Gli
Occhi della Guerra, 19 aprile 2017
In
tanti, nella giornata di sabato, hanno raccontato l’orrore di
Rashideenn, ossia la località dove sorge l’area di servizio lungo
l’autostrada M5 dove è avvenuto l’attentato contro civili sciiti che ha ucciso più di cento persone, molti dei quali
bambini; in pochi però, hanno fatto riferimento tanto ai
responsabili dell’accaduto, quanto al contesto attorno al quale è
avvenuto uno degli episodi più cruenti della guerra siriana, macabro
nei numeri ed ancor di più nei dettagli.
Quello di sabato in Siria, non era un ‘semplice’, se così si può
definire, trasferimento di profughi, bensì si trattava
dell’evacuazione di due comunità di altrettanti villaggi a
maggioranza sciita (Kafraya e Foua)
da anni minacciati dagli islamisti definiti ancora ‘ribelli’ da
buona parte dell’occidente; oltre a mettere al sicuro questi civili
da future e probabili rappresaglie
jihadiste,
l’operazione aveva come obiettivo quello di mostrare la buona
volontà delle parti in causa di poter giungere a piccoli accordi
locali in grado di salvaguardare i cittadini maggiormente esposti al
conflitto e, in tal senso, il boicottaggio delle forze islamiste è
stato espresso in tutta la sua brutalità.
Non
era la prima volta che in Siria, dallo scoppio della guerra, si
procedeva ad un’evacuazione e ad un trasferimento della popolazione
da un punto all’altro del paese dopo accordi tra le parti; questa
strategia è stata inaugurata già nel 2014 quando,
una volta accerchiati e senza possibilità di vittoria, gli islamisti
presenti ad Homs hanno
accettato l’evacuazione del centro storico ed il loro trasferimento
in zone presidiate dai gruppi dell’opposizione. Tra il 2016 e
questa parte di inizio anno, diverse volte questi accordi hanno
permesso la fine delle ostilità in diverse località senza ulteriore
spargimento di sangue: a Darayya,
sobborgo nel sud di Damasco, il trasferimento ad Idlib di militanti
islamisti e famiglie al seguito, ha messo la fine su una delle
battaglie che più ha tenuto con il fiato sospeso la capitale della
Siria, stesso scenario in altri quartieri damasceni ed in altre
località attorno la città.
Anche
ad Aleppo si è provata la stessa strada: i famosi ‘bus
verdi’,
che prima della guerra erano i normali mezzi del trasporto pubblico
della metropoli siriana, per giorni sono rimasti stazionati ai limiti
del fronte che divideva le zone governative da quelle occupate dagli
islamisti, per cercare di far andare a buon fine le trattative
tra Russia, Turchia e sauditi ed
evitare ulteriori scontri nel centro urbano. Soltanto nelle battute
finali della battaglia per riprendere la seconda città siriana tali
accordi hanno fruttato l’evacuazione delle ultime zone rimaste in
mano jihadista, nonostante altri tentativi di sabotaggio costati la
vita ad alcuni autisti di bus attaccati dai terroristi; le
trattative, oltre al trasferimento dei cosiddetti ‘ribelli’,
hanno spesso previsto l’alternativa della riconciliazione con
il governo di Damasco dove, in cambio della deposizione delle armi,
si viene reinseriti all’interno del contesto sociale e, se non si è
accusati di gravi crimini, si evitano i processi per tradimento.
l
trasferimento in atto sabato, è stato frutto di uno di questi
accordi locali mediati da alcuni attori internazionali in campo; in
particolare, le trattative in questo caso sono state condotte
da Iran e Qatar ed
il perché è presto detto: oggetto principale dei colloqui era
l’evacuazione di due cittadine sciite e la Repubblica Islamica si è
fatta promotrice della messa in sicurezza dei civili di fede sciita.
L’accordo è inserito in un contesto molto più ampio, che
abbraccia situazioni simili nel resto del paese: in cambio del
trasferimento dei civili da Kafraya ed al – Foua, l’esercito
siriano ha permesso l’evacuazione dei terroristi dalle sacche
jihadiste di Madaya e Zabadani,
due località della ‘Rif’ di Damasco; in tal modo, risultano
evidenti anche vantaggi militari sia per il governo che per gli
islamisti: le
forze di Assad possono riprendere il controllo di due centri vicino
la capitale,
le forze che controllano di Idlib invece si garantiscono
l’eliminazione
di una sacca governativa vicino
il capoluogo di provincia.
