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mercoledì 18 dicembre 2019

Continuare a testimoniare l’amore pietoso di Cristo alla Siria: Frati francescani che rimangono nella guerra


Padre Firas Lutfi è siriano, francescano di Terra Santa, ministro della Regione San Paolo che comprende oltre la Siria, il Libano e la Giordania. Nonostante la guerra, è rimasto in Siria, con la sua gente. A Vatican News, racconta nove anni di violenze, di distruzione e di morte. E come oggi aiuta i bambini a ritrovare il sorriso
di Silvonei Protz
   A guardare le televisioni, ascoltare la radio o leggere i giornali, sembra che la guerra sia finita in Siria. I media non ne parlano più, o quasi. Questo rimpiange padre Firas Lutfi, francescano di Terra Santa, ma soprattutto siriano in Siria. Ci tiene molto, perché nel suo paese è rimasto per tutti gli anni della guerra. “E’ vero che in alcune zone sono cessati i combattimenti - dice - però dobbiamo tenere conto di una realtà: la guerra è durata nove anni. C’è stata una massiccia distruzione, case demolite, quartieri interamente in rovina, chiese che necessitano di un intervento per la ricostruzione... Metà della popolazione, parliamo di 23 milioni prima della guerra, non c’è più, tra morti, profughi e sfollati”.
Così padre Firas descrive l’attuale situazione del suo paese, dove la vita è molto difficile. Demografia e economia in ginocchio. I giovani sono andati via. Bambini e donne, che siano quelli rimasti o quelli che oggi vivono nei campi profughi, soffrono di profondi traumi psicologici. Le sanzioni economiche, l’embargo “che l’Occidente purtroppo continua a rinnovare contro la Siria, pensando di colpire i responsabili della guerra” colpiscono in realtà la gente normale, gli innocenti, i bambini e i più poveri. Quindi attualmente è una lotta per la sopravvivenza, contro la povertà. Padre Firas vede intorno a sé una grande desolazione anche se gran parte del territorio è stato liberato dai jihadisti “venuti da tutte le parti del mondo, da più di 60 nazioni”. Gli ultimi fondamentalisti si sono raggruppati nella zona di idlib, l’ultima roccaforte. “Sono stranieri indesiderati nei loro Paesi di origine che non vogliono più farli rientrare”. L’analisi del francescano gela: “La guerra in Siria purtroppo è diventata oggetto di troppi interessi internazionali. Non è più una lotta contro un regime, non è più una lotta per una democrazia, per la libertà di parola, di coscienza, ma è una guerra internazionale che vede coinvolti i russi, gli americani, gli europei e anche l’Iran, la Turchia e i Paesi del Golfo, ciascuno con i suoi alleati”. Questa guerra, padre Firas, la chiama anche “tsunami”, perché ha spazzolato tutto. “La Siria continua ancora a sanguinare”, dichiara con gli occhi lucidi. Aspetta la salvezza, ovvero, l’intervento di persone sagge che si mettono a programmare la pace. Recentemente, un giovane gli diceva di non più avere la forza per combattere, per lottare. Che non viveva, ma sopravviveva senza nemmeno osare alzare lo sguardo verso l’orizzonte.

Alla ricerca di soluzioni

Come chiesa, come francescano, Padre Firas non si è mai rassegnato. Certo, in alcuni momenti sembrava che tutto crollasse e che non ci fosse nulla da fare. Ma non può un cuore francescano, abbandonare. Allora si è messo a cercare possibili soluzioni. “Come fare par aiutare la mia gente?” si è chiesto tante volte. Già faceva tanto la comunità francescana mondiale. Grazie alla solidarietà, grazie anche a tanti benefattori, si sono potuto distribuire pacchi alimentari e dell’acqua potabile, perché in guerra spesso, è la prima cosa che viene crudelmente a mancare. Ma sono anche stati distribuiti soldi per finanziare micro progetti, per aiutare giovani sposini a fare i primi passi e costruire una famiglia. “Questi progetti sono testimonianze che il Signore dà e continua a dare”.

Accanto a questo dramma, a questa tragedia, padre Firas ha toccato con mano la presenza di Dio in maniera magnifica, e la Chiesa è stata sempre accanto al popolo sofferente. Alcuni pastori, sotto la pressione continua della guerra hanno dovuto andarsene, però, la maggioranza, i vescovi, sacerdoti e tanti ordini religiosi hanno deciso di restare in Siria. E cita come esempio due dei suoi compagni francescani che oggi vivono nel nord, nella zona vicina al confine con la Turchia, a pochi passi da Antiochia, la famosa e storica Antiochia: “Loro vivono sotto il controllo non del regime di Assad ma dei jihadisti. E cosa fanno lì? Stanno a custodire il piccolo gregge dei cristiani rimasti”. Con i due religiosi, ci sono circa 200 cristiani che portano non solo nel loro DNA il cristianesimo, ma che anche sopportano le sofferenze per portare avanti una presenza concreta, storica, di tutto il patrimonio cristiano di 2000 anni ad Antiochia dove, per la prima volta, i cristiani hanno preso il nome dignitoso di “seguaci di Cristo”.
Oggi ancora, nonostante le mille difficoltà, stanno lì, accanto a questi due frati francescani della Custodia di Terra Santa, per continuare a testimoniare l’amore di Cristo, tenero, misericordioso, pietoso verso questo piccolo gregge.
 Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica
Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica

Rivedere un sorriso sul viso dei bambini

Sono in corso due progetti per i bambini della Siria. Uno, nella città di Aleppo, dove padre Firas ha vissuto durante la guerra. Il progetto si chiama «arte terapeutica». Dietro questa denominazione c’è una intera squadra di persone e specialisti che fa il possibile per aiutare i bambini a riprendersi dal quel trauma psicologico che li ha toccati profondamente. Così ne parla il francescano: «Si tratta di un grande centro dove c’è la musica, lo sport, il nuoto. Abbiamo provveduto a una bella piscina perché durante la guerra non potevano giocare, uscire di casa, studiare, per la paura di essere uccisi».  
Nel corso dell’estate in mille hanno frequentato il centro: il personale e gli psicologi hanno cercato di aiutare questi bambini a trovare un senso profondo per la loro vita e la loro esistenza.
Esiste anche un altro progetto molto interessante. «Ad Aleppo est vivono e vivevano solo musulmani.» Inizia così la descrizione di padre Firas. «Durante la guerra la loro terra è stata occupata dai jihadisti, quindi li hanno maltrattati, le donne sono state violentate, i bambini massacrati... I bambini hanno visto tutte le scene drammatiche delle gole tagliate e dei maltrattamenti ad opera dei fanatici». Successivamente, racconta dei matrimoni più o meno forzati di jihadisti con donne siriane e dei bambini nati da queste unioni, la cui esistenza non è ufficiale. Non esiste una registrazione all’anagrafe. Sono lì, fisicamente in vita, ma giuridicamente inesistenti. Quando, nel 2017 i jihadisti hanno lasciato Aleppo, la situazione trovata da padre Firas era terrificante: «Bambini di 4 o 5 anni che vivono con la mamma o a volte con la nonna perché i genitori non ci sono più. Alcuni sono abbandonati a loro stessi e alla sorte. Non hanno mai frequentato la scuola. Per non parlare del dramma psicologico e dell’accumulo di paure, di terrore, che hanno subito durante i combattimenti».
  Sono stati creati due centri che ospitano ciascuno 500 bambini e bambine dai 3,4 anni fino a 16 anni. Ed è stato esteso il programma che già era in atto nel suo convento, il collegio Terre Sainte ad Aleppo. Il sacerdote francescano tiene a sottolineare che i due centri nascono da un’amicizia con il mondo musulmano: «Il mufti di Aleppo è un nostro carissimo amico – spiega - e con il vescovo vicario apostolico della comunità latina della Siria, è nata una grande amicizia prima e, soprattutto, durante la guerra. Quindi un primo frutto è stato una stretta collaborazione per salvare l’innocenza di questi bambini».
  Questo progetto, questa collaborazione con i musulmani, ha un forte significato per padre Firas. Dimostra la possibilità di dare un senso alla vita, un senso profondo, un senso all’esistenza e dimostra che non è mai troppo tardi per agire e fare del bene. E aggiunge: «Il dialogo non si fa solo intorno a un tavolo ma si fa lavorando insieme, mano nella mano, cuore a cuore. E lì nasce la vera ricostruzione della Siria che verrà nel tempo. Può darsi che ci vogliano 30, 50 anni, ma la vera ricostruzione non nasce dai mattoni ma dalla ricostruzione dell’uomo, dell’umano dentro di noi».

