Secondo l’osservatorio siriano per i diritti umani (Ong vicina ai ribelli e con sede a Londra) negli scontri tra “Nuova Siria” e al Nusra i filo-americani avrebbero registrato almeno un caduto (dieci secondo altre fonti) mentre i prigionieri in mano ai qaedisti sarebbero 13, in parte catturati nel campo profughi di Qah, a ridosso del confine turco dove i filo-americani si sarebbero rifugiati.

Di fatto solo i raid aerei Usa hanno impedito che il “Gruppo 30” venisse annientato dai qaedisti, valutazione che da sola dovrebbe sconsigliare Washington dall’allargare la minaccia di attacchi alle forze di Damasco, le uniche in grado di sconfiggere al-Nusra e le altre milizie jihadiste. Lunedì infatti le forze speciali di Assad  hanno riconquistato la località strategica di Tal Hamki, situata a nord-est della pianura di al-Ghaab, vicino al governatorato nord occidentale di Latakia sconfiggendo le forze di al-Nusra. Invece di aiutare le truppe di Damasco, gli Stati Uniti minacciano di prenderle di mira continuando a perseguire una strategia che sarebbe folle se l’obiettivo fosse distruggere i jihadisti ma che al contrario risulta ”lungimirante” se lo scopo reale è seminare caos e destabilizzazione in tutta la regione. Non a caso la Russia, alleata di Damasco, preme invece per allargare la Coalizione internazionale anti-Isis anche al governo siriano con una proposta formale presentata a sauditi e statunitensi che non sembrano però avere nessuna intenzione di accoglierla, perseguendo l’assurdo principio che lo Stato Islamico si sconfigge più facilmente se cade Bashar Assad.

Secondo il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, la nuova campagna aerea statunitense in appoggio ai ribelli cosiddetti "moderati" finirà per "complicare ancora di più la lotta al terrorismo". 
Del resto quale approccio abbiano gli anglo-americani rispetto al conflitto mediorientale è stato ben illustrato ieri dal ministro britannico della Difesa, Michael Fallon, che in visita in Iraq ha dichiarato che gli attacchi contro le milizie dell'Isis si protrarranno sino al 2017. Londra e Washington vogliono quindi tirarla per le lunghe favorendo l’allargamento del conflitto ma, ovviamente senza esporsi troppo. Fallon infatti ha precisato che si tratterà solo di raid aerei perché “non c'è bisogno dell'intervento delle forze di terra britanniche".


venerdì 31 luglio 2015

Petizione per la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Siria e abolire Embargo e Sanzioni sul popolo siriano

A questo link è possibile firmare la petizione proposta dal Coordinamento per la Pace in Siria:

https://www.change.org/p/presidente-della-repubblica-italiana-sergio-mattarella-presidente-del-consiglio-dei-ministri-matteo-renzi-ripresa-delle-relazioni-diplomatiche-con-la-siria-e-abolire-embargo-e-sanzioni-sul-popolo-siriano


Per favorire il processo di pace , per dare speranza al popolo siriano, per tutte le ragioni umanitarie che le Monache Trappiste hanno testimoniato,  Ora pro Siria aderisce e invita i lettori a sottoscrivere la petizione: 

Ripresa delle relazioni diplomatiche con la Siria. Abolire Embargo e Sanzioni sul popolo siriano

LETTERA INVIATA A
Presidente della Repubblica Italiana  Sergio Mattarella
Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi

Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria
http://www.siriapax.org/?p=15478   


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"L'Is è uno strumento nelle mani delle grandi potenze, da loro sono stati creati, armati e sostenuti. Invece di combatterli sul terreno comprano da loro il petrolio e i reperti archeologici rubati “ , dichiara il Vescovo latino di Aleppo


di MARCO TOSATTI
In un’interessante intervista a Tg2000 il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, ha espresso dubbi sulla reale volontà della Turchia – e degli Stati Uniti – di voler combattere l’Isis. 

Intanto l’organizzazione “Siriapax” ha lanciato una petizione al Presidente della Repubblica, Mattarella, e al Parlamento affinché vengano ristabiliti i rapporti con Damasco, e tolte le sanzioni contro il popolo siriano.

