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sabato 12 marzo 2016

Se la violenza genera misericordia: mons Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco

L'ultima devastazione : Chiesa St Sergio e Bacco Tabqa (Thawra) sulla diga dell'Eufrate a 50 Km da Raqqa

VaticanInsider, 11 marzo 16
di Paolo Affatato

Nella logica paradossale del Vangelo, nella sapienza della Croce, rivelata solo ai «piccoli», in quella debolezza che, come dice san Paolo, diventa «forza», «la violenza che da cinque anni lacera la Siria è divenuta fonte e generatrice di misericordia», per famiglie, preti di ogni confessione, consacrati. 
Lo racconta a Vatican Insider Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, che vede la sua comunità ferita dalla sofferenza ma – in modo misteriosamente riconducibile solo all’azione di grazia del Padre – farsi instancabile promotrice di compassione e perdono, misericordia e solidarietà. Un dono di Dio, «capace di trarre il bene anche dal male», rimarca Nassar, nello speciale Giubileo che, tra mille difficoltà, lutti e disagi di un conflitto prolungato, si vive anche in Siria. Con questo sguardo provvidenziale è stata accolta dai cristiani locali la morte del diacono Camille, colpito a marzo del 2013 dalle schegge di un proiettile di mortaio. La sua morte ha infuso rinnovato vigore spirituale ai cattolici maroniti che hanno avviato la costruzione di tre cappelle nei quartieri periferici della capitale, in aree ridotte in macerie.  

Come si vive la misericordia tra i rifugiati, tra famiglie disgregate e segnate dalla guerra?  
«Ci sono già 12 milioni di rifugiati siriani e il numero sembra destinato a crescere ancora. Le organizzazioni di solidarietà hanno messo a disposizione tutte le risorse e vengono travolte dalle crescenti necessità di questa gente. Oggi, allora, è la famiglia, baluardo della società mediorientale, ad assorbire il trauma, dando sollievo e conforto. In una generosa dimostrazione di solidarietà, le famiglie – fino a un numero di venti persone – condividono una singola stanza, dividendo il pane quotidiano, la vita di ogni giorno e anche i luoghi di sepoltura. Queste famiglie agiscono per gratuità, non cercano alcun rimborso o contraccambio e sono incarnazioni silenziose della misericordia».

Come vivono in questa situazione i sacerdoti?  
«In primis va detto che il compito sacramentale dei sacerdoti in tutte le Chiese orientali è stato notevolmente ridotto a causa della guerra. Ma quello pastorale si è ampliato: i sacerdoti sono diventati preziosi “assistenti sociali” a servizio delle famiglie povere colpite. I preti, nel loro servizio instancabile, mostrano il volto misericordioso del Signore. Invece di scappare, accettano con coraggio la loro missione di oggi, come fedeli servitori della misericordia, fino all’ultimo, perché rischiano la vita. La comunità cristiana in Siria ha già perso cinque sacerdoti che hanno offerto la loro vita, donandosi totalmente al dialogo e all’aiuto dei più vulnerabili. Due vescovi e quattro preti sono tuttora dati per dispersi, sequestrati mentre erano in missione cercando di portare aiuti a persone in estrema necessità».

Vi sono anche molti consacrati che si dedicano al soccorso della popolazione...  
«Suore, monaci e laici consacrati si sono dedicati anima e corpo ad aiutare la popolazione siriana, ridotta in miseria. Aleppo è stata senza acqua ed elettricità per un lungo periodo di tempo. La vita era a luce di candele. E come si può vivere senza acqua? Alcuni gruppi di religiosi si sono impegnati a portare l’acqua in casa a tante persone anziane e malate. Sono andati alla ricerca di acqua nei pozzi disponibili, portandola in cisterne, perfino in gusci vuoti di bomba, per fornire 20 litri di acqua a ogni casa. Le cosiddette “mense del cuore”, poi, preparano cibo per i bisognosi e rappresentano un’ancora di salvezza per molti che sono ammalati, soli o vulnerabili. Accanto all’aiuto umanitario, i religiosi si prodigano in un’opera di tipo psicologico e spirituale: confortare e aiutare a superare i traumi della guerra. Per esempio a Damasco ci sono team specializzati che offrono supporto psicologico ai bambini traumatizzati dalla guerra e dalla violenza. Riuniscono bambini di tutte le religioni per una sorta di “rieducazione alla pace”: imparare cosa vuol dire vivere insieme e accettare serenamente le differenze. Questo è un progetto d’avanguardia che rivela l’impegno silenzioso della Chiesa e che rappresenta una via per il futuro. Un altro movimento, guidato dai Gesuiti, si rivolge ai giovani, oggi più che mai decisi a lasciare il paese, per accompagnarli in questo tempo di disagio e far sì che restino».

Ci sono altre iniziative degne di nota, a beneficio della popolazione?  
«Molte iniziative vanno avanti nel nascondimento, lontane dai riflettori dei mass-media, come le attività quotidiane svolte dalla Società di San Vincenzo de’ Paoli, da confraternite mariane, da orfanotrofi, ordini religiosi, preti e laici che girano instancabilmente per i luoghi affollati dai rifugiati. Nello slancio di carità, che manifesta la compassione verso il prossimo, resta centrale la famiglia, segno resistente e duraturo dello splendore della misericordia, che di fatto oggi fa andare avanti la Chiesa e il Paese».

Ne vuole riferire qualcuna in particolare?  
Vorrei segnalare l’opera del Movimento della Fraternità, fondato in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1967 da padre Paul, sacerdote Lazzarista che, grazie a diversi collaboratori, ha creato un centro di produzione di protesi per disabili. Il Movimento è stato tra i primi a rispondere a questo conflitto spietato che ogni giorno crea nuovi feriti e mutilati. Agendo in partnership con i circuiti di beneficenza legati alle parrocchie, il Movimento cura la riabilitazione per i feriti e mutilati, offendo loro un periodo di riposo. Questo è il volto del “Buon Samaritano”, che in Siria assume i tratti di padre Paul, un autentico “genio della sanità”».

Com’è nata l’idea di costruire tre nuove cappelle e cosa significa?  
«Per noi è un gesto di reazione pacifica, compiuto in nome di Cristo, contro la morte e la distruzione. Le cappelle sono segno di una comunità che è tuttora viva e vigile. La prima, intitolata ai Martiri di Damasco del 1860, è stata inaugurata all’inizio dell’anno, le altre due saranno ultimate nei prossimi mesi. Sono davvero commosso vedendo con quanta sollecitudine e cura l’intera comunità maronita si è fatta carico dei tre progetti, che rappresentano un concreto segno di speranza e fiducia nel futuro della Chiesa in Siria, in quest’Anno della Misericordia. Le abbiamo volute anche in memoria del diacono Camille, ucciso nel marzo 2013 dalle schegge di un colpo di mortaio mentre si trovava vicino a una chiesa. Dopo quell’evento ho detto ai sacerdoti che, se volevano, potevano lasciare la città. Ma tutti mi hanno risposto: se tu resti, restiamo anche noi. La nostra missione sotto le bombe continua ed è segno di una fede martirizzata che si rifiuta di morire».

giovedì 10 marzo 2016

Siria. Colloqui pace, si entra nel vivo il 14 marzo

I curdi accusano l' opposizione siriana di bombardare con dei prodotti chimici, del gas fosforo, un quartiere di Aleppo a prevalenza curdo, Sheikh Maqsood, che ha avuto 160 morti  tra cui donne e dei bambini, negli ultimi 3 giorni
https://www.rt.com/news/335069-kurds-turkey-syria-rebels-sarin/

