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Ci sarà solo una piccola culla sotto l’altare della chiesa parrocchiale di san Giuseppe, nel villaggio di Knayeh, nella valle dell’Oronte, vicino al confine con la Turchia (Siria settentrionale), dove i frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti da oltre 125 anni. Da tempo sotto il controllo della fazione jihadista Jabhat al-Nusra, braccio siriano di al Qaeda, impegnato nella lotta al regime del presidente Assad, il villaggio, e i suoi dintorni, abitato da circa 800 fedeli, si appresta a vivere il Natale tra paura e speranza. Uno stato d’animo che il parroco, il francescano Hanna Jallouf, siriano, 62 anni, racconta con una certa emozione: “La guerra e la violenza hanno spinto molte persone, tra cui tanti nostri cristiani, a partire, a cercare rifugio altrove, anche per permettere ai propri figli di continuare a studiare. Nelle scuole del villaggio, ormai, si insegna solo il Corano”.
Da quando la zona è in mano alle brigate islamiste vessazioni e soprusi ai danni della popolazione locale sono all’ordine del giorno. A farne le spese lo stesso parroco, sequestrato dai miliziani armati, lo scorso mese di ottobre, insieme ad altri parrocchiani, e dopo qualche giorno rilasciato.
Nonostante la gravità della situazione la parrocchia è rimasta attiva anche se deve rinunciare a suonare le campane ed è tenuta a rispettare l’obbligo di coprire le statue e le immagini sacre esposte all’aperto. E il Natale imminente acuisce questa sofferenza senza impedire alla piccola comunità cristiana di vivere la nascita di Cristo. “Da giorni - rivela il parroco - i nostri fedeli hanno cominciato a pulire le case, a preparare qualche dolce, per quel che si può, e rendere dignitosa la festa”.
Libertà di culto. “Con tutte le difficoltà che abbiamo, manteniamo una certa libertà di culto - spiega padre Hanna - possiamo celebrare Messe e funzioni ma non possiamo uscire fuori dalla nostra chiesa. A Natale non possiamo abbellire l’esterno della chiesa, fare il presepe, allestire l’albero. Ma questo non ci impedirà di riunirci innanzitutto il 24 dicembre. La nostra Messa di mezzanotte la celebreremo il pomeriggio per motivi di sicurezza. Mancheranno le luminarie, ma non fa nulla. In chiesa avremo un piccolo presepe, fatto solo di una piccola culla per deporre il Re della pace”.
Pace: una parola che sembra non avere alcun significato in un paese dilaniato da oltre tre anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti e milioni tra sfollati e rifugiati. E il futuro non sembra portare nulla di buono. “La situazione è grave. Nel villaggio ci hanno portato via le nostre terre, le nostre case, abbiamo subito espropri. Io sono stato imprigionato - ricorda il parroco - insieme ad altre sedici persone del mio villaggio. Abbiamo passato un periodo davvero triste ma il Signore era con noi e abbiamo sentito la sua mano potente sul nostro capo e sui nostri villaggi. Dio è nostro Salvatore e protettore. Non sappiamo come andrà a finire e, per questo, viviamo alla giornata. Abbiamo paura del futuro ma la speranza è che il Signore ci protegge”.
Sperare contro ogni speranza. Soprattutto quando si ha a che fare con “tanti ladri in giro”. “Non ci hanno lasciato nulla, hanno portato via tutto - spiega il francescano parlando dei miliziani islamisti - ora stanno cominciando a tagliare gli alberi per fare legna da ardere che rivendono al popolo a prezzi alti. Tagliano anche gli olivi che sono fonte di sostentamento per molti. Ci hanno preso il raccolto di olive, della terra, hanno rubato i nostri attrezzi, trattori, macchine, non hanno lasciato niente. Una cosa orribile”.
