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venerdì 4 agosto 2023

3 anni dalla tragica strage al porto di Beirut

 di Camille Eid 

Giustizia negata per le vittime del porto di Beirut. Nel terzo anniversario della doppia esplosione che, il 4 agosto 2020, ha devastato un terzo della loro capitale, i libanesi rimangono in attesa di una verità che molti sembrano non volere. Domani a Beirut ci sarà un raduno popolare organizzato dai comitati dei parenti delle vittime per ricordare le 246 persone uccise in quella che è stata classificata tra le dieci più potenti deflagrazioni non nucleari della storia. Nell'esplosione ci sono stati più di 6.500 feriti, molti dei quali menomati a vita, mentre 330mila persone hanno dovuto abbandonare temporaneamente le loro abitazioni.

In una dichiarazione comune rilasciata martedì, 15 ambasciatori di stanza a Beirut hanno esortato le autorità libanesi ad accelerare l'inchiesta, esprimendo la loro preoccupazione circa «l'ostruzione permanente» della verità. Ma diventa sempre più chiaro, a distanza di tre anni, che l 'inchiesta locale condotta dal giudice Tareq Bitar rimarrà ostacolata da oltre 25 richieste di ricusazione presentate da ex ministri e deputati libanesi. Questi ultimi sarebbero stati, secondo il giudice, al corrente dello stoccaggio illegale, per sette anni e senza precauzioni, di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio in un hangar del porto, situato a poche centinaia di metri dal centro cittadino. Anzi, l'oligarchia politica al potere diventa sempre più determinata a insabbiare per sempre la verità.

Lo scorso gennaio, quando Bitar ha cercato attraverso un'interpretazione giuridica di aggirare gli ostacoli frapposti alla sua inchiesta per convocare alti esponenti delle sicurezza e della pubblica amministrazione, il procuratore generale – lui stesso tra gli indagati – ha accusato il giudice di «usurpazione di potere» ordinando il rilascio immediato di tutte e 17 le persone arrestate in relazione all'inchiesta. I palazzi di Gemmayze e di Mar Mikhail (San Michele), tra i quartieri maggiormente devastati dall'esplosione, sono stati per lo più restaurati grazie a delle iniziative private e all'impegno profuso da tante Ong, locali e non. Lavori di più vasto respiro sono stati invece necessari per i palazzi storici, come è avvenuto per il Museo Sursock, riaperto lo scorso maggio grazie a fondi dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e di altri enti statali.

Nella zona salta agli occhi la proliferazione delle gallerie d'arte nei tradizionali palazzi ad arco triplo. In un Paese piegato dalla crisi economica e dall'inflazione, numerosi libanesi si danno da fare per impedire che l'arte e la cultura possano diventare degli “optional”. Rania Hammoud, proprietaria di Art Scene, dice che la gente ha tanta voglia di vivere nonostante le attuali difficoltà e guarda alla cultura come a una forma di resilienza. Motivo per il quale lei ha deciso di riservare uno spazio della sua galleria alla consultazione gratuita di libri d'arte. «Mi hanno dato del matto quando ho deciso, alcuni mesi fa, di aprire questa galleria», dice il suo collega Charbel Lahoud, proprietario di Chaos Art. Grazie a iniziative di questo tipo, afferma, «Beirut non morirà mai».

«Molti comprano i quadri come forma sicura di investimento data la sfiducia nei confronti delle banche libanesi». Insieme alla Banca centrale, il cartello delle banche è percepito dai libanesi come il responsabile della peggiore crisi economica nella storia del Paese a causa delle restrizioni imposte dall'ottobre 2019 ai prelievi in dollari. Tre giorni fa è terminata la lunga era Riad Salame alla guida della Banca centrale, dopo 30 anni ininterrotti. Si temeva che l'uscita di scena di Salame, senza la designazione di un successore, portasse a un'ulteriore svalutazione della lira libanese nei confronti del dollaro, specie dopo che i suoi quattro vice avevano minacciato in un primo momento le dimissioni. Rischio schivato, almeno per ora, ma si vedrà se il cambio si manterrà agli attuali livelli una volta che i numerosi espatriati libanesi venuti a trascorrere la stagione estiva in Libano saranno ripartiti.

La carica vacante di governatore si aggiunge a quella di presidente della Repubblica, vacante da fine ottobre, con i deputati libanesi che sono stati incapaci in oltre nove mesi di eleggere un successore di Michel Aoun a causa dei veti incrociati dei partiti.

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/la-strage-al-porto-di-beirut-il-libano-resta-senza

Il vuoto presidenziale in Libano si prolungherà fino all'autunno

The Cradle 

Il vuoto presidenziale del Libano durato mesi dovrebbe estendersi fino a settembre, quando l'inviato presidenziale francese, Jean-Yves Le Drian, tornerà nel Paese dopo aver trascorso due giorni (25-27 luglio) in colloqui con diverse personalità politiche libanesi. 

"Vi lascerò per le mie vacanze estive prima di sistemare i miei affari e tornare il prossimo settembre, con una proposta relativa al dialogo... per raggiungere un'intesa su... il prossimo presidente", ha detto al quotidiano Al-Akhbar citando l'inviato presidenziale .  Tuttavia, poiché non vi è ancora consenso su un singolo candidato, "non ci sarà nessun presidente" in Libano "fino all'autunno", ha affermato Asharq al-Awsat, una persona "chiave" coinvolta nella visita di Le Drian . 

Durante il suo viaggio, il 27 luglio Le Drian ha incontrato una serie di personalità politiche libanesi, tra cui il capo del blocco parlamentare Lealtà alla Resistenza, il deputato di Hezbollah Mohammed Raad . Quel giorno, ha anche tenuto il suo secondo incontro con il presidente del parlamento e leader del movimento Amal Nabih Berri , dopo averlo incontrato il giorno del suo arrivo.  Dopo l'incontro, Berri avrebbe affermato che "è stato aperto uno spiraglio nel fascicolo presidenziale". 