La Siria come missione

Quando si chiede a padre Firas perché è rimasto in Siria, risponde in questo modo: «Perché sì, perché sono francescano, credente e quando il Signore mi ha creato lì, è stato per una missione, per essere il Suo volto, le Sue braccia, le Sue gambe che portano l’annuncio, la tenerezza e la misericordia di Dio».
E’ stato «chiamato», padre Firas, chiamato da Dio per vivere la realtà, anche drammatica, della «sua» Siria. Il suo «sì» all’esistenza è un «sì» motivato e convinto che lo sostiene nel superamento delle difficoltà. In Siria, ogni giorno si soffre e si muore. E così conclude: «E’ esattamente come il chicco di grano: se non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto, come dice Gesù nel Vangelo».

lunedì 16 dicembre 2019

A 3 anni dalla liberazione di Aleppo, testimonianze per non dimenticare.


Nell'anniversario dell'uscita dei miliziani jihadisti da Aleppo Est, proponiamo un articolo di Eva Bartlett, del 29 novembre 2016, che documenta la realtà toccata direttamente durante il suo viaggio e raccoglie le toccanti voci degli abitanti della città: 'Vivevamo in sicurezza e in pace. Queste aree vengono prese di mira, vogliono costringerci ad andarcene. Ogni siriano viene preso di mira", racconta un leader religioso siriano alla delegazione di giornalisti che aveva visitato Aleppo all'inizio di quel mese. 
Per comprendere cosa ha vissuto la popolazione di Aleppo per anni sotto la minaccia dei "ribelli moderati combattenti per la libertà dal regime", come qui si usa chiamarli...    OraproSiria 

Ad Aleppo, ribelli appoggiati dagli USA e dai sauditi hanno preso di mira "ogni siriano"

