«Occidente, non tradire il mio popolo»
Lo Stato islamico e il jihad, i cristiani e i musulmani, lo Stato e la religione, il regime di Assad e i ribelli, papa Francesco e Obama.
Intervista a Ahmad Badreddine Hassoun, massima autorità sunnita del paese
di Rodolfo Casadei e Samaan Daoud
TEMPI, 23 novembre 2014
Generalmente gli esponenti della società civile che parlano da Damasco non vengono presi in considerazione in Occidente, perché sono etichettati come portavoce del regime di Bashar el Assad. La voce di Ahmad Badreddine Hassoun, Gran Muftì di Siria dal 2005, merita un ascolto molto più serio per almeno due motivi. Il primo è che si tratta della più alta autorità religiosa sunnita in Siria: se avesse defezionato nei primi tempi della protesta, sarebbe stato accolto con tutti gli onori dall’opposizione e soprattutto dai suoi sponsor nei paesi del Golfo, che gli avrebbero fatto ponti d’oro. Il secondo è che tre anni fa un figlio di Hassoun è stato assassinato per punire il padre per le sue posizioni filogovernative, ma il Gran Muftì non ha invocato vendetta, anzi ha perdonato gli assassini e non ha mai smesso di perorare una soluzione pacifica della crisi. L’intervista con lui comincia proprio da quella tragica vicenda.
«Ho perdonato chi ha ucciso mio figlio non solo davanti ai media, ma di persona», dice a
Tempi Hassoun. «Ho parlato con due degli arrestati e ho detto loro: “Se potessi, vi riporterei adesso a casa vostra”. Ma erano accusati anche di altri omicidi, non potevo intercedere per loro. Gli ho detto: “Quando sarete in Cielo e incontrerete Sariah, mio figlio, lì sarete giudicati dal grande Giudice, e il suo giudizio è più grande di quello di chiunque di noi. Per quello che mi riguarda, vorrei portarvi a casa vostra, perché non voglio che altre madri piangano come ha pianto la mamma di Sariah”. Ho perdonato loro con un’unica condizione: che si impegnassero a deporre le armi e a fermare le uccisioni. Io piango non solo per la perdita di mio figlio, ma per tutte le vittime».
Non accetta di essere considerato una marionetta del governo. «Io non rappresento il potere politico in Siria. Sono il Grande Muftì della Republica araba siriana, e questo significa che sono al servizio del popolo siriano: non del governo o del presidente Bashar el Assad. Sono il Muftì di tutti: cristiani e musulmani, comunisti ed atei. È mia responsabilità servire tutti senza guardare alla loro appartenenza politica e religiosa: forse questa cosa in Europa si fa fatica a capirla. Così quando mi chiedono: “Perché non lasci la Siria? Tu puoi farlo”, io rispondo: “Tanti emiri mi hanno invitato a lasciare il paese e mi hanno offerto ospitalità nei loro grandi palazzi, ma questo contraddirebbe la mia missione”. Per questo motivo l’opposizione siriana che vive all’estero mi ha insultato; benché mi conoscano bene, mi accusano di partigianeria perché non ho lasciato la Siria. Allora dico questo per chi non lo sa: io sono stato cacciato sei volte, fra il 1970 e il 2000, dal mio incarico di predicatore perché nei miei sermoni del venerdì criticavo il governo, e nonostante le vessazioni che da questo mi sono derivate non ho lasciato il paese. I religiosi non devono fare parte di nessun partito politico, il loro unico dovere è di rappresentare la vera fede».
Il compito del religioso Hassoun è sempre stato un sostenitore della separazione fra politica e religione, ben prima che in Siria scoppiasse la guerra. «Il compito del religioso è di portare il messaggio celeste al popolo, e non di servire il governo o l’opposizione. Il suo compito è di riformare sia il governo che l’opposizione, perché né Cristo, né Maometto, né Mosè hanno creato degli stati, ma hanno forgiato degli uomini; e gli uomini, facendo leva sulla virtù e sulla morale, costruiscono lo Stato. Perciò lo Stato è un’opera umana, mentre la religione è opera di Dio. La differenza tra le due realtà sta anche nel fatto che nello Stato c’è un sistema di leggi che tutti devono seguire, e ciascuno è giudicato secondo il suo comportamento e non secondo le sue intenzioni. Invece la religione è fede, moralità e virtù fondate sull’amore e sulla libertà di scelta. Per lo Stato siamo costretti a obbedire alle leggi, che lo vogliamo o no; mentre quando entro in una moschea o in una chiesa lo faccio per amore. I profeti non hanno obbligato nessuno a credere nelle loro parole, invece i re e gli altri governanti costringono la gente a obbedire alle leggi. Noi dobbiamo seguire le leggi degli Stati in cui viviamo, ma nessuno può imporre qualsiasi tipo di fede, perché la fede è una relazione tra me e Dio. Perciò non bisogna creare dei partiti a denominazione religiosa, farsi scudo in politica col nome di Dio. Questo vale anche per gli Stati, perché essi sono stati creati da persone e non da Dio, al contrario delle religioni».