Il giorno prima, l'inviato ha incontrato il capo del Movimento patriottico libero del Libano (FPM), Gebran Bassil, il capo del partito delle Forze libanesi (LF), Samir Geagea, e il leader di Marada Suleiman Franjieh, che è il candidato di Hezbollah per la presidenza. 

"L'incontro con Le Drian è stato positivo... non abbiamo presentato nuovi nomi ad eccezione del nostro candidato annunciato", avrebbe detto Geagea ad Al-Akhbar , riferendosi a Jihad Azour , il funzionario del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che è stato ufficialmente nominato il mese scorso dai partiti LF, FPM e Kataeb, come candidato “non provocatorio” alla presidenza libanese.  All'epoca, Raad si riferiva ad Azour come a un "rappresentante di sottomissione, acquiescenza e resa".

Non sono stati proposti nuovi nomi e le parti coinvolte continuano a sostenere con fermezza i rispettivi candidati.  "Passare alle sessioni elettorali non cambierà il risultato fintanto che ogni partito aderisce alla propria posizione", ha scritto Al-Akhbar . 

All'inizio di luglio, il "gruppo libanese delle cinque nazioni" - composto da Francia, Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti ed Egitto - ha annunciato la possibilità di imporre sanzioni a qualsiasi politico o gruppo che ostacoli il quorum nelle sessioni parlamentari per eleggere il presidente . "Abbiamo discusso diverse opzioni, inclusa l'adozione di misure contro coloro che ostacolano i progressi in questo settore", hanno affermato le cinque nazioni in una dichiarazione congiunta . 

A causa della mancanza di consenso e della ripetuta mancanza di quorum parlamentare, 12 sessioni parlamentari non sono riuscite a eleggere un presidente per il Libano. 

Il paese è nel vuoto dalla fine della presidenza di Michel Aoun a fine di ottobre dello scorso anno. 

https://new.thecradle.co/articles/lebanon-presidential-vacuum-to-extend-into-fall?s=09

martedì 1 agosto 2023

Incendi in Siria usati come arma di guerra

di Steven Sahiounie

Gli incendi sono scoppiati il ​​25 luglio nella provincia di Latakia, nel nord-ovest della Siria, e stanno ancora bruciando tra i nuovi incendi in corso. Gli incendi si sono propagati rapidamente a causa di un improvviso vento insolito che si è alzato. L'intero paese, e l'adiacente regione mediterranea, è in un'ondata di caldo che pone le basi per un incendio così devastante che brucia raccolti, foreste e case. Tuttavia, questo non è stato un incendio casuale, ma è stato un atto di terrorismo.

Il generale Jalal Dawoud, capo dei vigili del fuoco di Latakia, afferma che l'incendio è stato provocato dall'uomo. Ciò è stato determinato perché l'origine dell'incendio non era in un luogo, ma è stato avviato in aree sparse tutte contemporaneamente nelle ore diurne.

Dopo che le forze di sicurezza hanno avviato le indagini, si è scoperto che gli incendi erano stati appiccati da droni provenienti da Idlib, sotto l'occupazione di Hayat Tahrir al-Sham, ex Jibhat al-Nusra, l'affiliata di Al Qaeda in Siria.


La Turchia occupa illegalmente Idlib mentre protegge i terroristi sotto il comando di Mohammed Jolani, ex alleato di Abu Baker Al Baghdadi, il capo dell'ISIS ucciso a Idlib dal presidente Trump.


I terroristi hanno attaccato i vigili del fuoco e i veicoli. Bassem Bakar, un conducente di una cisterna d'acqua, è stato ucciso quando i terroristi hanno preso di mira il suo veicolo vicino a Deir Hanna e Rabiah. Altri due uomini con lui sono rimasti feriti.

La Turchia è ben nota per la produzione di droni e recentemente ha venduto droni all'Ucraina.

Il 25 luglio, un veicolo dei vigili del fuoco ha calpestato una mina precedentemente piantata sul monte Zgharo, vicino alla città di Maskita, ma senza feriti. Questa zona è stata occupata dai terroristi ora situati a Idlib durante il periodo 2015 prima che fossero evacuati a est verso Idlib.

Il sindaco di Latakia, Amer Hallal, ha detto che i vigili del fuoco provenienti da molte aree sono venuti per spegnere gli incendi e un aereo cisterna russo è arrivato per combattere gli incendi. I civili sono stati evacuati da case e fattorie e portati in un'area sicura dove hanno ricevuto aiuti umanitari.

L'incendio è divampato a Rabiah, che si trova su una strada che collega direttamente a Idlib. Altre aree in fiamme sono Ghamam, Sarsekiah, Ein Zarkha, Deir Hanna, Jib Alahmar, Sed Bradoon e Jebal al Zahra.

Un giovane soldato che si è offerto volontario per combattere gli incendi, Mounif Sebry Hassoun, è morto mentre combatteva il fuoco a causa del soffocamento a Meshkita. Viene dal villaggio di Wadi Khelah, nel sobborgo di Jeblah.


Il governo siriano, la Mezzaluna Rossa siriana, sta coordinando gli sforzi per spegnere gli incendi e assistere i bisogni umanitari dei civili colpiti. I ristoranti locali hanno donato pasti ai vigili del fuoco. L'Esercito arabo siriano (SAA) e la Mezzaluna rossa siriana stanno spegnendo gli incendi a Rabiah, che è la linea del fronte contro i terroristi a Idlib.