La gente teme che i turchi vogliano combattere i curdi sotto la scusa dell’Isis”. Lo ha detto il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, commentando le operazioni militari che la Turchia sta eseguendo contro l’Isis in Siria e contro i curdi del Pkk in Iraq. “Se è una lotta contro l’Isis va bene - ha aggiunto mons. Khazen - ma se è una scusa della Turchia per creare una zona indipendente dalla Siria, allora diventa un po’ pericoloso. Se è una scusa per combattere i curdi e aumentare la confusione e la violenza, allora non è un segnale positivo. Sappiamo bene che la Turchia ha permesso all’Isis di entrare, di armarsi e avere il loro addestramento”. 

Mons. Khazen ribadisce che “tutti noi siamo contro la civiltà della morte e della distruzione” ma “anche molti musulmani moderati che sono contro l’Isis si arruolano per combattere questa peste. A me dispiace che le luci si siano accese su qualche cristiano che si è alleato con i curdi contro l’Isis. Questo fa aumentare l’odio contro i cristiani. E’ naturale che in una guerra le persone si difendano. Ci sono persone che sono obbligate a fare il servizio militare”.  

E’ naturale che qualcuno si difenda – ha concluso il vicario di Aleppo - ci sono cittadini a cui si dice ‘invece di andare a fare la leva a Damasco, restate nei vostri paesi e difendeteli’”. 
“L’Isis è uno strumento nelle mani delle grandi potenze, da loro sono stati creati, armati e sostenuti. Invece di combatterli sul terreno comprano da loro il petrolio e i reperti archeologici rubati in queste terre”. Ha detto ancora mons. Georges Abou Khazen.  

Sappiamo bene chi sta comprando queste cose dall’Isis – ha aggiunto mons. Khazen - Non bisogna dare agli uomini dell’Isis le armi e non li devono addestrare. Nei paesi limitrofi della Siria, tra cui anche la Turchia, ci sono dei veri e propri campi d’addestramento”. “Gli uomini dell’Isis - ha aggiunto il vicario di Aleppo - hanno preso le zone dove c’è il petrolio, l’hanno cominciato a vendere a 10 dollari al barile e adesso a 30 dollari. E chi sta comprando petrolio e reperti archeologici? Sicuro non sono i somali o quelli della Mauritania”.  

Mons. Khazen ha inoltre sottolineato che “con l’Isis non trafficano solo le compagnie occidentali. E chi ci rimette la vita è questa povera gente. Noi in Siria abbiamo 23 gruppi religiosi-etnici diversi che costituivano un bel mosaico. E adesso cosa stanno diventando? E ci parlano di diritti dell’uomo”.  

mercoledì 29 luglio 2015

Turchia: bersaglio ISIS, curdi o Assad?


di G. Gaiani
La Bussola Quotidiana

Dopo anni di connivenze e aperte complicità con i movimenti jihadisti che combattono il regime siriano, il presidente turco Recep Tayyp, Erdogan scende in campo nel conflitto contro lo Stato Islamico, ma lo fa con l’ambiguità che caratterizza non solo la politica di Ankara ma ormai l’intera operazione condotta dalla Coalizione internazionale. 
Scattato il 24 luglio, l’intervento militare turco ha preso il via dopo la recrudescenza degli scontri con i miliziani curdi del Partito curdo dei Lavoratori (Pkk) che ha ridato vita a un conflitto interrottosi nel 2011 con una tregua in atto da 2 anni ma che in 30 anni ha provocato la morte di 40 mila turchi. I raid hanno preso il via soprattutto dopo la strage di Suruc dove un kamikaze ha ucciso 32 persone ferendone decine nel villaggio turco a pochi chilometri dal conflitto siriano.

