21 maggio : memoria dei 7 Trappisti martiri di Tibhirine
“Uomini di Dio” a Midelt
Il film Uomini di Dio (Des homme et des dieux) del regista X. Beauvois, premiato a Cannes
nel 2010, ha
reso nota anche al grande pubblico la vicenda dei sette monaci trappisti di
Tibhirine, in Algeria, rapiti e uccisi nel 1996 dai terroristi del “Gruppo
islamico armato”, e dei quali furono fatte ritrovare soltanto le teste.
La piccola
comunità di N. S. dell’Atlas, a Midelt, in Marocco, quattro fratelli
dell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (detto dei “Trappisti”), e due
postulanti, arrivati proprio dopo aver visto il film, è l’erede di quella di
Tibhirine, trasferitasi, dopo quei fatti, prima a Fés, in Marocco, e poi a
Midelt, 200 km.
a sud di Fés, in un vasto altipiano chiuso dalla catena del Medio-Atlante, a 1500 m. di altezza.
Qui vive anche
P. Jean-Pierre Schumacher, 89 anni e una vitalità mite e tenace che brilla nei
suoi occhi color del cielo, occhi di bambino, a dispetto dell’età, che
traboccano di pace, gioia e serenità, come il sorriso che s’apre sul suo volto
alla consegna generosa di un dono e di un segreto. È, ormai, l’ultimo
sopravvissuto di Tibhirine, dopo che l’altro fratello, scampato con lui
miracolosamente, e per chissà quale disegno di Dio, al rapimento, la notte fra
il 26 e il 27 marzo del 1996, P. Amedée, è morto nel 2008, e, dunque, il
testimone vivente di quegli avvenimenti e di una speranza che nelle sue parole,
come nei suoi occhi e nel suo sorriso, ha la forza e la solidità della roccia.
Ma perché mai,
ancora, una comunità trappista in terra d’islam, in uno stato confessionale
come il Marocco, dove non è consentito professare una fede diversa da quella
insegnata da Maometto, se non a chi è straniero, e in mezzo a una popolazione
berbera, come qui, a Midelt?
Eppure che
abbia la fortuna di incontrare e di conoscere questa splendida comunità non può
che ringraziare Dio, e i fratelli stessi, di questa presenza. Una presenza
silenziosa e nascosta, prima di tutto orante, segno gratuito e trasparente di
una più grande Presenza.
“Essere uomini
di preghiera in mezzo ad altri uomini di preghiera”, questo lo scopo dichiarato
e perseguito dai fratelli, tanto che, in certe ore del giorno, si resta stupiti
(meglio dire letteralmente commossi) al sentire come al canto dei monaci, nel
piccolo coro, facciano eco, di lontano, le voci dei muezzin dai loro minareti.
Questi “uomini
di Dio”, che vivono, oggi, qui, a Midelt, secondo la Regola di S. Benedetto e le
costituzioni dell’Ordine di Citeaux, si dedicano al servizio e alla lode di Dio
nella celebrazione liturgica e al lavoro manuale, in uno stile di vita semplice
e fraterno, segnato fortemente dal timbro inconfondibile della carità.
“Ospiti” del
popolo marocchino - come amano definirsi loro stessi - , musulmano nella sua
totalità, essi intendono anche testimoniare come la pace è dono di Dio a tutti
gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi e in particolare compito
affidato a tutti i credenti.
L’apertura e
lo spirito di comunione fraterna sono certamente il tratto distintivo di questa
comunità, come si tocca con mano nell’accoglienza calda e premurosa riservata
ai tanti visitatori, per la maggior parte stranieri, che passano per il
monastero per sentire ancora parlare di Tibhirine, così come nei legami di
collaborazione e di aiuto che la uniscono alla popolazione locale, come e forse
più che a Tibhirine.