Radio Vaticana, 8 marzo 2016

Il parere di Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:
R. – L’elemento di novità è l’accordo tra Stati Uniti e Russia. Gli Stati Uniti hanno capito che la questione siriana non può essere risolta solamente dal cosiddetto “campo occidentale”, alleato all’area sunnita, ma che è necessario porsi come obiettivo una via di uscita della crisi siriana che includa tutte le componenti interne del Paese, tutti i "player regionali" e internazionali e che non sia la vittoria di una parte sull’altra. L’altro elemento è che non si è più posta come pregiudiziale la fuoriuscita di Assad. Sul terreno, oggi Assad è più forte, grazie all’intervento della Russia e degli Hezbollah e quindi dell’Iran, e dunque c’è uno stato di fatto che fa sì che la transizione sia una transizione realistica.
D. – La tregua sul terreno è comunque traballante, la situazione umanitaria rimane critica… Ecco, una situazione così ancora instabile non inficia la diplomazia che deve andare avanti? Sarà solo un piccolo tassello questo appuntamento? E’ normale che sia cosi?       R. – Credo proprio che sia normale, entro certi limiti, che sia così. Noi dobbiamo capire che si esce da anni di massacri terribili e quindi non possiamo pensare che questa "exit strategy" sia una cosa facile. Ci sono grandi odi e grandi fossati da colmare. E c’è il fatto che continua la guerra con l’Is e con le formazioni legate ad a-Qaeda, come al-Nusra. Quindi questi qui, tra le altre cose, possono utilizzare la tregua in atto con le altre componenti e con Assad per cercare di espandere la propria pressione, come è avvenuto con le esplosioni a Baghdad e altrove che sono state rivendicate da Is. Quindi, evidentemente cercano di giocare il loro ruolo in questo momento in cui le armi degli altri tacciono o dovrebbero tacere. Quindi, la situazione è molto complicata e tuttavia l’elemento di svolta è che si è passati da una visione in cui si doveva appoggiare l’insurrezione per sconfiggere il tiranno – l’unica cosa poteva essere la vittoria degli uni e la sconfitta degli altri – a una visione che veda un governo che includa tutte queste componenti, che dia garanzia a tutte queste componenti. Altrimenti non se ne esce, perché ognuna di queste componenti sa che la vittoria dell’altro significa la sua morte e quindi diventa una guerra senza fine. Certo, ci sono resistenze e ognuno tira dalla sua parte, ma credo che sia un passo fondamentale che consenta di andare da un lato a questo discorso di transizione e, dall’altro, a una lotta contro questa sacca dell’Is e delle formazioni legate al-Qaeda, che a questo punto risultano abbastanza isolate.
D. – Lei come giudica il lavoro dell’Onu in questa circostanza e il lavoro di Staffan De Mistura?       R. – E’ stato un lavoro paziente, certamente encomiabile. Devo dire che su questo ha giocato un ruolo estremamente positivo Federica Mogherini, che non si accodata alle posizioni più oltranziste, che ha facilitato ad esempio l’accordo fra Russia e Stati Uniti sulla questione delle armi chimiche. Credo sia prevalsa una visione che non si può far precedere le armi a quello che è l’obiettivo politico che si vuole conseguire: il processo deve essere l’inverso.

lunedì 7 marzo 2016

'Chi troverà una donna forte e virtuosa? Il suo valore è di gran lunga superiore alle perle' (Proverbi 31,10)

Un convoglio di aiuti è stato inviato dal Convento Mar Yacub di Qara ad Aleppo all'inizio di febbraio.
Il convoglio era costituito da un'ambulanza, un ospedale mobile e 13 camion caricati con beni di soccorso nell'ambito della campagna di solidarietà con la città di Aleppo. Il Convento di Qara ha già supportato con materiali sanitari diverse province siriane sin dall'inizio della crisi, tra cui due ospedali mobili a Homs e Daraa e un numero di ambulanze.

"Madre Agnès Mariam ha ricevuto in Russia il premio Femida due settimane fa. È come la versione russa del premio Nobel per la Pace. Ha ottenuto questo riconoscimento per il suo grande impegno nella crisi siriana. Noi come comunità di Mar Yacub siamo molto orgogliosi e ringraziamo il Signore Gesù. La tv russa 1TV.RU è venuta qui a fare una relazione in questa ultima settimana.
Femida (Dike) è la dea romana della giustizia, raffigurata con una benda sugli occhi (per la sua imparzialità, obiettività), la bilancia e una spada. In realtà, è diventato un simbolo ampiamente accettato della giustizia. In Russia il Femida è l'equivalente del premio Nobel. Questo premio è stato dato fino ad oggi esclusivamente ai russi che hanno lavorato soprattutto per la difesa della giustizia e dei diritti umani.
Madre Agnès Mariam è stato il primo straniero a ricevere questo premio."

http://www.maryakub.net/2016/03/05/report-russian-tv-in-our-monastery/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook




Nel buio del conflitto siriano, una suora fa intravedere la luce

Suor Agnes Mariam de la Croix, fondatrice del movimento "Mussalaha"