La politica estera degli Stati Uniti e dell'UE ha mantenuto lo status quo a Idlib. 3 milioni di civili sono trattenuti come scudi umani da Hayat Tahrir al-Sham. La Turchia impedisce al SAA e all'esercito russo di liberare i civili tenuti in ostaggio in una partita internazionale di scacchi giocata dall'America.


Organizzazioni umanitarie internazionali, come le Nazioni Unite, Medici Senza Frontiere, Save the Children e altri consegnano tutti gli aiuti umanitari ai civili, mentre Jolani e i suoi terroristi ricevono tutti gli aiuti e li distribuiscono prima ai loro compari, e vendono tutto ciò che accumulano in un enorme centro commerciale costruito da Jolani e soci.


Idlib è una provincia agricola con agricoltori e miliziani che vendono olive e olio d'oliva alle imprese turche.


I droni possono essere utilizzati per scopi umanitari, ad esempio consegnare medicinali a un villaggio remoto. Tuttavia, i droni possono anche fornire un carico mortale in una guerra o in un attacco, e ora in Siria vengono utilizzati per appiccare incendi nella calura estiva tra venti secchi che diffondono incendi mortali.


Il mondo ha risposto al massiccio terremoto di magnitudo 7.8 del 6 febbraio in Siria e Turchia. Gli aiuti umanitari sono arrivati ​​principalmente dai paesi arabi, con gli Stati Uniti che hanno boicottato tutti gli aiuti alla Siria, con la sola eccezione di Idlib e dei terroristi occupanti.

Gli aiuti per il terremoto sono cessati da tempo e, sebbene molti amici della Siria abbiano chiesto agli Stati Uniti e all'UE di revocare le sanzioni che impediscono la ricostruzione e la ripresa in Siria da anni di guerra e dal terremoto, non vi è stata ancora alcuna mossa per revocare le sanzioni .


Di recente, è stato svelato un elenco delle nazioni più povere del mondo, con la Siria in testa alla classifica, insieme allo Yemen e all'Afghanistan. 12 anni di conflitto armato, la pandemia di COVID-19, il terremoto 7.8 del secolo e ora gli incendi provocati dai terroristi sostenuti dagli Stati Uniti e dalla NATO.  

Jolani e i suoi terroristi sostenuti dagli Stati Uniti non hanno linee rosse che non possono oltrepassare. Sono criminali senza cuore che controllano il nord-ovest della Siria che vive nella paura della loro prossima mossa.


https://www.mideastdiscourse.com/2023/07/30/wildfires-in-syria-used-as-a-weapon-of-war/

venerdì 28 luglio 2023

Siria : la necessaria battaglia contro il 'daechismo' del dollaro USA


L'anno 2023 è un vero disastro per la sterlina siriana.

Una situazione senza precedenti in questa “terra generosa dei suoi benefici” [balad al-kheyrate; come dicono i siriani]. 

Per alcuni, è dovuto principalmente alla serie di sanzioni occidentali sempre più severe contro i siriani dell'interno per dissociarli dai loro leader. Per altri, una parte non trascurabile di questa situazione catastrofica è dovuta alle strutture interne dell'amministrazione economica che non consentono di trasformare le suddette sanzioni in opportunità. 

I primi ricordano che, qualunque sia il Paese, perché ci sia un sistema economico efficiente e una moneta forte nei confronti delle valute estere, ci deve essere produzione, esportazione e importazione. Pertanto, dovrebbe esserci libertà di movimento in tutta la Siria, senza i molteplici ostacoli creati da terroristi, separatisti e occupanti stranieri. Dovrebbero esserci anche transazioni bancarie libere con i paesi esportatori e importatori. Senza questo, le critiche mosse all'amministrazione economica sono ingiuste. Quanto a questi ultimi, ritengono che lo Stato siriano abbia i mezzi per superare questa catastrofe e che basterebbe cambiare la mentalità dei decisori in materia di economia. 

Per Naram Sarjoun questa situazione è un pugnale piantato nel cuore dei siriani, un pugnale avvelenato che dovrà essere sradicato a tutti i costi.

Mouna Alno-Nakhal

Dal blog di Naram Sarjoun, tradotto dall'arabo da Mouna Alno-Nakhal per Mondialisation.ca 

Anche se so che questo articolo sarà un'arma nelle mani dei miei nemici come il pugnale avvelenato con cui quei ladri mi hanno trafitto il cuore, lo scrivo comunque per rivolgerlo contro di loro. Il mio cuore saprà che non ho tradito, ma piuttosto che so quando e come tirarlo fuori per usarlo e combatterli con una forza ancora maggiore che mai. 

Non è mia abitudine scrivere ciò che piace ai nostri nemici, ma piuttosto ciò che piace a noi e che loro odiano. Ma oggi, ciò che odieranno di più è che smettiamo di pregare come quelli che gridano per la pioggia e ci mettiamo al lavoro per combattere l'aumento del dollaro USA e il suo terrorismo Daeshista. Perché quello che stiamo vivendo attualmente è un attacco del dollaro alla maniera di Daesh, mentre noi difendiamo la sterlina siriana, l'economia, la vita dei cittadini e l'etica pregando come i dervisci e i sufi. 

La guerra non è finita e rimane al suo apice. E poiché lo scopo di questa guerra condotta contro di noi è quello di costringere la nostra società a cambiare profondamente i suoi orientamenti, i suoi equilibri e persino i suoi geni culturali, qualsiasi movimento popolare è considerato una vittoria o una sconfitta a seconda delle sue esigenze e della sua importanza. 

Sì, la guerra continua, ma come in un film muto le cui voci sono ovattate, mentre le sue terribili conseguenze e le sue bombe economiche continuano a seminare desolazione e morte, le sue vittime sono molto più numerose di quanto si creda. 