Ma non c’è
solo Tibhirine, oggi, a Midelt. In una cappella dell’ampio cortile interno del
monastero, riposa il corpo del P. A. Peyriguère (1883-1959), discepolo di Ch.
de Foucauld morto in concetto di santità, e con lui un pezzo di storia e di
fede della presenza cristiana in Marocco, una presenza che, oltre che con i
fratelli, continua oggi, a Midelt, anche con un piccolo gruppo di sorelle
francescane, che svolgono un’importante opera assistenziale e formativa anche nei
villaggi vicini e che fanno riferimento al monastero le vita liturgica e
spirituale.
Un tesoro
davvero prezioso, dunque, la piccola comunità trappista di Midelt, per la
Chiesa del Marocco e per tutta la Chiesa universale, in tempi in cui sempre di
più ha bisogno di testimoni autentici del Vangelo.
Sr.
Patrizia (Trappiste di Valserena)
(pubblicato su ToscanaOggi)
E PERCHE’ PROPRIO UN MONASTERO IN SIRIA?
Il nostro abate generale dom Bernardo Olivera, in una sua visita a Valserena, aveva chiesto che venisse raccolta l’eredità dei nostri fratelli di Thibirine, uccisi in Algeria nel 1996.
L’appello è stato raccolto da due nostre sorelle che si sono sentite chiamate a questa nuova esperienza, alle quali poi se ne sono aggiunte altre due.
In Algeria non si poteva andare a causa dell’intolleranza verso i cristiani, che esiste tuttora, così è stata scelta la Siria. La Siria è una terra a prevalenza islamica, ma dove convivevano, in pace, ben 23 minoranze religiose ed etniche.
La Siria è soprattutto una terra di antichissima tradizione cristiana e monastica, ed è la terra della conversione di S.Paolo. Lì c’è bisogno di sostenere le comunità cristiane, sempre più isolate, creare una presenza cristiana e uno spazio di incontro fraterno anche fra religioni diverse. La conoscenza sempre più approfondita della realtà della Siria e dei suoi giovani assetati di una parola vera, spinge le nostre sorelle all’accoglienza che possa introdurre alla preghiera, alla liturgia, al dialogo.
IN UN PAESE A MAGGIORANZA MUSULMANA, COME SIETE STATE ACCOLTE DALLA POPOLAZIONE?
La gente è ospitale, sono state aiutate da tante persone, sono nate amicizie semplici e belle anche con i musulmani.
I villaggi vicini le hanno accolte con simpatia, c’è collaborazione con il parroco, e poi la costruzione del monastero ha portato lavoro per parecchi operai dei villaggi che circondano il monastero.
COME VIVETE LA VOSTRA GIORNATA IN QUESTO MOMENTO DI FORTI TENSIONI?
Le giornate si vivono seguendo la Regola: preghiera, meditazione, ascolto della Parola di Dio; lavoro, servizi della comunità. Certo la tensione è sempre alta, gli spari da noi avvengono quasi sempre di notte. Qualche volta si assiste da lontano a spari e bombardamenti che avvengono di giorno soprattutto nella Valle dei Cristiani. Ma nonostante tutto si è sempre cercato di celebrare la liturgia, anche in modo solenne, nelle grandi festività, come a Pasqua, in cui si è celebrata la veglia Pasquale a mezzanotte con l’accensione e benedizione del fuoco e dell’acqua, nonostante avessero iniziato a mitragliare durante il pomeriggio, ma era importante non lasciarsi condizionare.
PERCHE’ LE SUORE RESTANO IN SIRIA IN UN MOMENTO COSI’ DIFFICILE?
Quando una comunità fonda un nuovo monastero, lo fa per restarci stabilmente, sia nel bene che nel male.
Se le nostre sorelle in questo momento lasciassero il monastero in Siria per un posto più sicuro, sarebbe una contro-testimonianza verso la gente del villaggio che non ha questa possibilità. Alle nostre sorelle è stato proposto di tornare, ma rimangono, anche per solidarietà con i Siriani, dai quali stanno imparando tanto: coraggio di resistere, amore per la propria nazione, fede di fronte alla morte ed alla vita. Vivono con loro nel desiderio di un ritorno alla vita normale, dove si possa lavorare, spostarsi e pregare nelle chiese senza temere per la propria vita.
suor Annunciata, del monastero Azeir, ora rientrata a Valserena