"Mussalaha", "Riconciliazione": è questo il nome del movimento che grida al mondo che si fermi la guerra in Siria e che cessi il rumore delle armi. "Riconciliazione" lavora per una concreta pacificazione attraverso la mediazione tra le diverse parti di un conflitto in atto da anni, la cui unica vera vittima è il popolo siriano.
Cuore di questo movimento è una suora: Agnes Mariam de la Croix. "In un momento in cui il mondo ha disperatamente bisogno di una soluzione pacifica per porre fine allo spargimento di sangue in Siria, questa iniziativa (Mussalaha) spicca come un faro la cui luce alimenta la speranza che viene dall’interno della società siriana ed esprime il desiderio della maggioranza del popolo per un percorso di pace". Sono le parole con cui Mairead Maguire, pacifista britannica, cofondatrice della Community of Peace People, nonché Premio Nobel per la Pace nel 1976, ha proposto, in una lettera al Nobel Institute, che il riconoscimento venga assegnato a suor Agnes.
La religiosa nasce come Fadia Laham da padre palestinese e madre libanese, ma dice di sentirsi totalmente siriana. Ha trascorso la gioventù a Beirut. Scegliendo di dedicare la sua vita al Signore, decise di entrare in convento; successivamente fondò il Monastero di Mar Yacoub (San Giacomo) nella zona di Qalamoun in Siria, dove vive da circa 20 anni.
Verità e giustizia non possono non scuotere la coscienza umana; figuriamoci per una persona che ha già scelto di dedicare la sua vita al servizio degli ultimi. Infatti, dietro un sorriso sereno, gli occhi di suor Agnes svelano il dolore che ha visto e vissuto insieme alle persone innocenti che ha incontrato nella sua missione.
A conflitto siriano appena iniziato, la suora decise di scrivere una lettera ad una associazione umanitaria francese parlando della guerra mediatica e della disinformazione in atto contro il suo paese, e raccontando con coraggio ciò che stava realmente accadendo. Per questa lettera, i gruppi combattenti scatenarono critiche e polemiche contro di lei.
Suor Agnes tuttavia non si è abbattuta, anzi ha deciso di continuare con più animo la lotta contro la disinformazione, e grazie al suo contributo arrivò in Siria la prima delegazione di giornalisti stranieri, nonostante la chiusura totale del governo siriano timoroso per possibili infiltrazioni di spie internazionali.
La religiosa convinse le autorità (nei cui confronti è stata comunque critica in diverse occasioni) del bisogno di raccontare la verità in modo neutro e indipendente, denunciando i massacri e i crimini commessi dai gruppi terroristici composti da Jihadisti stranieri intervenuti nel paese per combattere la guerra santa.Non si tratta infatti di una rivolta popolare, ma esistono gruppi organizzati che creano manifestazioni ad hoc e che tentano, attraverso atti di violenza, di suscitare scontri settari e divisioni etnico religiose.
La strada è dura da percorrere. Le critiche piovono su suor Agnes da tutte le parti, anche da gruppi che si professano pacifisti ma chiedono l'intervento militare in Siria. Alcuni la accusano di appoggiare il governo siriano, quando invece la suora denuncia i crimini dei ribelli e smaschera le false notizie.
"Non faccio politica: il mio impegno è puramente umanitario", ha affermato in più di un'occasione. Le sue non sono parole vuote, e malgrado gli attacchi feroci dei movimenti vicini all'opposizione siriana e dei simpatizzanti dei ribelli, il suo ruolo è stato decisivo nelle zone di maggiore conflitto, dove è riuscita a trovare spesso soluzioni di compromesso tra combattenti e governo. Il tutto grazie alla rete di volontari del Movimento Mussalaha, che salvato tanti civili e riaperto i canali del dialogo e della riconciliazione.
Ciò ha consentito a suor Agnes di far evacuare famiglie, proteggere donne e bambini, agire non da spettatrice, ma in prima linea, tra la gente e nei luoghi ad altissimo rischio. La suora è instancabile e continua a girare il mondo come portavoce dei civili innocenti: ha già raccolto tanti aiuti durante i suoi viaggi in Europa e in Australia, riuscendo ad ottenere, tra le altre cose, un'ospedale ambulante e grandi quantitativi di medicine e di generi di prima necessità.
Mentre il mondo è in attesa che le diverse parti in conflitto si siedano al tavolo della trattativa a Ginevra, una suora tenace salva quotidianamente tante vite umane, aprendo una finestra di speranza sul massacro, attraverso la strada del dialogo e della riconciliazione.

  da Zenit.org , di  Naman Tarcha 

http://www.zenit.org/it/articles/nel-buio-del-conflitto-siriano-una-suora-fa-intravedere-la-luce

venerdì 4 marzo 2016

Mons. Khazen: "effetti positivi della tregua in atto, ma basta connivenze straniere con l’Isis, lasciate liberi i siriani di decidere per loro stessi”

piazza Hamdiya trasformata in cimitero per mancanza di spazio ora soprannominata dai locali Piazza dei martiri

ZENIT, 4 marzo 2016
di Federico Cenci


Si sarebbe dovuto tenere questa settimana un tour in Italia di mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini. Il presule avrebbe partecipato ad una celebrazione quaresimale e ad una serie di conferenze per raccontare il dramma che si sta consumando in Siria, sulla pelle dei suoi abitanti, specie delle minoranze religiose come i cristiani.  Tuttavia, proprio l’improvviso rinfocolarsi di questo dramma ha costretto mons. Abou Khazen a rinunciare al suo viaggio in Italia. Per telefono egli ha annunciato che doveva annullare gli appuntamenti  perché “Aleppo non ha vie percorribili in questo momento”, in quanto “l’unica strada che collega la città al Sud è stata liberata dall’esercito regolare, ma altre sono ancora in mano alle milizie armate”. Mons. Abou Khazen ha inoltre spiegato che Aleppo è “tagliata fuori dai rifornimenti”, pertanto non possono arrivare aiuti. A qualche giorno di distanza, ZENIT lo ha contattato per sapere come si sta evolvendo la situazione e quali sono le speranze del popolo siriano riguardo i negoziati di pace che riprenderanno il 9 marzo a Ginevra.