di Eva Bartlett, 29 novembre 2016
traduzione di Gb.P. , OraproSiria
ALEPPO- All'inizio di novembre, Fares Shehabi, un membro del parlamento siriano di Aleppo, ha organizzato un viaggio ad Aleppo per 13 giornalisti occidentali, inclusa me stessa, con la sicurezza fornita dalle forze dell'Esercito Arabo Siriano. Mentre io avevo fatto un viaggio indipendente ad Aleppo nei mesi di luglio e agosto scorsi, per molti altri membri della delegazione questa era la loro prima visita alla città o la loro prima visita dall'inizio della guerra in Siria nel 2011.
Nelle precedenti visite ad Aleppo, ho incontrato la "Aleppo Medical Association" e ho visto un ospedale di maternità colpito due volte da attacchi di razzi e mortai da parte di militanti di Jaysh al-Fatah (l'Armata della Conquista), un coacervo di gruppi terroristici antigovernativi. Ho incontrato membri di un ramo della Difesa Civile Siriana e leader religiosi cristiani e musulmani. Appena a nord della città, ho visitato Nubl e Zahraa, città assediate per più di tre anni dall'Esercito Libero (FSA o ESL), dal fronte Al Nusra e da altre fazioni terroristiche ad esse affiliate, prima che l'Esercito Arabo Siriano (SAA) le cacciasse nel febbraio di quest'anno. Ho visto la regione liberata di Bani Zaid e il distretto industriale di al-Layramoun. Ho interagito con civili in parchi pubblici, strade e mercati.
Prima del mio viaggio all'inizio di questo mese, ero interessata a vedere cosa avesse potuto cambiare in seguito alla liberazione di ancora più aree da parte del SAA. Speravo anche di parlare con i civili che erano fuggiti dalle aree terroristiche dei distretti orientali di Aleppo dall'ultima volta che li avevo visitati, quando erano stati istituiti otto corridoi umanitari per civili e membri di fazioni terroristiche disposti a rinunciare alle loro armi o ad accettare di passare in sicurezza verso le aree di Idlib e zone riprese dal governo di Aleppo Ovest. Tuttavia, il 4 novembre, nessuno era fuggito dalle aree controllate dai terroristi ad Aleppo. I familiari di civili che sono ancora lì affermano che i loro cari vengono usati come scudi umani da gruppi come il Fronte Al Nusra, Ahrar al-Sham o Nour al-Din al-Zenki - i cosiddetti "ribelli moderati" e "forze dell'opposizione" sostenuti da Stati Uniti, NATO, Israele e alleati del Golfo come l'Arabia Saudita e il Qatar.
Ritorno ad Aleppo
Syrian citizens gather at the scene where two blasts exploded in the pro-government neighborhood of Zahraa, in Homs province, Syria, Sunday, Feb. 21, 2016. Two blasts in the central Syrian city of Homs killed more than a dozen people and injured many others in a wave of violence. (SANA via AP)
Cittadini siriani si radunano sulla scena in cui sono avvenute due esplosioni nel quartiere filo-governativo di Zahraa, nella provincia di Homs, in Siria, domenica 21 febbraio 2016. Due esplosioni nella città siriana centrale di Homs hanno ucciso più di una dozzina di persone e feriti molti altri in un'ondata di violenza. (SANA tramite AP)
Da Damasco, l'autobus ha viaggiato lungo strade lisce e asfaltate fino a Homs, dove abbiamo superato l'ingresso di Zahraa, un quartiere colpito più volte da autobombe terroristiche e suicide . Uscendo da Homs, abbiamo proseguito verso est lungo una strada stretta per circa un'ora, fino a raggiungere la strada Ithriya-Khanasser e l'ultima tappa del viaggio verso Aleppo.
Sebbene la strada Ithriya-Khanasser fosse fiancheggiata da molte carcasse di autobus e automobili, attaccati principalmente da Da'esh (acronimo equivalente di ISIS, ISIL o Stato Islamico per gli occidentali) negli ultimi anni, e sebbene Da'esh continui a insinuarsi di notte in molti tratti della strada per piazzarvi mine, il nostro viaggio è stato senza incidenti.
Quando avevo raggiunto il sobborgo sud-orientale di Ramouseh a luglio, ero in taxi. L'autista accellerava attraversando il sobborgo, temendo i cecchini di Al Nusra presenti a meno di un chilometro di distanza. Lo aveva percorso per almeno 500 metri accelerando attraverso punti rischiosi e facendo "slalom" dentro e fuori da una valle obiettivo preferito dai bombardamenti terroristici, raggiungendo infine un checkpoint dell' Esercito Arabo Siriano (SAA) prima di entrare nella Grande Aleppo. La 'Castello Road' era il solo mezzo per entrare ad Aleppo in agosto. La strada, che corre nella parte settentrionale della città, era stata recentemente messa in sicurezza ma ancora minacciata dai bombardamenti terroristici.
Ramouseh è stata nuovamente resa sicura prima della nostra visita di novembre e divenuta di nuovo la via principale per entrare ad Aleppo. A novembre abbiamo viaggiato in autobus, scortati dalla sicurezza, e la minaccia dei cecchini era stata indebolita dai progressi del SAA negli ultimi mesi. Sopra le barriere dal cecchino fatte di barili e sacchi di sabbia, avevo una visione più chiara verso il distretto di Sheikh Saeed - aree che le fazioni terroristiche avevano occupato a lungo e da cui tenevano sotto tiro e bombardavano Ramouseh.
Una delle nostre prime tappe è stata la sede della Camera dell'Industria di Aleppo, dove il deputato Shehabi ha documentato il sistematico saccheggio delle fabbriche di Aleppo. Secondo Shehabi, delle 70.000 piccole e grandi imprese e fabbriche che una volta prosperavano ad Aleppo, solo circa la metà è sopravvissuta a quella sistematica distruzione e sventramento delle officine. Delle circa 35.000 attività che ora operano ad Aleppo, ha stimato che solo circa 7000 sono fabbriche e che operano con una capacità del 15%.
Shehabi ha detto che la Camera ha prove fotografiche e video dei furti nelle fabbriche. Ha poi continuato: “Abbiamo documentato il trasferimento delle nostre attrezzature pesanti, apparecchiature di produzione, come generatori di energia, come macchine tessili. Queste sono pesanti, non qualcosa che puoi contrabbandare facilmente. Queste hanno viaggiato in autostrada, sotto il controllo della polizia turca. Linee di produzione rubate... come puoi consentire a delle linee di produzione rubate di entrare nel tuo paese senza documenti? ".
La Camera, insieme ad altre associazioni industriali siriane, nel 2013 ha intentato un'azione legale contro il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan presso i tribunali europei, chiedendo i danni. Quella causa ed altre avviate dalle autorità siriane accusano Erdoğan non solo di ospitare i terroristi, ma di consentire e persino facilitare loro di entrare in Siria per distruggere o disassemblare le fabbriche e tornare in Turchia con macchinari e hardware rubati.
Nessuno di questi procedimenti giudiziari è stato risolto e Shehabi descrive la causa della Camera come "a ostacoli". Shehabi è stato tra i quattro uomini d'affari più importanti di Aleppo ad essere stato colpito dalle sanzioni dell'UE nel 2011 . Queste sanzioni, ha affermato il parlamentare, rappresentano un ostacolo che impedisce una risoluzione equa.
La Camera ora sta funzionando in una villa in affitto, poiché l'edificio storico che ospitava la Camera dell'Industria nella Città Vecchia è stato distrutto il 27 aprile 2014, quando le cariche esplosive sono stati fatti esplodere in un tunnel sotterraneo. Shehabi ha dichiarato di essere andato in onda sulla televisione nazionale siriana, chiedendo ai governi di imporre un boicottaggio commerciale della Turchia, circa due settimane prima dell'attacco. "Non hanno bombardato l'edificio accanto, c'era solo una guardia di sicurezza all'interno [nessun personale militare], e non era in prima linea, quindi perché bombardarlo?" chiede, esternando il suo sospetto che la Camera fosse stata deliberatamente presa di mira a causa dell'azione legale che stava intraprendendo contro Erdoğan.
La prigione sotterranea del FSA ad al-Layramoun
