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mercoledì 7 novembre 2018

QARA, crocevia di pace (4)



Un tempo, prima della guerra, il monastero Deir Mar Yacoub (san Giacomo l’Interciso) a Qara, sulla via fra Damasco e Homs, era un luogo di preghiera frequentato anche da pellegrini cristiani e musulmani: sia per ragioni spirituali che per la tranquillità e la bellezza della costruzione, grande, di pietra chiara, con grotte antichissime, una suggestiva chiesa sotterranea, reperti archeologi molto interessanti sparsi un po' dappertutto.

Qara, un tempo… in tempo di pace
I monaci e le monache residenti vivevano (e vivono tuttora) nel grande convento in stanze essenziali, senza mobili, con bagni in comune, cucina semplice con molti cibi dell’orto, carne solo se arriva in dono. Alternavano la meditazione alle attività agricole e artistiche: la madre superiora, madre Agnès de la Croix, fondatrice dell' Ordine dell'Unità di Antiochia, dipingeva icone. Grazie ai pozzi, in questo territorio scarsamente piovoso e apparentemente desertico, il frutteto del monastero era pieno di olivi, melograni, albicocchi. Essiccate a strati con un metodo particolare, le albicocche si conservavano a lungo, un pieno di vitamine da portar via insieme alle tisane di erbe e delle preziose, delicate rose che si chiamano “di Damasco”.

Attività umanitarie in tempo di guerra
Con la guerra iniziata nel 2011, la tranquillità è venuta meno e la calma monastica ha lasciato il posto a un fervore da alveare, dapprima concentrato sul soccorso a chi doveva stare in vita. Tempo della preghiera nella notte e primo mattino, il monastero durante la giornata si è dedicato all’assistenza ai tanti sfollati, ma non sono mancati attacchi da parte di gruppi armati jihadisti e qualche anno fa ha vissuto drammatici giorni di assedio durante i quali i monaci han dovuto rifugiarsi nelle antiche grotte sotterranee.
Qara è una cittadina in prevalenza mussulmana, con 50 famiglie cristiane, circa il 20% della popolazione. Gli uni e gli altri adesso stanno prendendo il monastero come punto di riferimento, una specie di centro vitale attorno al quale ruotare.
Le sei suore e i due monaci (di diverse nazionalità) hanno la supervisione di diverse attività umanitarie, ma hanno affidato le operazioni a un collaboratore fidato che chiamano Abu George (il vero nome è Sake Esrur) e a sua moglie Sylvie, due cristiani che hanno lasciato Damasco per venire a lavorare a Qara. Con i due figli vivono presso il monastero e gestiscono nel Centro Sociale circa 30 lavoratori, sia cristiani e musulmani. A loro volta questi dipendenti coordinano circa 200 volontari che distribuiscono gli aiuti, vanno a consegnare cibo e prodotti sanitari nei campi profughi, poi corrono al porto a sdoganare i container e tornare in camion a Qara, scaricando rapidamente tutto nel grande magazzino del monastero. Ed eccoli ripartire per le destinazioni dei soccorsi.

I monaci hanno fatto la scelta di una radicale povertà, benchè al monastero arrivi di tutto sia dalle agenzie internazionali (le quali sono alla ricerca di partner affidabili) che da benefattori dall'Europa. Nella parte immensa della nuova costruzione al piano interrato sono ammucchiati pacchi, secchi, scatoloni, in maggioranza provenienti dalle organizzazioni non governative che ormai stanno prendendo il monastero come punto di riferimento di fiducia per le distribuzioni anche nelle zone per loro non raggiungibili. Scatoloni e secchi poi partono in camion per le distribuzioni nei campi profughi o nelle località più bisognose. Ad Aleppo il monastero di Qara ha addirittura aperto una cucina per trentamila pasti al giorno, oltre a un Hospitainer: nel linguaggio degli interventi di emergenza, è un container completamente attrezzato, come un piccolo ospedale da campo.
I monaci hanno ospitato nel tempo diversi sfollati. Ora è il turno di tre ragazzine sui 12 anni e due bambini, reduci da situazioni drammatiche.

Mussalaha: riconciliazione, un progetto visionario
Ma le attività umanitarie, necessarie in un’emergenza bellica, non sono certo le uniche a brulicare al monastero e intorno. La madre superiora è stata fra le principali animatrici del movimento Mussalaha. In arabo questo termine significa riconciliazione (aggiungi e togli poche lettere ed ecco che hai l’opposto: musallahin, gruppi armati). Dal 2013, nel pieno della guerra fomentata in modo criminale da tanti paesi rimasti impuniti, un gruppo di religiosi cristiani e musulmani, insieme a cittadini siriani laici si sono impegnati per ricreare l'unità del popolo siriano, al di là delle ferite della guerra. Il movimento Mussalaha ha lavorato per tregue locali fra l’esercito siriano e i gruppi armati non jihadisti. In seguito è stato creato un apposito ministero della Riconciliazione. Ma tutto è nato dalla base.

L’attuale fervore di attività del monastero, in fondo, è un altro modo per continuare l’opera della Mussalaha. Padre Daniel, che è il superiore dei monaci di Qara, una persona molto buona, spirituale e umile ma anche molto realista, dice: “La Siria è certamente un paese piegato, quasi spezzato dalla sofferenza. Ma in fondo no, non si è piegata e la gente è fiera, vuole rialzarsi, e in fondo in fondo è come orgogliosa perché dice: per primi ce l'abbiamo fatta.  Il destino della Siria sembrava molto simile a quello dell’Iraq, della Libia, degli altri paesi massacrati dai piani imperialisti, e invece ce l'hanno fatta…”.
  Decisamente i siriani potrebbero insegnare la resilienza al mondo occidentale.
Prosegue padre Daniel: Certo la guerra non è ancora finita e ci vorrà ancora del tempo per la vittoria. E le strade per la vittoria sono due: sicuramente quella militare nei confronti dei terroristi, ma insieme la mussalaha che è la grandissima sfida”.




R come ricostruzione e resilienza, insieme
Intrecciata alla riconciliazione, la ricostruzione. La Siria vi si sta coraggiosamente avviando. A tutti i livelli. Colpisce la capacità di creare iniziative, anche lì a Qara. I monaci si sono divisi i compiti. Suor Myri, portoghese, segue un laboratorio di sartoria. Le donne alle macchine da cucire sono tutte musulmane. Il responsabile è un signore sfollato da Homs che già lavorava nell'ambito della tessitura e della produzione di capi di abbigliamento. Le donne non hanno ancora l'esperienza sufficiente per la produzione delle borse e altri capi in modo industriale. Suor Myri spesso rimanda indietro la borsa malfatta ( ma quelle che abbiamo portato da vendere in Italia a sostegno delle donne rifugiate sono bellissime). Attenta è la verifica della qualità anche nel locale dove si produce la biancheria: hanno ricevuto dall'Europa pezzi di tessuto adatti a ricavare ricavare mutande e magliette, biancheria intima molto richiesta. … 

Spiega suor Maria: “Nella cittadina di Qara è terminata la fase dell'emergenza e dell'aiuto ai profughi e ora si sta passando a un'idea di sussistenza, di lavoro autogestito. E’ impressionante, fioriscono iniziative, idee, progetti per l’occupazione e la ripresa: gli stessi abitanti vengono qui a proporre e noi appoggiamo, valorizziamo, diamo in gestione le attività a laici affidabili. Non finisce mai, un'iniziativa ne tira un'altra”.