Fino alla morte. “Sopravviviamo perché vogliamo dire ai fondamentalisti che siamo cristiani e lo resteremo fino alla morte. I nostri avi sono nati e morti qui. Così faremo anche noi”, ribadisce padre Jallouf. “Con la popolazione locale non abbiamo problemi, viviamo in pace, ci rispettiamo e ci aiutiamo da sempre. Abbiamo paura di questi fondamentalisti venuti da fuori che non conoscono la nostra terra e la nostra tradizione di convivenza. Hanno provato a convertirci ma senza successo. Quando ero in prigione volevano che diventassimo musulmani. Abbiamo detto loro che siamo cristiani e che lo rimarremo fino all’ultima goccia di sangue. In quei giorni di detenzione abbiamo sentito la preghiera della nostra comunità e della chiesa intera. Nel villaggio le case dei cristiani erano diventate tante cappelle di adorazione eucaristica”. Natale diventa, allora, un’ulteriore prova di testimonianza. “Alla comunità di Knayeh dirò che Cristo è la pace e solo da lui viene questo dono. Da Lui il coraggio e la forza per sostenere tanta sofferenze. Alla mia gente dirò, ancora una volta, di testimoniare pace, gioia e unità. Perché ne siamo certi: la Siria vedrà ancora il sole sorgere. La notte sta passando e una nuova alba è vicina”.
Parole che assumono un valore particolare. Non una semplice speranza, ma un passaggio di testimone. Una staffetta di fede che corre sulla stessa strada percorsa, duemila anni fa, da san Paolo per andare da Gerusalemme a Antiochia e che dista solo poche centinaia di metri dalla parrocchia di padre Hanna. “In questa strada - conclude - l’apostolo dava forza ai fedeli per perseverare nella fede. Ed è quello che stiamo facendo. La tribolazione di oggi ci permette di dare al Natale il suo vero valore: testimoniare la fede in Cristo fino alla morte.
Lo diciamo anche ai nostri fratelli in Occidente. È anche per loro che offriamo le nostre tribolazioni. Buon Natale!”. |
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venerdì 19 dicembre 2014
Natale in Siria: solo una piccola culla, per deporre il Re della pace
mercoledì 22 ottobre 2014
Ad Aleppo resiste una fiammella di vita cristiana
VOCI DA UNA CITTÀ ASSEDIATA
S.I.R. , 18 Ottobre 2014
Monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, vive nella città simbolo del conflitto siriano, dove le forze dello Stato islamico (Is) sono ormai alle porte. "Oltre il 60% dei nostri fedeli - precisa - ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana"
“Padre Hanna sta bene ed è deciso a restare al suo posto. Giovedì scorso alcuni leader legati a Jahbat Al-Nusra, gruppo radicalista che lo aveva prelevato nella notte del 5 ottobre nella sua parrocchia di Knayeh, in Siria, sono andati a trovarlo ed hanno parlato con lui. Dal colloquio sembrerebbe che il suo arresto sia stato frutto di un malinteso. Padre Hanna mi ha espresso il suo ottimismo per una chiusura positiva del caso. Tutto dovrebbe finire presto e bene”. Per monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico per i latini di Aleppo, questa forse è l’unica buona notizia che arriva dalla Siria, paese segnato da tre anni di guerra che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e milioni di sfollati.
Padre Abou Khazen vive ad Aleppo, città simbolo di questo conflitto. Detta anche “la grigia”, considerata “la capitale del Nord”, un tempo centro economico e sociale del Paese, oggi è una città divisa, contesa tra le forze ribelli e quelle leali al Governo del presidente Bashar al Assad.
Situazione critica. “Qui ad Aleppo la situazione è davvero critica. I colpi dei mortai sono continui. Non abbiamo avuto luce per qualche giorno e adesso l’energia elettrica viene erogata solo per due o tre ore quotidianamente”, racconta il vicario, che non nasconde una paura più grande, quella dell’avanzata dello Stato Islamico (Is) ormai alle porte della città. “Speriamo bene - spiega con voce preoccupata - perché l’Is non è molto lontano dal centro della città. La paura cresce ogni giorno di più. La città è divisa, ci sono quartieri controllati dai radicalisti e altri dalle forze armate siriane. Non bastano le tante difficoltà oggettive legate alla mancanza di cibo, gasolio e acqua, ora anche l’Is”. La popolazione è allo stremo e davanti ha un nuovo inverno da affrontare ma come? Padre George non risponde ma il suo pensiero corre a quelli rimasti in città dove sono ormai pochi i cristiani. “Oltre il 60% dei nostri fedeli ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana. Chi può, non solo tra i cristiani, sta cercando di fuggire. Esiste una strada piuttosto lunga, aperta dall’esercito siriano qualche mese fa e ancora sicura, che permette alla popolazione di entrare e uscire da Aleppo, ma consente anche l’ingresso di acqua, cibo e materiali vari necessari alla sopravvivenza. Questa è l’unica via di salvezza per chi vuole andarsene”.
