ARMI CHIMICHE IN SIRIA
da: Identità Europea
Archiviati la sbornia elettorale, l’elezione/rielezione del presidente della Repubblica e perfino il varo del nuovo governo (anche se quest’ultimo continua a essere soggetto a poco rassicuranti scosse sismiche), è possibile cambiare argomento. Tornare per esempio alla politica estera, a quanto sta avvenendo in Africa e in Medio Oriente, a così breve distanza dalla Sicilia, cioè da casa nostra. Da ultimo (ma già in precedenza non sarebbero mancate le occasioni) mi sollecita a farlo l’articolo “Siria nel caos Obama decida” pubblicato dal Resto del Carlino di domenica 12 maggio.
La politica estera interessa poco agli italiani, ma appunto per questo offre a un nutrito gruppo di protagonisti della politica e dell’informazione ottimi spunti senza rischio di eccessive contestazioni per esibire, sotto forma di rispettoso rimbrotto/esortazione, da consiglieri del principe, la propria fedeltà a Washington, mostrandosi più americani dello stesso presidente americano.
Tutti questi signori non vedono l’ora che gli States ripetano in Siria quanto accaduto in Iraq e in Libia e si preoccupano perché Obama non ripete più che “Assad se ne deve andare” e addirittura ha “fatto una imbarazzante marcia indietro quando il Pentagono gli ha confermato l’uso delle armi chimiche”. Già la famosa “linea rossa”, superata la quale l’America avrebbe rotto gli indugi e autorizzato l’intervento militare. In effetti a inizio maggio Obama aveva dato l’impressione di stare per premere il bottone, dichiarando che l’impiego di armi chimiche in Siria è ormai un fatto accertato. Aveva sì aggiunto di non avere ancora l’assoluta certezza sugli autori del crimine, ma anche lasciato capire che tutti i sospetti puntano su Assad e l’esercito governativo.
I consiglieri del principe si stavano già fregando le mani quando, il 5 maggio, a rompere le uova nel paniere è intervenuta l’ex-magistrato svizzero Carla Del Ponte, autorevolissima componente della Commissione ONU incaricata di indagare sulla violazione dei diritti umani in Siria. La Del Ponte, celebratissima in Italia e in tutto l’Occidente quando sosteneva l’accusa davanti al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e al Tribunale penale internazionale per il Ruanda, ha dato ragione ad Obama sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche, ma ha aggiunto che le testimonianze attribuivano l’impiego del micidiale gas Sarin non ai governativi, ma ai ribelli. Difficile immaginare qualcosa di peggio di queste dichiarazioni per i sostenitori dell’intervento Usa contro Assad, proprio perché confermano le dichiarazioni del presidente quanto all’avvenuto impiego di armi chimiche, ma “sbagliano” colpevole. Difatti, una volta superata la “linea rossa”, o si mantiene l’impegno e si interviene contro gli autori del crimine o non si potrà farlo contro l’altra parte del conflitto, qualora decidesse di replicare con le stesse armi.
I collaboratori più responsabili e preparati degli States se ne sono immediatamente resi conto e non hanno esitato a smentire non solo la Del Ponte, ma (con qualche cautela) lo stesso Obama a proposito del “fatto accertato”, cioè dell’avvenuto impiego di armi chimiche. Anders Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, si è affrettato a dichiarare che “la Nato ha avuto indicazione dell’impiego di armi chimiche in Siria, ma non ha prove consolidate né sulle circostanze né su chi ne abbia fatto effettivo uso”, aggiungendo di ignorare “su quale base Carla Del Ponte abbia fatto le sue dichiarazioni”. A sua volta la Commissione dell’ONU, di cui è componente il magistrato svizzero, ha diffuso una nota per affermare di non avere “prove conclusive in grado di determinare l’uso delle armi chimiche, né dall’una, né dall’altra parte”.
Insomma il “fatto accertato” è soltanto un’ipotesi o al massimo un sospetto.
In Italia gli aspiranti consiglieri del principe possono concedersi qualche parola critica per sollecitare il presidente americano a superare le proprie esitazioni, ma mai si permetterebbero di smentirlo. Per loro resta indiscutibile che le armi chimiche sono state usate e, dal momento che il sospetto del principe è per i cortigiani certezza, che ad impiegarle è stato il tiranno Assad e non le anime belle dei salafiti, degli islamisti e dei mercenari sauditi.