L’attentato è stato attribuito allo Stato Islamico che però non sembrava avere molti interessi a colpire Ankara. Durante l’assedio degli uomini del Califfo alla città curda di Kobane vennero diffuse foto che mostravano guardie di frontiera curde e miliziani dell’Isis che fraternizzavano ed è noto che molte munizioni e armi sono giunte allo Stato Islamico (e ad altri movimenti jihadisti dalla Turchia) così come negli ospedali turchi sono stati curati molti combattenti del Califfato. La svolta di Ankara, sostenuta da Washington anche nel recente incontro tra Obama ed Erdogan, non sembra in realtà fornire un significativo supporto alla Coalizione contro l’Isis ed è abbinata a un giro di vite sulla sicurezza interna che ha già provocato oltre 600 arresti di esponenti di movimenti jihadisti, curdi, di sinistra, ma anche del Partito Democratico dei popoli (Hdp), filo curdo, che aveva avuto una buona affermazione alle ultime elezioni contribuendo a far perdere al partito di Erdogan, Akp, la maggioranza assoluta dei seggi.

Non è un caso che gli F-16 turchi decollati dalla base di Dyrbakir abbiano effettuato nelle prime 48 ore solo 9 incursioni contro 4 check-point dell’Isis nella zono di Kilis mentre contro le roccaforti irachene del Pkk e i loro alleati siriani delle milizie popolari curdi (Ypg), braccio armato del Partito Democratico Curdo siriano (Pdy), sono state effettuate una trentina di incursioni. Il governo turco ha smentito di aver colpito postazioni curde in territorio siriano negando che Ypg e Pdy siano bersagli dei velivoli e dell’artiglieria turca, ma ieri mattina erano stati denunciati bombardamenti contro postazioni curde a Zor Maghar, nella provincia di Aleppo. Il governo di Ankara ha riferito di aver avviato un'indagine, per appurare se nell'offensiva contro lo Stato Islamico siano state colpite anche postazioni curde in Siria. «Le operazioni militari in corso sono tese a neutralizzare l'imminente minaccia alla sicurezza nazionale della Turchia e continuano ad avere come obiettivo lo Stato Islamico in Siria e il Pkk in Iraq», ha annunciato la fonte. Difficile però credere che i turchi non conoscano gli schieramenti militari dei gruppi armati presenti ai loro confini e inoltre la decisione di attivare una no fly-zone profonda 50 chilometri e lunga 90 in territorio siriano tra Marea e Jarabulus tradisce la volontà di Ankara di liberarsi dell’Isis ai suoi confini, ma anche di impedire ai curdi siriani di estendere l’area sotto il loro controllo lunga la frontiera.

La guerra allo Stato Islamico ha consentito ai curdi di Iraq e Siria di istituire un’area sotto il loro controllo e contigua territorialmente che si estende dal nord della Siria al nord dell’Iraq. Il presupposto ideale, specie in caso di sfaldamento dell’Iraq, per istituire l’agognato Stato curdo. Un’opzione inaccettabile da Ankara perché rivitalizzerebbe l’autonomismo dei curdi turchi. Non è forse un caso che l’intervento turco si verifichi dopo i vasti successi conseguiti dai curdi contro l’Isis. L’Ypg ieri ha liberato la cittadina di Sarrin, dopo tre settimane di scontri violentissimi. Sarrin si trova sull’autostrada tra Raqqa e Aleppo nel nord della Siria (e non lontano dal confine turco), contribuendo a isolare Raqqa, la capitale del Califfato da cui le avanguardie curde distano meno di 80 chilometri. 

Ankara sembra voler puntare a cacciare l’Isis dai confini, contenere i curdi e indebolire ulteriormente Bashar Assad con una no fly-zone aperta ai cacciabombardieri turchi e della Coalizione, ma da cui sono banditi i jet di Damasco (pena l’abbattimento) . Il tutto con il sostegno di Washington ma senza uno straccio di risoluzione dell’Onu che autorizzi la palese violazione del diritto internazionale e della sovranità siriana. Probabile (come sostiene il quotidiano turco Hurryet) che Washington abbia barattato il via libera all’utilizzo della base aerea di Incirlik (e di altre tre basi in caso di necessità) con il sostegno all’istituzione della no fly-zone, ma il supporto degli Usa non può sostituire l’avvallo dell’Onu anche se Erdogan ha invocato l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite sul diritto all’autodifesa.