Non bastano le notizie della resistenza curda a Kobane dove l’Is è stato costretto ad indietreggiare a tranquillizzare la popolazione. “Qui sappiamo bene - racconta mons. Abou Khazen - che questi gruppi islamisti ribelli hanno varie denominazioni ma un’unica origine, quella del radicalismo. Sappiamo che non lottano per garantire la libertà e i diritti civili delle persone, anzi il contrario”. Poi l’affondo: “La comunità internazionale deve saper discernere tra chi lotta per garantire libertà e diritti per tutto il popolo e chi no. Purtroppo coloro che combattono all’interno dei gruppi ribelli sono legati al radicalismo islamico. Le forze di opposizione siriane si sono sciolte davanti alla potenza finanziaria e militare dell’Is e di altre fazioni militari ribelli che sono formate per almeno il 70%, se non più, da gente straniera, e non da siriani”. In campo sono rimasti solo i propugnatori di un Islam intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita. Il vicario a più riprese lo aveva detto in passato: “I miliziani che portano morte e distruzione sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali”. È paradossale, allora, che l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi che ora sostengono la coalizione contro l’Isis.
Per il vicario resta solo una strada che non è quella della guerra e delle armi: “La comunità internazionale deve costringere Governo siriano e fronte degli oppositori a dialogare e deve smetterla di armare i contendenti. Se esiste la volontà politica, un accordo si trova”. Intanto mentre in Siria si continua a morire, nel silenzio dei Grandi della Terra, i piccoli, come gli abitanti di Aleppo, cristiani e musulmani, praticano gesti di pace quotidiani, come sostenere mense allestite nei rispettivi quartieri cristiani e aperte a tutti, portare assistenza ai più bisognosi come anziani, malati e bambini. Una carità contagiosa che aiuta a resistere anche sotto assedio e che perpetua una tradizione di tolleranza e convivenza tutta siriana.
Padre Abou Khazen vive ad Aleppo, città simbolo di questo conflitto. Detta anche “la grigia”, considerata “la capitale del Nord”, un tempo centro economico e sociale del Paese, oggi è una città divisa, contesa tra le forze ribelli e quelle leali al Governo del presidente Bashar al Assad.
Situazione critica. “Qui ad Aleppo la situazione è davvero critica. I colpi dei mortai sono continui. Non abbiamo avuto luce per qualche giorno e adesso l’energia elettrica viene erogata solo per due o tre ore quotidianamente”, racconta il vicario, che non nasconde una paura più grande, quella dell’avanzata dello Stato Islamico (Is) ormai alle porte della città. “Speriamo bene - spiega con voce preoccupata - perché l’Is non è molto lontano dal centro della città. La paura cresce ogni giorno di più. La città è divisa, ci sono quartieri controllati dai radicalisti e altri dalle forze armate siriane. Non bastano le tante difficoltà oggettive legate alla mancanza di cibo, gasolio e acqua, ora anche l’Is”. La popolazione è allo stremo e davanti ha un nuovo inverno da affrontare ma come? Padre George non risponde ma il suo pensiero corre a quelli rimasti in città dove sono ormai pochi i cristiani. “Oltre il 60% dei nostri fedeli ha lasciato la città. Noi viviamo qui con quei pochi rimasti e preghiamo che almeno un gruppo rimanga per non privare Aleppo della sua tradizione cristiana. Chi può, non solo tra i cristiani, sta cercando di fuggire. Esiste una strada piuttosto lunga, aperta dall’esercito siriano qualche mese fa e ancora sicura, che permette alla popolazione di entrare e uscire da Aleppo, ma consente anche l’ingresso di acqua, cibo e materiali vari necessari alla sopravvivenza. Questa è l’unica via di salvezza per chi vuole andarsene”.
