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domenica 2 luglio 2017

Fra Firas: ciò che resta è la carità

Nella guerra in Siria la Russia non è solo una presenza politica e militare, ci sono anche legami nati dalla comune radice cristiana. J.F. Thiry è andato da Mosca a Damasco per offrire l’esperienza di un lavoro culturale che aiuti a ricostruire l’uomo.
La Nuova Europa, 26 giugno
Nella ventina di progetti che i francescani di Aleppo stanno seguendo per riportare speranza e dignità in questa città siriana, divenuta simbolo della «terza guerra mondiale», c’è anche quello di usare la cultura per ricostruire ponti. Ne ha parlato padre Firas Lutfi, superiore del collegio di Terra Santa e vice-parroco di San Francesco ad Aleppo, nell'intervista rilasciata a Jean-François Thiry.
 
Qual è la situazione attuale ad Aleppo?
A partire dal 22 dicembre scorso la città sta vivendo una rinascita. Durante gli ultimi cinque anni abbiamo sentito solo il sibilo e lo scoppio delle bombe. Uno scenario di pianto, sangue, innocenti uccisi barbaramente da entrambe le parti, sia nella parte controllata dal regime sia nella cosiddetta zona orientale. Il 22 dicembre con la mediazione russa è stato raggiunto un accordo tra l'esercito siriano e le varie fazioni di jihadisti. Alcuni hanno deposto le armi e sono rientrati nella società civile, altri hanno deciso di continuare a combattere. Dunque il 22 dicembre ha segnato un nuovo inizio per questa città martire, la più colpita, che ha portato su di sé il peso della guerra. Certo, qui la battaglia è finita, ma non la guerra che si continua a combattere nel resto della Siria, a Raqqa, Idlib, nel Nord… I segni visibili della guerra sono scomparsi, riusciamo a dormire più tranquillamente, dopo notti e notti di allerta e paura!
Ma è una città in ginocchio: non dimenticherò mai l'impatto che ho avuto attraversando la cittadella, sembrava la Berlino della Seconda guerra mondiale, una distruzione totale… Ora i media occidentali non parlano più di Aleppo, come se tutto fosse tornato alla normalità. È vero che la battaglia non c'è più, ma si continua a combattere in periferia e altrove, e alla fine il dramma della guerra ricade ancora qui. Continua la carenza d'acqua, sarebbe necessario ripristinare le infrastrutture, anche se i momenti duri in cui uno doveva stare per ore ad attingere un po' d'acqua sono passati.
 
E dal punto di vista umano? Sta rinascendo una speranza? Qual è il lavoro principale da fare?
Il lavoro principale è ritrovare l'uomo. Tante ferite – come quelle sugli edifici – sono ben visibili, ma quelle che hanno segnato in profondità l'animo di ogni cittadino, sia di Aleppo Est che di Aleppo Ovest, sono sentite in modo particolare dai bambini e dagli anziani. Ci sono migliaia di anziani abbandonati dalle famiglie giovani che hanno dovuto scappare, e io personalmente lavoro nel recupero dei traumi post-bellici nei giovani. Mi sto occupando ad esempio di alcune ragazze sui 13-14 anni che hanno tentato il suicidio: c'è chi non riesce a dimenticare il momento in cui una bomba ha ucciso una compagna di scuola, chi ha perso i genitori e si trova nella preoccupazione costante di vivere da sola… Questi disturbi sono il frutto di una violenza enorme che hanno assorbito come una spugna, perciò l'animo di questi poveretti è tutto da ricostruire. Sicuramente c'è da ricostruire la struttura di una città antichissima, ma prima di tutto c'è da ricostruire l'essere umano che è stato ferito e danneggiato.
 E la vostra parrocchia come interviene?
La parrocchia prosegue quel che aveva iniziato a fare all'inizio della guerra, ad esempio distribuisce pacchi alimentari – l'emergenza non è cessata, siamo ancora in una fase di passaggio. Oppure cerchiamo di assistere le coppie giovani, perché la presenza cristiana prima era di 150mila fedeli, ora siamo rimasti solo 30mila, quindi c'è stato un calo demografico enorme, ecco perché va sostenuto il dono della vita. Seguiamo circa 800 coppie, di tutti i riti, non solo della nostra parrocchia.
La guerra, per terribile che sia, ha facilitato un contesto di solidarietà, di partecipazione, di carità, aperta ai fratelli nella fede e a tutti. Sosteniamo anche la ristrutturazione delle abitazioni, in modo che le famiglie non se ne vadano: il nostro obiettivo è anzitutto quello di aiutare i cristiani a rimanere, a non cedere alla forte tentazione di andarsene. È chiaro che il governo non riesce a coprire le esigenze e le aspettative dei cittadini, per cui la Chiesa sta supplendo anche al ruolo delle istituzioni: ce la mettiamo tutta a sostenere questa scintilla di speranza.
 Tutto ciò rientra nell'«ecumenismo del sangue»?
Sì, questa espressione l'ha usata papa Francesco quando si è incontrato con il patriarca di Costantinopoli, un bellissimo incontro che sintetizza cosa significa essere fratelli, e non solo della stessa famiglia. Il papa intende dire che quando uno jihadista sta per ucciderti non ti chiede se sei ortodosso, cattolico o protestante, ma se sei cristiano. Anche recentemente in Egitto: agli ostaggi gli jihadisti chiedevano di rinnegare la fede cristiana, non se fossero copti o protestanti… Ecco, molti innocenti sono martiri per Cristo.
Era una sensibilità già presente qui. Poi, durante la guerra, nel momento di assoluto bisogno, noi come comunità cattolica abbiamo avuto il vantaggio di avere fratelli sparsi in tutto il mondo, siamo parte della Chiesa universale, sentiamo la vicinanza dei nostri benefattori. I superiori del nostro Ordine francescano hanno lanciato l'appello già all'inizio della guerra, e l'aiuto che ci arriva lo condividiamo con i nostri fratelli, un po' come è descritto negli Atti degli apostoli.
 A Lei, come ai tanti che ancora se ne vanno, non è mai venuta la tentazione di dire «non ce la faccio»? Che cosa permette di ricominciare ogni giorno, di fronte a un lavoro così enorme?
Una volta un giornalista mi ha chiesto: Perché resti lì? Gli ho risposto: non «perché» ma «per Chi». E non è solo il mio caso, lo vedo anche nei miei confratelli. «Per Chi». Credo che abbiamo sperimentato la mano del Signore anche in mezzo al buio totale, a questo tunnel di cui non si vedeva l'uscita.
Una ragazza in confessione mi ha chiesto: ma perché Dio permette questo male, se è il Dio della bontà e della misericordia? E un'anziana: dove sono i nostri fratelli sparsi nel mondo? Perché non si muovono? Alla prima domanda mi è venuto in mente un crocifisso che abbiamo trovato in un quartiere di Aleppo completamente distrutto, era rimasto appeso senza braccia, qualcuno gli aveva anche sparato in faccia… Ecco, i segni di sofferenza ci sono, ma Lui è ancora lì, è lì «appeso», presente. È un Dio che sa condividere, che già duemila anni fa ha offerto fisicamente la vita per amore, e lo continua a fare. Qui ora siamo a Damasco, famosa per l'episodio collegato alla conversione di san Paolo. «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?», chiede Gesù – e Saulo, poveretto: ma chi sei? E lui risponde: sono Gesù che tu perseguiti. Era già morto e risorto, e si riferiva al Suo corpo mistico sofferente. Dio è fortemente presente accanto a chi soffre e piange.
Dove sono i nostri fratelli? Siamo dei testimoni perché facciamo da ponte, nel corpo soffriamo con chi soffre, gioiamo e diamo speranza a chi l'ha persa. Però sappiamo che dall'altra parte del continente ci sono molti amici che pregano per noi, ci sostengono fortemente in questa unità di preghiera, siamo corpo di Cristo, membra gli uni degli altri. Certo, anche il sostegno economico è indispensabile per sostenere questa speranza. Non posso limitarmi a consolare un povero dicendo: beh, io non ho niente da darti, ma intanto preghiamo insieme… No: qualcosa ce l'abbiamo, ed è un dono di Dio e dei fratelli.
 