Eccellenza, cosa sta accadendo in queste ore ad Aleppo?   In queste ore ad Aleppo la situazione è meno difficile e meno grave di qualche giorno fa. L’esercito regolare è riuscito a rompere l’assedio e liberare l’unica strada che collega Aleppo alle altre zone della Siria, che l’Isis ed al-Nusra avevano in parte occupato. Quindi ora i rifornimenti, i viveri, il carburante, ecc. stanno arrivando in città. Ma siamo ancora da sei mesi  senza elettricità e da circa due mesi anche senza acqua. E in questi giorni i bombardamenti sui quartieri civili sono diminuiti notevolmente.
Quindi la tregua scattata sabato scorso sta producendo effetti positivi?   La tregua scattata sabato scorso sta producendo effetti molto positivi: ha fermato i fiumi di sangue e risparmiato morte, distruzioni e tanto dolore e sofferenze. Sta inoltre incoraggiando il processo di riconciliazione tra i siriani in varie parti della Siria, oltre ad aver dato una bella spinta ai negoziati programmati. Questa tregua sta permettendo che gli aiuti umanitari arrivino nelle zone assediate. Speriamo solo che il cessate il fuoco duri.
Ritiene, come ha recentemente detto il presidente Bashar al-Assad, che la catastrofe umanitaria in Siria sia dovuta, oltre che alla guerra, anche all’embargo imposto dai Paesi occidentali?      L’abbiamo detto dall’inizio che l’embargo imposto dai Paesi occidentali è un crimine! Tale metodo non aiuta mai, come sempre chi ne soffre e ne paga le conseguenze è solo il popolo. Tutto il popolo, ma in modo speciale i più poveri e deboli: andiamo mendicando per aiutare la popolazione e la gente che soffre la fame, mentre a causa dell’embargo centinaia di migliaia di siriani che lavorano all’estero non possono trasferire una piastra alle loro famiglie in Siria. Migliaia di studenti siriani che si specializzano all’estero devono interrompere i loro studi perché le loro famiglie non possono inviargli il denaro necessario, né il Governo pagare la borsa di studio per molti di loro. La gente soffre il freddo – ad Aleppo d’inverno si arriva a temperature al di sotto degli zero gradi – senza che si possano avere né gasolio né gas per riscaldarsi. Per non parlare della mancanza di medicine, macchinari necessari per gli ospedali, pezzi di ricambio, etc… Mi chiedo, al di là di aver prodotto questi disastri, l’embargo è forse riuscito a portare la pace e risolvere il conflitto?
È cambiato qualcosa negli ultimi cinque mesi, da quando è iniziato l’intervento russo?    In questi  ultimi cinque mesi, da quando l’intervento russo è iniziato, molte cose sono cambiate. Nei 18 mesi di intervento della cosiddetta coalizione internazionale anti Isis (condotto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, ndr), i terroristi avevano occupato il 50% dei territori occupati. In questi ultimi 5 mesi di intervento russo, l’Isis ha perso il 20% di territorio che occupava, e anche gli altri gruppi jihadisti – ad esempio al-Nusra – perdono posizioni. L’esercito regolare è riuscito ad avanzare e a liberare molti villaggi e cittadine, permettendo così ai profughi di tornare. Soprattutto, è riuscito a fare riaprire gli edifici scolastici in questi posti e far tornare i ragazzi alla scuola dopo qualche anno di abbandono. E poi ricordo che alla Russia dobbiamo riconoscere di essersi impegnata in modo particolare per i negoziati e per la tregua.
Lei ha parlato in passato di quella in Siria come di una “guerra per procura”. Quali Paesi sarebbero coinvolti? E a quale scopo?    Il mio non è un giudizio temerario. Sono i fatti a dimostrare questa affermazione e ormai anche tutti i mass-media lo confermano. Così come lo confessano i Paesi stessi coinvolti, a partire dagli Usa, passando per alcuni Paesi europei, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar…
A quali fatti fa riferimento?   Ciò che affermo lo si può dedurre facilmente analizzando alcuni aspetti di questa guerra: come è stato possibile che decine di migliaia di combattenti stranieri riuscissero a varcare i confini per arrivare in Siria? Chi li ha armati ed addestrati? Come ho detto prima, durante l’intervento della cosiddetta coalizione internazionale anti Isis, con a capo gli Usa, l’Isis ha occupato il 50% della Siria, ossia la metà del territorio! E aggiungo: chi sta acquistando il petrolio dall’Isis a costi ridottissimi? Chi sta comprando i tesori archeologici rubati dall’Isis in Iraq e in Siria? Gli unici che combattono l’Isis sul territorio sono i curdi e l’esercito regolare siriano. Ebbene, la Turchia sta bombardando i curdi e gli Usa non ne vogliono sapere dell’esercito regolare…
Il 9 marzo a Ginevra riprenderanno i colloqui di pace per la Siria. Qual è la vostra speranza?   Abbiamo una forte speranza. Speranza che finalmente vengano lasciati liberi i siriani di negoziare e di decidere per loro stessi, senza imporre gli interessi delle potenze regionali straniere. Questa è la condizione affinché i colloqui siano proficui. I siriani sono ormai stanchi di questa assurda guerra, più stanchi ancora dei tanti combattenti stranieri giunti in Siria per creare scompiglio e per imporre la sharia.
Secondo Lei i cristiani siriani sono destinati a un futuro lontano dalla loro terra?  Purtroppo già molti cristiani hanno lasciato la Siria e l’Iraq per cercare un futuro altrove, lontano dalla loro terra. Altri sono invece decisi a rimanere nonostante tutto. Il nostro futuro sta nelle mani del Buon Dio, che nell’Antico Testamento ha realizzato il suo piano salvifico per mezzo del Piccolo Resto rimasto o tornato dall’esilio. La Siria è l’Antiochia da dove, dopo Gerusalemme, è partito l’annuncio della Buona Novella e dove i discepoli di Gesù sono stati chiamati cristiani per la prima volta. E non credo che questo nome e questi discepoli spariranno. Continueremo a dare testimonianza in Oriente. San Paolo si è convertito alle porte di Damasco ed il Signore è capace di mandare altri Paolo.