«In forza di questa distinzione fra la religione e la politica, un leader religioso non sarà mai contro o a favore di un sistema politico, ma semmai a favore o contro la morale che emerge dagli atti del governo. Cioè se in un regime c’è ingiustizia, il religioso lo deve denunciare, e se il regime fa il bene, lo deve riconoscere. Questo vale anche per l’opposizione».
Hassoun afferma di avere cercato di dialogare con l’opposizione, ma inutilmente. «A suo tempo ho invitato l’opposizione esterna a venire in Siria per parlare e dialogare col regime, dicendo a loro: “Se il regime non vi ascolterà, io starò dalla vostra parte”. Ma loro non hanno accettato. La Siria è diversa da tutti gli altri paesi arabi perché il regime è laico, mentre ci sono Stati che vogliono imporre a noi un sistema politico religioso settario. Qui è il nodo del problema Siria, che tanti fingono di non capire. Se Bashar el Assad avesse cercato di imporre un sistema religioso settario al paese, io mi sarei opposto e gli avrei chiesto di rinunciare. Ma non con le armi. Io non alzo le armi in faccia a nessuno, né contro il presidente, né contro l’opposizione, perché credo nel dialogo. Ricorrere alle armi è segno che non stai sostenendo una giusta causa, che non sei in grado di convincere l’altro. Per questo ho sempre chiesto: fate del Medio Oriente una zona smilitarizzata, perché è la terra della fede, e da tutto il mondo arrivano pellegrini a visitare la Palestina. Se pretendiamo di fare uno Stato musulmano, oppure cristiano, oppure ebraico, chiudiamo le porte in faccia agli altri. Dio ha riunito le tre religioni monoteiste a Gerusalemme per farci capire che Lui è uno solo e la fede è una sola. Il musulmano che prega nella moschea di al Aqsa, il cristiano nella chiesa della Natività, e l’ebreo davanti al Muro del pianto, tutti quanti pregano lo stesso Dio. Per cui è una vergogna che ci siano dei politici e dei religiosi che dividono la gente creando partiti settari religiosi ed etnici».
Il Gran Muftì sottolinea con forza la sua concezione umanista delle fedi religiose: «Le religioni monoteiste devono sempre chiedersi se stanno agendo per conto del potere oppure per conto di Dio. Se operano all’ombra di Dio, allora non dovrebbe esserci nessun tipo di disaccordo tra me e il Papa, tra me e il leader di un’altra religione monoteista, perché la nostra missione è la stessa: affermare la santità di Dio, difendere la dignità dell’uomo. Chi insulta la dignità dell’uomo insulta la santità di Dio, perché l’uomo è stato creato da Lui. Quando ho parlato davanti al Parlamento europeo nel 2004, ho detto: “Se vedessi la distruzione della pietra nera alla Mecca, o della moschea di al Aqsa a Gerusalemme, o della chiesa della Natività a Betlemme, o del Muro del pianto, per me sarebbe meno doloroso che vedere un bambino che viene ucciso. La moschea di al Aqsa e la chiesa della Natività sono state costruite da noi e se vengono distrutte le rifaremo più belle. Ma se viene ucciso un bambino, chi può ridargli la vita?”. Costruire l’uomo è molto più santo che costruire una chiesa o una moschea. Dio non è prigioniero dentro le nostre chiese e le nostre moschee. Ed è per tutti, non solo per i cristiani o i musulmani».