Si inventano di tutto. Sull'autostrada fra Homs e Damasco hanno aperto un bar con giardino esterno e all’interno il ristorante, 'Taybat Qara' cioè: cose buone. Chi si ferma a bere il caffè o a mangiare può anche acquistare i prodotti del monastero cucinati da vari gruppi di donne. Funziona così: man mano, la gente va a dire “so fare questo”, ed ecco che viene recuperato un sapere tradizionale e incentivata la creatività.

Anche chi governa la città partecipa a questo sforzo di ripresa della vita. Sotto il ristorante c’è un grande forno a cui soprintende l’amministratore cittadino; lì lavorano come cuochi diversi ragazzi che imparano a fare dolci antichi della Siria, come un rinomato dolce ai pistacchi irrorato da grasso di pecora.
Insomma uno spazio per le idee di tutti, per le proposte di tutti.

Le donne, la famiglia, i diritti
Suor Maria Gloria, cilena, coordina il Centro Sociale che ha molteplici attività. Cucina tipica, lavori di cucito, fabbricazione di piccoli oggetti regalo, decorazioni su vetro e ceramica, incontri tra donne per parlare di bambini, di salute. A poco a poco nell'ambito di questi dialoghi informali emergono aspetti più delicati come la violenza familiare, le difficoltà di relazione. Ma il Centro offre anche consulenza nell'ambito della separazione, del diritto familiare patrimoniale …. Una volta alla settimana arriva uno psicologo da Saydnaya per incontri con le donne. Un avvocato matrimonialista assiste nelle cause di separazione, sempre un po' complicate nel diritto musulmano.

I progetti sono proposti talvolta da organizzazioni non governative altre volte da Madre Agnès, che li vaglia e se non sono consoni allo spirito cristiano e alla mentalità locale non vengono accettati e messi in atto. Dunque, non c'è da parte del monastero un'accettazione supina di tutto ciò che viene proposto dalle agenzie umanitarie, come purtroppo è accaduto in altri paesi, compreso il Libano.

Ma il giacimento?
Tutto ciò che arriva viene destinato ai poveri. La distribuzione degli aiuti è controllata in modo ferreo, così da arginare la corruzione, uno dei mille effetti collaterali delle guerre. Abu George vaglia le richieste di aiuto con il metro della verità e della trasparenza, per non fare distribuzioni a casaccio a eventuali approfittatori.
 A Qara, i volontari ricevono una paga minima. Non è il guadagno la loro motivazione. E’ che attorno ai monaci sta crescendo come un senso di famiglia, la percezione che quella è come una casa.

Tutto bene? Lo speriamo con tutto il cuore.
Per Qara, c’è una nuova preoccupazione: la scoperta recente, proprio ai confini della proprietà del monastero, di un enorme giacimento di gas che, pensano lì, inevitabilmente porterà problemi.

Non è forse cominciata anche per il gas, la guerra per procura che per poco non ha inghiottito la Siria?

domenica 4 novembre 2018

"Ora tutto si gioca in un lavoro educativo..." (3)


A Damasco siamo ospiti dei Salesiani, una piccola comunità traboccante della vitalità dei giovani che affollano allegramente l'oratorio. Il direttore Don Mounir da mattina a sera ascolta, incoraggia i ragazzi a vivere con serenità i momenti di gioco, li corregge e li guida a prendere sul serio il proprio desiderio di amicizia con Gesù ed essere veri nella vita quotidiana in mezzo ai compagni di altre confessioni.  
Lo coadiuvano, un giovane dinamico neo-sacerdote indiano inviato da poche settimane in Siria “in missione” e padre George Fattal che tra i vari altri incarichi ha pure quello di cappellano nel carcere di Adra, dove viene ricevuto con rispetto e stima.    

Attende di tornare nella natia Aleppo il fratello Giuseppe Musciati, che ha trascorso la maggior parte dei suoi 82 anni in Egitto e in Venezuela come coadiutore nelle scuole di formazione professionale salesiane: “Gesù è il grande amore della mia vita, tutto ciò che Dio mi ha dato e mi darà di salute e vita, è per i giovani” , ripete con lo sguardo affettuoso e sereno di chi ne ha viste tante sentendosi sempre prediletto dal Signore.

La presenza amorevole delle Suore Salesiane nell'Ospedale Italiano, molte delle quali anziane che non hanno voluto assolutamente lasciare il paese in guerra, continua ad offrire un luogo di assistenza sanitaria qualificata, grazie anche al progetto 'Ospedali Aperti' della Nunziatura e di AVSI che sta permettendo alla struttura privata di continuare a dare cure ai meno abbienti. Resta presso di loro la nostra Maria Da Conceiçao, infermiera che ha scelto di offrire due mesi di missione al popolo siriano sofferente, di cui riporteremo la testimonianza nel prossimo articolo.

In licenza dal servizio militare Deeb Haraqa passa a salutare abuna Mounir: è un bel ragazzo di 27 anni, da oltre sei anni presta servizio di leva nell'Esercito, perché così è questa guerra... Più volte si è trovato in pericolo sui fronti di Aleppo, di Daraa, a Qaboun... soprattutto quando è stato assegnato al corpo di guardia di un generale. Ci spiega che l'Armata è assolutamente laica, non è permessa alcuna manifestazione religiosa, neppure gesti di preghiera né musulmani né cristiani. Tuttavia il suo comandante, musulmano, ha sempre espresso una fiducia particolare in lui, cristiano, e don Mounir sorridendo cita il detto popolare “mangia da un druso e dormi da un cristiano”.
La paga dei militari siriani è misera, il cibo frugale (pane patate e pomodori) li fa guardare con invidia al ricco caldo rancio dei commilitoni russi o Hezbollah.
Come tanti altri figli della Siria, Deeb ha risposto alla chiamata alle armi con la convinzione che si tratta di difendere il proprio Paese dal Califfato, da un progetto di cancellazione della civiltà della Siria: “Questa guerra non è contro una minoranza, e non è per colpire i cristiani, ma per colpire la Siria tutta”, afferma pacatamente. Certo, dopo sei anni è stanco: non può permettersi di farsi una famiglia, sa che dovrà ancora aspettare a prendere la responsabilità di una moglie e di figli, “meglio non lasciare una vedova” scherza.
So che tra di voi corre una brutta fama dei soldati siriani come di prepotenti che usano violenza alla popolazione, ma è del tutto immeritata: cerchiamo di proteggere i civili, di difendere il nostro popolo. Quando mi sono trovato faccia a faccia col nemico nella trincea di fronte a me, mi sono accorto di avere davanti volti allucinati, gente impasticcata resa come automi e cervelli lavati senza cognizione della realtà”.
La riconciliazioni con le milizie locali?: “Se sono siriani e depongono le armi, sono d'accordo che sia offerta a loro la possibilità del perdono”.