giovedì 3 marzo 2016

Patriarca Rai: l’incontro tra il Papa e Kirill è stato un fatto provvidenziale e i cristiani del MO giudicano positivamente l’intervento russo nel conflitto siriano


Il Medio Oriente è sconvolto dalla tempesta delle guerre, del terrorismo e delle pulizie etnico-religiose. Ma la tempesta passerà, e anche i cristiani non spariranno dalle terre dove è nato Gesù e si è diffuso il primo annuncio cristiano. 
Il cardinale libanese Boutros Bechara Rai, Patriarca di Antiochia dei maroniti, non sembra contagiato dai toni catastrofici che segnano tanti interventi di altri vescovi e Patriarchi mediorientali. Lui dà ragione con accenti appassionati della speranza cristiana che lo anima anche riguardo al futuro del Vangelo in quella parte del mondo. 
Beatitudine, esponenti di altre Chiese cattoliche orientali hanno espresso riserve per l’abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, e soprattutto per la dichiarazione comune da loro sottoscritta. Come è stato vissuto quell’evento tra i cristiani del Medio Oriente?
“Da noi l’ecumenismo non è una questione accademica. È la vita di tutti i giorni. Tra cristiani di diverse tradizioni ci incontriamo spesso e decidiamo tutto insieme. Abbiamo percepito l’incontro tra il Papa e il Patriarca russo come un fatto provvidenziale, e io l’ho scritto anche al Papa. La dichiarazione comune, la sto leggendo un pezzo per volta al programma di formazione cristiana che tengo ogni settimana in tv. Ho cominciato coi paragrafi dedicati ai cristiani in Medio Oriente. La prossima settimana tratterò della parte sulla famiglia. Io ho rapporti fraterni anche col Patriarca Kirill. Ci scriviamo sempre, mi sono consultato con lui anche sulle questioni della politica”.
Quale giudizio prevale tra i cristiani del Medio Oriente riguardo all’intervento russo in Siria, che ha cambiato le sorti del conflitto e viene criticato da molti circoli in Occidente?
“La Russia si occupa da sempre dei cristiani del Medio Oriente, soprattutto quelli ortodossi. Nel solo Libano, i russi hanno aiutato a far nascere almeno un’ottantina di scuole ortodosse, che rappresentano un contributo importante per la vita ecclesiale. Riguardo alla guerra, ai nostri occhi l’intervento della coalizione guidata dagli americani non ha fatto altro che consolidare i jihadisti del Daesh, lo Stato Islamico. E questo ci spingeva sempre a porci delle domande. Poi sono arrivati i russi, stanno colpendo Daesh e allora si sentono le proteste di chi li rimprovera di voler solo sostenere il regime siriano… Allora non ci si capisce più niente. Noi sappiamo solo che non è possibile essere preda delle organizzazioni terroristiche: Daesh, al Qaida, al Nusra, e i mercenari che ci mandate dall’Occidente… Quindi noi giudichiamo positivamente questo intervento russo, come una lotta concreta lotta contro il Daesh. Poi, è ovvio che tutti gli Stati hanno i propri interessi politici. Ma almeno c’è una Nazione, la Russia, che parla anche dei cristiani del Medio Oriente”.
Ma c’è sempre bisogno di qualcuno che difende dall’esterno i cristiani del Medio Oriente? Non c’è il pericolo di teorizzare per loro nuovi protettorati, come quelli esercitati un tempo dalle potenze occidentali? 
“Non c’è più nessun protettorato, e forse non c’è mai stato. Gli Stati facevano i loro interessi, sotto la coperta del protettorato. Noi non abbiamo bisogno di protettori. Abbiamo bisogno solo che dall’esterno ci lascino in pace, Prima di questi interventi esterni, c’erano stati tanti problemi, ma negli ultimi tempi vivevamo in pace. Lungo la storia abbiamo sempre trovato le vie per andare avanti”.
Eppure ci sono tante forze e organizzazioni, anche politiche, che dicono di voler aiutare i cristiani in Medio Oriente.
“Sì, va bene, ma si tenga conto che noi non siamo degli individui isolati, o delle piccole minoranze derelitte. Siamo la Chiesa di Cristo, che si trova in Medio Oriente. Ci sono quelli che trattano i cristiani mediorientali come dei poveretti, quelli che dicono: venite da noi, che vi accoglieremo, cinquanta qui, cento lì, cinquecento in quell’altro Paese…. A questi dico che le cose non funzionano così. Noi vogliamo rimanere nella terra nostra, insieme ai musulmani, dove abbiamo vissuto insieme per 1400 anni, e vogliamo rimanerci nel nome del Vangelo. Abbiamo creato una cultura insieme, una civiltà insieme. E tutti quelli che ora combattono in Medio Oriente, non sono del Medio Oriente”.
L’alternativa obbligata, in Medio Oriente, è tra regimi autoritari e fanatismo jihadista?
“L’ultimo tempo di sangue e dolore è iniziato coi popoli di diverse nazioni che esprimevano il legittimo desiderio di riforme politiche. È un diritto chiedere cambiamenti. Ma poi quelle richieste sono sparite, e sono venute fuori le organizzazioni terroristiche, sostenute da fuori con i soldi, le armi e il sostegno logistico. A tanti che ne parlano sempre, la democrazia e la libertà non interessa davvero. Hanno altri interessi”.
C’è anche chi, riguardo alla condizione vissuta ora dai cristiani in Medio Oriente, utilizza sempre le categorie di persecuzione e addirittura di genocidio. L’uso di queste espressioni è sempre appropriato?
“Il problema in Medio Oriente non un problema di persecuzione dei musulmani sui cristiani. I problemi sono altri: quelli tra sciiti e sunniti, tra regimi e gruppi terroristici, e tra Arabia Saudita e Iran, che si fanno la guerra sul suolo della Siria, dell’Iraq, dello Yemen, e in Libano si fanno guerra politica. I cristiani ci vanno di mezzo, ci sono stati attacchi mirati, perchè nel caos succede sempre così. Ma non possiamo parlare di persecuzione vera e propria e sistematica, e tanto meno di genocidio. Ci sono molte più persecuzioni contro i musulmani che contro i cristiani, I cristiani sono vittime come tutti gli altri, ma i 12 milioni di siriani che sono dovuti scappare dalle loro case non sono cristiani. Anche le atrocità del Daesh sono rivolte più contro i musulmani che contro i cristiani”.
Ma anche fuori dagli scenari di guerra, nei Paesi del Medio Oriente i cristiani vivono spesso situazioni obiettive di discriminazione. 
“Ci sono difficoltà, maltrattamenti, ci sono regimi che non rispettano la libertà religiosa, ma tutto questo è un’altra cosa rispetto alla persecuzione e addirittura al genocidio. E sono situazioni con cui noi abbiamo una certa familiarità storica. Se ci si lascia in pace, troveremo noi le soluzioni per andare avanti nelle situazioni nuove che ci troveremo a vivere. I protettorati del passato, di cui abbiamo accennato prima, hanno fatto più danni che bene ai cristiani che dicevano di voler difendere. Gli Stati fanno solo i loro interessi, e i cristiani venivano identificati come un corpo estraneo, da espellere. Mentre noi nelle nostre terre ci siamo nati, e abbiamo saputo vivere anche sotto i regimi più dittatoriali. Per questo nelle nostre terre noi non saremo mai “minoranze”, anche se rimanesse un solo cristiano in tutto il Medio Oriente I cristiani mediorientali riconoscono i limiti, rispettano le leggi e le autorità costituite. Sanno bene di vivere in Paesi dove l’islam è religione di Stato, la Sharia e sorgente principale delle leggi. Desiderano le riforme, Certo. Ma rispettano i tempi della storia. A quelli che vengono con le bombe, che fanno la guerra con la scusa di voler la democrazia e le riforme, o addirittura dicono di voler aiutare i cristiani, non si può dar credito. Non vogliono davvero le riforme. Cercano altro”.
Quale è allora il modo di aiutare i cristiani che soffrono?
“Chi riceve i colpi non è come quello che li conta. Dobbiamo sempre immedesimarci con chi è in difficoltà, perché siamo la Chiesa di Cristo. Ma stare vicino a chi soffre non vuol dire invitare i cristiani a fuggire dalle loro terre. Bisogna aiutarli lì dove si trovano. Ai politici stranieri che incontro ripeto sempre: fate finire la guerra, trovate soluzioni politiche ai conflitti, e lasciateci in pace, Non chiediamo altro”.
Nel disastro del Medio Oriente, il Libano vive una crisi istituzionale devastante. Eppure non è stato risucchiato dai conflitti. 
“Il Libano rimane una necessità per tutto il Medio Oriente. Lì cristianesimo e islam vivono in una condizione di eguaglianza”.
Ma anche lì la situazione politica è bloccata dallo scontro tra forze allineate con l’Iran o con l’Arabia Saudita. 
“All’Iran chiediamo sempre di fare pressioni sul Partito sciita di Hezbollah, perchè la smettano di boicottare le elezioni presidenziali. Siamo senza Presidente da quasi due anni, fanno mancare sempre il quorum alle riunioni del parlamento convocate per l’elezione. Al posto di Presidente deve essere eletto un cristiano maronita. Ma quelli di Hezbollah hanno deciso di boicottare ogni candidatura che non sia gradita a loro”.
Vede davvero qualche possibilità di trovare una via d’uscita dal conflitto siriano? 
“Finché la Turchia tiene aperte le frontiere a tutte le organizzazioni terroristiche, la pace rimane un sogno. E la coscienza della comunità internazionale sembra essere morta. Tutti questi esseri umani sparsi nelle strade del mondo non significano niente, per chi ha in mano il potere nel mondo”.
Tanti capi cristiani ripetono dichiarazioni catastrofiche. Lei, invece, una volta ha detto che anche questa tempesta passerà. 
“I cristiani non sono un gruppo etnico-religioso, e non sono un partito politico. Sono i figli della Chiesa di Cristo. La loro presenza, anche in Medio Oriente, non dipende solo dagli equilibri politici e dalle vicissitudini della storia. C’è una tempesta, e allora noi facciamo il gioco della canna, che si piega, non si irrigidisce, e la tempesta passa, e la canna non si spezza. Abbiamo vissuto difficoltà peggiori di quelle presenti, ai tempi di Mamelucchi e degli Abassidi. Anche i Patriarchi maroniti hanno vissuto per 400 anni in posti inaccessibili, in piccole celle in alte montagne, altre volte nel profondo di valli isolate, per custodire e essere custoditi nella fede cattolica. La fede non è mai spenta dalle tribolazioni, come si vede bene anche in tutta la storia della Chiesa di Roma. Io sento che il Medio Oriente ha più che mai bisogno di noi, ha bisogno di sentire un’altra voce. Diversa da quella della guerra, dell’odio, del sangue innocente sacrificato. Ha bisogno della voce del Vangelo. Oggi più che mai”.  
http://www.lastampa.it/2016/02/21/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/non-c-nessun-genocidio-di-cristiani-e-non-ci-servono-protettori-k1buJtC2euLob4snOaNsjI/pagina.html 

martedì 1 marzo 2016

I frati della Custodia in Siria: noi restiamo!


