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lunedì 27 agosto 2012

Saccheggiato l’Arcivescovado greco cattolico di Aleppo. Libano, in attesa del Papa, angoscia per la Siria.

Aleppo (Agenzia Fides) – L’episcopio dell’Arcivescovo Metropolita greco-cattolico di Aleppo, Sua Ecc. Mons. Jean-Clément Jeanbart, è stato violato e saccheggiato durante scontri fra miliziani e truppe lealiste.
L’Arcivescovo, il suo Vicario e alcuni preti sono fuggiti poche ore prima dell’episodio, avvenuto giovedì scorso, e si sono rifugiati nella casa dei Francescani ad Aleppo. Secondo fonti di Fides nella comunità cattolica locale, i responsabili “sono gruppi non identificati, che intendono alimentare una guerra confessionale e coinvolgere la popolazione siriana in conflitti settari”. Come conferma a Fides il francescano p. George Abu Khazen, OFM, Pro-vicario Apostolico della comunità cattolica latina, che ha ospitato i confratelli greco-cattolici, “l’Arcivescovo Jeanbart ha espresso grande preoccupazione e costernazione per l’episodio, e ha ripetuto, scosso, un’unica parola: Perchè?”. Poi è partito per il Libano, dove si trova tuttora. Nei giorni successivi, quando i militari hanno ripreso il controllo della situazione, il Vicario di Mons. Jeanbat è potuto tornare in sede, constatando che le porte erano state forzate e che dall’episcopio mancavano diversi oggetti (tra cui computer e proiettore).
P. George spiega che nei giorni scorsi c’è stata battaglia nella città vecchia di Aleppo, e che i combattimenti sono giunti fino alla Fahrat Square, dove vi sono tutti gli arcivescovadi. Oltre a quello greco cattolico (melkita), anche quello cattolico maronita è stato danneggiato. Alcuni miliziani hanno fatto irruzione anche nel museo cristiano bizantino “Maarrat Nahman”, danneggiando reperti e alcune icone. Secondo p. George, una soluzione al conflitto “ancora non si vede, perché nessuno degli attori in campo, nazionali e internazionali, fa pressioni per avviare un reale dialogo”.
Parlando a Fides, un altro esponente della gerarchia locale, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, lancia l’allarme: “Con l’intervento, ormai assodato, di gruppi di jihadisti, c’è il tentativo di fomentare odio e conflitti settari. Si registra un crescente numero di milizie islamiste wahabite e salafite, provenienti da Cecenia, Pakistan, Libano, Afghanistan, Tunisia, Arabia, Libia: tali gruppi hanno l’unico scopo di portare caos, distruzione, atrocità, e di paralizzare la vita sociale. La popolazione civile siriana ne è vittima. Ma non cadrà in questa trappola”. (PA) (Agenzia Fides 27/8/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39706&lan=ita


Patriarca Younan: «In attesa del Papa, la nostra angoscia per la Siria»
(Beirut) - La prossima visita del Papa al Paese dei cedri resta confermata, pur nelle convulsioni che dalla Siria stanno tracimando in Libano e sulle quali pesa «l’opportunismo economico» con cui l’Occidente guarda al travaglio che scuote il mondo arabo. Così il patriarca dei siro-cattolici Youssif III Younan parla dell’imminente viaggio papale a Beirut dalla sede del patriarcato a Charfat, dove si terrà l’incontro ecumenico con Benedetto XVI il 16 settembre.