Cosa ritiene che l'Europa, o la Russia, possano fare?
Il primo dono che ogni siriano desidera è la pace. Se soffriamo è per la guerra. Qualcuno, con la violenza, ha cercato di dividere la società che era già diversificata, era un mosaico di etnie, confessioni e culture. Qualcuno ha gettato benzina sul fuoco della divisione, per questo il primo dono che desideriamo è la pace.
La Russia può e dovrebbe – non da sola – trovare modi per far sì che si ponga fine a questa guerra che non è semplicemente una guerra civile, perché non sono solo i siriani che combattono fra di loro, ma esistono tante fazioni con un altissimo numero di mercenari stranieri che combattono per interesse. La Russia, l'America, non dovrebbero guardare alla Siria solo considerando i propri interessi, ma aiutare il paese a ottenere la stabilità, e un segno concreto sarebbe la rimozione dell'embargo economico. La guerra in Siria è la più terribile del XXI secolo, molto complessa, anche perché legata all'Iraq, alla Libia, all'intero Medio Oriente.
Noi come francescani in Siria costruiamo la pace ogni giorno, con gesti apparentemente insignificanti. All'istituto di teologia per laici, di cui sono direttore, vengono ortodossi, cattolici… Sono responsabile di una realtà bellissima, perché varia, e lì sperimento come si può costruire la pace, mettendo assieme piccoli mattoni.
Lo so, dopo le nostre testimonianze in Occidente, ci chiedono: concretamente, cosa possiamo fare? L'invito primo e più efficace è l'unità spirituale, la preghiera, perché siamo veramente il Corpo mistico, come scrive san Paolo ai Corinzi: se un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui. In questo momento le membra di Cristo sofferenti patiscono in Siria tantissimo. D'altra parte è altrettanto importante la carità concreta, visibile. La carità nel Vangelo è stata sempre concreta: nessuno ha un amore più grande di chi dà la propria vita. L'amore allora non è solo sentimento ma la vicinanza concreta al prossimo, una piccola somma, qualche piccolo sacrificio: quanti amici hanno rinunciato ai doni del matrimonio per aiutare la Siria! Ultimamente un amico vescovo appena ordinato in Germania mi ha detto: le offerte della messa di ordinazione verranno inviate per sostenere il progetto di assistenza psicologica ai bambini.
Mi viene in mente madre Teresa, che era un'esperta nell'aiutare i poveri, e diceva che ogni gesto di bene che si fa è una goccia nell'oceano, e che l'oceano non sarebbe lo stesso senza questa goccia.
Tutto ciò aiuta a dare speranza, a dare le ragioni per rimanere e continuare la presenza dei cristiani. Un travaglio come questo genera una cristianità più purificata e motivata. Se il Signore ci ha voluti lì è perché c'è una missione, dobbiamo portare sempre l'amore di Cristo verso ogni persona, essere dei ponti di riconciliazione e dialogo. Penso a tutto il Medio Oriente con le sue religioni monoteiste, dove i cristiani fanno da ponte perché hanno una parola magica… poco conosciuta dalle altre: il perdono! Siamo portatori di pace, carità, servizio, e durante la guerra ci siamo resi conto che questa carità visibile e umile riesce a conquistare l'altro. Non facciamo proselitismo, ma la carità resta impressa nel cuore. Mi ha raccontato un musulmano russo, venuto in visita dalla madre ad Aleppo, che lei era così contenta quando gli ha mostrato una coperta donatale dai cristiani, e le scarpe distribuite dalla Caritas. Mi ha detto: Quello che fate rimarrà sempre impresso nella memoria. È quello che scriveva san Paolo: la carità è ciò che resta.
 
E come è possibile fare un'offerta, dare un aiuto concreto?
Tramite il 
fondo ATS .

giovedì 29 giugno 2017

La 'pax americana' che minaccia nuova guerra mondiale


Piccole Note, 28  giugno 2017

Stati Uniti e Francia stanno coordinando un’azione comune in caso di attacco chimico di Assad. Probabile che l’asse franco-americano andrà a saldarsi il 14 luglio, quando il presidente degli Stati Uniti si recherà a Parigi per la commemorazione della presa della Bastiglia.

Significativa la tempistica: due giorni fa la Casa Bianca ha annunciato di avere le prove che Assad si accingerebbe a usare nuovamente le armi chimiche nel conflitto che da anni dilania il Paese.

Il giorno successivo le agenzie diffondono il contenuto di una conversazione telefonica intercorsa tra Donald Trump e il presidente francese Emmanuel Macron, i quali avrebbero concordato sulla necessità di «lavorare a un risposta comune» in caso di un attacco chimico.

Oggi la notizia che il presidente americano ha accettato di partecipare alle celebrazioni del 14 luglio è stata rilanciata con enfasi insolita da media e Tv.

Tutto è pronto per una nuova guerra neocon. Questo nonostante la Russia abbia avvertito in maniera categorica che ritiene «inammissibile» un intervento straniero in Siria, il che vuol dire che siamo sull’orlo di un vero e proprio baratro.

Ovviamente Assad non ha alcun motivo di portare un attacco chimico, dal momento che sta letteralmente sgretolando i suoi avversari, ovvero i terroristi armati e finanziati dalle Petromonarchie del Golfo e dall’Occidente, i quali, a breve, saranno costretti a capitolare sotto la spinta inarrestabile dell’esercito siriano e delle milizie sciite alleate di Damasco.

Da questo punto di vista, Assad non ha alcun motivo di portare un attacco chimico, dal momento che sarebbe un vero e proprio suicidio politico-militare.

Allo stesso tempo, gli sponsor dello jihadismo internazionale che hanno lavorato attivamente per attuare il regime-change in Siria reputano «inammissibile» che il loro piano venga vanificato, anzi ribaltato dall’evoluzione del conflitto.

Infatti, se non si verificheranno imprevisti, la guerra porterà alla creazione della mezzaluna sciiita, che congiungerà Teheran a hezbollah, una ipotesi geopolitica che prima della guerra non era neanche contemplata nel campo delle possibilità.

Per scongiurare tale evoluzione del conflitto serve un intervento diretto dell’Occidente, simile a quello realizzato in Iraq o Libia. Il problema è che in Siria ci sono i russi e tutto andrà a complicarsi dal momento che Mosca non può accettare tale eventualità.

A quanto pare la possibile risposta russa non rappresenta un freno per i neocon. L’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley ha anzi messo anche Mosca e Teheran nel mirino: in caso di attacco chimico saranno ritenute complici del regime di Damasco, il che vuol dire che anche l’Iran subirà l’intervento americano.

Siamo sull’orlo di una guerra nucleare? Il rischio c’è. Perché i neocon hanno fatto della follia la cifra della loro proiezione globale. Tanto da non escludere, anzi, un conflitto diretto con la Russia. L’opzione apocalisse, appunto, che resta come orizzonte ultimo della loro dottrina esoterica.

Pare che il Pentagono freni, come dimostrano le parole del segretario alla Difesa James Mattis, il quale, in una conferenza stampa tenuta ieri (cliccare qui), ha affermato che gli Stati Uniti non vogliono essere trascinati nella guerra civile siriana e ha elogiato il funzionamento del meccanismo di deconflicting che ha impedito incidenti tra russi e americani durante il conflitto.

Probabile che non sia il solo generale americano a comprendere la portata della follia che si sta preparando, ma lo scontro tra tali ambiti e i neocon si annuncia all’ultimo sangue. Per questi ultimi, infatti, quella che si annuncia è una battaglia esistenziale; e a costo di non perdere sono disposti a tutto.

Come dimostra quanto si sta preparando. Dapprima l’accusa della preparazione di un attacco chimico (del quale, al solito, non vengono mostrate prove), accusa che andrà poi ad avverarsi attraverso una montatura, una delle tante di questa sporca guerra.

Il fatto che l’opinione pubblica possa avere coscienza di un artificio fabbricato ad arte per iniziare una guerra non ha la minima importanza. Anzi, rappresenta una ulteriore dimostrazione di forza degli ambiti neocon, dal momento che in questo modo dimostrano di non aver neanche bisogno di una giustificazione credibile per dare inizio a una guerra.

Frenare tale deriva si annuncia esercizio difficile. Si può solo sperare che gli uomini di buona volontà, che pure restano in Oriente come in Occidente, riescano, nonostante i forti venti contrari.