Terrasanta.net

Il 23 dicembre scorso al convento di San Salvatore a Gerusalemme, sede centrale della Custodia di Terra Santa, giungeva la notizia del probabile rapimento di fra Dhiya Azziz, un frate quarantenne di nazionalità irachena parroco nel villaggio siriano di Yacoubieh (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour). I suoi confratelli avevano perso i contatti con lui la mattina di quello stesso giorno, mentre il religioso stava rientrando in parrocchia dopo essersi recato in Turchia per incontrare i suoi familiari, profughi dall’Iraq. Fra Azziz era già stato vittima di un rapimento nel luglio del 2015, ma in breve era riuscito a sfuggire ai sequestratori. Stavolta è stato trattenuto più a lungo (12 giorni) e la notizia dell’avvenuta liberazione è stata diffusa da Gerusalemme, senza molti dettagli, la mattina del 4 gennaio 2016. Poche settimane più tardi il frate è giunto a Roma per un periodo di riposo lontano dalle tensioni della guerra. La sua vicenda ha riproposto ancora una volta a tutti i suoi confratelli un interrogativo cruciale: è bene ed opportuno restare nelle parrocchie dei villaggi siriani sotto il controllo delle forze islamiste avversarie del governo di Damasco anche se il numero dei cristiani locali continua a scemare perché molti se ne vanno? O è meglio ripiegare in attesa di tempi migliori?

Il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha invitato tutti i frati a pregare e riflettere insieme, per aiutare lui e il suo consiglio a decidere se restare a Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh, tre paesini della Valle dell’Oronte.
Molti frati hanno risposto al Custode per iscritto o a voce. Fra Pizzaballa ha voluto ringraziarli coralmente a fine gennaio con un messaggio che recita tra l’altro: «Ho letto con attenzione e meditato su tutte le vostre osservazioni, riflessioni e preoccupazioni. Le vostre opinioni sono state di grande aiuto e hanno reso meno faticosa la decisione da prendere. Di nuovo, grazie! Nella quasi totalità avete espresso con chiarezza il parere che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani (circa 400 complessivamente nei tre villaggi) e nonostante il pericolo».

«La Custodia – soggiunge il padre Custode – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo. Non pochi tra i nostri martiri, anche nel periodo recente, sono morti in circostanze non troppo dissimili dalla situazione attuale. Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo».
A prendere il posto di fra Dhiya a Yacoubieh andrà, da Betlemme, un religioso ancora più giovane, fra Louay Bhsarat, che fin dall’inizio della guerra aveva dato la sua disponibilità ai responsabili della Custodia.







 Lettera inviata da fr. Samhar, frate della Custodia di Terra Santa che vive ad Aleppo in Siria, in cui chiede preghiere:

Ciao fra Matteo,  
Stiamo qui proprio male, ogni giorno cadono su di noi una pioggia di bombe da parte degli gruppi armati, ci sono stati diversi morti e purtroppo sono giovani di età 13_ 19_ 21_ 40_ 60 oltre ai feriti che stanno malissimo, e le case distrutte... la gente qui in questi giorni sono di più disperati... 
Vi chiedo di pregare di più per loro, noi, e tutta la Siria. 
Fr. Samhar 

Come vedete cari amici, la città di Aleppo in questi giorni è oggetto di forti scontri tra i gruppi armati dei ribelli e l'esercito siriano che sta cercando di liberarla con l'aiuto dei bombardieri russi. 
Vi chiediamo di pregare e di far pregare la gente per la pace in Siria e perché il Signore dia forza ai nostri frati di custodire con coraggio il gregge loro affidato. Anche in queste ore drammatiche. 
Si possono organizzare momenti di adorazione, preghiera o semplicemente legare questa intenzione a ciò che già fate. Rimaniamo in comunione con loro, non lasciamoli soli.Pace e bene. 
Fr. Matteo Brena Commissario di terra Santa per la Toscana

Ad Aleppo succede qualcosa di terribile, ma si ignora o non si vuole vedere

(ANS – Aleppo) – La situazione ad Aleppo?   “Qui tutto è confusione, la morte è ovunque, nessuno riesce a capire cosa sta succedendo e non si sa di chi fidarsi. Stavamo preparando con i giovani un’opera di teatro per festeggiare Don Bosco e ci siamo dovuti fermare perché diversi di loro sono morti durante i bombardamenti” , racconta con la voce spezzata don Luciano Buratti, uno dei tre salesiani che abita nella casa salesiana di Aleppo, in Siria.
Da tre anni si combatte costantemente nella città.  “Ogni notte cadono le bombe in tutto il vicinato e ogni giorno veniamo a conoscenza di qualcuno che ha perso un familiare o una persona cara” continua don Buratti, mentre sullo sfondo si sente il brusio dei ragazzi che giocano nel cortile dell’oratorio.
Quando gli si chiede riguardo la situazione concreta della casa salesiana, dice: 
“la nostra comunità ha scelto di continuare le sue attività come se nulla fosse; cerchiamo di offrire alle famiglie un luogo dove si respirino anche nel bel mezzo del caos la stabilità e l’armonia, di conseguenza, le attività della parrocchia e l’oratorio seguono il loro corso normale, come facevamo prima dei combattimenti; questa è una delle poche strutture che operano ancora con una certa normalità”.
La condizione dei cristiani è particolarmente difficile, si cerca di fuggire e chi ha soldi e può lasciare la Siria lo ha già fatto; gli altri cercano rifugio nelle città più sicure, ma molte persone, che non hanno possibilità, rimangono ad Aleppo.
Abbiamo un sacco di lavoro; è aumentato il flusso di persone che arrivano alla nostra parrocchia chiedendo servizi religiosi, cercano Dio e un po’ di conforto – prosegue il salesiano –. 
Grazie a Dio, noi Salesiani stiamo ben e riceviamo qualche aiuto da distribuire tra circa 200 famiglie della nostra parrocchia che hanno perso tutto”.
Attualmente si stima che rimangono circa due milioni di abitanti in questa città, antico simbolo della convivenza pacifica tra Cristiani e Musulmani; adesso si spera solo di sopravvivere.
I Salesiani di Aleppo animano due opere: quella di Aleppo, dedicata a san Giorgio, e quella di Kafroun, dedicata a Don Bosco, con i loro rispettivi oratori, una casa di accoglienza e una parrocchia; tutto funziona regolarmente, al servizio della gente.

sabato 27 febbraio 2016

Il Vescovo di Aleppo ci comunica: "Qui siamo chiusi fuori dal mondo e presto senza risorse per sopravvivere"


MONSIGNOR ABOU KHAZEN , Vicario apostolico di Aleppo, era atteso in Italia il 1° marzo per il quaresimale di una Parrocchia di Imola e per la Conferenza  Stampa in Roma il 3 marzo.  
Oggi ha annullato gli impegni , comunicandoci per telefono questo messaggio:




"Aleppo non ha vie di uscita percorribili in questo momento. Alcuni villaggi lungo l'unica strada che collega Aleppo al sud sono stati liberati dall'esercito siriano, ma altri sono ancora in mano alle milizie armate.  
Aleppo è tagliata fuori dai rifornimenti : ciò significa che non possiamo ricevere cibo, soccorsi e soprattutto gasolio, il che ci priva della possibilità di far funzionare i generatori... Non potremo riscaldarci, attingere acqua ai pozzi che abbiamo scavato in alternativa al taglio dell'acqua cui siamo sottoposti da mesi dai ribelli,  e che non avremo energia elettrica di alcun tipo e resteremo al buio..  
 Vi prego di annullare gli appuntamenti, di scusarmi e di pregare per noi! Per noi la vostra preghiera è molto importante! Sapere che non siamo dimenticati!  
Grazie per la vostra solidarietà e per tutto ciò che fate per noi. A rivederci quando Dio vorrà!"

giovedì 25 febbraio 2016

Patriarca Gregorios III Laham, “chi mi accusa di sostenere Assad venga qui a vedere il terrore che gli islamisti ci incutono”