Sfidando il traffico frenetico di Damasco, tra ingorghi mostruosi e clacson che strombazzano all'impazzata, ci accolgono con delicata attenzione i Francescani di Bab Touma nel consueto momento del “caffè di Gesù” che raduna i fedeli dopo la Messa festiva, e le bellissime dolci ragazze del Patriarcato Greco Melkita: e si stringe il cuore al racconto discreto nei mesi di terrore per i missili dalla Ghouta sui quartieri cristiani, della povertà di tante famiglie sfollate, della fatica di avere oggi i mezzi di sussistenza per chi prima della guerra viveva con agio.
Si rendono conto che la guerra si trascina, ma la gente punta semplicemente a destreggiarsi nel quotidiano; la Siria è veramente massacrata e le ferite più profonde sono quelle dei morti che ogni famiglia conta, della insicurezza, della corruzione che la povertà ha amplificato, eppure i siriani restano un popolo non schiacciato, che vuole ricostruire il paese e la coesione sociale.

Tutti ci testimoniano la necessità di un lavoro educativo, in ogni ambito: i cristiani, per sostenere le ragioni per restare ed aiutare i giovani che nell'animo sono fragili ed insicuri;  i musulmani stessi per salvaguardare un Islam non politicizzato e fuori dall'influenza dei religiosi. A tal proposito, l'amico (sunnita) Said guarda con un certo malcontento al controverso decreto 16 dell'Awkaf , che a suo parere rischia di riportare surrettiziamente elementi religiosi all'interno dell'ordinamento sociale siriano, che egli come tanti altri pensatori fedeli all'islam spirituale vuole assolutamente laico , senza alcun appiglio all'introdursi di elementi oscurantisti di quell'islam fondamentalista che ha causato la funesta crisi siriana. E cita, suo malgrado, le parole del Ministro degli esteri francese Le Drian "Assad ha vinto la guerra, ma non ha ancora vinto la pace”. Non perchè Said creda poi molto alla efficacia della sbandierata 'soluzione politica', ma perchè comprende la necessità vitale della riconciliazione affinchè tanti morti e tanta devastazione non siano stati invano. “I problemi dell'Islam radicale si combatteranno con la educazione e il dialogo.., basta che se ne vadano i non-siriani”, ci viene ribadito con convinzione.

Chi ha detto che i siriani non discutono di politica? In caffè avvolti da nuvole di fumo di arghile e sigarette fumate forsennatamente (del resto un pacchetto costa l'equivalente di 50 centesimi nostri) ognuno degli amici ci vuol dare la sua lettura e spiegare cosa è questa guerra e le prospettive. 
Riportiamo qui i loro pensieri, con il rispetto e la consapevolezza di non avere competenze per giudicare, ma solamente le nostre preghiere da innalzare al Cielo per questo popolo che merita finalmente la Pace:

1  Qui si gioca un conflitto assai più ampio che quello tra sunniti e sciiti (che scuote l'Oriente ma non ha rilevanza primaria nella Siria dove si conviveva), che coinvolge molti attori internazionali e progetti mondiali di potere geopolitico, economico, energetico. L'interesse ai giacimenti di petrolio e gas (si parla anche di silicio nella zona desertica tra Palmyra e Homs) è uno dei moventi, assieme alla lotta intestina all'interno del mondo sunnita. I Paesi occidentali, Israele, Nato e satelliti del Golfo hanno provveduto con le solite procedure alla destabilizzazione della Siria, manovrando le truppe dei tagliagole jihadisti, attizzando il fuoco dello 'scontro confessionale' e finanziando le operazioni di indottrinamento all'islam fondamentalista attraverso predicatori e opere caritative.
2  Non molti credono nella 'soluzione politica' e considerano assai più decisiva la 'soluzione militare' .
3  Circa preoccupazioni e prospettive: sperano che i loro governanti conducano la fase post guerra con la stessa determinazione mostrata durante la guerra (si temono gli opportunisti che non mancano mai). Credono che la pace in Siria produrrà cambiamenti forti negli altri paesi arabi vicini, quindi la tranquillità non è garantita nell'immediato. Comunque la speranza è forte specialmente contando sulla presenza amichevole politica di Russia e Iran ed economica della Cina... Non hanno alcuna fiducia nei governi colonialisti occidentali e sono delusi dagli europei che li hanno abbandonati nonostante i legami storici. Ci domandano di lavorare per un' Italia cosciente e per un' Europa più libera..
4  Infine ammettono che le condizioni di una vera pace ancora non ci sono... essendo una delle ragioni fondamentali della guerra la sicurezza di Israele e l'applicare la "pace israeliana", con la complicità di molti governi arabi fantocci, finchè non succedano questi cambiamenti non ci sarà pace.

giovedì 1 novembre 2018

Deo gratias, Syria, per la tua fede che resiste (2)


Nella regione montuosa a nord di Damasco, gli amici ci conducono a visitare luoghi cristiani sereni, lindi, preservati dalla guerra come la deliziosa Maarat;

o Deir Mar Elias, con la vertiginosa scalinata che conduce alla antica grotta che ospitava il profeta Elia nel suo ritiro nel deserto, dove è quasi percepibile la sua presenza immersa nel dialogo con il Signore, nell'immenso silenzio dell'infinito che si stende tutto attorno;



il santissimo monastero della Madonna di Saydnaya, che ha resistito grazie allo strutturarsi di gruppi di autodifesa che più volte hanno respinto l'infiltrarsi nelle milizie islamiste;

e la grandiosa statua di Gesù benedicente, donata dai Russi, dall'alto di Deir Cherubim che spazia sull'orizzonte intero, ancora oggi meta di pellegrini a cui ci uniamo con un certo stupore.














     
               Le tracce del Cristianesimo in Siria sono tutt'altro che scomparse!