Ora, mentre è onorevole perdere una guerra nonostante i feroci combattimenti, è orribile perderla senza combattere. E le sconfitte più amare sono quelle che costano poco al nemico e che perdiamo perché non siamo stati bravi nonostante la nostra determinazione a combatterle. Ecco perché sarebbe impietoso se dopo aver vinto la quasi universale guerra militare intrapresa contro il nostro Paese, ci trovassimo perdenti a causa della cattiva gestione dell'economia, dei servizi, dei media e della crisi del dopoguerra. 

In effetti, la situazione economica si sta deteriorando e sembra essere l'arma più letale. Uccide le persone proprio come uccide la loro pazienza e resilienza. Sono assolutamente convinto che questo sia un piano americano molto intelligente e terribilmente pericoloso. Ma possiamo separare l'americano dal non americano? 

La risposta è no, poiché gli americani e gli europei sono responsabili delle sofferenze di questo martoriato Levante dalla Nakba (1948), fino alla Naksa (1967) e alla cosiddetta Primavera Araba (2011). Ma quali sono le nostre responsabilità? Siamo senza errori?

È chiaro che di fronte alla potente forza militare americana, non ci si aspettava che potessimo resistere e che i nostri combattenti patriottici ed eroici potessero infliggere una sconfitta alla formidabile tecnologia americana, che ha iniettato ogni tipo di munizioni, informazioni, comunicazioni e strumenti di spionaggio a beneficio degli ufficiali dell'intelligence e di migliaia di attentatori suicidi entrati nel Paese. Ma l'America ha fallito militarmente nonostante la sua superiorità bellicosa e tecnologica, perché abbiamo usato le nostre carte militari in modo intelligente con pazienza e fiducia, e anche perché abbiamo scelto le giuste alleanze.

Eppure oggi ci troviamo nella stessa situazione: un violento attacco colpisce l'economia e la sterlina siriana. Colpisce quindi il pane, i combustibili e tutti i mezzi di sussistenza. Il dollaro sta attaccando la lira siriana, mentre i maneggiatori di denaro daechisti stanno attaccando tutte le nostre risorse e uccidendo la lira su ordine franco e diretto degli Stati Uniti. 

Un attacco violento si è aggiunto alla violenza delle sanzioni e delle varie "leggi di blocco", che sono simili a molte delle bozze di risoluzione presentate al Consiglio di Sicurezza per assediarci per secoli ai sensi del Capitolo VII. Ma, finora, l'esercito economico nazionale non è riuscito a gestire questa battaglia. 

Di fronte a questa constatazione, non si tratta di portare l'arma della divisione e del sospetto contro i nostri partner in patria, muovendo accuse di tradimento o negligenza contro chiunque. Dobbiamo ammettere che la squadra di governo sta fallendo e non è qualificata per questa fase di "guerra economica". Deve riconoscere che ha provato ma ha fallito e che è ora di lasciare questo difficile compito a un team più competente. 

Tale squadra dovrà saper cogliere il confronto economico e mediatico ripristinando i servizi dovuti ai cittadini, nonostante le pressioni americane. E questo, per permettere all'esercito e alla leadership politica di entrare nel confronto sapendo di poter contare su un'economia più solida, come fece Putin quando si preparò alla battaglia dell'Ucraina con una delle squadre economiche più intelligenti e abili del campo. 

Disponiamo di forze competenti che portano idee e iniziative. Queste persone devono essere coinvolte e noi dobbiamo portarle in primo piano. Del resto la nostra situazione economica non è poi così diversa dalla nostra situazione militare quando città, paesi e piazze crollavano sotto gli attacchi del terrorismo... 

Rimango convinto che ciò che stanno attraversando i siriani non farà che rafforzare questo approccio dettato dalla ragione e che questa determinazione a spezzare il Levante a tutti i costi abbia radici profondamente sepolte in un lontano passato. Ma il Levante non è stato spezzato. E' rimasto il Levante e in particolare a Damasco. 

Pertanto, dobbiamo dimostrare che il Levante è nostro e che i suoi fattori di forza sono nella persona levantina quando combatte, pensa, crede, si ribella, legge, scrive e decide che non sarà sconfitto qualunque sia il prezzo che dovrà pagare . 

Naram Sarjoun22/07/2023

mercoledì 19 luglio 2023

La Siria respinge come ipocrita il progetto di risoluzione NU “Situazione dei diritti umani in Siria” e chiede piuttosto la fine delle illegali sanzioni


Pubblichiamo questo testo relativo al tema sanzioni che ci sta particolarmente a cuore, nell'ambito degli interrogativi su ciò che si sta muovendo nell'area siriana, ad opera di soggetti avversari, che desta inquietudine sul destino del caro Paese martoriato.

Questa notte, alle 00,25 del 19 luglio, Israele ha effettuato un attacco missilistico a partire dal Golan occupato, colpendo alcune zone della capitale Damasco.

Il sito The Cradle riporta la notizia che gli USA dispiegheranno 2.500 soldati in Siria e che il Pentagono ha inviato ulteriori aerei da combattimento nel Golfo Persico; in particolare sono giunti altri sistemi HIMARS nel giacimento petrolifero occupato nel governatorato siriano di Deir Ezzor e nel nord-est della Siria.

Da fonte israeliana: si parla di intenzione americana di attuare un attacco al corridoio Tehran-Beirut.

Il governo siriano ha espresso il proprio disappunto per la visita effettuata da rappresentanti del governo francese in zone occupate dalle milizie 'ribelli' nel governatorato di Idlib, e per il documentario della BBC realizzato intervistando miliziani membri di Hayat Tahrir Al Sham (HTS) in Idlib , con lo scopo presunto di facilitare un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Siria.