S.I.R.  24/02/2016

“In Occidente mi si accusa di sostenere il presidente Assad. Ma coloro che danno di queste lezioni vengano sul posto per rendersi conto del terrore che gli islamisti ci incutono”. A dichiararlo è il patriarca greco melkita Gregorios III Laham in un’intervista pubblicata oggi sul sito “L’Oeuvre d’Orient” e nella quale si sofferma sulla crisi siriana. 
L’ottantaduenne patriarca, siriano di nascita, parla del “martirio del suo Paese” e accusa le “grandi potenze che si rifiutano, dice, “di combattere Stato islamico con i mezzi necessari” contrastando invece il regime. “Non temo solo per i cristiani ma per tutto il popolo siriano. Le bombe stanno cadendo ovunque. Gli americani, i russi, gli inglesi, i francesi, i turchi, e anche Israele ci bombardano, come è avvenuto lo scorso dicembre per eliminare un membro di Hezbollah, presente a Damasco. Tutto questo, dicono, per sbarazzarsi di Daesh e e portarci la pace. Ma in attesa di questa pace che non viene, a essere uccisi sono civili siriani. Uomini, donne, bambini che muoiono ogni giorno a decine”. 
“Le grandi potenze ci accusano di sostenere una dittatura, ma il nemico non è Assad è Daesh con le sue legioni straniere, ceceni, giordani, tunisini, sauditi, e anche europei che vengono ad occupano le nostre terre. È da loro che dobbiamo liberarci. Il popolo siriano soffre il martirio. Quasi cinque anni di guerra, e il pedaggio è pesante: tra 250 000 e 300 000 morti, migliaia di feriti, sfollati, orfani, e l’Occidente sta ancora parlando e sempre dell’uscita di Assad. Ma mai di quella dei terroristi. Sono quelli scacciano i cristiani dalle loro case, che sgozzano i siriani che osano affrontarli. Per quanto tempo ancora dovremo vivere sotto il giogo di questi assetati di sangue?”. 
“Devo aiutare tutti i siriani – conclude – poco importa a quale religione appartengano. Bisogna preparare il dopo guerra e ritrovare la voglia di ricostruire insieme la Siria”.

http://agensir.it/quotidiano/2016/2/24/siria-patriarca-gregorios-iii-laham-chi-mi-accusa-di-sostenere-assad-venga-qui-a-vedere-il-terrore-che-gli-islamisti-incutono/

Siria, la vera priorità è combattere lo Stato Islamico. Non Assad


Asianews,

di Samir Khalil Samir sj


Sulla situazione attuale in Siria giornali e politici occidentali continuano a riproporre un cliché: perché vi sia pace, Bashar Assad, il presidente siriano, se ne deve andare. Per Stati Uniti, Francia, Arabia saudita, Turchia questo è il primissimo punto di un’agenda per costruire la pace in Medio oriente.
Eliminare Daesh o il presidente Assad?
A mio parere questo “primissimo punto” non è realistico e può essere dannoso per diversi motivi.
1) È vero, Assad è un dittatore, e nessuno lo nega. Ma va aggiunto che non è l’unico nella zona. Anche i re sauditi e gli emiri dell’area sono dittatori e hanno delle costituzioni che non lasciano spazio a nessuna voce. Ma in questi casi nessuno protesta. Ora, la questione è che se adesso tu elimini Assad, chi prende il potere? Ci sarà ancora più disordine e violenza. Almeno, con Assad al potere c’è un minimo di sicurezza.  Va anche detto che l’insicurezza è partita da Daesh [acronimo in arabo dello Stato islamico-ndr] e dagli altri gruppi fondamentalisti, la cosiddetta “opposizione siriana”, che ha fagocitato anche l’opposizione laica interna siriana.
2) D’altra parte nessuno spiega da dove vengano le armi e i soldi dei terroristi: non possono fare ciò che fanno se non hanno alcun appoggio. Una grande figura della politica in Egitto, molto quotata dal punto di vista internazionale, Tareq Haggi, ha affermato che “Arabia saudita e Qatar sostengono militarmente e finanziariamente Daesh”. Quello che non si vede e non si legge da nessuna parte è che il conflitto in Siria ha preso ormai un volto molto chiaro di una lotta del sunnismo contro lo sciismo. Questo ha una sua controprova: come mai Daesh non va in Arabia saudita, o in Qatar, dove potrebbero acquisire più potere e influenza? È perchè l’obbiettivo di Daesh è divenuto quello dell’Arabia saudita ed è confessato anche da sunniti di diversi orientamenti: una lotta contro lo sciismo dell’Iran, dell’Iraq e della Siria (alaouiti).
Sradicare il fondamentalismo sostenuto dall’Arabia saudita
Se vogliamo la pace in Siria, occorre incontrarsi a a Ginevra o altrove. Ma chi non vuole partecipare? Proprio i ribelli sponsorizzati dall’Arabia saudita.  Ora i Sauditi, come i Turchi vogliono fare attacchi di terra “contro il terrorismo”, ma in realtà vogliono combattere contro Assad, o meglio contro il governo sciita.
L’alleanza fra Stati Uniti, Turchia, Arabia saudita, Qatar è un’alleanza di interessi economici e militari. Gli Stati Uniti hanno un accordo stabile con l’Arabia saudita e il Qatar. Non parliamo poi degli interessi turchi: sono legati alla Nato, giocano in modo ambiguo con Daesh (comprano il loro petrolio, fanno passare nuove reclute dello Stato islamico, combattono i curdi, i quali sono gli unici armati che lottano contro Daesh,….), minacciano l’Europa con le ondate di profughi…
Quanto all’Arabia, sta programmando di intervenire in molti Paesi arabi musulmani, come ha fatto in Yemen e in Bahrain, ma sempre per colpire gli sciiti presenti in quelle nazioni.
Nessuno vede (o confessa) che la causa fondamentale di tutto questo caos è l’ideologia fondamentalista e la sua fonte ideologica è l’Arabia saudita, che difende il suo islam wahhabita (l’interpretazione più radicale dell’Islam) come il vero islam.
La soluzione per la pace in Siria e in Medio oriente è anzitutto fermare la guerra e dare una tregua al Paese; poi eleggere un presidente, chiunque esso sia, Assad o altri, senza trucchi elettorali; la terza è la ricostruzione. Più si aspetta e più ci sono migranti che l’Europa ormai non riesce ad integrare. Perfino la Germania, che ha fatto un gesto eroico (pronta ad accettare 800 mila rifugiati siriani), ora si è fermata. Occorre fermare la guerra: del governo, dei ribelli, di Daesh.
A proposito di Russia
Sull’intervento della Russia, criticato spesso dall’occidente, vedo invece che in Medio oriente molta gente l’apprezza perché colpisce i fondamentalisti e Daesh; gli altri – la cosiddetta coalizione internazionale – non hanno fatto granché. Poi ci sono i curdi che combattono anch’essi Daesh e con successo. Fra l’altro, anche i miliziani di Daesh sono bravi. E chi sono i loro istruttori? Sono i comandanti irakeni sunniti che, estromessi dal governo e dalla società irakena, sono stati formati dagli americani e ora si sono riciclati in questa lotta contro gli sciiti a fianco dei loro amici fondamentalisti e terroristi. E purtroppo sono bravi.
Conclusione
C’è una mancanza di chiarezza nell’informazione e non vi è collaborazione fra le forze che dicono di combattere il terrorismo. La Russia ha chiesto collaborazione, ma è rimasta sola.
L’errore che i Paesi implicati stanno facendo è di aver messo come scopo il cambiamento della leadership in Siria: è lo stesso errore fatto in Iraq e in Libia, che ha creato disastri ancora maggiori. Davvero non capisco perché l’occidente prenda sempre dei simboli da eliminare per “portare la democrazia”. Ma la democrazia in Medio oriente non esiste (e anche in Europa scricchiola). Certo, speriamo che possa realizzarsi in futuro, ma oggi sono importanti la sicurezza e la giustizia.
Gli occidentali sono chiamati a scegliere bene i loro obiettivi: prima di tutto va garantita sicurezza e giustizia e non attaccare qualche leader. Perché se cambi il capo, la società rimane uguale e il caos prende il sopravvento. Meglio la dittatura che conosciamo che la dittatura islamica che vediamo.
E bisogna poi avere il coraggio di dire: la causa di questa guerra ha un’origine più remota ed è il fondamentalismo islamico radicale sostenuto dall’Arabia saudita. Nessuno mai osa dirlo. Riyadh compra le armi all’occidente, per i ribelli e per Daesh, e con i suoi soldi compra il silenzio dell’occidente, Europa e Stati Uniti. L’ideale della democrazia in Medio oriente è diventato solo un paravento per interessi ideologici ed economici.
http://www.asianews.it/notizie-it/Siria,-la-vera-priorit%C3%A0-%C3%A8-combattere-lo-Stato-islamico.-Non-Assad-36693.html