Non bastano le notizie della resistenza curda a Kobane dove l’Is è stato costretto ad indietreggiare a tranquillizzare la popolazione. “Qui sappiamo bene - racconta mons. Abou Khazen - che questi gruppi islamisti ribelli hanno varie denominazioni ma un’unica origine, quella del radicalismo. Sappiamo che non lottano per garantire la libertà e i diritti civili delle persone, anzi il contrario”. Poi l’affondo: “La comunità internazionale deve saper discernere tra chi lotta per garantire libertà e diritti per tutto il popolo e chi no. Purtroppo coloro che combattono all’interno dei gruppi ribelli sono legati al radicalismo islamico. Le forze di opposizione siriane si sono sciolte davanti alla potenza finanziaria e militare dell’Is e di altre fazioni militari ribelli che sono formate per almeno il 70%, se non più, da gente straniera, e non da siriani”. In campo sono rimasti solo i propugnatori di un Islam intransigente, quello wahabita dell’Arabia Saudita. Il vicario a più riprese lo aveva detto in passato: “I miliziani che portano morte e distruzione sono formati da muftì e imam di questo ramo islamico. Anche in Siria, quando arrivano, cacciano le autorità religiose locali e mettono le loro. E istituiscono i loro tribunali”. È paradossale, allora, che l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi che ora sostengono la coalizione contro l’Isis.
Per il vicario resta solo una strada che non è quella della guerra e delle armi: “La comunità internazionale deve costringere Governo siriano e fronte degli oppositori a dialogare e deve smetterla di armare i contendenti. Se esiste la volontà politica, un accordo si trova”. Intanto mentre in Siria si continua a morire, nel silenzio dei Grandi della Terra, i piccoli, come gli abitanti di Aleppo, cristiani e musulmani, praticano gesti di pace quotidiani, come sostenere mense allestite nei rispettivi quartieri cristiani e aperte a tutti, portare assistenza ai più bisognosi come anziani, malati e bambini. Una carità contagiosa che aiuta a resistere anche sotto assedio e che perpetua una tradizione di tolleranza e convivenza tutta siriana.
http://www.agensir.it/sir/documenti/2014/10/00297056_ad_aleppo_resiste_una_fiammella_di_vita_c.html
A Knayeh revocate le restrizioni alla libertà di fra Hanna Jallouf
Terrasanta.net | 21 ottobre 2014
di Carlo Giorgi
È ora finalmente libero, fra Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh prelevato dal convento di San Giuseppe nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e successivamente posto agli arresti domiciliari dalle autorità islamiste della valle dell’Oronte.
Lo ha confermato monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, che abbiamo raggiunto telefonicamente: «Ho parlato con monsignor Abu Khazen, l’attuale vicario apostolico di Aleppo – racconta monsignor Nazzaro – il quale mi ha confermato che fra Hanna non è più agli arresti nel suo convento; i miliziani che lo avevano arrestato, gli hanno assicurato che ora può decidere liberamente se partire o rimanere nel villaggio e come muoversi».
Secondo la spiegazione fornita dai miliziani a fra Hanna, il suo arresto sarebbe avvenuto di seguito a una denuncia che lo accusava di nascondere delle armi in convento. Per questo, alcuni uomini armati dopo aver perquisito senza risultato il convento, lo avrebbero preso e portato al tribunale islamico del vicino paese di Darkush.
Fra Hanna era stato portato via con venti giovani cristiani della parrocchia, ragazzi e ragazze: il motivo di questo sequestro «di gruppo» appare finalmente chiaro dalla spiegazione di monsignor Nazzaro: «Quando sono arrivati al convento i miliziani, accusando fra Hanna di nascondere delle armi, il parroco ha preteso che la perquisizione avvenisse di fronte a dei testimoni – ha spiegato Nazzaro –. Per questo il parroco ha chiesto ai venti ragazzi di rimanere. Alla fine della perquisizione, quando comunque i miliziani islamici avevano messo a soqquadro la parrocchia, pur non trovando nulla, li hanno arrestati tutti...». Gli ultimi cinque membri del gruppo fermato insieme al frate sono stati rilasciati il 12 ottobre.
L'idea di arrestarli sarebbe stata però non della massima autorità della locale milizia islamica, ma di un luogotenente, successivamente ripreso e allontanato proprio per questo fatto.
«Una volta libero fra Hanna ha riunito tutti i cristiani per parlare loro - ha continuato mons. Nazzaro -; gli ha detto: potete restare o andare, io rimarrò fino a quando anche uno solo di voi vorrà rimanere. E i cristiani, protestando, gli hanno detto che non nessuno di loro se ne sarebbe andato!»