Il tutto nel contesto delle SANZIONI che continuano a colpire il popolo siriano impedendo la ripresa della vita economica e sociale e causando la più grande crisi umanitaria mai registrata all'inizio della guerra. Si aggiunge, con l'attuale calura, il criminale taglio dell'acqua potabile agli abitanti della provincia di Hassakè da parte dei miliziani turchi e dei separatisti...  

Lo documenta il rapporto stilato dall'Assemblea del Popolo Siriano pubblicato sul sito ufficiale SANA e tradotto da Marinella Correggia.

L'Assemblea del popolo: il rapporto del Parlamento Europeo sull'impatto delle misure coercitive sulla Siria è una deformazione della realtà e dei fatti

Damasco -Sana/ L'Assemblea del popolo siriano ha dichiarato che l'approccio del Parlamento europeo alla situazione in Siria continua purtroppo a essere lontano da una posizione neutrale e indipendente dalle posizioni di alcuni governi europei. È emerso chiaramente nel rapporto pubblicato lo scorso giugno circa l'impatto delle misure coercitive sulla situazione umanitaria in Siria.

In una sua dichiarazione in risposta al rapporto europeo, l'Assemblea del popolo ha spiegato che il suddetto rapporto contiene informazioni inesatte e distorce la realtà e i fatti in modo da giustificare le politiche di alcuni governi occidentali. Politiche che sono dannose per gli interessi del popolo siriano.  In particolare l'imposizione di misure coercitive ha effetti disastrosi su vari settori vitali in Siria, come l'istruzione, la salute, l'acqua e i trasporti. Si tratta inoltre di misure che violano il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite.

L'Assemblea ha sottolineato che le cosiddette "esenzioni ed eccezioni a queste misure coercitive per scopi umanitari", a cui fa riferimento il rapporto, sono solo sulla carta e non hanno avuto alcun effetto sul campo. Anche le cosiddette eccezioni umanitarie per un periodo di sei mesi, concesse dopo il terremoto, non sono state attuate e non c'è stata alcuna possibilità di beneficiarne, nemmeno da parte delle organizzazioni umanitarie che operano in Siria nonché dei paesi che desiderano aiutare a rispondere alle ripercussioni del terremoto.

L'Assemblea ha invitato il Parlamento europeo ad adottare un nuovo approccio in linea con il diritto internazionale e con considerazioni davvero umanitarie, abbandonando finalmente l'approccio dei governi di alcuni paesi europei. Il Parlamento europeo dovrebbe fare pressione sull'Unione Europea affinché revochi immediatamente e senza condizioni politiche ogni forma di misura coercitiva imposta al popolo siriano, in particolare quelle che colpiscono direttamente il settore energetico, il finanziamento della fornitura di prodotti di base, i settori della sanità, dell'istruzione e dei trasporti, nonché i settori produttivi che offrono opportunità di lavoro alla popolazione della Siria.

L'Assemblea ha sottolineato la necessità di esercitare pressioni sull'Unione Europea affinché sostenga gli sforzi per attuare progetti di recupero e ricostruzione in Siria, data l'importanza di questi interventi per garantire la sostenibilità degli aiuti umanitari e dei soccorsi forniti ai siriani.

L'Assemblea ha ritenuto inaccettabile che il Parlamento Europeo abbia ignorato i numerosi rapporti secondo cui alcuni aiuti europei sarebbero andati a gruppi armati classificati come "terroristi" dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

L'Assemblea ha affermato che se il Parlamento Europeo vuole essere obiettivo e imparziale nel suo approccio umanitario, deve adottare una posizione chiara che condanni e respinga il furto di risorse energetiche e agricole da parte delle forze di occupazione statunitensi presenti illegalmente sul territorio siriano.

Ha ricordato che il Parlamento Europeo ha la responsabilità di fare pressione sull'Unione Europea affinché smetta di manipolare la questione umanitaria utilizzandola come strumento per raggiungere gli obiettivi politici di alcuni paesi membri, sottolineando che la continuazione dell'embargo economico imposto al popolo siriano è un crimine di punizione collettiva vietato a livello internazionale, un crimine i cui responsabili vanno perseguiti e puniti.

https://sana.sy/fr/?p=302440

sabato 8 luglio 2023

Al Meeting di Rimini 2023 visiteremo la mostra "Azer, l'impronta di Dio - Un monastero nel cuore della Siria"

Vent’anni fa alcune monache dell’abbazia di Valserena aderirono alla proposta dell’abate generale dell’Ordine di dare vita a un convento di clausura in Siria, la terra percorsa da Pietro e Paolo, dove nei primi secoli dell’età cristiana era nata l’esperienza monastica, una regione che all’alba del Terzo Millennio era esempio di pacifica convivenza fra genti di religioni diverse.

 

Con fede, pazienza e fatica, le monache si sono insediate ad Azer, provincia di Homs, sede di ben conosciute drammatiche vicende, non lontano dal confine con il nord del Libano, in una zona abitata da sciiti e sunniti, con l’eccezione di due piccoli villaggi cristiani.

 

Attraverso video, interviste, testi e foto la mostra "Azer, l'impronta di Dio - Un monastero nel cuore della Siria", racconterà lo stupore per la straordinaria vicenda di alcune monache trappiste e l’amicizia, nata in modo del tutto imprevedibile, con persone ed esperienze, in particolare con il Banco Building di Milano.

 

Il percorso della mostra si svilupperà  lungo 5 ambienti in cui, attraverso i racconti delle monache, scopriremo le loro vocazioni, la preghiera, la libertà, e il progetto del monastero.