Nota a margine. Per chi non l’avesse letto, rimandiamo all’articolo di Seymour Hersh sul presunto attacco chimico portato dall’aviazione di Assad a Khan Sheikhoun (cliccare qui).

martedì 27 giugno 2017

mons. Pizzaballa, “a salvare i cristiani sarà la loro testimonianza”.


di Daniele Rocchi, 27 giugno 2017

Siamo in un periodo di cambiamenti epocali. Non sappiamo come sarà il Medio Oriente del futuro. In Terra Santa la situazione è bloccata, non ci sono negoziati in corso ma solo la politica dei fatti compiuti sul terreno. Da una parte, Israele che si sente il più forte e, dall’altra, i palestinesi, deboli e divisi. L’Isis fisicamente non è presente in Terra Santa, lo è invece la sua ideologia estremista. Cresce l’estremismo anche tra gli ebrei e cresce la preoccupazione tra le minoranze, soprattutto tra i cristiani”. Ad un anno dalla sua nomina, 24 giugno 2016, ad amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, già custode di Terra Santa, traccia un bilancio del suo mandato allargando lo sguardo a tutto il Medio Oriente e lanciando un appello a oltre 200 giornalisti cattolici riuniti nei giorni scorsi in un meeting nazionale a Grottammare 

Il Medio Oriente – dice mons. Pizzaballa – non sarà più lo stesso. Ci vorranno generazioni per ricostruire le infrastrutture ma soprattutto un tessuto sociale stabile e solido. La guerra in Siria e in Iraq ha fatto saltare tutto, compresi i rapporti tra le diverse comunità. Città come Aleppo, in Siria, i villaggi cristiani della Piani di Ninive, un tempo occupati da Isis, sono in larga parte distrutti. A Betlemme, nel 2016, sono emigrate circa 130 famiglie cristiane, 500 persone, tutte con figli in cerca di un futuro migliore”.

Mons. Pizzaballa, qual è oggi il tratto più distintivo delle comunità cristiane mediorientali?
La grande testimonianza. È vero, molti sono partiti, ma chi è rimasto testimonia la sua fede non nel chiuso della propria casa ma aiutando anziani, bambini, disabili, rifugiati, incontrandosi per pregare. Sono rimasto colpito dai giovani cristiani di Aleppo, che a sprezzo del pericolo distribuivano acqua a chi aveva bisogno, ricordo famiglie cristiane di villaggi siriani controllati da Al Nusra, che, ben sapendo che nell’islam l’alcool è bandito, nascondevano il vino per la messa nelle case per poter celebrare la messa. E come non citare il grande impegno dei cristiani di Giordania e Libano nell’accoglienza dei rifugiati di Siria e Iraq. In Israele oggi vivono 125mila cristiani, 11mila abitano a Gerusalemme, in Palestina appena 40mila. Questi sono i numeri. Tuttavia sono convinto che
il cristianesimo in Medio Oriente non sparirà. La nostra forza non è nei numeri ma nella testimonianza.

Da un anno è amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, quale bilancio può tracciare e quanto pensa potrà durare ancora il suo incarico?
È stato un anno molto difficile.
Stiamo vivendo un tempo di transizione ed è impensabile credere che le crisi epocali che stanno segnando il Medio Oriente non tocchino anche la Chiesa. Non c’è una Chiesa in tutto il Medio Oriente che sia in ordine.
E non parlo solo di quelle cattoliche. Per quanto mi riguarda i problemi del Patriarcato latino sono di due generi: di vita ecclesiastica interna e di tipo economico, debiti tanto per essere chiari. In questo primo anno ho lavorato molto con i preti incontrandoli, uno ad uno, nelle loro case, per capire e ascoltare. Nei giorni scorsi due terzi dei sacerdoti sono stati spostati, vescovi inclusi. Ora, dopo un anno, le tensioni si sono sciolte. La sfida è andare avanti in questa direzione e pagare i debiti. Nessuno ci darà i soldi pertanto dovremo vendere alcuni “asset”. Ne verremo a capo certamente. Quanto durerà il mio incarico? Non ne ho idea. La figura di amministratore non può durare in eterno. Ho fatto un anno, forse ne prevedo un altro. Il mio compito è preparare le condizioni perché il futuro Patriarca possa operare in un contesto interno di serenità.

La stessa serenità che manca a tutta la Terra Santa a causa del conflitto ancora aperto, per non parlare del muro di separazione, dell’occupazione militare, delle colonie. La tanto auspicata soluzione “Due popoli, due Stati” è forse tramontata?
Per quanto riguarda il negoziato siamo molto lontani da questo obiettivo. Come cristiani dobbiamo tenere viva l’attenzione sulla necessità del dialogo. Tecnicamente la Soluzione “due popoli due stati” è molto complicata, ma non vedo alternative possibili.
Il muro è una ferita profonda nella storia, nella geografia e nella vita del Paese.
Oggi non se ne parla più anche nell’opinione pubblica. Sembra quasi digerito. Ma non dobbiamo continuare a fingere che la ferita non ci sia. Il nostro compito è quello di parlarne, in maniera chiara e rispettosa, non faziosa. Le colonie e i confini sono un problema, insieme allo status di Gerusalemme. La versione definitiva dei confini tra i due Stati e la rimozione (o meno) delle colonie è uno degli argomenti più dolorosi della crisi poiché influisce sulla vita dei territori in modo pesante soprattutto sui palestinesi. Qualunque Governo farà molta fatica a cambiare la situazione sul territorio anche per i costi, umani, sociali, economici. Tutto ciò rende lontana una prospettiva futura stabile.

Gerusalemme: la Città Santa sta subendo una progressiva ebraicizzazione. Si tratta di un nodo difficile da sciogliere che non può vedere i cristiani fare solo da testimoni…
Il futuro di Gerusalemme viene deciso oggi: chi compra decide.
Se compreranno i musulmani ci saranno musulmani, se comprano gli ebrei ci saranno ebrei, difficile che ci saranno cristiani. Non abbiamo le possibilità e le risorse per competere in questo contesto. A suo tempo come Custodia ci spendemmo molto per edificare 80 appartamenti, permessi, burocrazia lenta, ostacoli di ogni tipo. Oggi con un decreto se ne costruiscono 8.000. Ma è fuori discussione che il carattere di Gerusalemme è universale. La città deve garantire costituzionalmente libertà di accesso, di movimento, di azione, di espressione a tutte le comunità, a prescindere dai loro numeri.

Gerusalemme, città aperta?
Certamente. Non spetta alla Chiesa, alla Santa Sede, stabilire i confini. Su questo devono mettersi d’accordo le parti in lotta. Noi abbiamo il dovere di dire i criteri per definire l’assetto futuro della città. I criteri sono che tutti hanno uguale cittadinanza.
Ciò significa avere tutti gli stessi diritti. Quando si parla del futuro di Gerusalemme i riferimenti sono solo a ebrei e musulmani, i cristiani non sono tenuti molto presenti. Vero anche che negli ultimi 15-20 anni non ricordo un solo discorso della Chiesa cattolica su Gerusalemme. Protestanti e ortodossi sono molto più presenti di noi nel dibattere la questione della Città Santa. Sarebbe importante invece dire una parola a riguardo.

Che impatto avrebbe sulla situazione l’eventuale scelta di Trump di trasferire l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme?
Sarebbe come mettere un cerino dentro una tanica di benzina.

Prima invocava il tema della cittadinanza come uno dei criteri per definire gli assetti futuri di Gerusalemme. Per quale motivo?
È la sfida del futuro. La comunità internazionale deve prestare molta attenzione a questo tema soprattutto adesso, preoccupandosi non solo del business della ricostruzione del Medio Oriente ma anche di far sì che si ricostruiscano Legislazioni e Costituzioni.
Il diritto di cittadinanza è determinante, per questo, credo che gli aiuti debbano essere condizionati al suo rispetto: tutti i cittadini sono uguali.
Non si creino riserve indiane per cristiani, sunniti, sciiti, yazidi, curdi e via dicendo. Il modello di convivenza in Medio Oriente, basato su identità tra fede e comunità, oggi è fallito. La convivenza deve basarsi su altre prospettive. Il tema è la cittadinanza e non la laicità positiva che non esiste in Medio Oriente.
Cittadini, curdi, yazidi, cristiani, sunniti, sciti, turcomanni, tutti con gli stessi diritti, libertà di coscienza in primis. Ricostruire il Medio Oriente senza inquadrare questi aspetti sarebbe un fallimento e l’anticamera delle crisi future. Su questo noi cristiani dobbiamo lavorare e insistere. La presenza cristiana obbliga tutte le società in Medio Oriente, e le relative maggioranze islamiche, a interrogarsi su questo aspetto da una prospettiva diversa che non è quella musulmana.

Come sono invece i rapporti tra la Chiesa e Israele?
Ci sono due aspetti da considerare: quello del negoziato tra Stato di Israele e Santa Sede e quello della vita ordinaria della Chiesa locale.
Circa il concordato che definirà dal punto di vista legale il futuro della Chiesa in Israele, esso è in dirittura d’arrivo. La firma potrebbe arrivare entro quest’anno. Poi bisognerà interpretare l’accordo.
Per quel che riguarda la vita ordinaria della Chiesa locale non c’è alcun atteggiamento di Israele. Praticamente non esistiamo. Guardiamo alle scuole: si concedono contributi agli istituti privati meno che a quelli cristiani e, comunque sia, sempre in misura minore che in passato. Come cristiani dobbiamo essere più presenti nel territorio, non possiamo solo lamentarci.
Compito della Chiesa è costruire relazioni sempre più positive con Israele per far capire che siamo una realtà del territorio con cui devono fare i conti. Purtroppo molto spesso le scelte che vengono fatte non ci tengono in nessuna considerazione.