Certo, agli Stati Uniti l’ambiguo intervento militare turco consente di limitare la partecipazione al conflitto continuando a perseguire con successo la destabilizzazione della regione mediorientale accentuando caos e conflitti interni. Il paradosso di una Coalizione che conduce una guerra così blanda al Califfato da sembrare finta si aggiunge all’ambiguità delle monarchie sunnite (il cui impegno limitato è imposto dalla necessità di non favorire i governi sciiti di Iraq e Siria e di non irritare le loro opinioni pubbliche, sunnite e simpatizzanti per l’Isis) e di una Turchia che muove guerra all’Isis, ma al tempo stesso a curdi e governativi siriani, nemici giurati dello Stato Islamico.

Per lo Stato Islamico l’intervento turco rappresenta un’ulteriore complicazione e l’ennesimo atto di ostilità proveniente da Paesi che avevano contribuito alla nascita e al consolidamento del Califfato ma non possono venire messi in secondo piano gli aspetti di politica interna che possono avere indotto Erdogan all’azione. Lo Stato d’emergenza consentirà agli apparati giudiziari, militari e di polizia di sbarazzarsi di tanti oppositori interni  rovesciando lo stato di debolezza del governo e del partito Apk emerso dopo le ultime elezioni. Erdogan ha detto che la campagna militare durerà circa tre o quattro mesi: un periodo forse sufficiente a rovesciare gli equilibri e a mettere sotto scacco quanto resta della democrazia turca anche se questo significa riaprire il conflitto con il Pkk e rischiare la guerra civile. Per alimentare il clima di emergenza e di Stato d’assedio il governo ha annunciato che costruirà un muro prefabbricato con fossati, telecamere a infrarossi e sensori lungo gli oltre 600 chilometri il confine siriano al costo di oltre 1,5 miliardi di euro.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-erdogan-bombarda-lisis-ma-lobiettivo-e-la-siria-13373.htm




Piccole Note, 25 luglio 15

«Finora Ankara era stata di fatto uno sponsor del Califfato: attraverso la Turchia l’Is riceveva armi e medicine, e riusciva al tempo stesso a esportare il suo petrolio». Così Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum e una delle menti più lucide dei neocon Usa, intervistato da Arturo Zampiglione per la Repubblica del 24 luglio. Pipes dice qualcosa che sapevano tutti (e ai suoi ricordi andrebbe aggiunto anche altro, come il fatto che il territorio turco era luogo di reclutamento dei miliziani e via dicendo). Insomma uno sponsor del terrorismo internazionale, come spiega Pipes, che ha agito impunemente e liberamente per anni, nella piena consapevolezza dei Paesi Nato.
Ma questo è il passato. In questi giorni la Turchia ha cambiato strategia e ha dichiarato guerra all’Isis. A dimostrazione che fa sul serio, l’inizio di azioni militari in territorio siriano e l’arresto di alcuni terroristi in patria. Oltre a ciò ha concesso agli americani l’uso della base aerea di Incirlik, finora negata, che Washington considera strategica per un’efficace azione di contrasto al Califfato.
Molti analisti hanno individuato la genesi di questo cambio di strategia nell’attentato di Suruc, nel quale una kamikaze dell’Isis si è fatta esplodere uccidendo una trentina di giovani curdi che stavano organizzando una missione tesa alla ricostruzione di Kobane, la città siriana al confine turco simbolo della resistenza al Califfato. L’attentato ha creato un clima teso in Turchia: al governo è stata rimproverata l’acquiescenza verso i terroristi islamici e ha riaperto la frattura con i curdi, il cui successo elettorale nelle recenti elezioni (il loro partito ha tolto all’Akp, partito islamico al potere, la maggioranza assoluta) ha mandato all’aria i piani di Tayyp Erdogan di ridisegnare la Costituzione.
In realtà è più probabile che alla base di questo cambiamento di strategia di Ankara ci sia altro, ovvero l’accordo sul nucleare iraniano tra Usa e Iran, che sta determinando un terremoto geopolitico in tutto il Medio Oriente. Un accordo che ha rafforzato Assad, da sempre legato a Teheran, e ha aperto nuove possibilità di dialogo in vista di un accordo globale sulla Siria. Una prospettiva che potrebbe aver determinato la nuova assertività turca: ridimensionata, la speranza di un cambio di regime a Damasco per via terroristica, Ankara si riposiziona con una strategia che sviluppa due direttrici: da una parte potrebbe consentirgli di entrare finalmente con le sue truppe in territorio siriano (idea da tempo in cantiere) per prendere il controllo di un’area di confine che comprende la (ex) ricca città di Aleppo; dall’altra di entrare con forza nella partita negoziale che potrebbe aprirsi sul destino di Damasco.
Una strategia che conserva quindi tante ambiguità, anzi le moltiplica. Tra queste anche quella che vede innescarsi un confronto più serrato con i curdi, gettando alle ortiche il simulacro della trattativa con il Pkk, il partito dei lavoratori curdi, del recente passato. Il successo del partito curdo alle ultime elezioni e la prospettiva della nascita di uno Stato curdo ai suoi confini per Erdogan e i suoi sono un incubo. Anche per questo i bombardieri di Ankara hanno colpito obiettivi curdi in Iraq e Siria, nonostante questi siano stati finora gli unici veri oppositori, insieme al governo di Damasco, dell’Isis (la coalizione internazionale anti-Isis messa su dagli Stati Uniti finora ha fatto pochino, per usare un eufemismo).