Nel lungo e drammatico periodo attraversato da guerra, Covid, epidemia di colera e dal devastante terremoto del febbraio 2023, le monache non sono mai venute meno al loro impegno di presenza orante e gratuita, continuando ad essere testimoni credibili e segno di speranza per tutti. Anche per noi.


https://www.meetingrimini.org/road-to-meeting/road-2023/road-to-meetingnona-tappa/


La 44ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, con il titolo “L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”, si terrà da domenica 20 a venerdì 25 agosto 2023, nella Fiera di Rimini (via Emilia, 155 - 47921 Rimini).

sabato 1 luglio 2023

Gioia per i cattolici siriani: nomina del Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini


 01 Luglio 2023

Il Santo Padre, Papa Francesco, ha nominato Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini (Siria) fr. Hanna Jallouf, frate minore della Custodia di Terra Santa. Il religioso, che presto verrà ordinato vescovo, è al momento parroco di Knayeh e incaricato di Jisser El Chougur e succede a mons. Georges Abou Khazen O.F.M. 

A fr. Hanna vanno le felicitazioni di tutti i confratelli della Custodia di Terra Santa con l’augurio di continuare a servire la Chiesa locale di Aleppo come un pastore “che ha l’odore delle pecore”.

Sul campo

Lo scorso 17 dicembre, in Vaticano, fr. Hanna è stata una delle tre personalità che hanno ricevuto direttamente dal Papa il premio "Fiore della gratitudine" per il loro impegno nel contrasto alla povertà. In quell’occasione aveva rilasciato un’intervista al sito della Custodia. Padre Hanna da anni - insieme ai confratelli - si spende per i poveri nel contesto della guerra siriana, rappresentando un punto di riferimento per la comunità cristiana locale. Nel 2018 Papa Francesco aveva inviato una lettera a fr. Hanna e fr. Louai, in risposta a una loro missiva in cui raccontavano della situazione in Siria. Nell’ottobre 2014 è stato rapito e tenuto prigioniero per un paio di giorni dai jihadisti, nel contesto della guerra civile siriana. 

Il curriculum

P. Hanna Jallouf O.F.M. è nato a Knayeh, Comune di Jisser El Chougur, Provincia di Idlib (Syrian Arab Republic) il 16/07/1952 ed è di nazionalità Siriana. 
Ha vestito l’abito francescano il 01/03/1974; 
ha emesso i primi voti il 17/02/1975; 
ha fatto la professione solenne il 14/01/1979. 
È stato poi ordinato diacono il 18/03/1979 e ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 29/07/1979. 
È un religioso della Custodia di Terra Santa dell’Ordine dei Frati Minori. 
Parla Arabo, Italiano e Francese. 
Ha svolto i seguenti servizi: Vicerettore in Amman (1979-1982), Rettore del Seminario Minore in Aleppo (1982-1987), Vicario Parrocchiale a Casalotti in Roma (1987-1990), Superiore e Parroco a Ghassanieh e Jisser el Chougur (1990-1992), Direttore del Terra Sancta College di Amman (1992-2001), Superiore e Parroco a Knayeh (2001-2013); Superiore e Parroco di Knayeh, incaricato di Jisser El Chougur e Ghassanieh (2013-2016); Superiore e Parroco di Knayeh e incaricato di Jisser El Chougur (2016). 
Attualmente è Superiore e Parroco a Knayeh e incaricato di Jisser El Chougur. 
Ha ottenuto la Licenza in Storia (Beirut) e la Licenza in Pastorale giovanile e catechetica (Università Pontifica Salesiana – Roma). 

giovedì 29 giugno 2023

Ritorno da Damasco: note di viaggio

Articolo scritto da Michel Raimbaud.  Traduzione dal francese di  OraproSiria.

Michel Raimbaud è saggista, politologo, docente di relazioni internazionali, ex ambasciatore francese in Sudan, Mauritania e Zimbabwe e direttore onorario dell’Ofpra (Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi). Autore di numerosi articoli e libri di geopolitica, tra cui 'Le Soudan dans tous ses états', 'Tempête sur le grand Moyen-Orient', 'Les guerres de Syrie'.

In un lontano passato, quando il Deep State non era ancora altro che un incubo statunitense (come descritto da Ike Eisenhower o John Kennedy) e il mainstream non era altro che il sogno di un apprendista stregone, davamo credito ai "grandi reporter" e ad altri testimoni d’urto. La formula magica "Secondo un viaggiatore di ritorno da Baghdad" metteva il chiodo nella bara degli scettici di professione o degli antenati dei "cani da guardia" di una doxa nascente... Quei giorni sono passati. I milioni di morti, mutilati e feriti nelle innumerevoli guerre condotte dall’Asse del Bene in decine di paesi, i milioni di profughi e sfollati gettati sulle strade o sui mari, non bastano più a risvegliare le coscienze o a scuotere la buona coscienza della miriade di affiliati o membri di affinità che hanno scelto di servire incondizionatamente le tesi dell’Occidente in tutta la sua pompa… 

Il sottoscritto non è appena tornato da Baghdad, ma da Damasco. Da qui sento gli instancabili scettici, le "menti forti" che strombazzano: "Sì, ma la Siria non è la stessa, è Bashar...". Tranquilli, qui non si tratta di convincerli, perché si può vivere o morire consapevoli o stupidi: sta a ciascuno farsi un’idea propria. Ci limitiamo a ricordare che la Siria ha dovuto affrontare due guerre consecutive.

Colpita nel marzo 2011 dalla pandemia "rivoluzionaria" della Primavera araba, ha sperimentato per la prima volta, per oltre sette anni (fino all’autunno 2018), gli orrori di una guerra di aggressione non dichiarata, orchestrata dai tre membri permanenti occidentali del Consiglio di Sicurezza, sostenuti da una coalizione fluttuante nota come "Amici della Siria" (120 membri nel dicembre 2011, una dozzina nell’aprile 2012). 