Sono ancora a Knayeh anche le due suore francescane del Cuore immacolato di Maria che svolgono il loro servizio nella parrocchia, nonostante per loro la possibilità di un rientro in Italia diventi giorno dopo giorno sempre più concreta. Sono infatti entrambe ultraottantenni e nelle ultime settimane, a causa del rapimento di fra Hanna, hanno subito un affaticamento che le ha molto provate.
È ora finalmente libero, fra Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh prelevato dal convento di San Giuseppe nella notte tra il 5 e il 6 ottobre e successivamente posto agli arresti domiciliari dalle autorità islamiste della valle dell’Oronte.
Lo ha confermato monsignor Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, che abbiamo raggiunto telefonicamente: «Ho parlato con monsignor Abu Khazen, l’attuale vicario apostolico di Aleppo – racconta monsignor Nazzaro – il quale mi ha confermato che fra Hanna non è più agli arresti nel suo convento; i miliziani che lo avevano arrestato, gli hanno assicurato che ora può decidere liberamente se partire o rimanere nel villaggio e come muoversi».
Secondo la spiegazione fornita dai miliziani a fra Hanna, il suo arresto sarebbe avvenuto di seguito a una denuncia che lo accusava di nascondere delle armi in convento. Per questo, alcuni uomini armati dopo aver perquisito senza risultato il convento, lo avrebbero preso e portato al tribunale islamico del vicino paese di Darkush.
Fra Hanna era stato portato via con venti giovani cristiani della parrocchia, ragazzi e ragazze: il motivo di questo sequestro «di gruppo» appare finalmente chiaro dalla spiegazione di monsignor Nazzaro: «Quando sono arrivati al convento i miliziani, accusando fra Hanna di nascondere delle armi, il parroco ha preteso che la perquisizione avvenisse di fronte a dei testimoni – ha spiegato Nazzaro –. Per questo il parroco ha chiesto ai venti ragazzi di rimanere. Alla fine della perquisizione, quando comunque i miliziani islamici avevano messo a soqquadro la parrocchia, pur non trovando nulla, li hanno arrestati tutti...». Gli ultimi cinque membri del gruppo fermato insieme al frate sono stati rilasciati il 12 ottobre.
L'idea di arrestarli sarebbe stata però non della massima autorità della locale milizia islamica, ma di un luogotenente, successivamente ripreso e allontanato proprio per questo fatto.
«Una volta libero fra Hanna ha riunito tutti i cristiani per parlare loro - ha continuato mons. Nazzaro -; gli ha detto: potete restare o andare, io rimarrò fino a quando anche uno solo di voi vorrà rimanere. E i cristiani, protestando, gli hanno detto che non nessuno di loro se ne sarebbe andato!»
Sono ancora a Knayeh anche le due suore francescane del Cuore immacolato di Maria che svolgono il loro servizio nella parrocchia, nonostante per loro la possibilità di un rientro in Italia diventi giorno dopo giorno sempre più concreta. Sono infatti entrambe ultraottantenni e nelle ultime settimane, a causa del rapimento di fra Hanna, hanno subito un affaticamento che le ha molto provate.
venerdì 10 ottobre 2014
Padre Haddad: "Non si può pretendere di combattere l'Isis, continuando ad inviare aiuti ed armi ai cosiddetti 'ribelli' siriani"
Dopo l'arresto eseguito dalla polizia jihadista, padre Hanna è potuto tornare nel suo convento spogliato delle croci.
Pare che il tribunale islamico ora lo voglia sottoporre a processo, con l'accusa assurda di collaborazionismo con il regime di Assad.
Raid inutili se continua flusso soldi e armi a 'ribelli' Siria
ANSAmed) - ROMA, 10 OTTOBRE
di Elisa Pinna
Non si può pretendere di combattere l'Isis, continuando ad inviare aiuti ed armi ai cosidetti 'ribelli' siriani. E' una "follia" che vanifica tutti i bombardamenti della coalizione internazionale "già per altro rivelatisi abbastanza inutili", afferma in un'intervista ad ANSAmed padre Mtanious Hadad, rappresentante a Roma della Chiesa Melchita e cittadino siriano, che in veste di cristiano orientale si sente di parlare anche a nome delle comunità cristiane orientali della Siria e dell'Iraq, "paesi ora purtroppo accomunati dallo stesso boia".
