Piccole Note, 15 maggio 2014
Le
elezioni siriane, fissate per il 3 giugno, rappresentano la prossima tappa del
tragico travaglio che sta attraversando la Siria. Annunciate da Damasco saranno
vinte da Bashar al Assad, che ha deciso di candidarsi nonostante l’opposizione
del mondo. “Elezioni farsa” è il mantra che rimbalza ossessivo nelle
cancellerie che tre anni fa, 150.000
morti fa, centinaia di migliaia di feriti fa, milioni di esuli e rifugiati fa,
non si aspettavano questo esito.
Il regime change, così com’era stato sognato
da quanti hanno sostenuto la ribellione contro Assad non è riuscito e forse non
riuscirà più – il condizionale è d’obbligo perché chi muove i fili di questa
guerra non demorde -.
La caduta di Homs, città strategica e snodo nevralgico
delle vie di comunicazione del Paese, è il simbolo della disfatta di questo
cinico progetto che tanti lutti ha addotto al popolo siriano. Homs è tornata
sotto il controllo del governo a inizi maggio quando, attraverso la mediazione
iraniana (e dell’Onu), gli ultimi miliziani hanno accettato di salire sui bus
che li avrebbero condotti a portare la loro follia altrove.
Gli abitanti di
Homs, quelli che ne erano fuggiti all’arrivo dei miliziani anti-Assad, sono
potuti tornare nella loro città, ferita in maniera orrenda.
tradizionale reliquia della santa Cintura |
E una nostra fonte ci
racconta che una grande folla si è adunata in una delle più antiche chiese
della città, dov’è custodita la cintura della Madonna (secondo la tradizione
Ella passò per l’antica Homs nel suo viaggio da Gerusalemme a Efeso dove
trascorse gli ultimi anni della sua vita con l’apostolo Giovanni): cristiani e
musulmani - anche questi coltivano una grande devozione per Maria - davanti a
quell’antica reliquia, a ringraziare per la svolta degli eventi.
alla tomba di Padre Frans nella vecchia Homs si recano a pregare cristiani e musulmani |
E
mentre l’offensiva di Damasco si fa più efficace, il fronte anti-Assad risulta
sempre più diviso. Ormai sono decine i gruppi di miliziani, in perenne guerra
tra loro, forti del sostegno delle monarchie del Golfo e del tacito consenso
dell’Occidente, che spargono terrore nel Paese. Anche l’unica formazione presentabile
all’estero di questa accozzaglia di tagliagole, l’Esercito siriano libero –
quello che gli Occidentali sostengono apertamente - si sta sfaldando, come rivelato dal
Washington Post e dal Guardian, e intere unità di questo esercito “libero e
democratico” sono passate armi e bagagli con altri gruppi legati ad Al Qaeda.
In
attesa di sviluppi sul piano militare e in assenza di una qualche iniziativa
diplomatica seria per porre fine alla tragedia – il mediatore Onu Lakhdar
Brahimi ha rassegnato le dimissioni, con giubilo di Damasco che lo considerava
di parte -, la caduta di Homs e le elezioni prossime venture sanciscono la
nuova posizione di forza di Assad.
Da qui l’invettiva contro le “elezioni
farsa”. È singolare il fatto che gli Usa, la Francia e la Germania non hanno
dato il permesso alle sedi diplomatiche siriane distaccate presso i loro Paesi
di accogliere eventuali elettori, diniego di un diritto sancito dalla
Costituzione siriana che ha suscitato le proteste di Damasco. In effetti il
divieto suscita domande, a parte le giustificazioni addotte: se davvero Assad è
il mostro descritto dagli esponenti politici di queste nazioni, le urne
andrebbero deserte confermando all’opinione pubblica internazionale l’avversità
dei cittadini siriani nei suoi confronti. Né in queste sedi sarebbero possibili
brogli, ché controllare l’afflusso alle urne presso nazioni “libere e
democratiche” sarebbe alquanto facile, basterebbe un osservatore all’ingresso
delle ambasciate. Così questo divieto sembra avere una sola giustificazione
reale, ovvero il timore che i cittadini siriani residenti all’estero si rechino
presso le loro ambasciate a manifestare il loro consenso a Damasco, ulteriore
smacco per la narrazione propalata in questi anni.
In
questa temperie, si segnala un fortissimo atto d’accusa contro l’Occidente da
parte dell’ex ambasciatore francese a Damasco Michel Raimbaud. In una lettera
aperta al presidente Hollande, il diplomatico scrive che è ormai sotto gli
occhi di tutti il fatto che la ribellione contro Assad è stata sequestrata
dagli «jihaidisti selvaggi» e accusa di
«cinismo» le potenze occidentali, che
sorvegliano «il silenzio sugli orrori commessi dagli jihadisti moderati e dai
terroristi democratici attribuendo al “regime” la responsabilità del calvario
che vivono i siriani».
E
ancora: «La mistificazione è durata troppo. Bisogna smettere di mentire ai
francesi [...] La Francia già parte importante dello smantellamento della Libia
non può restare complice della distruzione della Siria sostenendo i terroristi
di Al Qaeda che pretende di combattere in Africa dicendo di voler fermare Boko
Haram e chiudere gli occhi sul martirio inflitto alla città di Aleppo dai suoi
amici jihiadisti. Questa schizofrenia è indecente».
E
conclude: «Le vittime della guerra universale condotta in Siria (metà delle
quali appartengono all’esercito, alle forze di sicurezza e ai comitati di
difesa) saranno morte vittime della barbarie, della menzogna,
dell’indifferenza. Noi non sapevamo, diranno. E invece sì, loro sapevano. Sapevano
tanto bene che scientificamente, sistematicamente, hanno immerso i loro
concittadini in una nuvola opaca di false informazioni, di contro-verità, [...]
Chi oserà dunque domandargli conto? Resteranno impuniti com’è sovente in questi
casi, dal momento che sono tanto potenti e numerosi?». Se solo uno di loro sarà
giudicato dalla Corte penale internazionale, continua Rimbaud, «come un comune
arabo o africano», questo ci «ridarà speranza in quei valori che vediamo ogni
giorno calpestati, calpestati dagli stessi che li brandiscono al fine di
nascondere meglio le loro turpitudini».
Atto d’accusa terribile, coraggioso e,
sia concesso, commovente.