Passiamo attraverso l'ingresso riccamente intagliato di un edificio nel distretto industriale di al-Layramoun che un tempo ospitava una fabbrica di tinture. Più recentemente, tuttavia, è stato utilizzato come base dalla 16a divisione dell'Esercito Siriano Libero (ESL o FSA). In una stanza interna, ho notato una scheda per cellulare 4G di Turkcell, il principale operatore di telefonia mobile in Turchia. Negli edifici vicini si vedono sacchi di materiali utilizzati per far detonare gli esplosivi inseriti nelle bombole di gas e dello scaldabagno, comunemente chiamati Inferno 1 e Inferno 2, dei quali il secondo può causare danni significativamente maggiori, come distruggere l'intero piano di una casa. C'erano anche frammenti di metallo, che venivano aggiunti agli esplosivi per infliggere il massimo danno. Un'altra stanza conteneva una catasta di trucioli che uno dei soldati siriani che ci accompagnava diceva che veniva usato per comprimere gli esplosivi delle bombe fatte con le bombole di gas che l'Esercito Siriano Libero e altri gruppi terroristici sparano sui quartieri della grande Aleppo.
Quando ci avviciniamo alla strada occupata dal Fronte Al Nusra che porta verso Daher Abed Rabbo, i soldati del SAA ci consigliano di correre, non di camminare.
Appena oltre quella strada, bunkerato tre piani sottoterra, la prigione da incubo improvvisata dell'Esercito Siriano Libero per i prigionieri del SAA, non è stata toccata dalle bombe che infliggono i danni in superficie. Questi attacchi [governativi] colpiscono i terroristi che sparano contro i civili di Aleppo e si ritirano sottoterra subito dopo. Al-Layramoun e Bani Zaid mostrano lo stesso paesaggio di edifici in rovina che si trovano in aree in cui i militanti si sono rifugiati in profondità. Vedendo la distruzione, alcuni degli altri giornalisti della nostra delegazione menzionano solo i danni fisici agli edifici. "Gli edifici sono stati distrutti da attacchi aerei", ha scritto uno, puntando un dito incriminante contro il Governo siriano, senza dar conto dei motivi sul perché queste aree siano state martellate.
La vera vergogna non è in realtà la distruzione fisica degli edifici, ma l'incursione in questi distretti da parte di terroristi sostenuti dall'Occidente, tra cui l'Esercito Siriano Libero, il fronte Al Nusra e Da'esh, tra gli altri. Quasi sei anni dopo l'inutile spargimento di sangue, i loro atti criminali e selvaggi contro civili e soldati siriani sono ben documentati. Ed è risaputo che si rannicchiano nei bunker sotterranei per evitare attacchi aerei. Le soffocanti nove celle di isolamento improvvisate in metallo dell' ESL e le tre stanze usate come normali celle nel bunker sotterraneo della prigione di al-Layramoun sono tutte intatte nonostante i bombardamenti aerei. Gli edifici sono devastati sulla superficie a causa della presenza di militanti nelle profondità sotterranee, dove gli attacchi aerei infliggono danni considerevolmente minori.
18 morti il 3 novembre per attacchi terroristici
Nel pomeriggio del 3 novembre, dopo l'incontro con il Dr. Mohammed Batikh, direttore dell'ospedale Al-Razi, le vittime di attacchi terroristici di poche ore prima hanno iniziato ad arrivare uno dopo l'altro, mutilati e gravemente feriti. I bombardamenti di veicoli e il bombardamento con missili Grad, tra gli altri attacchi, hanno causato la morte di 18 persone e oltre 200 feriti, ci ha detto il dott. Zaher Hajo, capo del reparto di medicina legale dell'ospedale Al-Razi.
I corridoi e il reparto di emergenza dell'ospedale Al-Razi, uno dei due ospedali statali di Aleppo, si sono rapidamente intasati con i feriti e i familiari costernati. In un affollato corridoio interno, uno dei feriti urlava di dolore: “Ya, Allah! Ya, Allah!". In un altro corridoio, un ragazzo di 15 anni con una protesi a una gamba e bende in testa, ha detto che l'attacco con mortaio che lo ha ferito ha ucciso un suo cugino di 4 anni e causato gravi lesioni a un altro cugino di 6 anni.
In una stanza di fronte, una madre gemeva per suo figlio che aveva subito gravi ferite. Urlava e supplicava che qualcuno lo salvasse, il suo unico figlio! Non molto tempo dopo, però, è arrivata la notizia funesta: il 26enne era morto. Suo figlio, un medico, non è stato il primo medico a morire nei bombardamenti di routine dei terroristi sui quartieri di Aleppo. Il dott. Nabil Antaki, gastroenterologo di Aleppo, che ho incontrato durante i miei viaggi ad Aleppo in luglio e agosto, mi ha mandato un messaggio a ottobre riguardo al suo amico e collega, il dottor Omar, che è stato ferito il 6 ottobre quando le fazioni terroristiche hanno scatenato un attacco su Jamiliye Street, uccidendo 10 persone. Pochi giorni dopo l'attacco, anche il dottor Omar è morto.
All'obitorio dietro l'ospedale Al-Razi il 3 novembre, inconsolabili membri delle famiglie stavano appoggiati al muro o seduti sul marciapiede, dopo aver appreso della morte dei propri cari.
Un ragazzo di 14 anni era stato lì il 2 novembre, quando suo padre era stato ucciso. Il 3 novembre è tornato quando sua madre è stata uccisa. Entrambi i genitori di questo ragazzo sono morti, entrambi uccisi in attacchi terroristici nel quartiere New Aleppo della città. Un uomo ha parlato di un nipote di 10 anni che è stato colpito alla testa da un cecchino terrorista mentre il ragazzo era sul tetto. Una donna e i suoi figli stavano appoggiati a una ringhiera di ferro vicino alla porta dell'obitorio, piangendo per la morte del marito, del loro padre, che era stato ucciso mentre parcheggiava l'auto. Quando è arrivata la madre dell'uomo, questa ha avuto un collasso, urlando di dolore.
E nel mezzo di tutto ciò, di tutte queste donne e bambini, un'auto è arrivata all'obitorio con il corpo di un'altra vittima degli attacchi terroristici di quel giorno: Mohammed Majd Darwish, 74 anni. La parte superiore del suo corpo era così insanguinata che non era chiaro se fosse stato decapitato.
Vicino all'obitorio, Bashir Shehadeh, un uomo sulla quarantina, ha detto che la sua famiglia era già stata spostata da Jisr al-Shughour, una città nella provincia di Idlib. Ora sua madre, alcuni dei suoi amici e suo cugino sono stati uccisi dai bombardamenti delle fazioni terroristiche. Ha detto che ne aveva abbastanza e ha chiesto al SAA di eliminare la minaccia terroristica.
Il dott. Batikh di Al-Razi ha detto che un ospedale privato, Al-Rajaa, è stato colpito da un attacco di mortaio. "Ora non possono eseguire operazioni, la sala operatoria è fuori servizio."
Uno degli attacchi più importanti agli ospedali è stato il bombardamento con doppio camion del dicembre 2013 dell'ospedale Al-Kindi , il più grande e miglior ospedale per la cura del cancro in Medio Oriente. In precedenza ho riferito di altri attacchi agli ospedali di Aleppo, incluso l'attacco missilistico del 3 maggio che ha sventrato Al-Dabeet, un ospedale di maternità, uccidendo tre donne. Il 10 settembre, il dottor Antaki mi ha inviato un messaggio: “Ieri un missile, tirato dai terroristi, ha colpito un'ospedale di maternità ad Aleppo in Muhafazat Street. Due persone che lavorano in ospedale sono rimaste ferite. Nessun morto, ma il punto è che è un ospedale ed è stato colpito da un razzo."
Il dott. Batikh e il dott. Mazen Rahmoun, vicedirettore di Al-Razi, hanno detto che l'ospedale una volta aveva 68 ambulanze, ma ora ne sono rimaste solo sei. Il resto, dicono, sono state o rubate dalle fazioni terroristiche o distrutte.
I medici di Aleppo continuano a curare l'afflusso quotidiano di pazienti feriti e malati nonostante la carenza di ambulanze e gli effetti delle sanzioni occidentali che comportano una mancanza di attrezzature mediche, parti di ricambio e medicine per malattie critiche come il cancro.
Secondo il capo della medicina legale dell'ospedale, il dottor Hajo, negli ultimi cinque anni, 10.750 civili sono stati uccisi ad Aleppo, il 40% dei quali erano donne e bambini. Solo nell'ultimo anno, 328 bambini sono stati uccisi dai bombardamenti terroristici ad Aleppo e 45 bambini sono stati uccisi da cecchini islamisti.
Incroci umanitari: bombardamento di Castello Road
Less than 100 metres away, the second of two mortars fired by terrorist factions less than 1 km from Castello Road on Nov. 4. The road and humanitarian corridor were targeted at least six times that day by terrorist factions. Nov. 4, 2016. (Photo: Eva Bartlett)