Da tempo i pellegrinaggi sono in calo, complici anche le tensioni in Medio Oriente che allungano ombre sulla sicurezza dei fedeli. Cosa fare per rilanciarli?
La Terra Santa è sicura. I pellegrinaggi sono un sostegno ai cristiani locali perché portano lavoro. Sarebbe utile che i vescovi italiani prendessero a cuore il pellegrinaggio in Terra Santa magari lanciando una sorta di campagna nazionale come accadde nel 2000.

Oltre al pellegrinaggio quale altro strumento può rivelarsi utile per sostenere la Terra Santa e i suoi cristiani?
La comunicazione. Ai giornalisti dico: continuate a parlare di Gerusalemme e della Terra Santa, non solo attraverso la lente del conflitto e delle tensioni ma raccontando le cose belle che ci sono. Venite in Terra Santa.
Non c’è evangelizzazione senza comunicazione. E l’evangelizzazione non può prescindere da Gerusalemme.
Non si può parlare di Cristo senza parlare dei Luoghi dove ha vissuto e dove la sua comunità ne custodisce la memoria. Mostrate che in ogni situazione, anche la peggiore, c’è sempre una luce, per quanto piccola, da cui ripartire.
Raccontate le occasioni di incontro, di dialogo, che in un contesto così drammatico dimostrano che non è tutto odio, rancore, guerra e armi.

https://agensir.it/mondo/2017/06/27/medio-oriente-mons-pizzaballa-a-salvare-i-cristiani-sara-la-loro-testimonianza-a-gerusalemme-fondamentale-il-diritto-di-cittadinanza/

sabato 24 giugno 2017

"La testimonianza della carità è la via reale dell'evangelizzazione": il servizio dei Maristi Blu


 Il servizio dei « Maristi Blu » - Nabil Antaki / Georges Sabe
Famiglia Cristiana: 13/06/2017 
 - di  Antoine-Marie Izoard
Mentre batte il sole di giugno, le strade di Aleppo sono quasi deserte in questo Venerdì di Ramadan; ma c'è dell'agitazione nel quartiere di Mohafazat: nei pressi del Collegio Champagnat, alcuni minibus vanno e vengono.
Oggi, come accade un venerdì di ogni mese, quasi trecento famiglie di famiglie di Cristiani sfollati vengono a ritirare dai "Maristi Blu" un po' di cose con le quali vivere più dignitosamente. Uno dopo l'altro, padri e madri di famiglia ricevono delle borse di plastica ben riempite: Un "cesto alimentare", con gli spaghetti, del boulgour, dell'olio, del tè, dello zucchero, del formaggio; un "cesto sanitario", contenente sapone, del dentifricio, detersivi per stoviglie e per il bucato e beni di altro tipo. Ricevono anche un buono d'acquisto di 9.000 lire siriane (circa 38 €.) che permetterà loro di procurarsi dei vestiti nuovi, così come denaro contante per potere pagare pochi Kw/h di elettricità per far funzionare una lampadina ed un televisore, alimentati dai grossi generatori che sono sistemati lungo le strade. Per la metà di queste famiglie è la disoccupazione. Per un altro buon numero, il magro stipendio dei genitori basta appena per procurarsi del pane, con un'inflazione galoppante.
Atti di "solidarietà", più che di "carità"
Dietro i tavoli, il Fratello Georges Sabe e il Dott. Nabil Antaki coordinano questa distribuzione condotta da una ventina di volontari in maglietta blu (il colore dell'abito dei primi Fratelli Maristi intorno a Marcellin Champagnat, fondatore della congregazione all'inizio del XIX° secolo). In questa vecchia caserma del tempo dell'occupazione francese, la distribuzione è organizzata minuziosamente, ma i volontari si intrattengono con ciascuno in un'atmosfera di gioiosa accoglienza: "Non si fa la carità, spiega il Dr. Antaki, ma un'opera di solidarietà."
Questa settimana è la volta dei cristiani della collina di Al Saydé, sfollati dal loro quartiere quando questo è stato invaso dai ribelli il Venerdì Santo del 2013. Ogni mese, sono in totale circa un migliaio le famiglie, tra cui un terzo di musulmani, che affollano la sede dei "Maristi Blu".
"Aiutare i musulmani è la testimonianza che si può vivere insieme," spiega il Dott Antaki.
Jonny e Marie hanno ritirato i loro preziosi sacchetti di plastica e si preparano a risalire sul bus per tornare al loro alloggio temporaneo, parzialmente finanziato dai "Maristi Blu." Questa coppia di fedeli greco-ortodossi non sa se potrà tornare un giorno a vivere nel proprio appartamento; ma Maria è entusiasta di portare il latte, il formaggio, e del patè ai suoi due bambini di 4 e 7 anni. "E' la cosa più importante", ci confida.
Curare un rapporto delicato coi musulmani.  

Mentre continua la distribuzione, risa di bambini risuonano in un cortile, dietro l'edificio. Alcuni adolescenti giocano. Mentre si agitano su un'immensa scacchiera colorata, il Fratello Georges spiega che quest'altro progetto dei Maristi è un luogo di educazione alla pace. "Bisogna insegnare loro a crescere insieme. Nella crisi attuale, accompagnare questi giovani che sono segni di speranza, è un investimento sul futuro." La questione del rapporto con l'altro, coi musulmani in particolare, è fondamentale per i Fratelli Maristi. "Abbiamo relazioni molto buone coi musulmani, il problema sono i fanatici", confida il Fratello George, prima di sottolineare l'importanza di curare i rapporti coi fedeli dell'Islam, "una relazione delicata come un merletto.".  Per continuare a tessere dei legami tra i giovani, i maristi preparano i campi estivi che verranno animati dai capi scout.
Nel frattempo, nel centro di Aleppo, le donne si affollano davanti a una piccola finestra aperta sulla strada. Questo è il programma chiamato "la goccia di latte" : Ogni mese, i Maristi offrono alle famiglie cristiane, del latte in polvere per i bambini di età compresa tra 1 e 10 anni, così come scatole di latte per i neonati. Quasi tremila bambini ne traggono beneficio.
L'assistenza fornita dai Maristi Blu comprende anche un programma per la lotta contro l'analfabetismo, un laboratorio di taglio e cucito per aiutare le donne a ritrovare un impiego, e anche altre iniziative per i più giovani. Il programma "voglio apprendere" accoglie un centinaio di bambini tra i 7 e i 13 anni che non frequentano la scuola. Alcuni volontari tengono loro dei corsi per insegnare a leggere, scrivere e far di conto.
Su iniziativa del Dr. Antaki, i Fratelli Maristi curano gratuitamente i civili, di ogni confessione, feriti da arma da fuoco o per schegge di granata, all'ospedale Saint-Louis. Un altro progetto finanzia mensilmente un centinaio di altri atti medici (interventi, visite, esami, cure) per quelli che non hanno i mezzi per pagarsi il costo di un'operazione chirurgica, di un'ospedalizzazione o di un semplice esame. Lungi dal rinunciare, laici e Fratelli Maristi vogliono continuare ad instillare la speranza ad Aleppo. "La testimonianza della carità è la via reale dell'evangelizzazione", ci ripete il Dr. Antaki, citando Papa Francesco.

lunedì 19 giugno 2017

'Senza Putin, la Siria avrebbe cessato di esistere': intervista a padre Daniel Maes

Secondo il padre fiammingo Daniel Maes, che vive in Siria dal 2010, la copertura della guerra in Siria si basa su menzogne. Il Presidente Bashar al-Assad non è il problema, ma lo sono invece i nostri politici, che sostengono l'ISIS e Al Nusra, solo per rovesciare il governo siriano. "I veri capi terroristi si trovano nell'Occidente e nell’ Arabia Saudita".
Padre Daniel Maes,79 anni, è tornato nel suo paese natale, il Belgio, per trascorrere un periodo nell'Abbazia Norbertine al villaggio fiammingo Postel. Nel 2010 ha lasciato il Belgio per la Siria, quando il Paese non era ancora in guerra. A Qara ha vissuto momenti critici, soprattutto quando il villaggio di 25.000 persone è stato invaso da un esercito ribelle di circa 60.000 uomini.
Adesso Padre Daniel Maes è in Belgio per recuperare le forze dopo essersi ammalato in Siria (' ho pensato: è la fine ') e non tollerava più la cucina locale. Ma è venuto in Belgio anche per raccontare alla gente in Occidente la "vera storia" della Siria, poiché i media mainstream non scrivono la verità.Verso metà giugno ritornerà con le valigie pieno di aiuti umanitari per la popolazione siriana bisognosa.