"L'Isis è un mostro creato dagli Stati Uniti, da Israele, da alcuni paesi arabi, con l'obiettivo di colpire il governo di Baghdad in un primo momento e poi quello del presidente Assad", spiega il religioso.
La missione dei jihadisti, "i quali non hanno nulla a che spartire con il vero Islam", è quello di "frantumare Stati, di colpire la laicità e la convivenza tra le fedi".
La missione dei jihadisti, "i quali non hanno nulla a che spartire con il vero Islam", è quello di "frantumare Stati, di colpire la laicità e la convivenza tra le fedi".
"In Siria - dice padre Hadad - non esiste alcuna guerra civile. La guerra è tra i siriani e i terroristi. Non ci sono ribelli buoni o democratici: tutti hanno le armi e le usano per distruggere uno Stato laico, con un Presidente eletto dal suo popolo".
"Stati Uniti, Israele, paesi del Golfo, tra cui in prima fila Qatar e Arabia Saudita hanno contribuito con soldi, armi, addestramento a creare - secondo Hadad - i gruppi di combattenti anti-Assad che compongono l'Isis. Si tratta di mercenari assetati di sangue che provengono da 80 paesi.
"Stati Uniti, Israele, paesi del Golfo, tra cui in prima fila Qatar e Arabia Saudita hanno contribuito con soldi, armi, addestramento a creare - secondo Hadad - i gruppi di combattenti anti-Assad che compongono l'Isis. Si tratta di mercenari assetati di sangue che provengono da 80 paesi.
A pagare il prezzo più alto del terrorismo fomentato soprattutto dall'estero sono stati i cristiani, sottolinea Hadad,che è anche archimandrita e Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma. "In Iraq, i cristiani erano un milione e 500 mila ed ora sono rimasti in 300 mila. Anche in Siria, i cristiani più ricchi sono già emigrati negli Stati Uniti o in Australia. Prima della guerra, la comunità cristiana rappresentava il 10% della popolazione, ora si calcola che sia scesa all'8%". Molti cristiani siriani si trovano nei paesi circostanti, con la speranza di tornare. Altri sono rimasti in patria perche' hanno figli o parenti nell'esercito nazionale.
"Tuttavia - commenta ancora l'apocrisario melchita - se questa situazione si protrarrà ancora a lungo, vi è un pericolo concreto che i cristiani siano costretti a lasciare la loro terra per sempre, la terra in cui vivono da duemila anni".
"Tuttavia - commenta ancora l'apocrisario melchita - se questa situazione si protrarrà ancora a lungo, vi è un pericolo concreto che i cristiani siano costretti a lasciare la loro terra per sempre, la terra in cui vivono da duemila anni".
Padre Hadad si chiede come sia possibile che Obama parli di "tre anni" per estirpare l'Isis. "una coalizione internazionale contro un gruppo di 30 mila persone. E' uno scherzo?"
A suo avviso, per sconfiggere il terrorismo in Medioriente, serve piuttosto "una presa di coscienza generale e l'umiltà di riconoscere i propri errori".
"Le condizioni per mettere fine ad una guerra sporca che va avanti ormai da più di tre anni non sono difficili da individuare: interrompere il flusso di armi e denaro ai jihadisti, fermare il passaggio di terroristi dalla Turchia, non comprare il petrolio messo in vendita dall'Isis sul mercato nero, sempre attraverso la Turchia".
"La Siria in un mese tornerebbe alla pace, se riuscisse a liberarsi dal terrorismo straniero". Ed anche per i cristiani della regione - conclude padre Hadad - ci sarebbe una speranza in più di rimanere nella loro terra.