Tutta diversa è l'atmosfera che si respira a Sadad, cittadina del Qalamoun dove nell'ottobre del 2013 si consumò il più terribile massacro di cristiani: dopo sette giorni di invasione delle orde di ESL e formazioni ormai confuse nella galassia di quelli che ancora in Occidente definiscono “ribelli moderati”, si ritrovarono nei campi, nelle case, nei pozzi, 45 corpi di civili torturati e uccisi nei modi più orribili e le chiese devastate e orribilmente insozzate.
Sulla strada semideserta , tra case ancora costellate di fori di proiettili, ci viene incontro il giovane parroco siro-ortodosso abouna Michail, che con la simpatica moglie e il figlioletto ci conduce a visitare due delle chiese che gli abitanti con le loro mani hanno riparato dai danni inflitti dai radicali islamisti.

Ci illustra gli affreschi di stile siriaco sparsi su tutte le pareti della chiesa di San Giorgio e della cappella dei santi martiri Sergio e Bacco, e con orgoglio ci ricorda che Sadad, da sempre abitata unicamente da cristiani, è menzionata ben due volte nell'Antico Testamento, nel libro dei Numeri (34,8) e Ezechiele (47,16).  Legge qualche riga dal Messale scritto in siriaco aramaico e  racconta gli eventi di quei giorni orribili in cui gli abitanti all'arrivo delle bande jihadiste si dettero alla fuga senza poter prendere nulla con sé, ma più di 1500 famiglie che non erano riuscite a scappare furono tenute in ostaggio senza elettricità, acqua nè comunicazioni; ogni casa fu derubata ed ogni proprietà vandalizzata, le scuole e l'ospedale demoliti, manufatti antichi, Bibbie storiche e preziosi documenti distrutti. Egli stesso fu minacciato di essere sgozzato e ne uscì solamente perchè tenne testa con fermezza alle provocazioni.
Per la riconquista di Sadad morirono molti soldati dell'Esercito siriano e da allora la città è difesa dai cittadini stessi che si sono offerti volontari per unirsi alle 'Forze di Difesa Nazionale' , gruppi di autodifesa a guida civile che ricevono le armi dalle Forze Armate.

Quando il sacerdote riuscì a rientrare nella cappella di Sergio e Bacco, che era stata usata dai terroristi come dormitorio, trovò il pavimento cosparso da chili di droga e di alcool (musulmani??) e le pareti coperte di scritte ingiuriose in arabo. Per fortuna gli affreschi (del 1700) erano situati in alto e non furono insozzati: questo fu già un fatto miracoloso, perchè gli affreschi non sono dipinti con colori ma con materiali completamente naturali come pollini ed essenze di piante e fiori; inoltre sono pieni di riferimenti simbolici comprensibili solo in contesto siriaco aramaico.




La chiesa di san Giorgio invece fu gravemente danneggiata nello scambio di colpi tra i 'mussalahim' e l'esercito, e il restauro è riuscito in modo parziale, con gravi perdite di pregiati manufatti e strutture.



Padre Michail conta sui benefattori cristiani internazionali per l'aiuto finanziario all'acquisto del materiale necessario alla ricostruzione delle case e la riabilitazione del centro medico, mentre intende far svolgere il lavoro agli abitanti stessi, che si sono offerti con entusiasmo per collaborare alla rinascita della loro comunità.

Scende la sera, li abbracciamo uno ad uno mentre una domanda ci trafigge: "Ma come avete fatto a non capire? Questi non portavano 'democrazia e libertà', ma odio e sradicamento della nostra presenza dal nostro Oriente, che svuotato dalla matrice originaria cristiana sarà terra di conflitti e caos permanenti".

martedì 30 ottobre 2018

Sguardi di speranza dalla Siria, 2018 (1)


Nel mese di ottobre abbiamo fatto un breve viaggio in Siria, allo scopo di portare un po' di aiuti di benefattori italiani ad alcune realtà cristiane amiche di 'OraproSiria'.
Ne raccontiamo i passaggi salienti, sotto forma di diario e di impressioni personali raccolte nel dialogo con gli amici incontrati.
L'invito che facciamo da subito è di unirvi a noi per ripetere questi fraterni incontri in futuro: i siriani ribadivano continuamente che la gioia più grande che abbiamo portato non erano quei beni materiali, ma la testimonianza che abbiamo a cuore la loro presenza, che essi non sono dimenticati, che noi desideriamo sostenere il loro restare nella terra che appartiene loro da 2000 anni.
E viceversa, chi si reca in Siria fa l'esperienza di un'accoglienza straordinaria, di un'ospitalità senza misura, della bontà di cuore di tutto un popolo martoriato ma dignitoso, e che non cede.


L'immagine può contenere: spazio al chiuso1 Arrivando a Beirut, naturalmente la prima desiderata tappa è stata la Porta Santa del Giubileo di Nostra Signora del Libano ad Harissa: centinaia di giovani inginocchiati in silenzio per ore, hanno sorretto anche la nostra preghiera.

Entrando dalla frontiera a Tartus, ci ha colpito lo scarso traffico sull'autostrada che conduce a Homs verso Damasco, segno che i commerci stentano fortemente a riprendere, mentre i posti di blocco sono diminuiti rispetto allo scorso anno.
Una breve sosta dalle nostre carissime amiche monache Trappiste con una visita al grandioso impianto di pannelli solari che, se Dio vorrà e se i benefattori aiuteranno, darà energia al pozzo del paese e a un piccolo capannone dove le donne del villaggio possano svolgere attività lavorative e produrre marmellate, biscotti, oggetti da vendere come fonte di sussistenza per le famiglie.

E qui nel dialogo subito tocchiamo il punto dolente che più volte negli incontri successivi con altre realtà emergerà: nonostante che tutti i siriani ci assicurino con soddisfazione che la guerra ormai è vinta, tanti vogliono partire... Non c'è lavoro, l'economia non riparte, gli stipendi sono fermi mentre i prezzi aumentano e le dinamiche sociali non evolvono.
L'esodo dei Cristiani, inarrestabile, è la preoccupazione maggiore per i nostri amici anche a Damasco. I primi erano già partiti all'inizio della guerra, ora se ne vanno da Qamishli e Hassake per le pesanti discriminazioni a cui sono soggetti da parte dei Curdi; altri da Damasco vanno verso Erbil e da lì in Australia; altri ottengono finalmente il ricongiungimento familiare con i parenti profughi in Germania, Canada, Svezia. I ragazzi fuggono il servizio militare, le ragazze sperano di raggiungere i fidanzati, i giovani in generale hanno il sentimento di un futuro incerto, senza prospettive di una soddisfacente riuscita professionale... E la chimera di un Occidente ricco di opportunità si fa strada.
Così alcuni quartieri di Damasco, prima abitati in grande prevalenza da cristiani, stanno cambiando fisionomia: nelle case lasciate vuote si installano famiglie musulmane, che sono assai più prolifiche di quelle cristiane.