Intervista di Eric van de Beek 
Russia Insider, 13 giugno 2017
  
Lei vive in un monastero risalente al sesto secolo D.C., in un paese lontano da casa. Perchè?
Sono arrivato a Qara su invito della madre superiora, Suor Agnes-Mariam. È un bel personaggio. Per anni, lei ha girovagato il mondo come un' hippie. E lei ha il dono di modernizzare la vita del monaco, mantenendone comunque l'autenticità. Nel monastero Mar Yakub io ho trovato quello che avevo cercato per tutta la mia vita: entusiasmo carismatico, apertura ecumenica, opera missionaria e la cura per i poveri. Il monastero era un rudere quando madre Agnes-Mariam l’ha scoperto nell'anno 2000 e dopo sotto la sua guida è stato restaurato in modo splendido. Sono venuto come un turista e l’avrei lasciato come un turista, ma madre Agnes-Mariam mi ha chiesto se volevo organizzare un anno propedeutico in questo monastero, cioè una preparazione per la formazione al sacerdozio, il primo seminario cattolico di tutta la Siria, e così ci sono rimasto.

Qual era la sua impressione della Siria prima della guerra?
Era un bellissimo paese. Come mi aspettavo, mancava la libertà politica. Ma sono soprattutto rimasto sorpreso in modo piacevole. Ho apprezzato molto l'ospitalità orientale, e ho sperimentato una società pacifica e ordinata che non avevo mai sperimentato prima nel mio paese o altrove. Rubare e insolenza erano praticamente inesistenti. Molti gruppi religiosi ed etnici vivevano in armonia tra loro.
Il paese non aveva debiti e non c'erano i senzatetto. Al contrario, oltre 2 milioni di rifugiati dai paesi vicini, come l'Iraq, erano curati e trattati nello stesso modo dei nativi siriani. Inoltre, la vita quotidiana era molto economica, come il cibo. Scuole, Università e ospedali erano gratuiti anche per noi stranieri. Ho parlato con un chirurgo francese che mi ha detto che gli ospedali in Siria erano meglio di quelli in Francia.

Come è cominciato il conflitto in Siria? L'opinione prevalente in Occidente è che le prime proteste a Homs sono iniziate pacificamente, e che le cose sono precipitate (escalation) perché il governo ha reagito in modo violento.
Questo è una sciocchezza totale. Ho visto con i miei occhi come questa cosiddetta sollevazione popolare si è presentata a Qara. Un venerdì sera, nel novembre 2011, sulla strada verso il Vicariato dove ero invitato, ho visto un gruppo di circa quindici giovani presso la Moschea centrale. Gridavano che Assad era un dittatore, e che doveva lasciare il paese. Poi ho visto altri ragazzi che hanno fotografato queste scene. Hanno fatto tantissimo chiasso che mi ha dato i brividi. L’ho riferito al Vicario, ma lo sapeva già. Ha detto che già da tempo erano venuti qui alcuni uomini da fuori della Siria, per fare rumore, e invitando i giovani locali a scattare foto e video. Se consegnavano questi materiali ad Al Jazeera, avrebbero ricevuto denaro. "

Questo succedeva nello stesso tempo in cui è iniziata la violenza a Homs?
Doveva essere intorno a quel tempo. Il padre olandese Frans van der Lugt, che viveva a Homs e fu poi ucciso lì, aveva anche visto e segnalato tutto questo nelle sue lettere dove scriveva anche che non era la polizia che ha iniziato a sparare, ma invece i terroristi nascosti tra i manifestanti.

Il ministro olandese degli affari esteri Bert Koenders ha dichiarato che Assad dovrebbe essere processato dalla Corte penale internazionale dell'Aia per i crimini di guerra.
Koenders è proprio come gli altri cosiddetti leader europei. E’ un ragazzino che fa il gioco di imperatore, pur non accorgendosi di non aver vestiti addosso. Chiunque, anche con mezzo cervello può vedere che lui è un burattino degli americani, dicendo esattamente le cose che è costretto a dire. Colui che serve gli interessi di potenze straniere e distrugge la vita delle persone di altre nazioni è un leader terrorista, indegno del nome di un uomo di stato.

Assad non ha sbagliato niente?
Guarda l’attacco con il gas velenoso in Goutha, vicino a Damasco, nel 2013, per cui Assad è stato accusato immediatamente. È così difficile capire che i terroristi erano dietro tutto questo?
Un anno prima dell’attacco con il gas velenoso, Obama ha detto che , "l'uso di armi chimiche implica una linea rossa". In quel momento ogni giornalista dovrebbe aver pensato: "questo suona come il Presidente Bush, il quale ha detto che " entro 48 ore, le armi di distruzione di massa dell'Iraq devono venire alla superficie".
Ma i giornalisti si lasciano di nuovo ingannare.
Una Commissione internazionale d'inchiesta è stata inviata a Damasco, accompagnata dai media di tutto il mondo, e subito dopo il loro arrivo, c'è stato questo attacco enorme di gas velenoso, praticamente sotto il loro naso. Che tempismo, no? E questo precisamente a Ghouta, che è un'area disabitata, dove il popolo era già fuggito molto tempo fa. Entro due ore sono saltate fuori immagini con bambini morenti nelle stanze. Immagini di una qualità da Hollywood. Hanno scoperto che alcune foto sono stato scattate molto tempo prima e altre foto solo due ore dopo l'attacco. E da nessuna parte c’erano in vista le madri in lutto.
Tuttavia i padri e le madri erano assolutamente in lutto, ma essi non vivevano a Ghouta. I padri e le madri si trovavano a 200 chilometri di distanza, nei loro villaggi nei dintorni di Latakia. Loro hanno riconosciuto i loro figli nelle foto. Due settimane prima dell'attacco di gas velenoso infatti, i loro villaggi erano stati attaccati dai terroristi, che avevano rapito i loro figli. Così, questi bambini nelle immagini erano infatti bambini rapiti da Latakia, che sono stati uccisi per fare un colpo mediatico. Com'è possibile che ci siano tanti stupidi giornalisti che non hanno capito questo? Tutto questo è ben documentato nella relazione della madre Agnes-Mariam.

Pensa che non siano stati commessi affatto crimini di guerra da parte delle autorità siriane? Nel mese di febbraio, Amnesty International ha pubblicato un rapporto su esecuzioni di massa in un prigione vicino a Damasco.
Se, come giornalista, vuoi sapere cosa sta davvero succedendo in Siria, devi venire personalmente in Siria per scoprire la verità invece di leggere solo i rapporti di Amnesty. E io vi chiedo: come è possibile che un presidente che ha commesso tanti crimini di guerra contro il suo popolo sia ancora vivo e non ancora assassinato in un paese affollato di terroristi assassini? E perchè si vedono allora così tante persone in Siria con una foto di Assad sui finestrini delle loro auto?

Cristiani, sciiti, drusi e alawiti forse. Ma anche sunniti? 

Assolutamente. La stragrande maggioranza dei sunniti è pro Assad. Se tu vieni a Tartous, dove vivono molti sunniti, vedrai non solo immagini di Assad, ma anche di Putin.

Per il rapporto di Amnesty sulla prigione di Saydnaya, decine di testimoni sono stati intervistati.
Questo è falso. L'ultima storia è che Assad ha cremato migliaia di persone in quella prigione. Questo non può essere vero. Questa prigione è così piccola, che non avrebbero mai potuto fare questo in un breve periodo di tempo.

Amnesty ha anche detto che non può confermare la storia degli US di cremazioni.
Ma Amnesty non lo ha neanche negato. E nel frattempo, i media hanno ripetuto questa ridicola denuncia così spesso che il pubblico ha iniziato a credere che sia la verità.

Come vede il ruolo del giornalismo? Come è possibile che il loro punto di vista sulla Siria sia così diverso dal suo?
Per questo devi leggere quel libro del giornalista tedesco Udo Ulfkotte: “Bought Journalists” (giornalisti comprati), che scrive della sua propria esperienza. Quando si va contro l’opinione dominante e non si segue lo ‘script’ (la versione corretta), arriva inevitabilmente lo scontro con i Poteri di fatto. E come conseguenza ti mettono fuori dal mercato.
In un certo senso posso capire questi giornalisti. Hanno spesso una famiglia di cui prendersi cura.
Ma io non sono assolutamente in grado di capire come un'organizzazione come ‘Pax Christi’ supporta l'assassinio dei cristiani siriani. Agendo nel nome delle comunità ecclesiali, essi promuovono e sostengono questi cosiddetti "ribelli moderati". In questo modo essi si sono messi completamente contro i cristiani, i vescovi e i Patriarchi in Siria.
Ho visto una presentazione di un cosiddetto esperto di Medio Oriente di Pax Christi. Alla fine del suo intervento, ha mostrato le sue fonti. Erano: Al Jazeera, Al Jazeera e Al Jazeera.