martedì 23 febbraio 2016

“I rifugiati siriani devono poter rientrare a casa loro”


Patriarcato latino di Gerusalemme 
Quest’anno, l’incontro annuale organizzato in Germania, ha avuto luogo sabato 13 febbraio, anniversario della morte di suor Lucia dos Santos, testimone delle apparizioni di Fatima, e di padre Werenfried fondatore dell’ Aiuto alla Chiesa che Soffre. Una doppia, significativa, commemorazione dato che padre Werenfried aveva, in più occasioni, consacrato la sua opera alla Madonna di Fatima. L’Aiuto alla Chiesa che soffre è una fondazione internazionale cattolica di diritto pontificio che opera in 145 paesi, tra cui la Terra Santa, e aiuta i cristiani in difficoltà, minacciati, perseguitati, rifugiati o nel bisogno.
Nel suo intervento, mons. Shomali vescovo ausiliare di Gerusalemme ha parlato della tragedia siriana e del fondamentalismo islamico. A una domanda circa l’eventualità di un cambiamento nell’Islam, il vescovo ha risposto che tale cambiamento “non potrà venire che dall’interno dell’Islam”. Ha ricordato le iniziative del presidente Al-Sisi, in Egitto, e il suo intervento presso l’Unversità di Al-Azhar al Cairo per un rinnovamento del discorso religioso islamico, finalizzato a eliminare ogni deriva fanatica. Mons. Shomali ha anche citato la Lettera aperta al mondo musulmanodel filosofo francese e musulmano Abdennur Bidar. Questi invita l’Islam, in preda a una crisi profonda, a mettersi in gioco davanti ai problemi contemporanei e a un vero dialogo con le società occidentali. Secondo Abdennur Bidar, l’Islam si deve interrogare sul ruolo nella società di una religione che il Jihadismo vorrebbe totalitaria.
Sul punto della risoluzione del conflitto siriano, mons. Shomali ha detto: “è assolutamente necessario cooperare con Assad, presidente democraticamente eletto, al fine di sradicare il così detto Stato Islamico. Dopo di che dichiarare un cessate il fuoco immediato; poi ci saranno la ricostruzione della Siria e il ritorno dei rifugiati siriani”. A coronamento di questo processo, osserva il vescovo di Gerusalemme, “si terranno libere elezioni”.
Nella seconda tavola rotonda, l’arcivescovo emerito di Colonia, il cardinal Joachim Meisner, ha invitato i partecipanti a uno scambio sul tema delle apparizioni di Fatima e sul loro rapporto con la caduta del Muro di Berlino.

Caritas Libano ai Paesi donatori: più degli aiuti, serve fermare la guerra e il traffico di armi


AsiaNews

“La cosa più importante, il punto iniziale è fermare questa guerra. Bisogna far tacere le armi, oggi e non domani, l’urgenza aumenta ogni giorno che passa. Sino a che vi sarà la guerra non si potranno mai risolvere i problemi anzi, il conflitto è destinato a intensificarsi”.
È l’appello, lanciato attraverso AsiaNews, da p. Paul Karam, direttore di Caritas Libano, da quattro anni in prima fila nell’accoglienza del flusso continuo di famiglie siriane (e non) che fuggono dalla guerra. In questi giorni il sacerdote si trova a Londra, per partecipare alla Conferenza internazionale dei Paesi donatori iniziata oggi. “Sino a che vinceranno gli interessi personali - avverte p. Karam - e si continuerà ad alimentare il traffico di armi, a pagarne il prezzo sarà la popolazione civile, i poveri, quanti lavorano ogni giorno per guadagnare il pane quotidiano per sopravvivere e dare un’educazione ai figli”. 
A Londra si sono riuniti i leader mondiali per raccogliere i 9 miliardi di dollari necessari per rispondere ai fabbisogni dei milioni di profughi siriani, fuggiti dalla guerra civile. Il denaro servirà anche per attuare politiche di accoglienza ai rifugiati che hanno lasciato il Paese, in cerca di accoglienza nelle nazioni dell’area o verso l’Europa e il Nord America. Secondo fonti Onu nel 2015 sono stati raccolti solo il 43% dei fondi necessari (2,9 miliardi di dollari) per gli aiuti.
Il vertice dei Paesi donatori, il quarto, intende rispondere all’appello lanciato dalle Nazioni Unite che per il futuro chiedono 7,73 miliardi di dollari per la Siria, cui si aggiungono 1,23 miliardi per gli stati coinvolti nella crisi. Presenti almeno 70 fra capi di Stato e di governo, oltre al segretario generale Onu Ban Ki-moon e almeno 90 rappresentanti delle ong e degli enti attivi sul campo e in prima fila nelle operazioni di aiuto e soccorso. 
Caritas Libano in questi anni non ha mai fatto mancare l’assistenza, garantendo non solo cibo e aiuti ma anche sostegno psicologico e favorendo il confronto fra cristiani e musulmani, in particolare fra i giovani. “È importante intervenire sotto l’aspetto sanitario, garantire l’educazione dei bambini per dare loro un futuro, ma la cosa più importante è fermare la guerra. Questa è una responsabilità della comunità internazionale, che deve trovare una soluzione per bloccare il traffico di armi. Non si può continuare così… si trovano sempre i soldi per le armi, per distruggere, e non per fermare le violenze e aiutare la popolazione. Dobbiamo fermare questa tragedia”. 
Per il direttore di Caritas Libano il cammino è quello tracciato da papa Francesco nei suoi appelli alla pace. In questo senso il fallimento - attuale - dei negoziati di Ginevra è fonte di “grande dispiacere”, perché le parti “devono trovare la pace e guardare al bene del popolo, non all’interesse personale”. “Il Medio oriente è un vulcano in subbuglio - conclude il sacerdote - speriamo che la comunità internazionale si svegli, rilanciando la solidarietà fra i popoli e l’aiuto ai migranti”.