le croci di Sadad
il gigantesco Gesù di Deir Cherubim

















  Verso i compatrioti musulmani raccogliamo sentimenti differenti: a Sadad, cittadina interamente cristiana ferocemente massacrata dalle bande del cosiddetto 'Esercito Siriano Libero', non è stata accolta dagli abitanti la richiesta di costruirvi una moschea; a Saydnaya si è costituita, allo scopo di proteggere la città dai takfiri, una forte milizia popolare cristiana, memore dell'esperienza della devastazione di Maaloula che ha mostrato amaramente il tradimento dei vicini di casa musulmani; a Mhardeh i cristiani resistono indomiti agli assalti ripetuti dei gruppi armati islamisti di Idlib e Hama...  L'amico Khaled ci racconta serenamente di cordiali amicizie con tanti musulmani con cui non ha alcun problema di apertura e condivisione; Joseph invece porta rancore per la dimostrazione di una facile permeabilità delle menti dei musulmani alla predicazione salafita radicale nelle moschee...
I responsabili delle Chiese fanno di tutto per educare i cristiani al perdono e alla fiducia, e per mostrare ai musulmani siriani il volto della carità di Cristo senza discriminazioni. 
In particolare abbiamo toccato l'inesausta opera dei monaci di Mar Yacoub di Qara, attorno a cui si raccolgono volontari cristiani e musulmani come in una unica famiglia: ne parleremo diffusamente in un prossimo articolo.

La parola ovunque più ripetuta negli ambienti religiosi e nella società civile è: riconciliazione.
Più di una volta ci sentiamo ridire le parole con cui l'amico Claude Zerez, anni fa, rispose alla nostra domanda: come far sì che la guerra finisca?  “L'unico modo per porre fine a questa guerra è favorire il dialogo tra tutti i siriani, fermare i finanziamenti e le armi a quelli che impropriamente ancora chiamate 'ribelli', continuare a ripulire il sistema di corruzione, e rimuovere le sanzioni contro il popolo siriano”.

la dottoressa Bassma Sukkarie racconta la resistenza dei cristiani di Mhardeh

Tutti comunque sono certi di una cosa: la Siria ha scampato un pericolo mortale, le orde barbariche scatenate dall'esterno del Paese, ed ha potuto vincere solamente grazie alla unità della popolazione e della Armata siriana attorno al suo Presidente.

sabato 27 ottobre 2018

Gli Stati Uniti intendono imporre sanzioni alle aziende che partecipano alla ricostruzione della Siria.



L'amministrazione di Donald Trump sta progettando una nuova strategia d'azione in Siria che contemplerebbe la possibilità di imporre sanzioni alle compagnie russe e iraniane che partecipano alla ricostruzione della Siria, ha riportato l'NBC News Network martedì.
La strategia non aumenterebbe la possibilità di scontri diretti con le forze controllate dall'Iran, poiché l'Esercito USA ha il diritto di attaccare le truppe iraniane solo in caso di autodifesa.
La misura si concentra sugli "sforzi politici e diplomatici" per costringere i consiglieri militari iraniani a lasciare la Siria, cioè, attraverso la pressione finanziaria sulle società persiane. Washington sta cercando di forzare il ritiro delle forze iraniane dalla Siria, affermando che la loro presenza nel paese arabo riduce la possibilità di raggiungere una soluzione politica alla crisi e ostacola la lotta contro il terrorismo.
Alla fine di settembre, James Jeffrey, rappresentante speciale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per l'impegno in Siria, ha promesso che il suo Paese avrebbe mantenuto la sua presenza in Siria per sconfiggere Daesh, espellendo le forze iraniane per il raggiungimento di una soluzione pacifica.
Mentre la Russia e l'Iran, insieme alla Turchia, sono i veri garanti del cessate il fuoco in Siria, stanno anche aiutando nella ricostruzione delle città e delle infrastrutture del Paese in gran parte distrutti in più di sette anni di combattimenti tra il governo di Damasco e le opposizioni armate e i gruppi terroristi, definiti dagli Stati Uniti e dai suoi alleati come 'ribelli'.


Gli Stati Uniti ostacolano gli sforzi per ricostruire la Siria devastata dalla guerra.