Un’alleanza non ammessa, ma assunta, con gli islamisti ha rapidamente generato un flusso eterogeneo di 400.000 jihadisti accorsi dai quattro punti cardinali per prendere parte a questo "crimine supremo" (secondo le parole del Tribunale di Norimberga), dando alla sporca guerra di aggressione una sfumatura di "guerra santa". Santa ma sadica, visto che le sanzioni illegali euro-statunitensi cominceranno a piovere dalla primavera del 2011, a secchiate, con una foga maniacale che la dice lunga sul livello intellettuale di chi ha ideato il piano. 

L’esercito siriano ha resistito valorosamente per quattro anni e mezzo, aiutato dai suoi alleati regionali, permettendo allo Stato di "resistere". L’intervento della Russia, richiesto dal governo di Damasco, ha ribaltato la situazione: il settembre 2015 ha segnato l’inizio di un riflusso inesorabile come la marea crescente. Alla fine del 2018 non era solo una voce, ma un dato di fatto: il Presidente siriano aveva vinto la guerra, sia militarmente che politicamente.

In realtà, già nel 2016, il presidente Barack Obama, alla fine del suo mandato, non aveva fatto mistero delle sue ansie di signore della guerra. Sorridendo e indossando il premio Nobel per la pace come scudo, aveva menzionato una delle sue scoperte strategiche. O meglio, è stato Robert Malley, suo amico e consigliere per il Medio Oriente, a far uscire il gatto dal sacco quando ha confidato in un’intervista: "Gli Stati Uniti preferiscono che il conflitto in Siria continui se non hanno una carta forte sul terreno contro la Russia... Anche se questo significa prolungare la guerra all’infinito o favorire temporaneamente Da’esh". Per inciso, l’amabile presidente è stato l’inventore della teoria del "Leading from behind", che suona come un’ammissione di perversione o di impotenza: perché "guidare da dietro" se non per farsi vedere da davanti? Il modo migliore per prolungare il piacere dell’aggressione non sarebbe quello di trasformarla in una guerra ibrida, invisibile e infinita, con sanzioni, blocchi, embarghi, Caesar Act, misure coercitive lanciate a tutto spiano, sotto la copertura dell’extraterritorialità delle leggi statunitensi ancora in vigore, per punire collettivamente il popolo siriano? 

È in questo contesto che, per la prima volta dall’inizio della guerra, l’Association d’Amitié France-Syrie (Afs) ha organizzato una visita a Damasco di una delegazione di sei persone, con l’obiettivo di portare un messaggio di amicizia a un paese percosso dalle difficoltà, ma infinitamente coraggioso. La delegazione non aveva un mandato ufficiale o ufficioso, ma il suo scopo era quello di raccogliere impressioni e testimonianze, alla luce della situazione e dell’attualità (dal 15 al 19 maggio 2023), e anche di far conoscere la capitale e la Siria a coloro per i quali questo viaggio era una prima volta. 

Questo aspetto della visita è stato ben accolto dagli ospiti siriani. Sebbene l’accoglienza sia stata calorosa, non possiamo trascurare le domande sulla posizione della Francia negli ultimi dodici anni, provenienti da ogni parte. I nostri interlocutori non hanno nascosto le loro perplessità sulla logica di questa politica, sulle sue motivazioni e sulla sua validità.


È stato un viaggio emozionante, secondo tutti i membri della delegazione, che sono rimasti colpiti dal coraggio, dalla serenità e dall’orgoglio di questa popolazione duramente provata. Una popolazione orgogliosa di aver resistito e vinto, e a ragione... È questo che ci è saltato agli occhi quando abbiamo visto le strade trafficate e operose, stavo per dire come al solito. Era uno "spettacolo" amplificato dalla vista delle meraviglie della capitale che alcuni di loro avevano scoperto o rivisitato, a seconda dei casi, un campione dei tesori nascosti in questo bellissimo e magnifico paese abitato da una storia onnipresente dalla notte dei tempi, nei palazzi, nei templi, nelle moschee, nelle chiese, nelle cittadelle, nei vecchi quartieri, nelle rovine e nei siti archeologici...

Durante le numerose visite in cui hanno potuto parlare e ascoltare con calma, i visitatori sono stati anche sopraffatti dall’alta qualità e dall’enorme competenza dei loro interlocutori, donne e uomini, che erano privi di arroganza, parlavano in piena libertà e senza peli sulla lingua. Chi aveva dubbi e pregiudizi al suo arrivo ha potuto constatare che la tolleranza religiosa è profondamente radicata nel patrimonio: la moschea degli Omayyadi, la più antica del paese, non ospita forse la tomba di san Giovanni Battista, e la moschea del Saladino, all’ombra del minareto del Gesù?

Vivere la storia o abbandonarla?

Oggi un viaggio in Siria è una vera e propria lezione di coraggio. Vedere con i propri occhi un paese devastato, testimoniare il coraggio e l’orgoglio di un popolo ferito da oltre dodici anni di guerra ingiusta, illegale e criminale, significa compiere un pellegrinaggio, raccogliere testimonianze nel cuore della storia. Un viaggio del genere porta indubbiamente a meditare, se non a riflettere, sul destino dei cinquecentomila morti, dei due milioni di feriti e mutilati, dei sei milioni di persone gettate sulle strade dell’esilio e dei sette milioni di sfollati, senza dimenticare le vittime del terremoto dello scorso gennaio. L’incapacità degli occidentali di rispondere agli appelli di solidarietà che ci si aspetta in questi casi non è passata inosservata e a nessuno sarà sfuggito che essi stanno approfittando delle circostanze per sottoporre i loro esigui aiuti a condizioni inaccettabili, pretendendo che gli aiuti vengano convogliati attraverso il confine settentrionale, che è sotto il controllo di gruppi terroristici.