A meno di 100 metri di distanza, il secondo dei due mortai sparati da fazioni terroristiche a meno di 1 km da Castello Road il 4 novembre. La strada e il corridoio umanitario sono stati colpiti almeno sei volte quel giorno da fazioni terroristiche. 4 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
Il 4 novembre, prima del nostro arrivo alle 9:30 all'incrocio di Bustan al-Qasr e fino alla nostra partenza, un'ora dopo, nessuno era stato in grado di attraversare l'area appena oltre l'incrocio, che è occupato dai militanti di Jaysh al-Fatah.
Due settimane prima del nostro arrivo, i giornalisti avevano riferito che fazioni terroristiche avevano bombardato pesantemente l'incrocio e le aree circostanti a partire dal mattino presto. Un generale siriano all'incrocio ha confermato che i bombardamenti erano avvenuti il 20 ottobre, aggiungendo che tre agenti di polizia erano stati feriti. Un giornalista della delegazione ha chiesto al generale cosa avrebbe risposto ai civili siriani come Bashir Shehadeh, il quale ha richiesto che il SAA eliminasse le fazioni terroristiche. "Dobbiamo essere pazienti, perché i civili non sono in grado di andarsene, non sono colpevoli", ha risposto il generale. "Non ci comportiamo come fanno i terroristi."
Per quanto riguarda il decreto di amnistia emesso dal presidente Bashar Assad alla fine di luglio, il generale ha spiegato che i terroristi che vogliono ottenere l'amnistia potrebbero deporre le armi. Coloro che scelgono di andare a Idlib otterrebbero un passaggio sicuro dal governo e dall'esercito siriani, in coordinamento con la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa.
Secondo il generale, quando due militanti arrivarono all'incrocio di Bustan al-Qasr circa due mesi fa, si arresero e furono amnistiati. Cinque mesi fa, ha detto, 12 civili feriti hanno attraversato lì, sono stati curati negli ospedali di Aleppo e poi sono tornati alle loro case nella parte orientale controllata dai terroristi.
All'attraversamento umanitario di Castello Road, i grandi autobus verdi che si diceva evacuassero i militanti dalle aree dell'est Aleppo nelle ultime settimane erano di nuovo lì, in attesa di imbarcarne altri. Dieci ambulanze, tre autobus e 14 minivan sono stati messi in fila in previsione dell'arrivo di civili o militanti che cercavano di lasciare aree occupate da terroristi, sia per un passaggio sicuro altrove o per stabilirsi in aree protette dal governo di Aleppo.
Ten ambulances wait at the Castello Road crossing to treat anyone exiting via the humanitarian corridors established by the Syrian government and Russia, including militants who lay down their arms. Nov. 4, 2016. (Photo: Eva Bartlett)
Dieci ambulanze aspettano all'incrocio di Castello Road per curare chiunque esca attraverso i corridoi umanitari istituiti dal governo siriano e dalla Russia, compresi i militanti che depongono le armi. 4 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
George Sire, 25 anni, anestesista presso il Salloum Hospital di Aleppo, era uno dei volontari che arrivarono all'incrocio con cinque delle ambulanze dell'ospedale privato, su richiesta del governo siriano.
Quando ho chiesto a un comandante siriano del perché permettere a uomini che avevano usato le armi contro civili e soldati siriani di deporre le armi e di riconciliarsi, ha risposto che sono figli del Paese e li ha esortati a riconciliarsi.
Intorno alle 13:30 il primo proiettile è caduto, colpendo vicino a Castello Road. Circa 10 minuti dopo, mentre stavo facendo l'intervista, un secondo colpo, questa volta considerevolmente più vicino, (entro 100 metri) è esploso vicino abbastanza, infatti, da creare una nuvola di fumo scuro sulla strada. Ciò ha spinto la sicurezza ad allontanarmi dalla strada e allontanare la nostra delegazione dall'incrocio. In seguito ho appreso che altri cinque proiettili hanno colpito l'attraversamento, ferendo un giornalista siriano e due soldati russi.
Nessuno ha passato questo e alcuno degli altri sette corridoi umanitari quel giorno.
Sfollati dai terroristi
Per circa quattro anni, semplici rifugi nella moschea Hafez al-Assad hanno ospitato circa 1.000 persone, tutte famiglie sunnite sfollate dalle aree occupate dai militanti.
La maggior parte di quelli con cui ho parlato ha elencato uguali ragioni per lasciare le proprie case e ha descritto di aver paura per la propria vita a causa della presenza terroristica.
Sono venuti e hanno distrutto case e ucciso civili, prima ancora di attaccare lo Stato. L'esercito ci sta proteggendo, mentre sono le bande quelle che stanno distruggendo il paese ", mi ha detto un uomo. Ha detto che i suoi due fratelli nelle aree controllate dal terrorismo ad Aleppo orientale "non sono autorizzati a partire". Ci hanno provato molte volte ma sono stati sempre intercettati. Se i gruppi armati vedono qualcuno che trasporta bagagli, lo arrestano immediatamente. "
Lui e altri al rifugio si sono lamentati del fatto che, secondo i loro familiari, le fazioni terroristiche detengono e controllano qualsiasi cibo all'interno delle aree che occupano.
Come altrove in città, il rifugio e l'area immediatamente circostante la moschea vengono abitualmente colpiti con mortai e proiettili esplosivi. Un uomo più anziano mi ha portato dietro un angolo, indicando un punto in cui ha detto che un uomo di 29 anni è stato ucciso da un proiettile esplosivo sparato dal terrorista. “Era in piedi qui. Aveva lo stomaco aperto ", mi racconta.
La città vecchia: la vita tra le rovine
Il piccolo autobus che trasporta una dozzina di giornalisti e un soldato molto attento delle forze speciali, Ali, ad un certo punto si inchioda improvvisamente davanti alla Città Vecchia. Un cecchino è appostato alla nostra sinistra, in un'area occupata da fazioni terroristiche a circa 500 metri di distanza, ci vien detto.
Dopo essere entrati nella Città Vecchia e aver attraversato una strada protetta dal fuoco del cecchino da un terrapieno di terra e uno schermo di metallo, a volte l'unico mezzo per proseguire nella Città Vecchia è passare dai buchi dei muri bombardati che collegavano gli edifici. Attraversando gli edifici, abbiamo evitato i cecchini che sono pronti a sparare a chiunque si muova per strada.
Dall'altra parte della stradina, uno shock di verde colpisce la vista per il netto contrasto con i toni grigi della distruzione creati da anni di combattimenti contro il peggior terrorismo che il mondo abbia mai conosciuto. Rami, un soldato siriano di Banias, spiega che aveva piantato erbe e cipolle verdi qui come faceva quando in passato era stato dislocato lungo la strada del deserto Ithriya-Khanasser. Il dolce sorriso e il comportamento gentile di Rami nascondono la sua perdita personale: un fratello ucciso mentre prestava servizio nel SAA.
Mentre camminiamo attraverso le aree della Città Vecchia di Aleppo protette dal governo, ci siamo imbattuti in un unico venditore, Mahmoud. Vendeva strumenti musicali arabi tradizionali, ma le circostanze lo hanno costretto ad abbandonare quell'attività a favore della vendita di beni di consumo basilari a circa 25 clienti al giorno. Rifiuta di lasciare la Città Vecchia, anche se si trova a circa 200 metri dal Fronte di Al Nusra e da altri militanti del Jaysh al-Fatah. "Sono una persona normale", dice Mahmoud. "Quelli hanno distrutto tutto."
Attraversando negozi devastati uno dopo l'altro e passando sotto gli aggraziati archi dei mercati coperti, tipici delle antiche città siriane, il deputato Fares Shehabi fa notare:
Vedete i soffitti anneriti? È da quando i terroristi si sono ritirati. Accesero il fuoco per bloccare l'avanzata dell'esercito siriano e anche per nascondere il loro saccheggio. Non possono accusare l'esercito di aver bombardato qui, il tetto è intatto. "
Uscendo da questa particolare area del mercato, arriviamo a un'area sabbiosa, parzialmente nascosta ai cecchini. Ci danno l'ordine severo di non andare avanti: la famosa cittadella di Aleppo è più avanti, e alla sinistra e alla destra della nostra posizione presso il distrutto Carlton Hotel, i cecchini terroristici stanno aspettando.