L’ammirazione per il Papa Il Gran Muftì
ammira papa Francesco per il suo stile evangelico, ed esprime dispiacere per non averlo potuto ancora incontrare, né a Roma né a Damasco. «Ho invitato il Santo Padre a visitare la Siria e ho chiesto di poterlo incontrare in Vaticano. Finora non è stato possibile, e io so che questo dipende anche dalle pressioni di chi mi descrive come un rappresentante del potere. Ma io rinnovo il mio invito e dico al Papa: “Santità, non si lasci strumentalizzare dalla politica, lei che è la guida nell’amore in tutto il mondo, lei che ha infranto tutti i protocolli che allontanavano il Papa dalla gente, venga a incontrare cristiani, musulmani ed ebrei. Forse il nostro incontro permetterà di mettere fine a questa strage, al sangue che viene versato in nome della religione, senza colpa della religione”».
Per quanto riguarda la politica internazionale, Hassoun si iscrive fra i delusi della presidenza Obama. Che è tornato a parlare della necessità di provocare un regime change a Damasco come condizione per sconfiggere l’Isil. «Ciò che è successo nelle ultime due elezioni presidenziali negli Stati Uniti, mi ha molto colpito: il popolo americano ha scelto un presidente di origine africana e il cui padre era un musulmano; gli elettori hanno scelto un uomo non sulla base delle sue origini, ma delle sue qualità: Obama ha studiato legge, è laureato in diritto. Ma la seconda sorpresa è stata negativa: questo presidente non ha fatto niente per la pace, anzi ha continuato le guerre che aveva iniziato il suo predecessore G. W. Bush. Non ha mantenuto la promessa di chiudere la prigione di Guantanamo. Allora mi chiedo: Obama ha veramente il potere di prendere certe decisioni? La sua intelligence lo sta ingannando? La verità è che oggi il mondo non è più sotto il controllo dei leader politici o di quelli religiosi. Stiamo assistendo alla nascita di un’alleanza internazionale, di portata globale, che riunisce politici di governo ed estremisti religiosi. Ma il loro progetto fallirà, per la reazione dell’umanità che ne sta prendendo coscienza».
La profezia inascoltata«Spesso invito i membri del Congresso americano e i rettori delle loro università a venire in Siria, ma la loro risposta è sempre la stessa: “Verremo solo quando il regime sarà caduto”. Non mi sembra giusto: vogliono la caduta di un presidente che il popolo siriano non vuole cacciare. Se la maggioranza della gente avesse voluto far cadere il presidente, vi garantisco che lo avrebbe fatto nel giro di una settimana. Come lo hanno fatto in Tunisia e in Egitto. Deve essere chiaro a tutti: il popolo siriano fino ad oggi non vuole far cadere il presidente. Avete presente il Daesh (la sigla araba dell’Isil, ndr) e i suoi combattenti jihadisti? Da circa due anni è attivo in Siria e il nostro esercito lo combatte. Ora anche una coalizione militare di 40 nazioni, guidata dall’America, lo sta combattendo, e ha dichiarato che per vincere ci vorranno dai 3 ai 10 anni. Intanto la Siria è riuscita a resistere per due anni non solo all’Isil, ma a Jabhat al Nusra, al Libero esercito siriano, al Fronte islamico e a decine di altri gruppi armati, sostenuti e finanziati anche dagli americani e dall’Europa! Come abbiamo fatto? Grazie al popolo. Senza la resistenza del popolo l’esercito siriano sarebbe finito a pezzi, la Siria si sarebbe divisa su base settaria e i siriani si sarebbero uccisi tutti fra loro. Questa guerra che c’è in Siria non è una guerra civile di religione: venite a vedere con i vostri occhi dove vivono gli sfollati siriani. Cristiani e musulmani, sunniti e alawiti, vivono insieme sotto lo stesso tetto. Gli sfollati sunniti che vengono da Hama e da Homs vivono fra gli alawiti e i cristiani a Lattakia, Tartus, Damasco».
«Questa è la vera Siria, e se il presidente Obama non la conosce sono disposto ad andare in America e parlare davanti al Congresso per spiegarla insieme ai leader religiosi cristiani siriani. Quando tre anni fa fu ucciso mio figlio, davanti a tutto il mondo dissi: “Vi prego, non appiccate l’incendio in Siria, perché questo fuoco si estenderà a tutto il mondo. Si sveglieranno anche le cellule dormienti che sono in America e in Europa”. Solamente oggi cominciano a credermi».
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