Perche tanti paesi vogliono sbarazzarsi di Assad?
Nel 2009 il Qatar domandava a Bachar-al-Assad il permesso di far passare un ‘pipeline’ attraverso la Siria verso il Mediterraneo. Assad ha detto di no perché aveva già concesso a Iran e la Russia tale progetto. Poi è cominciata la guerra, e non nel 2011. Non dobbiamo dimenticare che Homs è un luogo importante per il passaggio del ‘pipeline’. Perciò non è una coincidenza che la violenza è iniziata proprio in Homs e che la stazione televisiva del Qatar, cioè ‘Al Jazeera’ lo trasmetteva nel dettaglio.

E gli altri paesi? Perché trattano Assad con tanta ostilità? 
Per l'Occidente, è inaccettabile che la Siria sia ancora uno dei pochi paesi con una banca centrale che è veramente indipendente e che il paese non avesse nessun debito di stato e così non avesse bisogno di essere 'salvato'.
E i turchi vogliono solo far rivivere l'Impero ottomano. È scandaloso quello che hanno fatto in Aleppo. La città di Aleppo era il cuore industriale della Siria. I turchi hanno smantellato tutte le fabbriche in pochi giorni e hanno trasportato il tutto in Turchia.

Israele è anche un motore molto importante dietro il conflitto. I sionisti vogliono uno stato ebraico puro dal Nilo all'Eufrate. Vogliono tagliare la Siria in Stati piccoli, deboli, che lottano l’uno contro l'altro. Come il vecchio motto romano: ‘divide et impera’: dividi e domina. Gli israeliani stanno bombardando la Siria, mentre curano i terroristi feriti e forniscono armi.
Penso che il sionismo è così male per l'ebraismo come ISIS lo è per l'Islam. Ma non lo diciamo ad alta voce, perché molti potrebbero prendersela.

Gli israeliani dicono che hanno preso parte al conflitto a causa della presenza delle milizie di Hezbollah. 
Questo è vero. Ma Hezbollah è uno dei più grandi movimenti di resistenza. Ho parlato con giovani uomini di Hezbollah, e dicono: "Abbiamo iniziato la nostra organizzazione, quando i sionisti sono venuti a cacciarci e uccidere le nostre famiglie. E quindi aiutiamo coloro che vengono eliminati nello stesso modo."

Israele considera Hezbollah come un’organizzazione terroristica.
È anche grazie a Hezbollah che tanti cristiani e altri siriani sono ancora vivi. Sono venuti in nostro soccorso nelle nostre ore più buie. E lo stesso vale per l'esercito siriano e i russi. Se Putin non fosse venuto in nostro aiuto nel 2015, la Siria avrebbe certamente cessato di esistere.

Si dice che i russi sono venuti in Siria per tenerla nella loro sfera di influenza.
Certamente ci saranno alcuni interessi in gioco. Ma Putin è un vero cristiano, che vuole difendere il cristianesimo. E vuole anche un ordine mondiale multipolare, in cui nessun paese domini gli altri. Infastidisce Putin che gli americani non rispettano le regole internazionali. Gli americani hanno rovesciato il governo ucraino e poi hanno avuto la faccia tosta di dire che i russi hanno risposto così aggressivamente. La Siria è un paese sovrano. Ecco quello che Putin sottolinea. Egli dice anche: «Non siamo in Siria per la protezione di Assad, ma per la protezione dello stato siriano». La Russia non vuole un altro stato fallito, come l'Iraq e la Libia. E non dimentichiamo: quello militare russo è l’unico l'esercito straniero in Siria con il consenso del governo siriano. Che cosa stanno facendo gli altri paesi in Siria? Gli americani? I francesi? I sauditi? Non hanno diritto di essere lì. Stanno solo lavorando alla distruzione della Siria.

I governi occidentali dicono che stanno combattendo ISIS. Ha dei dubbi?
Vi ricordate quelle immagini stile Hollywood su come l’ISIS ha fatto la sua entrata in Siria? Una colonna infinita di Toyota nuove. Si muovevano attraverso il deserto come bersagli. Non sarebbe stato facile per l’Occidente di spazzarli via dalla faccia della terra ? Ma non è accaduto niente. E perché no? E come hanno fatto ad avere tante Toyota nuove? Chi gli ha fornito questi nuovi costosi fuori strada?
Ripetutamente sentiamo che l’ISIS ottiene 'accidentalmente' armi che erano destinate agli inesistenti ribelli moderati, e sentiamo anche che 'per errore'  hanno bombardato le truppe del governo siriano. Gli Stati Uniti e i suoi alleati uccidono qua e là alcuni guerrieri di ISIS, ma queste sono piuttosto delle eccezioni.

I cristiani sono una minoranza in Siria. Come considerano la violenza dell’ISIS, al Nusra e altri gruppi? Come un problema dell'Islam?
Prima di tutto, essi considerano questi gruppi terroristici come strumento politico dell'Occidente per distruggere la Siria e per cambiare il regime. E non solo i cristiani, ma anche i musulmani in Siria sono dello stesso parere. Si vergognano dell’ISIS e Al Nusra. Dicono: "Questo non è l'Islam."

Come vedete la violenza nell'Islam?
L'Islam è ambiguo. Il Corano contiene versi molto belli sulla pace. Ma nel Corano si dice anche che i miscredenti, i non-musulmani, devono essere uccisi.

Neanche la Bibbia e la Torah non sono esenti da violenza.

E' così. Ma le imperfezioni dell'Antico Testamento sono superate nel Nuovo Testamento. E del Corano, si potrebbe dire: è l'Antico Testamento senza lo spirito del Nuovo Testamento.

Ma Gesù disse: "Non sono venuto a portare la pace ma la spada."
Se uno uccide o ferisce qualcuno con la spada, poi in tutta la cristianità nessuno dirà, "quell'uomo sta seguendo il Vangelo". Ma se un musulmano si fa esplodere in mezzo a un grande gruppo di persone, poi ci sono  musulmani che diranno, "in realtà dovrei farlo anch’io, ma non ho il coraggio."

Ma le vostre esperienze con i musulmani in Siria sono principalmente positive?
Sono sempre stato trattato con la stessa ospitalità dai musulmani come dai cristiani. La Siria è uno stato laico. I siriani si considerano in primo luogo come siriani e in secondo luogo come cristiani, sunniti, grapi, alawiti o sciiti. È chiaramente visibile nel governo siriano: vi si vedono ministri di varie religioni. Ognuno può essere se stesso. La cooperazione armoniosa delle popolazioni è sempre stata una caratteristica della Siria. Si consideravano come una sola famiglia. Ho anche incontrato un colonnello dell'esercito siriano, un sunnita, che mi ha chiesto la benedizione prima di partire per Aleppo.

Che pensano i cristiani in Siria del sostegno dei governi occidentali ai gruppi jihadisti?
Soffrono per il fatto che i loro fratelli cristiani in Occidente li hanno abbandonati. Semplicemente non lo capiscono.

Forse ci sono cristiani in Siria che approvano il fatto che l'Occidente sostiene gruppi armati?
Non conosco queste persone, ma se li state cercando, forse li troverete. Ci sono sempre eccezioni alla regola, ma il siriano medio si oppone a qualsiasi supporto dell’Occidente verso qualsiasi gruppo armato.

E' in contatto con qualche politico nell'Unione Europea?
Ho parlato con Herman van Rompuy, nel 2012, quando era presidente del Consiglio Europeo. Ho avuto l'impressione che sapeva a malapena dove era la Siria. Tutto quello che sapeva della Siria era fondato sui rapporti che descrivono il paese come la dittatura più terribile del mondo. Quell'incontro mi ha veramente deluso. Quando gli ho detto che nella mia esperienza il presidente Assad è sostenuto da una vasta maggioranza della popolazione, anche da quella sunnita, lui mi ha guardato come se avessi commesso un sacrilegio. Mi è sembrato che egli fosse principalmente preoccupato di non calpestare nessun piede dei membri del Consiglio Europeo. Ho letto che, nei Paesi Bassi, i partiti cristiani hanno votato a favore di una proposta di smettere di sostenere l'Esercito Siriano Libero, ma il partito di Geert Wilders “Partito della Libertà” ha votato contro. Riesci a capirlo? È perché sono sionisti? Se sei contro l'Islam radicale, come puoi votare per il sostegno ai terroristi islamici in Siria?