http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/italia/2014/10/10/isis-cristiani-doriente-mostro-creato-da-politica-usa_4efcf097-9cb5-4dec-9912-68008cd04ecd.html
La presenza dei cristiani in Medio Oriente è "una garanzia per tutti"
La testimonianza di mons. Mtanious Haddad, Procuratore del Patriarca Greco-Melkita-Cattolica e Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma
giovedì 9 ottobre 2014
Liberato Padre Hanna Jallouf
La Custodia di Terra Santa conferma la notizia giunta pochi minuti fa dalla Siria. Dopo la liberazione di alcune donne che facevano parte del gruppo di parrocchiani di Knayeh (villaggio cristiano nella Valle dell'Oronte) prelevati da miliziani jihadisti vicini al movimento Al Nusra nella notte tra il 5 e 6 ottobre, anche il parroco fra Hanna Jallouf ha potuto tornare a casa. Al telefono il frate minore ha confermato di essere rientrato al convento di San Giuseppe dove è stato posto, per così dire, «agli arresti domiciliari». Il frate può muoversi liberamente nel villaggio, ma non allontanarsi da Knayeh.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6919&wi_codseq=SI001 &language=it
Liberate quattro donne rapite insieme a padre Hanna; nessun messaggio dai rapitori
Agenzia Fides. 9/10/2014Nella giornata di ieri sono state liberate le 4 donne che facevano parte del gruppo di circa venti ostaggi sequestrati da una banda armata insieme a padre Hanna Jallouf, parroco del villaggio siriano di Knayeh, nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 ottobre (vedi Fides 7/10/2014). Lo riferisce all’Agenzia Fides il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Alle donne liberate - spiega il Vescovo Abou Khazen - i rapitori non hanno detto niente. Non sono state nemmeno interrogate”. Fonti locali confermano che i sequestratori erano armati. Finora gli autori del sequestro non hanno fatto pervenire alcun messaggio ai parenti e agli amici dei sequestrati, non si sono qualificati e non hanno fatto rivendicazioni. Ma il numero così cospicuo dei rapiti lascia intuire che non si tratti di banditi comuni. La Custodia Francescana di Terra Santa ha attribuito il sequestro collettivo ad una brigata di Jabhat al-Nusra, la fazione jihadista che controlla l'area. Il luogo di detenzione dei sequestrati dista pochi chilometri dal villaggio di Knayeh.
Il Vescovo Georges Abou Khazen riferisce a Fides le espressioni di affetto che giungono da tutta la Siria alla comunità cattolica di Knayeh, dove opera anche suor Patrizia Guarino, delle Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria. “Suor Patrizia - racconta il Vescovo Abou Khazen - è venerata da tutti. Lei è l'infermiera del villaggio, e tutti la vedono anche come una guida spirituale, che aiuta a guarire non solo le malattie e i dolori del corpo, ma anche le sofferenze dell'anima”.
http://www.fides.org/it/news/56114-ASIA_SIRIA_Liberate_quattro_donne_rapite_insieme_a_padre_Hanna_nessun_messaggio_dai_rapitori#.VDaRymAcT84
martedì 7 ottobre 2014
Rapimento di padre Hanna Jallouf OFM: chiediamo la preghiera di tutti i cristiani!
In Siria un frate della Custodia rapito con una ventina di parrocchiani
Terrasanta.net | 7 ottobre 2014
Da Gerusalemme, dove ha sede la curia della Custodia di Terra Santa, giunge la conferma del rapimento in Siria di un frate della comunità: il siriano fra Hanna Jallouf (52 anni).
Il religioso è parroco del villaggio cristiano di Knayeh, nella vallata del fiume Oronte vicino al confine con la Turchia, ed è stato prelevato nella notte tra il 5 e 6 ottobre con una ventina di altri ostaggi. Gli autori del sequestro sarebbero uomini armati vicini al movimento jihadista Jahbat Al-Nusra. Alcune suore francescane sono riuscite a scampare al sequestro trovando rifugio in alcune case private.
Nel 2008 quando la Siria non era ancora stata stravolta dal conflitto in atto, un servizio al lavoro di fra Hanna era stato pubblicato su Eco di Terra Santa. I frati minori della Custodia – riferivamo - sono presenti nella valle dell’Oronte da oltre 125 anni. Il convento, il centro giovanile, l’asilo e l’ambulatorio di Knayeh, gestito dalle suore francescane, sono anche oggi il centro della vita del villaggio, che conserva con orgoglio una forte identità cristiana e ha fornito alla Chiesa siriana molte vocazioni sacerdotali e religiose, sia maschili sia femminili.