Quando i terroristi hanno fatto esplodere grandi quantità di esplosivi nei tunnel sotto il Carlton Hotel nel maggio 2014, il Col. Abu Majed ci ha detto che "tutto Aleppo lo ha sentito".
"Hanno bombardato oltre 20 edifici storici attraverso tunnel", ribadisce Shehabi. "Se fossero veri siriani, non bombarderebbero edifici storici".
Almeno 7.500 negozi nella Città Vecchia sono spariti, persi a causa di incendi, saccheggi e distruzione totale. "Sono 7.500 famiglie", ci ricorda Shehabi.
Visitando aree in prima linea prese di mira
La Chiesa Cattolica Siriana di Aleppo ha ancora un buco nel muro da quando è stata colpita dal bombardamento terroristico di circa due anni fa. Al momento dell'attacco, i fedeli erano dentro a celebrare, mentre il coro cantava.
The Syrian Catholic Church of Aleppo has been targeted with shelling five times by terrorist groups, including the Nusra Front, that occupy areas just 500 meters away. The shelling that left this hole occurred two years ago, while congregation members were worshipping, the choir singing. At least 10 people were injured. Nov. 2, 2016 (Photo: Eva Bartlett)
La Chiesa Cattolica Siriana di Aleppo è stata colpita da bombardamenti cinque volte da gruppi terroristici, incluso il Fronte Al Nusra, che occupavano aree a soli 500 metri di distanza. I bombardamenti che hanno lasciato questo buco sono avvenuti due anni fa, mentre i membri della parrocchia celebravano la messa, il coro cantava. Almeno 10 persone sono rimaste ferite. 2 novembre 2016 (foto: Eva Bartlett)
Un leader della Chiesa racconta che sono stati presi di mira cinque volte, l'ultimo incidente causato da un razzo poche settimane prima del nostro arrivo. Le fazioni terroristiche erano a circa 300-500 metri di distanza. Ha stimato che un terzo delle 1.350 famiglie che erano solite frequentare quella chiesa, è fuggito in altre zone della Siria o all'estero, principalmente a causa di problemi di sicurezza.
Vivevamo in sicurezza e pace. Queste aree vengono volutamente prese di mira, vogliono costringerci ad andarcene. Ogni siriano viene preso di mira ", ha detto alla delegazione.
Alcuni dei rimanenti membri della parrocchia hanno scelto di svolgere le funzioni religiose in uno stretto corridoio all'interno dell'edificio, negli ultimi due anni.
Più lontano in città, il vescovo Joseph Tobji della chiesa maronita di Aleppo racconta che circa i due terzi della sua comunità di circa 800 famiglie se ne sono andati, sperando di trovare condizioni più sicure altrove. All'interno di un edificio appartenente alla chiesa, il vescovo Tobji ci ha accolto e ci ha spiegato: “Non abbiamo più una chiesa ora. Avevamo due chiese, ma entrambe sono distrutte. Abbiamo solo questo posto, una cappella che può contenere circa 70 persone. ”
Camminando per le strade buie di Talal, un'area storicamente ricca di chiese ora distrutte o gravemente danneggiate, Shehabi ha raccomandato cautela: “Siamo a 50 metri da al-Nusra. Al di là di questi edifici, c'è la linea del fronte. ”
Il Rev. Ibrahim Nseir, pastore della Chiesa Evangelica Araba Presbiteriana di Aleppo, ci ha guidato attraverso le aree cristiane di Talal, ricordandoci di rimanere il più silenziosi possibile. “Niente voce, perché ciò farà sentire loro che siamo qui. Sarà molto pericoloso ", dice piano. "Presto, ya eini ... Per favore, tutti, in fretta ..."
Abbiamo poi preso un autobus per il distretto di Midan, dove abbiamo camminato lungo le strade buie. Il nostro accompagnatore militare siriano ha esortato il gruppo a stare insieme e ad ascoltare attentamente. Mentre camminavamo, il Rev. Nseir ha descritto gli attacchi contro le scuole e l'area, un distretto Armeno, che è stato pesantemente colpito. "Qui siamo in uno dei luoghi più mirati", ci informa, facendo notare solchi nel terreno da colpi di mortaio.
Un residente locale ci racconta: “Il 5 settembre, due bombe di quelle fatte con le bombole del gas (Hell1) sono esplose nella sua zona, abbiamo avuto tre martiri, giovani di circa 30 anni. Uno era sposato con un bambino di 1 anno. Un altro stava per sposarsi. Quattro giorni prima del suo matrimonio, è stato ucciso. In sei giorni a settembre, abbiamo ricevuto 85 proiettili ".
Mentre camminiamo, Shehabi avverte: "C'è un cecchino, ragazzi, c'è un cecchino. Spegnete le luci.” Il cecchino era a circa 1 km di distanza, secondo la gente del posto che camminava con noi, secondo i quali i cecchini a volte arrivano anche fino a 500 metri.
Con lo scendere della notte, era difficile accertare l'intensità dei danni, ma le case e le strade buie parlavano delle dimensioni di un quartiere abbandonato dai residenti per enormi problemi di sicurezza.
I leader religiosi di Aleppo sfidano la divisione
All'interno della sua chiesa, una nuova struttura costruita circa un anno fa per sostituire la storica chiesa distrutta dai terroristi negli anni precedenti, il Rev. Nseir presenta tre leader sunniti della città: il dottor Rami Obeid, il dottor Rabih Kukeh, lo sceicco Ahmed Ghazeli.
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"Questi leader Sunniti sono considerati degli 'infedeli' da al-Nusra e compagnia", riporta Nseir, spiegando che non seguono la distorta ideologia wahhabita che guida le fazioni terroristiche sostenute dall'Occidente come il Fronte di Al Nusra e altri che sono stati considerati "ribelli moderati" e "forze di opposizione".
Prima di dare la parola a questi capi religiosi, il Rev. Nseir ha ricordato: "Quando la chiesa fu distrutta, la prima persona che mi chiamò fu il Mufti Hassoun, che mi disse: 'Non preoccuparti, reverendo, ricostruiremo la chiesa' ”.
Il dottor Kukeh parla in generale del multi-culturalismo della Siria: “Il mosaico che viviamo in Siria è incomparabile con qualsiasi altro modo di vivere in tutto il mondo. Cristiani e musulmani, sunniti e sciiti. Non vi è alcuna discriminazione basata sulla religione o sulla setta. La propaganda diffusa in tutti i media non ha radici qui. "
Rev. Ibrahim Nseir, pastore della Chiesa Evangelica Presbiteriana Araba di Aleppo, con tre importanti studiosi e leader sunniti, il dottor Rami Obeid, Rabih Kukeh, lo sceicco Ahmed Ghazeli, che respingono il wahhabismo. Il dottor Kukeh ha detto delle fazioni terroristiche: "Coloro che stanno uccidendo i sunniti sono gli stessi che affermano di difendere i sunniti". 2 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
Riguardo ai terroristi che si autodefiniscono come jihadisti che combattono per la libertà, il Dr. Kukeh dichiara: “Coloro che stanno uccidendo i Sunniti sono gli stessi che affermano di difendere i Sunniti. Le bombe che ci colpiscono quotidianamente vengono inviate da loro.". Nomina sei sceicchi sunniti in Siria, la maggior parte ad Aleppo, che sono stati assassinati dai terroristi per non essersi uniti a loro. Uno di loro, lo sceicco Abdel Latif al-Shami, è stato torturato a morte nel luglio 2012.
Il dottor Kukeh, che ha affermato di aver chiamato suo figlio maggiore come l'ex leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, "perché amo quell'uomo", ha spiegato che nel 2012 viveva nella parte orientale di Aleppo quando i terroristi hanno iniziato ad occupare quei distretti. È stato preso di mira per assassinarlo perché non era d'accordo con le ideologie dei terroristi. Riporta di essere stato condannato per accuse relative a un suo articolo su una pubblicazione locale, per il nome di suo figlio e per la mancanza di manifestazioni antigovernative provenienti dalla sua moschea. “Quelle manifestazioni non si sono mai verificate, spiega, perché non le ha mai incoraggiate come invece altri sceicchi wahhabiti hanno fatto altrove.”
La conversazione si è poi spostata dalla fonte del terrorismo in Siria, il Wahhabismo e la sua natura distorta, non islamica, all'unità di cui avevo sentito parlare i Siriani in tutto il mondo. Uno degli sceicchi, del quale ho perso il nome a causa del nostro vociare, ripeteva quello che è diventato un sentimento familiare tra civili e soldati siriani:
Aleppo è una, la Siria è una. Respingiamo la divisione di Aleppo, rifiutiamo la divisione della Siria".