Molti siriani sono fuggiti in Libano e nelle zone in Siria sotto il controllo dello stato siriano. Che cosa distingue questi rifugiati da coloro che fuggono verso l’Occidente?
Tutti coloro che hanno avuto l'opportunità di fuggire nelle zone controllate dall'esercito governativo lo hanno fatto, ad eccezione di quelli che non hanno più speranza per un futuro in Siria.

Giovani uomini che lasciano la Siria per l'Europa sono oggetto di critiche. Gli europei si chiedono: perché non lottare per il loro paese e proteggere le loro madri, sorelle e altri membri della famiglia?
È una disgregazione organizzata. Quei giovani sono stati attratti verso l'Europa, perché l'Europa deve essere islamizzata.

Qualsiasi giovane può arruolarsi nell'esercito siriano? C'è un obbligo di servizio militare?
Sì, l'unico modo per sfuggire all'obbligo di servizio militare è nascondersi o fuggire all’estero. D'altra parte, molti uomini anziani si sono offerti come volontari nell’esercito.

L'Occidente impone sanzioni contro la Siria. Come i siriani riescono a sopravvivere?

Tanti aiuti sono portati nel paese attraverso la carità. Ma, con mia grande sorpresa - prima della mia partenza dalla Siria - ho visto farmaci provenienti da Aleppo. Così, nonostante tutta la devastazione, sono riusciti a ri-iniziare la produzione.

In una precedente intervista, lei ha espresso la speranza che il presidente Donald Trump avrebbe apportato modifiche alla politica degli Stati Uniti. E' ancora così fiducioso su di lui?
Trump ha detto durante la sua campagna elettorale quello che qualsiasi persona sana di mente avrebbe detto al suo posto: "dobbiamo smettere di fornire armi ai gruppi di combattenti in Siria, perché non sappiamo chi sono. Smettiamola di intervenire in nazioni sovrane. E combattiamo il terrorismo insieme con la Russia. "
Che era un messaggio pieno di speranza. Ma nel frattempo è venuto sotto attacco dello ‘deep state’, i veri dominatori del paese. Trump ha sparato quei missili verso quell' aeroporto militare in Siria, probabilmente sotto la pressione dello ‘deep state’. Tuttavia, ha informato i siriani, così è stato fatto poco danno. La maggior parte dei velivoli erano stati già portati via e metà dei missili non sono neanche arrivati. Il giorno successivo l'aeroporto era di nuovo operativo.

E' in vacanza in Belgio. Tornerà con un cuore riposato in Siria? Ne ha passato di tempi turbolenti...
Nel 2013, Qara è stata presa da un enorme esercito di decine di migliaia i terroristi. Hanno camminato per le strade sparando. Noi ci siamo nascosti nei sotterranei del monastero. Dopo una settimana, l'area è stata liberata dall'esercito siriano. Questi erano solo 200 uomini! Hanno spinto indietro i terroristi verso il Libano, un gruppo dopo l'altro. Infatti i terroristi non formavano un'unità. Hanno anche combattuto tra di loro. Eppure, non c'è spiegazione umana del perché i terroristi appena arrivati non hanno preso il monastero.

Non aveva paura in quel tempo?
La maggior parte di noi non aveva paura anche nei momenti in cui abbiamo pensato: 'E la fine'. Inoltre non abbiamo avuto tempo di preoccuparci, perché c'erano bambini, donne e disabili di cui abbiamo dovuto prenderci cura. C'era anche un bambino nato mentre eravamo nel nascondiglio. Tutti erano molto preoccupati per gli altri. Abbiamo dovuto distrarre i bambini con giochi, preghiere e canti . Dopo pochi giorni, eravamo senza acqua, solo con latte e alla fine della settimana ha cominciato a nevicare. Quello fu l'inizio della fine dell'assedio.
       ( traduzione di A. Wilking) 

sabato 17 giugno 2017

"Il giornale di Myriam": la guerra vista da una bambina

"La guerra, è la mia infanzia distrutta": Myriam, 13 anni, racconta la sua vita ad Aleppo
È stata cacciata dal suo quartiere, ha subito i bombardamenti ed è diventata una profuga nella sua stessa città in Siria: Myriam Rawick, 13 anni, per cinque anni ha tenuto il diario della sua vita ad Aleppo, che viene ora pubblicato.
"Il giornale di Myriam", è la guerra vista da una bambina di una famiglia cristiana modesta di origine armena, la cui vita viene sconvolta dalle "cose dei grandi": gli slogan rivoluzionari dipinti sui muri, le manifestazioni contro il governo, il rapimento di suo cugino, l'embargo, i combattimenti...
"Quando è iniziata la guerra, la mamma mi ha incoraggiato a scrivere un diario giornaliero. Vi ho messo tutto quello che facevo durante il giorno. Ho pensato che un giorno avrei potuto ricordare bene tutto quello che è successo" ha raccontato Myriam in un'intervista con l'agenzia AFP.  Quando il giornalista francese Philippe Lobjois nel dicembre del 2016 ha sentito parlare di Myriam e del suo diario segreto, un libro di cinquanta pagine in arabo, capisce che questa è l'occasione per raccontare la guerra vissuta dall'interno. Tradotto in francese, il diario, che copre il periodo novembre 2011-dicembre 2016, è appena stato pubblicato dall'Editore Fayard.
Una delle più antiche città del mondo, Aleppo, era piena di tesori e classificata dall'Unesco Patrimonio Mondiale dell'Umanità, prima di diventare il campo di battaglia principale della guerra in Siria, fino alla riconquista delle ultime aree ribelli da parte dell'esercito regolare Arabo Siriano, sostenuto dai suoi alleati russi e iraniani, alla fine del 2016.   "Aleppo era un Eden, era il nostro Eden", scrive Myriam; una bambina che ama disegnare e cantare, e che non potrà mai dimenticare i giorni sinistri del Marzo 2013 in cui "gli uomini neri", i ribelli islamisti hanno costretto la sua famiglia a fuggire.  "Una mattina mi sono svegliata fra i rumori di oggetti che si rompevano e gente che gridava Allahu Akbar (in arabo "Dio è il più grande"). Ero così spaventata che mi veniva da vomitare. Ho cercato la mia bambola e l'ho stretta a me mentre le dicevo: Non avere paura! Non avere paura! io sono qui con te", ricorda.
-Dello zucchero contro la paura-
"Sono corsa a mettere i miei libri nel mio zaino; adoro i libri, non posso vivere senza di loro. Ho indossato due giacche a vento una sopra l'altra, per proteggermi dai proiettili vaganti. In strada, ho visto un uomo con una barba folta, tunica nera, un'arma in mano; ero molto spaventata. Abbiamo camminato molto tempo per raggiungere un quartiere più sicuro" nella Aleppo occidentale, la parte della città sotto il controllo governativo, regolarmente presa di mira dai bombardamenti dei ribelli.
"Quello che mi faceva più paura, erano i missili. Una sera stavo per andare a letto quando il cielo è diventato rosso, insieme a un rumore assordante. Un missile è caduto nella strada laterale alla nostra. Per calmarci, ci hanno dato dello zucchero, dicendoci che questo ci avrebbe aiutato a non avere più paura, ma io ho pensato che non faceva alcuna differenza! Siamo scappati presso una vicina di casa, che ha anche appoggiato un materasso contro i vetri di una finestra; avevo paura, ho paura delle finestre, delle schegge di vetro. Io sono bella, io non voglio essere sfigurata ", dice scherzando.  
La capitolazione degli ultimi ribelli, nel dicembre 2016 ha permesso il ritorno a una certa normalità, anche se le forniture di acqua e di energia elettrica rimangono incerte e discontinue. "Ora non temiamo più che le bombe ci cadano sulle teste. Riprendo la mia infanzia, mi metto a giocare con i bambini dei vicini," esulta Myriam, con gli occhi scintillanti.  Dalla fine dei combattimenti, Myriam è tornata solo una volta nel suo vecchio quartiere: "Era come se il mio cuore riprendesse vita. Tutto è stato distrutto, ma mi sono ricordata di tutti i momenti che avevo vissuto lì. C'era come il profumo di una felicità passata. Ma non tornerò più a vivere lì ".
L'adolescente, che sogna di diventare un' astronoma perché adora le stelle, continua a scrivere nel suo diario: "E' bello ciò che sto vivendo e non voglio mai dimenticarlo. Anche la notte scorsa mi sono addormentata sul mio quaderno!".
   (trad. dal francese Gb.P.)
http://www.courrierinternational.com/depeche/la-guerre-cest-mon-enfance-detruite-myriam-13-ans-raconte-sa-vie-alep.afp.com.20170614.doc.pj56d.xml