«Secondo la tradizione – spiegava fra Hanna al nostro direttore Giuseppe Caffulli - san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c’erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un’altra passava vicino al corso dell’Oronte, per sei mesi impraticabile a causa delle piene; una terza passava proprio dietro questa collina. Senz’altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani convertiti dall’apostolo missionario».
Abuna Hanna ad Amman (in Giordania) è stato direttore del prestigioso Collegio di Terra Santa, ma poi è tornato tra le montagne dell’Oronte. «La mia famiglia – spiegava ai lettori di Eco - proviene da queste valli e per me è stato un gradito ritorno a casa. Ma anche una nuova sfida, perché i villaggi dell’Oronte, un tempo il fiore all’occhiello del cattolicesimo di Siria, stanno conoscendo oggi una pesante diaspora… I giovani se ne vanno in cerca di lavoro e di fortuna. E questo indebolisce le comunità cristiane, mette in pericolo l’esistenza stessa delle nostre chiese. Di fronte a questa situazione, serve nuovamente scommettere sul futuro».
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6911&wi_codseq= &language=it
Il religioso è parroco del villaggio cristiano di Knayeh, nella vallata del fiume Oronte vicino al confine con la Turchia, ed è stato prelevato nella notte tra il 5 e 6 ottobre con una ventina di altri ostaggi. Gli autori del sequestro sarebbero uomini armati vicini al movimento jihadista Jahbat Al-Nusra. Alcune suore francescane sono riuscite a scampare al sequestro trovando rifugio in alcune case private.
Nel 2008 quando la Siria non era ancora stata stravolta dal conflitto in atto, un servizio al lavoro di fra Hanna era stato pubblicato su Eco di Terra Santa. I frati minori della Custodia – riferivamo - sono presenti nella valle dell’Oronte da oltre 125 anni. Il convento, il centro giovanile, l’asilo e l’ambulatorio di Knayeh, gestito dalle suore francescane, sono anche oggi il centro della vita del villaggio, che conserva con orgoglio una forte identità cristiana e ha fornito alla Chiesa siriana molte vocazioni sacerdotali e religiose, sia maschili sia femminili.
«Secondo la tradizione – spiegava fra Hanna al nostro direttore Giuseppe Caffulli - san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c’erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un’altra passava vicino al corso dell’Oronte, per sei mesi impraticabile a causa delle piene; una terza passava proprio dietro questa collina. Senz’altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani convertiti dall’apostolo missionario».
Abuna Hanna ad Amman (in Giordania) è stato direttore del prestigioso Collegio di Terra Santa, ma poi è tornato tra le montagne dell’Oronte. «La mia famiglia – spiegava ai lettori di Eco - proviene da queste valli e per me è stato un gradito ritorno a casa. Ma anche una nuova sfida, perché i villaggi dell’Oronte, un tempo il fiore all’occhiello del cattolicesimo di Siria, stanno conoscendo oggi una pesante diaspora… I giovani se ne vanno in cerca di lavoro e di fortuna. E questo indebolisce le comunità cristiane, mette in pericolo l’esistenza stessa delle nostre chiese. Di fronte a questa situazione, serve nuovamente scommettere sul futuro».
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6911&wi_codseq= &language=it
Syria: Statement of the Custody:
http://fr.custodia.org/default.asp?id=1019&id_n=27828
Da due anni lui e i suoi fedeli vivevano sul filo del rasoio. Tollerati e sopportati, ma minacciati e controllati.
Il Giornale - Mar, 07/10/2014
Gian Micalessin
Loro sono i cristiani di Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, tre parrocchie del fiume Oronte dove la cristianità è di casa da duemila anni. Il primo ultimatum era arrivato un anno fa quando i capi jihadisti della zona avevano sancito le condizioni alle quali erano disposti a sopportar ela presenza cristiana sui propri territori. "Tutte le croci debbono sparire. È proibito suonare le campane. Le donne non debbono uscire di casa senza coprirsi la faccia e i capelli. Le statue devono sparire. In caso d'inadempienza, si applicherà la legge islamica". Come dire chi non si adegua o se ne va o verrà fatto fuori. Quell’ultimo terribile “aut aut” riassumeva le condizioni imposte non solo ai Cristiani dell’Oronte, ma a quelli di tutta la Siria. Padre Hanna Jallouf, il parroco di Knaye conosciuto dai fedeli come Abu Hanna, l’aveva capito da tempo.
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