Come possiamo partecipare alla vendetta collettiva di un Occidente amareggiato dalla propria mediocrità contro un popolo già soffocato e asfissiato da sanzioni inique, degne di tempi che credevamo finiti? Come possiamo spiegare l’inspiegabile quando ci rifiutiamo di ammettere che siamo lontani cento leghe da qualsiasi cartesianesimo o logica? La nostra comprensione della situazione siriana è così lontana dalla realtà e basata su tali menzogne che è illusorio immaginare un ritorno al passato. Eppure il tempo stringe... 

Questo decennio 2020 potrebbe passare alla storia come una grande prima volta nella storia moderna e contemporanea. È la prima volta che la "comunità internazionale" è vittima di una frattura apparentemente irreversibile, al termine di un processo di rottura a cui nessuno voleva credere quando è iniziato, tra il dicembre 2021 e il febbraio 2022. È accaduto l’irreparabile: la cosiddetta "comunità" si è trovata divisa in due gruppi di nemici che si guardano in faccia e si contrappongono in un confronto globale: da una parte l’Occidente, dominante, arrogante e sicuro di sé, ma una piccolissima minoranza (dal 12 al 15% dell’umanità), e dall’altra il resto del pianeta, in altre parole la stragrande maggioranza della comunità delle nazioni, che chiede con veemenza di prendere il posto che le spetta. Si tratta di una richiesta legittima se prendiamo sul serio i valori branditi dai difensori dei diritti umani, sinceri o ipocriti che siano.


Tutti gli esseri umani, senza eccezioni, nascono uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità: questo è il principio principale che l’umanità dovrebbe iscrivere nella sua lista del patrimonio mondiale, prima di aggiungere l’aria di mare, le baguette, l’Himalaya, i parchi eolici, l’aereo a pedali o la macchina per fare i buchi nel formaggio gruviera. 

I leader della Francia farebbero bene a tenere la bocca chiusa, per evitare di aggravare ulteriormente l’angoscia in cui si trova la sua diplomazia assediata. In piedi sui suoi stivali o sui suoi tacchi alti, come Le Drian prima di lei, il ministro per l’Europa e gli affari esteri, la signora Colonna, probabilmente non sa che le sue parole non interessano a nessuno e non sono attese da nessuno. Le si potrebbe suggerire di limitarsi al dialogo con quegli europei che condividono la sua ignoranza, indifferenza e malafede. Processare Bashar al-Assad e portarlo davanti alla Corte penale internazionale o a qualsiasi altro organismo agli ordini dell’Occidente è un trucco che non funziona più e che ha esaurito tutto il suo fascino. Forse sarebbe utile sussurrare all’orecchio del ministro un elenco di persone che dovrebbero fare la fila alla Corte penale internazionale o comparire nell’agenda di altri organi di tale giustizia. Questa lista comprenderebbe molte persone che lei conosce, vivi e morti, dei morti o dei vivi ...

Non ha senso sabotare il futuro solo per il gusto di farlo, piaccia o meno ai guerrafondai del mainstream francese che fingono di ignorarlo. È criminale predicare a favore del mantenimento o dell’inasprimento di sanzioni economiche unilaterali, illegali e assassine di ogni tipo, che stanno avendo un effetto devastante sulle popolazioni civili, duramente colpite dal terremoto dell’inizio del 2023. Gli ingenui che attirano l’attenzione dei colletti bianchi, puliti e ben nutriti padri della virtù, sperando di farli sentire dispiaciuti, hanno sbagliato bersaglio, perché l’etnocidio pianificato del popolo siriano è il loro obiettivo, sia che provengano dall’altra parte dell’Atlantico, della Manica o qui in patria. E sono riusciti nel loro sporco intento: ancora oggi, l’80% dei siriani sopravvive al di sotto della soglia di povertà, spesso senza acqua, elettricità, benzina o gasolio, ma con un coraggio incommensurabile. 

Le nostre élite dovrebbero rendersi conto che, nel grande sconvolgimento del mondo e nella ricomposizione in corso, la Francia è considerata appartenere al campo degli aggressori. La Siria, invece, si è ritagliata un posto d’elezione nel campo dei vincitori, ed è a loro che si rivolgerà innanzitutto per la ricostruzione, oltre che ai paesi arabi "pentiti" (o rinsaviti) e ad alcuni paesi europei che, senza dire nulla, non hanno tagliato i ponti o sono tornati durante i dodici anni di guerra: Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cipro, Grecia, Italia, ecc.

La Francia ha ancora la possibilità di unirsi al grande movimento di ritorno a Damasco, valorizzando il suo patrimonio di eccellenza: tutti hanno ricordato il nostro posto un tempo eminente nell’importante settore dell’archeologia, dove si affollano i candidati (anche europei) alla nostra successione, nel campo dell’insegnamento della lingua francese. Abbiamo visto l’ex scuola secondaria Charles de Gaulle, chiusa dal governo francese e riaperta grazie all’impegno di volontari, formando diverse centinaia di allievi; abbiamo parlato della nostra collaborazione con un paese il cui sistema medico, prima della guerra, era ai vertici mondiali in ogni campo e che, volontariamente o sotto la spinta degli eventi, ci ha fornito migliaia di medici.

La Francia ha ancora una possibilità, ma la finestra di opportunità è stretta, sia nel tempo che nello spazio. Il tempo stringe e la Siria, di cui la Francia fu la potenza delegata dopo la grande guerra, quando l’Impero ottomano fu smantellato, si appresta a tornare a essere il perno del Medioriente e del mondo arabo, a riprendere il suo posto nel cuore della storia.

Damasco, la perla d’Oriente, non sarà solo la capitale di un paese rinato dopo tante difficoltà, ma sarà anche la porta del mondo arabo in pieno risveglio, di cui la Siria è tornata ad essere "il cuore pulsante".

Domani sarà troppo tardi, se la terra dei lumi non ristabilisce il collegamento...

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