mercoledì 14 giugno 2017

La rimonta dell'esercito siriano

in rosso i territori retti dallo stato siriano

di Gianandrea Gaiani
La Bussola Quotidiana, 14 giugno 2017

Lo Stato Islamico sta crollando in Iraq e Siria, Abu Bakr al-Baghdadi è stato probabilmente ucciso, ma l’intera vicenda sta passando sotto un profilo fin troppo basso rispetto alla sua portata, forse perché la fine del Califfato non porterà la pace e la stabilizzazione da molti auspicata in quella regione.
Nell’area di Raqqa, venerdì scorso, sarebbe stato ucciso il Califfo nel corso di un raid aereo dei jet di Damasco. Lo ha riportato la tv di Stato siriana rilanciata anche dai media russi, ma la notizia non è stata finora confermata da nessuna altra fonte ufficiale. Le forze curdo-siriane sostenute dagli Stati Uniti sono entrate il 9 giugno a Raqqa, “capitale” dell’Isis nel nord della Siria, e hanno conquistato terreno nella parte orientale della città. Nelle ultime ore le milizie curde e arabe delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sono avanzate dal quartiere Mashlab vero la zona industriale e sono in corso combattimenti a poche centinaia di metri dal perimetro orientale dell'antica cinta muraria della città sull'Eufrate.
L’offensiva che ha portato le SDF, appoggiate da forze speciali anglo-americane, a raggiungere la capitale del Califfato avrebbe provocato anche 653 vittime civili dal 15 marzo ad oggi a causa dei raid della Coalizione internazionale a guida Usa e dei bombardamenti dell’artiglieria delle milizie curde, secondo quanto riferito ad Aki-Adnkronos International da attivisti siriani. Come spiega Khalil al-Abdallah “negli ultimi due mesi il numero delle vittime civili è aumentato notevolmente, poiché l’amministrazione Usa ha consegnato armi alle milizie curde e ha allentato i vincoli imposti ai raid dei caccia della Coalizione".
L’aspetto più rilevante è però che l’offensiva sulla città è in corso su tre lati: da est, da nord e da ovest lasciando un corridoio a sud che consente ai 4mila miliziani, che si stima difendano la città, di ritirarsi verso le aree in cui lo Stato Islamico combatte contro le truppe di Damasco. Il comando russo in Siria accusa la Coalizione a guida Usa e i gruppi armati curdi di permettere ai miliziani dell’Isis di lasciare Raqqa e di “dirigersi verso le province dove sono attive le forze governative siriane. Invece di eliminare i terroristi colpevoli dell’uccisione di centinaia e migliaia di civili siriani – ha detto il comandante delle truppe russe in Siria, generale Serghiei Surovikin – la Coalizione a guida Usa assieme alle SDF, agiscono in collusione con i capibanda dell’Isis che lasciano senza combattere gli insediamenti che avevano preso e si dirigono verso i luoghi in cui sono attive le forze governative siriane”. Una valutazione resa ancora più credibile dalle reiterate azioni belliche delle forze aeree Usa basate in Giordania contro le unità militari di Damasco e dei loro alleati nel settore di al-Tanf.

Anche la decisione di Washington di vietare l’accesso alle forze di Damasco a quella porzione di territorio siriano è stata duramente condannata da Mosca. Secondo gli statunitensi tali forze pongono una minaccia alle basi Usa e ai campi per l’addestramento dei miliziani dell’opposizione nel sud della Siria, ma è evidente che è del tutto illegittimo impedire alle truppe siriane di completare il controllo del territorio nazionale. Nonostante i raid aerei americani, che vorrebbero impedire la saldatura tra le forze siriane e quelle sciite irachene che procedono a nord di Mosul verso il confine siriano, l’avanzata delle forze di Damasco lungo il confine giordano e iracheno ha di fatto circondato le milizie sostenute dagli anglo-americani e dalla Giordania.

“La guerra civile in Siria si è praticamente fermata” dopo che il 4 maggio ad Astana è stato firmato un memorandum per la creazione delle zone di de-escalation, ha dichiarato il capo del dipartimento generale operativo dello Stato maggiore russo, generale Serghiei Rudskoi che ha reso noto che 2.640 miliziani siriani hanno utilizzato le procedure di amnistia del governo siriano e hanno abbandonato le armi nel nord della provincia di Damasco, nelle città di Zabadani, Madaya e Buqeyn. "L’operazione per liberare il territorio siriano dai gruppi terroristici Isis e Jabhat al-Nusra continuerà fino alla loro completa eliminazione”, ha affermato il generale Surovikin precisando che le sue forze aeree hanno eseguito 1.268 raid in Siria nell’ultimo mese, colpendo 3.200 obiettivi terroristici tra cui stazioni di controllo, depositi di armi e munizioni, basi di trasferimento e campi di addestramento.
Il tracollo non solo dell’Isis ma di tutte le milizie anti-Assad rappresenta la più importante vittoria per le forze russe che hanno conseguito la vittoria militare in meno di due anni di campagna siriana. L’esercito di Assad continua ora ad avanzare su tutti i fronti: ha ripreso il controllo di 105 chilometri del confine con la Giordania, ha liberato 83 insediamenti nella parte nordorientale della provincia di Aleppo per oltre 500 chilometri quadrati uccidendo (secondo il comando russo) oltre 3.000 miliziani dell’Isis inclusi decine di comandanti e distruggendo 20 carri armati, 7 veicoli da combattimento e 9 pezzi di artiglieria pesante. Le forze siriane hanno inoltre raggiunto la frontiera con l’Iraq, nell’Est del Paese, per la prima volta dal 2015 coordinandosi con l’esercito di Baghdad per il controllo della frontiera.
Le forze armate irachene hanno l’ordine di non oltrepassare la frontiera siriana, ma le milizie sciite filo iraniane potrebbero avere mano libera ad unirsi alle forze di Damasco per chiudere la partita con l’Isis e liberare Deyr ez Zor dove la guarnigione siriana è sotto assedio da oltre due anni. “In cooperazione con i nostri alleati, le nostre unità hanno preso il controllo di numerosi siti e postazioni strategici nel deserto di Badiya, in una zona di circa 20.000 chilometri quadrati”, ha dichiarato il comando generale dell’esercito siriano. “Questa avanzata rappresenta una svolta strategica nella lotta contro il terrorismo e un trampolino per estendere le operazioni militari nel deserto della Badiya e lungo le frontiere con l’Iraq”, ha proseguito il comando.
I successi dei siriani rischiano quindi di provocare nuove tensioni con la Coalizione internazionale a guida Usa, che oggi appare preoccupata più dall’avanzata delle forze di Damasco e delle milizie sciite provenienti dall’Iraq che dalla lotta allo Stato Islamico, nell’ottica della linea strategica anti iraniana dell’Amministrazione Trump. Dopo che la Turchia si è schierata col Qatar nella diatriba in atto tra Doha e i sauditi, Riad potrebbe puntare sulla Giordania per riorganizzare l’opposizione armata al regime di Damasco e riprendere le ostilità con l’appoggio degli USA.

Tensioni non meno forti riguardano il futuro dell’Iraq dopo la caduta di Mosul dive i miliziani dell’Isis controllano solamente le aree della Città Vecchia, al-Shifa e Bab al-Sinjar. Il governo di Baghdad ha annunciato che respingerà ogni decisione unilaterale presa dalle autorità del Kurdistan iracheno per ottenere l’indipendenza. Lo ha sottolineato lunedì una nota del portavoce dell’esecutivo, Saad al-Haddithi, commentando la decisione presa due giorni fa dal presidente del Kurdistan iracheno, Masoud Barzani, di fissare un referendum per l’indipendenza dall’Iraq il 25 settembre.
Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sponsor del Kurdistan iracheno autonomo (ma non indipendente) ha definito il referendum sull'indipendenza della regione autonoma del Kurdistan iracheno da Baghdad "sbagliato e una minaccia all'integrità territoriale dell'Iraq. Un passo del genere in un processo così cruciale non serve a nessuno", ha aggiunto Erdogan. La Turchia, acerrima nemica dell’autonomia dei curdi di Siria alleati del PKK (i miliziani curdi di Turchia) si oppone da sempre con forza alla creazione di entità curde indipendenti.
Per questo se la guerra al Califfato sta per esaurirsi (ma non la  minaccia terroristica dell’Isis in Europa), non ci sono molte ragioni per credere che la conflittualità nella regione andrà scemando in tempi brevi.