lunedì 27 luglio 2015

Jean-Clement Jeanbart da Aleppo: Bâtir pour rester, nasce il movimento 'Costruire per restare'

Discorso di monsignor Jeanbart di Aleppo, il 13 luglio 2015, all'inaugurazione del movimento "Costruire per restare"


Costruire per restare : non è una fraternità spirituale di devozione.
Non è una società di volontariato.
Non è un partito politico, questo movimento non ha alcuno scopo politico.
Non è una intrapresa commerciale.
Non è un salone letterario, né un club familiare.
'Costruire per restare' è un movimento sociale, che ha per scopo quello di riunire tutti coloro che hanno voluto restare sulla terra della patria e perseverare attivamente in vista di una vita dignitosa per essi stessi e per altri loro compatrioti.
La sola condizione per aderirvi è di avere la ferma e seria volontà di agire e di essere convinti dell'importanza del nostro radicamento in questo caro paese, patria dei nostri antenati e dei nostri avi, alla fonte delle religioni e delle civilizzazioni.
È una decisione molto difficile quella che ho preso. Il giorno in cui ho deciso di lanciare questo movimento ho esitato a lungo, ma le circostanze critiche che la Siria attraversa e il numero sempre crescente di quelli che aspirano ad emigrare, mi hanno costretto a fare questo passo.
Alcuni dicono : cos'è dunque successo a questo arcivescovo che vuole sfidare il destino e affrontare questa terribile tempesta con tanta ostinazione e andando controcorrente ?
Sì, io so tutto ciò che si dice, o che potrà essere detto, così come non ignoro di essere di fronte a un'enorme sfida, ma io so allo stesso tempo che la nostra esistenza nella nostra amata Siria e la nostra perseveranza sulla sua terra generosa è una questione cara ai nostri cuori, così come è anche un sacro dovere :
-è un dovere patriottico e sociale
-è un dovere patrimoniale e familiare
-è un'eredità culturale e patrimoniale inestimabile che ci è stata affidata, e che ci terrà alti tra gli uomini di lettere e di saggezza
-è infine un dovere religioso per eccellenza, una chiamata divina alla testimonianza cristiana.
È proprio quest'ultimo dovere che mi spinge ad impegnarmi e a lavorare, perché la nostra esistenza in Siria è un omaggio di fedeltà a Cristo, agli apostoli e a San Paolo apostolo delle nazioni, che ha visto la luce della fede sulla nostra terra. È una testimonianza di fedeltà ai nostri antenati e ai milioni di martiri che si sono sacrificati perché noi vivessimo, che hanno versato il loro sangue puro e prezioso su questa terra santa per la fedeltà al Cristo Salvatore.
Sono queste le ragioni che mi hanno spinto ad ostinarmi, a pormi con fermezza per difendere la nostra esistenza in questo magnifico paese che ha nutrito noi cristiani fin dalla nascita della Chiesa e fino a questo giorno. Di fronte a questa realtà e tenendo conto di tutte queste considerazioni, io mi sono trovato deciso ad andare avanti per compiere questo sacro dovere, qualunque ne sia il prezzo.
-È un dovere di riconoscenza verso un paese tanto caro, in cui io sono nato
-E' un dovere di considerazione e di gratitudine verso i nostri padri e i nostri avi che hanno sacrificato tanto perché noi restassimo
-È un dovere di amore verso i nostri compatrioti che, se se ne andassero perderebbero questa patria, senza trovare nulla di equivalente, né in accoglienza non è in ricchezza
-È un dovere di riconoscenza verso Cristo che ha voluto che la sua Chiesa nascesse in Siria. Essa vi si è radicata e si è sviluppata, per 2000 anni, generosamente irrigata dal sangue di milioni di martiri che hanno reso sacro il suo suolo.
27 luglio: memoria di san Simeone stilita - Aleppo