Gli Stati Uniti sono ufficialmente il più grande donatore al mondo, ma si preoccupano veramente di coloro che soffrono? Non così tanto. L'amministrazione ritiene che nulla dovrebbe essere fatto in assenza di obiettivi politici. L'aiuto umanitario internazionale è stato tagliato di recente. Ad agosto, gli Stati Uniti hanno abbandonato il proprio ruolo nella ricostruzione a breve termine della Siria, sospendendo 230 milioni di dollari di fondi di soccorso.
La politica di assistenza estera americana sta attraversando cambiamenti drastici. "Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggior donatore al mondo, di aiuti verso altri Stati. Ma pochi ci restituiscono qualcosa", ha detto il presidente Trump rivolgendosi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite annunciando un importante processo di revisione per riformare il processo decisionale sull'assegnazione dei fondi per gli aiuti esteri. "Per il futuro, daremo aiuti solo a coloro che ci rispettano e, lealmente, siano nostri amici", ha spiegato il presidente.
Quindi, gli aiuti ad altri Stati vanno solo agli amici, e gli amici sono quelli che fanno ciò che viene loro detto. La legge del 'NO Aiuto per Assad' è passata all'Assemblea ed è attualmente all'esame della commissione per le relazioni estere del Senato. Tale legislazione garantirebbe che nessun dollaro degli Stati Uniti venga speso per la ricostruzione nel territorio siriano controllato dal governo, sia direttamente che tramite l'ONU, il FMI o altri organismi internazionali.
E non è tutto. Il presidente non ha fornito tutti i dettagli. La nuova politica anticipa la creazione di ostacoli che freneranno gli sforzi di ricostruzione volti ad alleviare le sofferenze delle persone che vivono in paesi devastati dalla guerra come la Siria. 'No good deed goes unpunished'.
Secondo le stime dell'ONU, la guerra in Siria è costata 388 miliardi di dollari. La maggior parte delle aziende occidentali si sta allontanando da quel Paese. Qualsiasi azienda non statunitense correrebbe un rischio enorme se le sue transazioni coinvolgessero americani o una società americana. L'Iran è stato sotto sanzioni per molti anni. I Siriani guardano alla Russia con speranza mentre gli Stati Uniti stanno facendo del loro meglio per privarli dell'assistenza necessaria. Secondo NBC News, la strategia della nuova amministrazione per la guerra in Siria si concentra maggiormente sull'allontanamento dell'Iran e dei suoi alleati dalla Siria. Il 16 ottobre, il Dipartimento del Tesoro USA ha preso provvedimenti contro 20 imprese iraniane che forniscono supporto finanziario alla Forza di Resistenza Basij, una forza paramilitare che risponde al Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane (IRGC). La seconda ondata di sanzioni anti-iraniane entrerà in vigore il 4 novembre e infliggerà un duro colpo alle esportazioni petrolifere del paese. Secondo il nuovo piano, l'uso delle armi per l'autodifesa contro gli iraniani è permesso, ma viene data priorità ad impedire gli sforzi di ricostruzione nelle aree della Siria in cui sono presenti forze iraniane e russe. Saranno imposte sanzioni alle compagnie russe e iraniane che lavorano a progetti di ricostruzione. I militari statunitensi rimarranno in Siria finché l'amministrazione lo vorrà, con il pretesto che, anche se l'ISIS fosse completamente eliminato, rimarrà il pericolo di piccole sacche di resistenza.
In realtà, questo significa che le forze possono rimanere per sempre. La minaccia immaginaria di un ISIS che in realtà è stato messo in rotta, è necessaria, perché l'Autorizzazione del 2001 per l'uso della Forza Militare (AUMF) copre solo i gruppi implicati negli attacchi dell'11 settembre, più i loro associati. In nessun caso l'immaginazione potrebbe includere l'Iran in questa lista, a differenza dell'ISIS, che nasce da al-Qaeda. Tuttavia, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha spiegato il mese scorso che le truppe Usa sarebbero rimaste "fino a quando truppe iraniane si troveranno al di fuori dei confini iraniani".
Quindi, il popolo siriano, la gente comune, soffrirà perché agli Stati Uniti non piace l'Iran. I rifugiati non torneranno a casa, aggravando così la preoccupazione della immigrazione per un'Unione Europea che è già sull'orlo della dissoluzione. Renderà Bruxelles più docile alle richieste degli Stati Uniti, siano esse quelle tariffarie, gli accordi sul gas, la politica sulla Russia, le spese della NATO, o qualsiasi altra cosa.
L'annuncio di una zona di smilitarizzazione russo-turca congiunta a Idlib, porrà la questione del fronte della ricostruzione in Siria. Se la Cina cerca di contribuire, sarà anch'essa sottoposta alle sanzioni americane per la collaborazione con "i governi e le istituzioni finanziarie alleate di Assad". Nonostante ciò, una nave portacontainer cinese è attraccata il 9 ottobre al porto di Tripoli in Libano, inaugurando lo sviluppo di una linea di spedizioni cinesi tra Pechino e un porto a meno di 30 km (18,5 miglia) dal confine siriano-libanese. Il 10 ottobre, la Cina ha tenuto una cerimonia a Latakia, un importante porto siriano, annunciando la sua donazione di 800 generatori di energia elettrica. La ricostruzione delle strutture petrolifere della Siria è in corso con l'aiuto della Russia.
A qualcuno potrebbe non piacere o sostenere il governo di Assad, ma milioni di siriani non possono essere lasciati senza aiuti esterni, altrimenti gli estremisti trarranno vantaggio dalla situazione e vedremo l'ISIS o qualche altro gruppo estremista mettere radici e crescere forti abbastanza da rappresentare una minaccia globale. La rinascita della Siria è il modo migliore per combattere i terroristi, la minaccia per la quale gli Stati Uniti sembrano essere così preoccupati. Impedendo questo processo, si stanno sparando sui piedi. Le speranze della UE di assistere a una cessazione del suo problema migratorio saranno infrante. Contribuire alla ricostruzione della Siria significa contribuire alla soluzione del problema più urgente in Europa. La ricostruzione della Siria dovrebbe essere depoliticizzata. Questo è il momento in cui tutti i partner internazionali si dovrebbero unire nello sforzo di ripresa siriano.
   Traduzioni di Gb.P.

giovedì 25 ottobre 2018

Ricordando monsignor Giuseppe Nazzaro, a 3 anni dalla morte

Ritroviamo tra gli appunti di una conversazione queste parole di padre Giuseppe Nazzaro, Vicario Apostolico emerito di Aleppo, salito al Cielo il 26 ottobre 2015. Le riproponiamo per l'attualità ed il suo modo chiaro di vedere i rapporti tra le Nazioni, tra chi bombarda e chi viene bombardato, chi rapina e chi viene rapinato, e i complici. 
Sempre grati per la sua lungimiranza.



«Lo ripeto ancora una volta,  "Signori della Guerra", gli Stati Occidentali , attraverso le guerre si accaparrano il mondo intero e le loro ricchezze: vendono armi ai popoli in rivolta per far distruggere un Paese e poi arrivare loro come benefattori, ricostruttori, risanatori, ... ma poi presentano la fattura da pagare e così i popoli vinti, siccome non hanno la possibilità di pagare quelle potenze o i mercenari che hanno acquisito il potere grazie a loro, pagano svendendo le loro risorse in materia prima, petrolio e gas, ecc....  Autoschiavizzandosi. 

Per l'Italia, se non vado errato vi fu un certo "piano Marshall" che ci ha resi fino ad oggi schiavi dell'America. Siamo noi liberi di decidere cosa dobbiamo fare? cosa è bene per noi? Cosa è giusto e cosa è ingiusto? 
Un esempio schiacciante per tutti: l'Italia perché è entrata in guerra contro la Libia? Eppure Gheddafi era venuto poco tempo prima in Italia, fu osannato, riverito, ebbe le mani baciate come si usa fare nel mondo arabo ad un grande benefattore, dispose dell'Italia come se fosse in Libia, e poi? Lo attaccammo con i nostri missili che dicono intelligenti. E si disse 'obiettivi mirati' …! »

lunedì 22 ottobre 2018

Mons. Boutros Marayati: Ricostruire le pietre e riconciliare i cuori

«Ricostruire le pietre è facile, ma riconciliare i cuori e ricucire gli uomini è più difficile».  Con queste parole Boutros Marayati (70 anni), arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, sintetizza la sfida che attende i siriani nei prossimi anni.