La "partita" delle armi chimiche può spaccare il Medio Oriente
da Il Sussidiario , venerdì 19 aprile 2013
INT. A Gian
Micalessin
Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato alla
BBC che Israele ha il diritto di fare
quanto è in suo potere per impedire che le armi chimiche siriane cadano nelle mani sbagliate. Per il premier,
se i terroristi dovessero sequestrare
armi anti-aeree e chimiche, diventerebbero l’ago della bilancia del Medio Oriente. Il Sussidiario.net ha
intervistato Gian Micalessin, inviato di
guerra de Il Giornale.
D: Che cosa ne pensa dello scenario delineato dal premier
Netanyahu?
R: E’ uno scenario che potrebbe verificarsi. Esistono
effettivamente dei depositi di armi
chimiche e si trovano in zone che potrebbero essere raggiunte dai ribelli. Un intervento israeliano però esaspererebbe
la già drammatica conflittualità in cui
vive la Siria, e potrebbe avere un effetto assolutamente devastante per l’intero Medio Oriente. Sarebbe più opportuno un intervento americano o europeo, come è stato delineato
più volte in passato, con l’obiettivo
specifico di evitare il diffondersi delle armi chimiche. Resterebbe comunque una scelta pericolosa e con molte
controindicazioni, ma pur sempre meno disastrosa di un blitz israeliano che
rischierebbe di minare dalle fondamenta quel
poco che resta della stabilità mediorientale.
D: Quanto sono realmente pericolose le armi chimiche
siriane?
R: Le armi chimiche siriane, finché restano nelle mani di
Assad che non le ha mai usate né intende usarle, sono relativamente poco
pericolose. Diventano estremamente
pericolose se cadono nelle mani di gruppi come Al-Nusra, che formalmente
appartengono alla galassia della rivolta jihadista in corso contro Assad. Queste formazioni agiscono autonomamente
e si dichiarano addirittura schierate su
posizioni vicine ad Al Qaeda. Quindi è chiaro che le armi chimiche, se cadessero in mano loro, potrebbero essere
usate non solo per fare cadere Assad o
per combatterlo, ma anche nello scenario globale per mettere a punto attacchi terroristici contro quello stesso Occidente
che ritiene di dover sostenere la
rivolta.
D: Quanto è forte ancora Assad e perché la situazione è così
bloccata?
R: Perché non c’è un
Paese contro Bashar Assad, ma una nazione divisa in due. Il 50 per cento della popolazione è composta dalla
minoranza cristiana, dagli alawiti, ma
anche da buona parte dei sunniti che continuano a restare con Assad. Molti generali e ufficiali dello stesso esercito
sono sunniti e continuano a sostenere il
regime.
D: Quanto conta
l’influenza delle potenze straniere?
R: Chi lotta contro Assad ha il sostegno di potenze
regionali quali Qatar, Arabia Saudita e
Turchia, oltre all’appoggio occidentale. Dall’altra ci sono alleati come Pechino e Mosca, importanti dal punto
vista economico e del rifornimento di armi,
e la compartecipazione all’attività bellica dell’Iran e di Hezbollah, che ritengono fondamentale per il mantenimento
dell’asse sciita la sopravvivenza di Bashar
Assad e dell’attuale regime siriano.
D: Lei è stato più volte in Siria. Che cosa ha visto?
R: Quel che balza di più agli occhi quando si viaggia a
Homs, Aleppo e altre città siriane è la sostanziale difformità tra i resoconti
giornalistici che riceviamo in Occidente
e quel che accade sul terreno. Esiste effettivamente una situazione di guerra. In particolare Aleppo, almeno
nella parte che si affaccia verso la Turchia,
è una città circondata dai ribelli, ma al suo interno esiste una vasta parte della popolazione che continua a vivere
normalmente e a sostenere la necessità
di battersi con Assad.
D: Per quali motivi?
R: Considerano il regime comunque più legittimo di un’opposizione
armata, foraggiata da Stati stranieri,
come il Qatar e l’Arabia Saudita. I ribelli sono inoltre ritenuti pericolosi, incontrollabili,
disorganizzati, privi di una guida politica
e soprattutto colpevoli di massacri efferati e di attentati che mettono a rischio la popolazione civile. Attentati
che sono descritti da chi vive a Homs e
Aleppo come terrorismo puro e non come ribellione e lotta contro il tiranno.
(Pietro Vernizzi)
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