Essa è sopravvissuta fino ai nostri giorni sana e fortificata dai baluardi dei suoi valori evangelici, costruiti dalle centinaia di migliaia di santi che hanno benedetto il suo popolo ed insegnato alle sue generazioni le virtù dell'onestà, dell'amore e i valori della lealtà e della generosità.


E se io voglio essere leale verso quest'eredità che Dio ci ha affidato e che è la Chiesa nel nostro paese, io devo fare l'impossibile perché essa continui e fruttifichi là dove Dio ha voluto che essa fosse radicata, sul suolo benedetto della Siria.
Che il suo divino potere la protegga e che la benevolenza e la protezione della nostra tenera madre, la Vergine Maria, ci aiutino ad andare avanti tranquilli e fiduciosi finchè dura la nostra vita.

(trad . OpS)

Vedi anche:
http://www.zenit.org/fr/articles/syrie-si-vous-nous-voulez-du-bien-aidez-nous-a-rester-chez-nous

http://www.churchinneed.org/site/PageServer?pagename=Archbisop_Jeanbart_Syria



venerdì 24 luglio 2015

Lettura della 'Laudato si': il 'bene comune' in Medio Oriente


lettera di Padre Daniel


Il nostro Papa è il primo Papa con il nome “Francesco”. Dopo tre anni, lo stile unico francescano - gesuita si evidenzia ancor più chiaramente nella sua enciclica
“Laudato si” del 24 maggio 2015. E' la prima enciclica sull'ecologia integrale e contro una società consumistica materialistica, che corrode la dignità dell'uomo. E’ vero che i suoi predecessori hanno già ampiamente trattato temi connessi alla dottrina sociale della Chiesa: il bene comune, la destinazione universale dei beni della terra, la solidarietà, la sussidiarietà e la cura per i poveri.
Sì, il mondo è la nostra casa comune. Come famiglia umana abbiamo la stessa origine, condividiamo la stessa vita e lo stesso futuro. Tutto è dato all’uomo come un puro dono per vivere e da godere. L'uomo è chiamato ad essere il direttore d'orchestra e a lodare e onorare il Creatore per la sinfonia della creazione. Non possiamo elevarci al livello di creatori, proprietari o "dominatori". E' nostro dovere l'essere buoni amministratori. 
E quello che facciamo ha un impatto sulla vita degli altri. I popoli più poveri, che hanno una voglia di vivere, vivranno, e l’Occidente ricco con la sua superiorità tecnica e militare continuerà di estinguersi. Politica, tecnologia ed economia senza etica, sono un attentato alla dignità umana. Risolvere la povertà nel mondo e allo stesso tempo continuare a sostenere le organizzazioni internazionali nei loro vari programmi di limitazione delle nascite e di riduzione della popolazione mondiale, non è solo non-efficiente, ma anche contro la dignità dell'uomo (n. 50). Ogni lotta per l'ambiente o per l'equilibrio naturale è una ipocrisia finché le nostre leggi sull'aborto resteranno in vigore (n. 120). Natura e vita devono essere protetti, ma la vita umana deve essere custodita e i più vulnerabili messi al primo posto
.
Sui tre temi principali di questa enciclica, voglio proporre qualche considerazione personale e tutto questo nel contesto dalla nostra situazione in Medio Oriente. I tre temi sono: l'unità, il dono e la vulnerabilità.