Estratto da  Terrasanta.net

«La situazione è più calma, da quando l’esercito governativo ha conquistato la città e i ribelli si sono spostati verso Idlib...Adesso  pare reggere il cessate il fuoco, non si è più svegliati nella notte da bombe e missili. L’aeroporto non ha ancora riaperto, poiché è sotto tiro, ma acqua ed elettricità sono tornate in quasi tutti i quartieri dopo oltre cinque anni». Il fronte non è comunque lontano, si spara a dieci chilometri dalla città e in altre zone della Siria, e Marayati non esclude che ci siano «gruppi dormienti in città».
«Ora che le armi paiono tacere c’è da ricostruire la fiducia tra gli abitanti. L’odio, che a volte strumentalizza la religione, porta a vedere con diffidenza e sospetto i concittadini. Insieme ai religiosi musulmani stiamo lavorando per seminare riconciliazione e perdono.....  Nel nostro governatorato  non c’è famiglia che non abbia una piaga per il conflitto; dei 4 milioni di abitanti ne sono rimasti solo un milione; 70 mila i cristiani, rispetto ai 200 mila che erano prima del conflitto. C’è una generazione di bambini che ha visto solo la guerra, non ha mai studiato con la luce delle lampade, non si è mai lavata le mani con l’acqua corrente; è senza latte e senza medicine. L’Aiuto alla Chiesa che soffre, la Croce Rossa, Sant’Egidio, le Caritas, ATS e altre associazioni  hanno dato un aiuto decisivo alla sopravvivenza». Monsignor Marayati evoca due immagini: quella dei bambini senza più genitori e un istituto di anziani armeni delle diverse confessioni (cattolici, ortodossi, riformati) distrutto di recente dalle bombe.
 «Alcuni abitanti iniziano a tornare sia tra chi era sfollato sul litorale e non riesce più a pagare l’affitto, sia tra i rifugiati in Libano, dove la situazione è sempre più dura». Le cifre di siriani giunti nel Paese dei cedri variano da un minimo di un milione a un massimo di due, in uno Stato di 10 mila chilometri quadrati con 4,5 milioni di abitanti. L’ostilità nei confronti dei profughi cresce, i permessi di soggiorno scadono e diventa difficile uscire dai campi profughi.
Ad Aleppo i cristiani abitano soprattutto ad ovest, mentre è la parte orientale la più colpita. «Stiamo iniziando a ricostruire – dice Marayati – noi armeni cattolici, su cinque chiese, siamo riusciti a riaprirne tre; due sono distrutte. La nostra scuola, che prima della guerra aveva mille studenti, ha appena riaperto con 450 alunni in una nuova sede (la vecchia è stata bombardata)». Dai più giovani arriva una forte sfida: «Per i quartieri di Aleppo ci sono alcune centinaia di ragazzi di strada, giovanissimi che hanno perso i genitori per la guerra. Hanno bisogno di essere aiutati: da questo dipenderà se diventeranno criminali o buoni cittadini. Insieme ad alcuni religiosi musulmani, stiamo lavorando con loro». Altri giovani armeni cattolici vanno a giocare, educando alla pace, nelle tende degli sfollati con i bambini a cui è stata rubata l’infanzia.
L'immagine può contenere: spazio all'aperto
 Purtroppo ancora questo giovedì 18 ottobre i terroristi hanno lanciato missili sui quartiere di al-Sabil e al-Mokambo  ad Aleppo, causando feriti, morti e danni materiali a un certo numero di case.
« Anche nella calma apparente di Aleppo pare di stare sopra un vulcano, per la paura che la guerra riesploda di nuovo». 

venerdì 19 ottobre 2018

Gioventù in Siria


Tratto dal contributo all’incontro di religiosi formatori italiani, Subiaco 2018.

Questa relazione si basa su alcuni colloqui avuti con religiosi che lavorano con i giovani siriani. 


di Suor Marita Mantovani , OCSO*  

Per un discorso oggi sulla gioventù in Siria (come per ogni altro ambito sociale) si deve sempre tenere conto della grande discriminante: la guerra in atto da ormai più di sette anni. 
In qualsiasi visuale, in qualsiasi questione, automaticamente si parla di un «prima» e un «adesso».


La società
  Prima: con Hafez Assad (il padre dell’attuale presidente), al governo dal ’40 al ’90, la parola d’ordine era: Prima di tutto sei siriano, cittadino di uno Stato di diritto, e poi venivano le appartenenze etniche e religiose. Questo creava una mentalità di convivenza e rispetto. C’era molta povertà, ma dignitosa. Scuole e ospedali erano gratis. Il grande peso economico era costituito dai debiti di guerra. Tutto il meglio partiva per la Russia, ai siriani rimanevano le briciole. Per cui chi poteva farsi una casetta, trovare una discreta collocazione lavorativa, si riteneva fortunato. E si affezionava alle sue cose perché, perdute quelle, non avrebbe avuto altro. Per cui si capisce come i più anziani, ora, non vogliano abbandonare la loro terra, a costo di morirci dentro. E non solo gli anziani, anche giovani adulti esprimono questo sentimento.
 Questo stesso sentimento di attaccamento differenzia radicalmente i siriani dai libanesi, che hanno potuto godere di un tenore di vita più alto di quello dei siriani. Di fatto, fra gli emigrati molti dei siriani, forse anche la maggioranza, desiderano ritornare. I libanesi no. È l’educazione siriana che è diversa da quella libanese.
  Dopo: i debiti di guerra sarebbero stati completamente estinti nel 2017, e quindi la Siria avrebbe potuto veramente decollare. Noi stesse abbiamo visto i cambiamenti radicali nel tenore di vita dal 2005 fino all’inizio della guerra. La Siria, che non aveva debito internazionale, e che quindi non era ricattabile politicamente per mezzo del sistema bancario, e che sarebbe diventata autosufficiente, stava diventando troppo forte, per cui «hanno voluto metterla in ginocchio». E sono arrivate la guerra e le sanzioni internazionali.

La Chiesa
 C’è differenza fra ortodossi e cattolici, specie se sono latini. Per i cattolici, la grande epoca di formazione è stata quella degli anni ’80. Nei riguardi della Chiesa, e non solo nei giovanissimi, la mentalità era di questo tipo.
   Prima: tutto era dovuto alla Chiesa, con due visuali diverse fra loro: 1) «Chiesa sul piedistallo», intoccabile, insindacabile, perché sempre considerata migliore di qualunque cosa, ma lontana da un dialogo effettivo con i fedeli. 2) «Chiesa accessibile»: è possibile invece entrare in dialogo con essa, promuovere un vero incontro tra fedeli e Chiesa. Evidentemente si sente in entrambe le posizioni la realtà forte della Chiesa intesa come gerarchia, come parte clericale posta di fronte alla Chiesa dei fedeli. Nasce la domanda: i fedeli sanno, hanno coscienza di essere loro stessi Chiesa?
  Adesso: tutto si deve chiedere alla Chiesa, perché è nella Chiesa che c’è tutto: la Chiesa ha i mezzi, ha i contatti, ha gli aiuti. Quindi, c’è chi considera male i religiosi, perché li vede come accaparratori di beni, di aiuti; ma c’è anche chi soffre per la Chiesa, chi viene alla Chiesa per darsi nel servizio. La parola «servizio» torna frequentemente nei laici impegnati, in Siria.
 Ciò che si vive ora è l’insicurezza. I genitori non hanno più niente, con l’inflazione anche quelli che erano agiati si ritrovano a non avere più molto. Con l’enorme distruzione di immobili molti si ritrovano a non avere più casa o hanno perduto i guadagni degli affitti, con i quali vivevano. Tutti devono lavorare per vivere, e il lavoro o non c’è, o è molto poco.
 Le Chiese sono occupate negli aiuti umanitari, ovviamente necessari, ma questo va a detrimento dell’assistenza spirituale ai fedeli. Ora, per fortuna, molti religiosi si rendono conto che occorre trovare un equilibrio fra aiuti materiali e servizio spirituale, ma ormai l’immagine della Chiesa assistenziale si è radicata, e la gente va dove trova più aiuto umanitario, al punto di partecipare alla messa per avere diritto all’assistenza. E così è cominciata, in alcune parti, la discriminazione fra cristiani e musulmani, cosa che prima non esisteva.