martedì 10 dicembre 2019

Intervista al Presidente siriano Bashar Al-Assad, versione RAI in italiano

Damasco. La versione integrale dell'intervista - in esclusiva per RAI - al Presidente siriano Bashar Al-Assad di Monica Maggioni.

TRADUZIONE IN SPAGNOLO :

TRADUZIONE IN FRANCESE: 

domenica 8 dicembre 2019

INNO AKATHISTOS ALLA MADRE DI DIO: "Rallegrati, Vergine e Sposa!"


 'Akathistos' si chiama per antonomasia quest'inno liturgico della Chiesa bizantina del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti."Akathistos" non è il titolo originario, ma una rubrica:"a-kathistos" in greco significa "non-seduti", perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo "stando in piedi", come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio.
Struttura. La struttura metrica e sillabica dell'Akathistos si ispira alla celeste Gerusalemme descritta dal cap. 21 dell'Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale "Sposa" senza sposo terreno, Sposa vergine dell'Agnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione.
L'inno consta di 24 stanze (in greco: oikoi), quante sono le lettere dell'alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza comincia. Ma fu sapientemente progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti - quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari - una cristologica, l'altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s'illumina il mistero della Madre di Dio. Le due parti dell'inno a loro volta sono impercettibilmente suddivise ciascuna in due sezioni di 6 stanze: tale suddivisione è presente in modo manifesto nell'attuale celebrazione liturgica. L'inno tuttavia procede in maniera binaria, in modo che ogni stanza dispari trova il suo complemento - metrico e concettuale - in quella pari che segue. Le stanze dispari si ampliano con 12 salutazioni mariane, raccolte attorno a un loro fulcro narrativo o dommatico, e terminano con l'efimnio o ritornello di chiusa: "Gioisci, sposa senza nozze!". Le stanze pari invece, dopo l'enunciazione del tema quasi sempre a sfondo cristologico, terminano con l'acclamazione a Cristo: "Alleluia!". Così l'inno si presenta cristologico insieme e mariano, subordinando la Madre al Figlio, la missione materna di Maria all'opera universale di salvezza dell'unico Salvatore.
La prima parte dell'Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli dell'Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2). Essa propone e canta il mistero dell'incarnazione (stanze 1-4), l'effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5),la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l'adorazione dei pastori(stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l'accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo.
La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati.
Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo riconduce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell'Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l'uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l'Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l'ultima Pasqua (stanza 23); è l'Avvocata di misericordia nell'ultimo giorno (stanza 24).
    estratto da:

venerdì 6 dicembre 2019

Primo Ministro ungherese: i cristiani perseguitati ci aiuteranno a salvare l'Europa

  Dal discorso  di Victor Orbán durante la seconda Conferenza Internazionale sulla Persecuzione Cristiana, conclusasi il 28 novembre.  

Edward Pentin del National Catholic Register, riferisce questa dichiarazione di Orbán: “Sono convinto che, per salvare l'Europa, quelli che potranno fornirci il più grande aiuto sono quelli che ora stiamo aiutando. Stiamo seminando un seme, dando ai perseguitati ciò di cui hanno bisogno e ricevendone in cambio la fede, l'amore e la perseveranza cristiana ”.