L’unità
Tutto è collegato a tutto. La vita di ogni essere umano è correlata a quella di altre persone, alla natura, all'universo e in modo finale con il cielo, con Dio. E con una società in cui tutti vivono bene, e questo non è solo fondato su una economia prospera e su una politica sana, ma tale società è soprattutto fondata su valori umani sani, che alla fine porteranno frutti solo se tutto è fondato su valori cristiani. Un uomo non può essere veramente felice quando il suo prossimo si trova in difficoltà. Un paese non può tutelare i suoi interessi in modo dignitoso senza riconoscere la sovranità degli altri paesi e senza aiutarli. Una democrazia occidentale, che ora si presenta con eccessi dittatoriali cattivi, non ha il diritto in modo arbitrario e arrogante di imporre questo tipo di democrazia: in tal modo esporterà il suo caos. Il disprezzo per i poveri nel proprio paese porta all’ oppressione delle nazioni più povere. Il sovra-consumismo e la cultura dell'usa e getta del ricco Occidente sono problemi più grandi della povertà nel Sud . Mentre la crescita economica in molte zone è stagnante, l'industria delle armi invece, e il traffico della droga, la pornografia e la prostituzione in Occidente vivono una crescita esplosiva. E’ proprio quello che causa il massacro di tanti popoli e la destabilizzazione di tanti paesi. Quello che serve al dominio occidentale, diventa 'legale' e quello che ostacola il dominio occidentale viene condannato come "contro le regole internazionali".

Il dono
La vita è il dono più prezioso e gratuito per tutti. E tutto è dono. Il Concilio Vaticano II ha applicato questo sulla dottrina del matrimonio. Il matrimonio è un dono e un bambino è un dono. Il dono reciproco e libero tra i coniugi è il cuore della loro unione matrimoniale. Questo non è stato ( neanche oggi ) notato da molti teologi occidentali e quindi questi teologi non sono riusciti a comprendere che cosa significa in realtà la contraccezione artificiale nel matrimonio. Paolo VI invece l’aveva capito e metteva nella sua enciclica “Humanae Vitae” (1968) giustamente che la contraccezione artificiale impedisce questo dono reciproco di se stesso e quindi non è accettabile. Ma il successo commerciale doveva e poteva continuare con l'appoggio dei teologi. Per mezzo secolo, la cultura occidentale contraccettiva ha contagiato quasi tutto il mondo e ha eliminato la responsabilità personale dell'uomo in molte aree. Questo è drammatico perché la responsabilità è al centro della vita umana. Oggi, il ripristino di una ecologia "umana" integrale è urgentissimo.

L’aria
L'aria, l’acqua, la terra e la sua fertilità appartengono ai doni più preziosi della creazione per l'intera famiglia umana. La natura e la terra ci offrono abbastanza per soddisfare ampiamente i bisogni fondamentali di tutti, cioè : cibo, vestiti, un tetto sopra la testa e l'istruzione primaria. Ci sono cibo, attrezzature, conoscenze e tecnologie sufficienti a disposizione per permettere a tutti di vivere come in un modesto albergo a 3 stelle. Tuttavia, la terra fornisce abbastanza per soddisfare i capricci eccentrici e l'avidità di un piccolo gruppo. Affinché pochi potessero vivere in un hotel a 5 stelle, tanti altri sono costretti a condurre un’ esistenza da schiavo. Non è anormale che ci sia una differenza tra gli individui e tra i popoli. La ricompensa per un uomo con molta responsabilità può essere più grande di quella di un operaio, ma quest’uomo deve rendersi conto che la sua festa può solo continuare grazie al lavoro del semplice operaio. Se un occidentale richiede un stipendio di 50 volte maggiore di un abitante del Mali, allora quest’occidentale è un ladro malvagio. Quando nei paesi Africani, con grandi ricchezze naturali, vivono con una popolazione poverissima, sono poi i ricchi paesi occidentali che provocano guerre solo per poter rubare le ricchezze africane. E quando il popolo palestinese riceve quattro volte meno acqua e per questo deve pagare cinque volte di più del suo occupante sionista, allora questo implica un'ingiustizia terribile.