I giovani
 Per natura sono accoglienti, aperti, capaci di dare tutto. L’educazione e la ricerca, la sete di risorse intellettuali e spirituali, li portano ad assorbire tutto quanto è loro offerto per una migliore capacità di servizio, alla società e alla Chiesa. Mancano, in generale, di una formazione personale, intesa nel senso della loro personale vocazione di incontro e relazione col Cristo. La società prima, che temeva le forti personalità, e poi le Chiese, concentrate più sul senso di appartenenza al rito, alla piccola comunità locale, che sull’appartenenza universale alla fede cristiana, e quindi sulla responsabilità del credere, hanno trascurato la formazione della persona in quanto tale, la coscienza di sé, delle proprie radici, del proprio futuro.
 Prima: sempre affamati di «altro», quello che veniva dall’Occidente, considerato migliore. Si valutava quello che si era in base a quanto si era ricevuto: se non si era ricevuto niente, non si era niente. Da qui la ricerca continua di nuovi studi, conoscenze, nuovi diplomi. La società favoriva in modo speciale i giovani, permettendo incontri e soggiorni all’estero. Molti hanno potuto studiare in Europa e in America, nel passato. Per quanto riguarda la fede, tutti hanno sempre cercato un’educazione religiosa e delle risorse spirituali per vivere. Tutti si sono sempre basati molto su Dio, ciascuno secondo la sua tradizione religiosa, cristiani e musulmani.
 Adesso: i giovani sono smarriti. Devono lavorare per mantenersi agli studi e spesso anche per mantenere la famiglia. Non hanno più tempo da dedicare a Dio, sono cresciuti in fretta, per le pressioni della vita. Non hanno una prospettiva chiara del futuro, anche solo dal punto di vista del lavoro, della famiglia.
 La violenza della guerra ha modificato la loro coscienza: per vivere occorre entrare nella mentalità del dover sopravvivere, ad ogni costo. Solo chi prevale può vivere. La violenza vista e subita è diventata persino un gusto, uno spettacolo cercato e contemplato con cinismo. La distruzione dell’altro è divenuta cosa normale, lecita. La perdita di valori e principi positivi, la sfiducia rispetto alla convivenza, come ad esempio, il «tradimento» da parte di vicini di casa di altra fede che si consideravano amici, ha generato il vuoto. In una recente inchiesta  in un solo paesino di periferia sono risultati 84 minorenni tossicomani, numero esorbitante per le dimensioni del paese e la realtà sociale della Siria prima.
  Ma evidentemente ci sono ancora molti giovani sani, anche se feriti profondamente dalle perdite della famiglia e della società, giovani che ancora sono disponibili al servizio gratuito, nella Chiesa e nel contesto della città (anche lavorando insieme fra cristiani e musulmani), e a imparare dimensioni nuove nel servizio. C’è molta sete di «senso», di una parola vera, diversa, che apra uno squarcio di speranza vera sulla semplice sopravvivenza.
 Molti giovani, più ancora che le ragazze, sono impegnati nella Chiesa, sia nella vita parrocchiale che nei gruppi formati e sostenuti dalle congregazioni religiose presenti (gesuiti, salesiani, maristi, francescani, ecc.). La sfida, ora, sta nel ricondurre i giovani al rispetto mutuo, a una scala di valori che metta al centro la dignità dell’uomo, di ciascun uomo, e la sua responsabilità di fronte alla fede e alla vita. Così come alla testimonianza cristiana di una speranza vera, reale, che dà senso al restare qui, oggi, in Siria, in un modo positivo e creativo, nonostante le reali difficoltà di fronte al futuro.
 Per tutti, infatti, o almeno per la stragrande maggioranza dei giovani, il pensiero fisso rimane «partire». I ragazzi per evitare il servizio militare, che oltre a essere un’immersione crudamente reale nella violenza e nella morte (compresa la propria), anche nelle condizioni migliori è un impegno senza termine (ci sono giovani, tanti, che ormai sono di leva da sette anni).  Le ragazze sognano la partenza per potersi sposare con il loro ragazzo che ormai sta all’estero e non può più ritornare in Siria, o per poter trovare condizioni di studio, lavoro e matrimonio più solide e piene. In generale, si cerca non solo di sottrarsi alla guerra, ma anche di trovare una vita migliore in un Occidente idealizzato, che di fatto sarà incapace di soddisfare il bisogno di vita più umana e più piena dei ragazzi siriani. 
 Di fatto, quelli che restano, lo fanno o per motivazioni morali realmente forti, resistendo continuamente alle sollecitazioni che vengono da tutti i loro amici che già stanno cercando di crearsi una nuova vita lontano dalla Siria, oppure perché sono così poveri da non avere denaro sufficiente per partire, per trovarsi qualche contatto, ma se avessero chi li aiuta… 

 Si può forse aggiungere che l’esperienza che facciamo nei nostri, ancora molto limitati, contatti con i giovani, è che il nostro tipo di umanesimo, cioè il modo benedettino di vivere la fede e anche i rapporti umani (stile di accoglienza, di preghiera, e vita di comunità sono le cose che colpiscono i giovani), attira, suscita domande, interesse.
  Voi siete diverse è una delle cose che ci dicono più spesso. Questa espressione ci interroga molto, perché ci fa capire la sete soggiacente, sete di un modo di vivere la fede che risponda all’esperienza indistintamente globalizzata e globalizzante che i giovani vivono, prima di raggiungere una vera coscienza di se stessi. 
 C’è bisogno di una vera cultura cristiana, intesa come capacità di valutare tutta l’esperienza in base a dei criteri di fede che abbiano solide radici in un’identità matura, come singoli e come Chiesa.

* Suor Marita Mantovani è maestra del noviziato del monastero trappista Nostra Signora Fons pacis, ad Azeir, Siria.

Testo estratto dal n° 15 della Rivista VITA NOSTRA, strumento per custodire e far conoscere la ricchezza della tradizione e della vita benedettino-cistercense. 
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