Pur
tuttavia, all’interno di questo accordo, vi è presente una novità
importante: è infatti la prima volta che ad essere evacuati
sono soltanto civili e non militari o ribelli ed inoltre, è stata
anche la prima volta del trasferimento da località in mano
governative. Kafraya ed al – Foua, sono infatti due cittadine
a maggioranza sciita che però si sono ritrovate nel bel mezzo di una
provincia in cui islamisti e jihadisti hanno iniziato ad imperversare
dall’inizio della guerra; l’esercito siriano ed alcuni reparti
degli Hezbollah hanno
garantito, in questi anni, la sicurezza delle cittadine la cui difesa
però, forse anche in previsione dell’offensiva governativa su
Idlib, è diventata ad un certo punto molto difficile ed onerosa.
L’evacuazione dei civili quindi, secondo l’accordo, ha avuto
anche lo scopo di liberare diversi reparti dell’esercito e del
movimento popolare libanese e poter in questo modo meglio distribuire
mezzi e uomini su altri fronti.
Mentre
i trasferimenti da Zabadani e Madaya sono andati a buon fine, con
i bus
arrivati ad Idlib,
quello dei civili sciiti invece ha subito il grave attacco di sabato;
un convoglio di mezzi che trasportava i cittadini di Kafraya ed al –
Foua, mentre era giunto a Rashideenn, a pochi chilometri
dall’ingresso ad Aleppo e dunque nelle zone governative, è stato
raggiunto da un’autobomba.
Secondo alcuni testimoni, pare che l’ordigno sia stato azionato mentre
nell’area di servizio un uomo aveva fatto avvicinare dei bambini al
mezzo poi esploso offrendo loro alcuni pacchetti di patatine; un
gesto macabro e che lascia senza fiato e parole, compiuto con il solo
scopo di uccidere i civili e creare terrore tra i sopravvissuti. Un
gesto però che, dopo alcuni servizi televisivi in cui non sono
mancate omissioni di dettagli e dove, allo stesso tempo, non è stato
spiegato il contesto dell’evacuazione di questi profughi, è ben
presto passato
in sordina e
nel dimenticatoio.
Dopo
l’arrivo dei soccorsi, alcuni dei quali inviati dalla Croce Rossa
presente nel vicino quartiere governativo di Hamadaniyah, i bus non
colpiti dall’esplosione hanno ripreso il proprio cammino e sono
arrivati ad Aleppo, concludendo
poi l’evacuazione di
Kafraya ed al – Foua; pur tuttavia, non può non rimanere vivo il ricordo dei tanti civili uccisi, che si aggiungono ad una lista
oramai troppo lunga dopo sei anni di conflitto.
Rimane
anche, tra le altre cose, la constatazione del fatto che continuare a
considerare ‘moderati’ i ribelli di Idlib è operazione
intellettualmente disonesta e che non favorisce i tentativi di far
concludere la guerra nel più breve tempo possibile; se è vero che
alcuni gruppi islamisti hanno preso le distanze dall’attentato, è
anche vero che se si è avuta l’esigenza di evacuare i civili dalle
due cittadine sciite vi era evidentemente il concreto
pericolo di rappresaglie jihadiste che,
di certo, non sono sintomo di ‘moderazione’ e di volontà di
dialogo. Prima l’intero occidente prende definitivamente le
distanze dai ‘ribelli’, prima si potrà far chiarezza su tutti i
fronti che riguardano il conflitto siriano.
A
completamento dell'articolo, un'ulteriore terribile notizia: per
rendere le cose ancora peggiori, durante l'attentato oltre 200 civili da Foua e Kafraya
sono stati rapiti nella zona Rashideen. La maggior parte dei rapiti sono ragazze giovani.
“Secondo
una fonte di Al-Masdar news, si ritiene che gli abitanti sciiti di
Fouaa e Kafraya siano stati rapiti da Hay'at Tahrir Al-Sham (HTS),
una fazione ribelle affiliata ad Al Qaeda, che è accusato di aver
ucciso 126 civili nell'attacco con un'autobomba ieri “