Vulnerabilità.
Ogni cosa ha il suo ritmo che va rispettato, altrimenti l'equilibrio è rotto. Nell'uomo c’è una unità di corpo e di mente, che lo incita al lavoro fisico e mentale. C'è una alternanza di giorno e notte. Nell’anno ci sono le stagioni, ognuna con le sue caratteristiche uniche. Tutto ha le sue proprie regole. Con una sega da legno non si può segare il ferro e con pezzi di ferro non si può accendere la stufa. I requisiti generali per godersi la vita e la natura sono: la semplicità, l'umiltà, la sobrietà, la solidarietà, l'ammirazione, la gratitudine e la quiete. 
Il grande economista inglese E. F. Schumacher, che mezzo secolo fa ha lanciato una svolta economica approfondita sotto lo slogan "small is beautiful", avrebbe interpretato questa Enciclica di Francesco indubbiamente come una protesta legittima contro la società consumistica e contro l'illusione che tutto deve diventare sempre più grande, più alto e più veloce. Nel frattempo, riceviamo già i frutti amari di questo delirio di onnipotenza, sotto forma di terrore e di caos, causando masse di persone in fuga, gente che muore di fame o di miseria. In tutte le città occidentali, civili innocenti vengono quotidianamente derubati, accoltellati o uccisi. Perché? Lo stesso Occidente sta strangolando il popolo siriano, che  già ha sofferto e soffre ancora pesantemente, con sanzioni politiche, economiche, finanziarie e tecniche. Perché? La causa delle immense deforestazioni che disturba a fondo l’equilibrio e causa deserti, alla fine non trova le sue origine nelle macchine, ma nel cuore dell'uomo, che a sua volta è diventato un deserto. In effetti, in una ecologia globale, la preoccupazione o la cura per l'ambiente è necessariamente collegata alla giustizia sociale e questa esige in primo luogo una conversione/svolta del cuore. 
In altre parole, una pre-occupazione/cura ambientale globale consiste solo nella ricerca di essere un vero cristiano.

P. Daniel
(traduzione dal fiammingo di A. Wilking)

mercoledì 22 luglio 2015

Ancora nessuna notizia di padre Antoine Boutros, rapito una settimana fa


Terrasanta.net | 20 luglio 2015


Si trepida da giorni, in Siria, per il rapimento di un altro sacerdote cattolico, di cui non si hanno notizie da ormai una settimana: si tratta di padre Antoine Boutros, scomparso insieme a un laico, di nome Said Al-Abdun, mentre in auto si recavano da Shahba verso la città di Sama Hinadat, dove il sacerdote cattolico di rito melchita avrebbe dovuto celebrare la messa domenicale il 12 luglio.

Inizialmente la scomparsa dei due uomini era stata trattata con molta cautela, ma nei giorni scorsi l'arcivescovo melchita di Bosra e Hauran, mons. Nicolas Antiba, ha rotto gli indugi e confermato all'agenzia Fides che si pensa a un rapimento da parte di una banda di uomini armati dei quali è ignota l'appartenenza.

Nel clima di anarchia che vige in varie zone anche del sud della Siria le azioni di criminali comuni si assommano a quelle delle milizie armate che militano nella composita galassia dell'insurrezione antigovernativa.

Padre Boutros, analogamente ad altri esponenti del clero diocesano, è molto impegnato sul fronte dell'assistenza umanitaria alla popolazione più colpita dal conflitto in corso in territorio siriano. Il gestire le risorse finanziarie, più o meno grandi, destinate alla solidarietà, espone religiosi e sacerdoti anche al rischio di estorsioni.
Padre Boutros ha 50 anni e, come molti membri del clero cattolico melchita, è sposato. Oltre alla moglie, a casa lo attende, in ansia, una figlia.


Lo scorso 4 luglio, nel villaggio di Yacoubieh (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour) era stato rapito padre Dhiya Azziz, francescano nella Custodia di Terra Santa (vedi Fides 7/7/2015). In un primo momento il sequestro era stato attribuito al gruppo jihadista Jabhat al-Nusra, ma poi quella fazione aveva negato ogni coinvolgimento nel rapimento del frate, caduto invece vittima di uno dei tanti gruppi di miliziani che infestano la regione e realizzano rapimenti per ottenere riscatti. La vicenda di padre Dhiya si è conclusa positivamente con la sua liberazione, avvenuta lo scorso 10 luglio. 
 (Agenzia Fides 16/7/2015).