Il primo ministro ungherese ha anche spiegato che è proprio l'identità cristiana del suo paese che obbliga ad aiutare altre comunità cristiane:  "Gli ungheresi credono che i valori cristiani portino alla pace e alla felicità, ed è per questo che la nostra Costituzione afferma che la protezione del Cristianesimo è un obbligo per lo Stato ungherese".  "Ci obbliga a proteggere le comunità cristiane  che subiscono persecuzioni in tutto il mondo".
Orbán ha contrapposto il gran numero di cristiani tra coloro che soffrono per la loro fede con l'indifferenza di gran parte dell'Europa. "Quattro su cinque perseguitati per la loro fede sono cristiani e circa 245 milioni di cristiani in tutto il mondo subiscono estrema persecuzione".  "Eppure l'Europa rimane in silenzio ancora e ancora!", ha continuato. "I politici europei sembrano paralizzati e incapaci di fare qualsiasi cosa, insistendo sul fatto che si tratti di una questione generica di "diritti umani".
Il Primo Ministro ungherese ha sostenuto che la persecuzione cristiana non è solo un attacco alle persone ma a un'intera cultura, "anche qui in Europa". Questa persecuzione è talvolta violenta ma a volte più subdola, ad esempio con  "lo scambio di popolazione attraverso la migrazione di massa, la stigmatizzazione, la beffa e la museruola del politicamente corretto. "
Orbán ha anche affermato che l'accettazione indiscriminata dell'Europa occidentale della migrazione di massa è una "bomba a orologeria" per il futuro. "L'Europa occidentale ha già fornito dozzine di militanti allo Stato islamico e l'immigrazione incontrollata ha prodotto un cambiamento radicale nella demografia della popolazione", ha affermato. 
Il Primo Ministro ha affermato che l'unica soluzione è che l'Europa scopra le sue radici cristiane e ribadisca la sua identità cristiana. 
Il programma "Hungary Helps" è stato istituito dal governo di Orbán nel 2017 per aiutare le comunità cristiane che subiscono persecuzioni. I progetti ungheresi si basano sui rapporti tra il Governo ungherese e le stesse comunità cristiane, aggirando intermediari standard come le Nazioni Unite e le grandi ONG multinazionali. Ad aprile di quest'anno, il progetto aveva dato l'equivalente di $ 26.200.752 ai cristiani che vivono e lavorano nei loro paesi di origine, tra cui cinque nazioni mediorientali e due sub-sahariane.
Secondo Thomas D. Williams di Breitbart , il Primo Ministro ungherese ha sottolineato l'importante ruolo che l'Ungheria cristiana può svolgere nel mondo.   “Gli ungheresi rappresentano solo lo 0,02 percento della popolazione mondiale, quindi quanta differenza può fare? Ne vale la pena? ” ha chiesto Orbán.  Poi ha risposto alla sua stessa domanda riflettendo sui 12 apostoli che, sebbene in piccolo numero, hanno cambiato il mondo con la Buona Novella.   "La difesa dei nostri fratelli e sorelle perseguitati genera coraggio in noi stessi e negli altri", ha continuato Orbán.  "Quando abbiamo aumentato gli aiuti ai cristiani perseguitati al livello di costituire un ministero del governo, chi avrebbe saputo come sarebbe cresciuto e avrebbe influenzato gli altri?. Schierarsi a favore dei nostri fratelli e sorelle cristiani infonde coraggio in noi stessi e in altri. Il governo Ungherese rigetta l’approccio spesso adottato dalla comunità internazionale, secondo il quale la cristianofobia e ogni altra forma di sentimento anti-cristiano è accettabile! Richiede coraggio oggi parlare pubblicamente della sorte dei cristiani, e voi che avete accettato l’invito a questa conferenza, l’avete dimostrato!”
"Ogni paese ha il diritto di decidere se vuole essere un paese di transizione o un oggetto di migrazione, uno o nessuno di questi, così come tutti hanno anche il diritto di vivere nella terra della loro nascita e di vivere una vita sicura nella loro patria".  "Questa è la base su cui il governo ungherese sta costruendo la sua politica quando sostiene le comunità cristiane [all'estero]".

mercoledì 4 dicembre 2019

Vescovo Abou Khazen: la sofferenza, la guerra e la speranza


di Davide Malacaria e Matteo Carnieletto


  • INSIDE OVER

    Quasi 3mila giorni di guerra, mezzo milione di morti (questa è la cifra ufficiale anche se il vero numero dei caduti lo conosce solo la terra che li custodisce) e un Paese in ginocchio. Sono questi alcuni numeri della guerra che da oltre otto anni sta colpendo la Siria. Una guerra che ora non uccide solamente a colpi di mortaio o di bombe che piovono dal cielo, ma anche, e soprattutto, che stermina per mancanza di medicine e di beni di prima necessità, come ci spiega monsignor Georges Abou Khazen, a margine di un incontro organizzato dall’Associazione Pro Terra Sancta“Le sanzioni sono un crimine perché non toccano né il governo né i ricchi, ma tutti, soprattutto la gente povera. La benzina è razionata, la gente ha una bombola di gas ogni 23 giorni e spesso non arrivano neanche le medicine e il cibo per sfamare le famiglie”.
    Difficile pensare al futuro in condizioni simili. Chi ha potuto ha lasciato il Paese per cercare di farsi una nuova vita in Libano, oppure in Europa o in Canada. Chi è rimasto (ed è sopravvissuto) ora si trova bloccato in una rete infernale, quella delle sanzioni: “Le grandi potenze, Stati Uniti e Europa – spiega Abou Khazen -, hanno deciso di sanzionare la Siria. Noi abbiamo progetti, ma realizzarli è difficile. Per questo chiediamo di togliere l’embargo alla Siria, soprattutto per quanto riguarda le medicine: siamo in carenza di cure per il cancro e manca pure il necessario per le dialisi”.
    Oggi in Siria l’inflazione galoppa, i quattrini valgono poco o niente e vivere è sempre più difficile. E questo nonostante il Paese si trovi in una situazione di relativa calma, eccezion fatta per le zone al confine con la Turchia, colpite dall’offensiva di Ankara e dalle continue minacce dei jihadisti di Idlib, che hanno aperto un nuovo fronte: “Prima c’è stata l’invasione turca e poi gli americani, con i loro alleati, hanno occupato tutti i campi di petrolio. Prima il governo riusciva a rifornirsi ogni tanto, ma oggi ogni cisterna che manda viene bombardata dagli americani e dai loro alleati”. Questo è ciò che accade a est dell’Eufrate.
    Nel nord del Paese, invece, si registrano quotidiani massacri e, come se ciò non fosse sufficiente, si assiste a una situazione paradossale: i discendenti dei cristiani assiri e caldei che sono scampati al genocidio degli ottomani si trovano faccia a faccia con i nipoti dei carnefici dei loro avi: “Ci siamo ritrovati il boia in casa”, aggiunge Abou Khazen. E i curdi? Fino a poco tempo fa sembravano esser pronti a trovare un accordo con Damasco, ma ora le lancette sembrano essere tornate indietro nel tempo, a prima dell’invasione turca: “Fanno poco o nulla per ritrovare un collocamento all’interno del governo siriano. Si parlano, ma ci sono poche speranze che la situazione torni alla normalità perché gli americani hanno prima montato la testa ai curdi e poi li hanno venduti ai turchi”. Senza scampo, senza un futuro, la comunità curda si trova in un vicolo cieco, da cui non sa più uscire.
    A preoccupare maggiormente monsignor Abou Khazen, però, sono i gruppi jihadisti che si trovano ancora alla periferia di Aleppo e che, solamente poche settimane fa, hanno bombardato la città. “Hanno sparato i colpi non lontano da un punto di osservazione curda e sai perché?”, ci chiede il prelato che, subito dopo, risponde, “perché se i governativi avessero risposto ci sarebbe stata una rappresaglia di Ankara”. È quello che sperano i terroristi asserragliati a Idlib e che, ora, il governo di Damasco non può permettersi. E questa connivenza di Ankara permette ai terroristi di sopravvivere.
    Ma non ci sono solo la sofferenza e la guerra. C’è anche la speranza, come tiene a sottolineare Abou Khazen: “Il nostro destino non è nelle mani dell’uomo, ma in quelle del nostro Padre celeste. L’uomo ha dei margini di manovra, ma la storia è condotta da lui”. Ed ora sono in molti, in Siria, a sperare in quel Padre celeste per la cui fede sono morte migliaia di persone. Lo Stato islamico e le milizie jihadiste legate alla galassia ribelle hanno distrutto quella convivenza che per secoli ha reso la Siria un sistema perfetto di culture e religioni che hanno costruito un Paese unico tra il Mar Mediterraneo e il deserto. La Siria è sopravvissuta e con essa i cristiani. Ma la vera guerra, quella della rinascita, deve ancora iniziare.

    L’associazione Pro Terra Sancta ha lanciato oggi un’iniziativa lodevole per sostenere i bambini di Aleppo, che ci permettiamo di consigliare: 
    - Con carta di credito, online
    www.proterrasancta.org