intervista di  Manuela Borraccino | 27 agosto 2012
Beatitudine, a che punto è la guerra in Siria?
Siamo molto preoccupati per il Paese e in particolare per Aleppo, dove continuano i combattimenti tra l'esercito regolare e i ribelli, anche in centro città, con i cittadini che restano rintanati in casa, senza poter sfollare. L’unica via di fuga sarebbe l’aeroporto di Aleppo, ma anche la strada per raggiungerlo è divenuta pericolosissima per via dei check-point del cosiddetto Libero esercito siriano. Le ultime settimane sono state drammatiche per la sicurezza, i rifornimenti alimentari ed energetici.
Che cosa pensate di fare?
Gli sviluppi sono imprevedibili, ed è difficile anche pensare a cosa fare. Il regime dice di essere pronto al dialogo, i ribelli e l’opposizione hanno messo come condizione, per sedersi al tavolo del negoziato, la rinuncia di Bashar al-Assad al potere, una richiesta inaccettabile per il presidente. Perciò siamo ad un punto morto.
Come giudica l’atteggiamento della comunità internazionale?Uno dei paradossi della crisi siriana è che le monarchie del Golfo, che sono a maggioranza sunnita, intendono rovesciare anche per ragioni confessionali il regime siriano, e i Paesi occidentali anziché rifiutare il confessionalismo e tentare una mediazione appoggiano, per via del petrolio, i Paesi del Golfo. Abbiamo il dovere di chiederci come mai l’Occidente - una comunità di Paesi che si definiscono laici e con società civili basate sui diritti umani, che prescindono dalla fede dei singoli cittadini - accetti senza riserve che nel Ventunesimo secolo l’Organizzazione della Conferenza islamica, che riunisce 57 Paesi musulmani, tenga un vertice in Arabia Saudita sotto l’egida della comune appartenenza a una religione per prendere decisioni politiche!
Lei ha parlato di «opportunismo economico»...Certamente: perché il linguaggio dell’Occidente è politicamente corretto mentre le grandi potenze non vogliono affrontare le contraddizioni di quei Paesi che siedono alle Nazioni Unite e che rifiutano di dare gli stessi diritti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione a cui appartengono. Si critica la Cina ad esempio per il trattamento riservato ai dissidenti politici, ma non una parola viene spesa sull’Arabia saudita, per via del petrolio. Questo è un atteggiamento che non esito a definire economicamente opportunista.
I leader religiosi dei cristiani di Siria non hanno appoggiato immediatamente la rivolta. Cosa replica a chi vi accusa di appoggiare una dittatura?
Come capi religiosi dobbiamo ribadire ancora una volta: noi non siamo né con una persona, né con una famiglia, né con una setta, né con un sistema politico contro altri. Al contrario, siamo angosciati per le sorti della popolazione siriana, viviamo con molta prudenza gli sviluppi di questa crisi, e in tutti questi mesi non abbiamo fatto altro che chiedere a tutti quelli che sono coinvolti in questo conflitto di rinunciare alle armi e sedersi a un tavolo con un mediatore internazionale, innanzitutto le Nazioni Unite con la collaborazione dell’Unione Europea e di altri paesi come la Russia. Abbiamo chiesto a tutte le parti coinvolte nel conflitto, tanto all’esercito quanto ai rivoltosi, di difendere le libertà vere di tutti i cittadini, siano essi sunniti, cristiani o di altre confessioni. Perciò è un’assurdità venirci a dire che come capi cristiani dobbiamo stare con una delle due parti, per esempio che dobbiamo allearci coi rivoltosi perché essi rappresentano una maggioranza confessionale che prima o poi conquisterà il potere, visto che è assistita dalle potenze che sono avverse al regime siriano. Noi cristiani del Medio Oriente, in modo particolare in Siria, in Iraq, e anche in Libano, ci sentiamo abbandonati dall’Occidente conosciuto per essere un mondo civile, perché i politici fanno solo promesse e perseguono solo i propri interessi economici.
Lei è appena rientrato da un viaggio ad Irbil, nel Kurdistan iracheno. Che situazione ha trovato?
Dal 2003 ad oggi, almeno la metà degli 800 mila cristiani che vivevano in Iraq prima della guerra se ne sono andati. Questa emorragia si vede soprattutto nelle grandi città: a Baghdad, Mosul, Bassora. Con il Sinodo per il Medio Oriente del 2010 i patriarchi e i vescovi hanno cercato di analizzare le cause di questo esodo: abbiamo visto molto chiaramente che i cristiani non emigrano perché non hanno lavoro, o perché soffrono la fame, ma prima di tutto per l’insicurezza, per i conflitti interni all’Islam, dei quali sono vittime indifese. È normale che cerchino di un avvenire là dove possono costruire un futuro migliore. Eccetto in Libano, dove vivono una sostanziale uguaglianza con i fedeli di altre religioni, in tutte le altre nazioni l’impossibilità di separare religione e politica si traduce in un generalizzato assottigliamento delle comunità cristiane.
Circolano voci che il Papa potrebbe cancellare il viaggio di metà settembre a Beirut. Pensa che alla fine verrà?La situazione è fluida, nessuno oggi può dire come si evolveranno le cose. Certamente ci sono tensioni da non sottovalutare, ma neanche da esacerbare. Il nostro auspicio è sempre stato che questa visita potesse essere un richiamo alla speranza per un futuro migliore per tutti i popoli di questa regione, non solamente per i cristiani, un richiamo verso una convivenza di tutti i cittadini delle differenti comunità. Le voci che circolano su una certa stampa sono solo delle ipotesi: per il momento la situazione non è così grave da impedire al Papa di compiere il suo viaggio. In Libano c’è tensione, è vero, ma non al punto da rendere necessario posporre una visita fortemente attesa da tutta la popolazione.
Quali saranno a suo avviso i temi principali del viaggio del Papa?Benedetto XVI viene a infonderci una parola di incoraggiamento e di fiducia su quella che oggi è la sfida più grande che le Chiese del Medio Oriente affrontano: come convincere la nostra gioventù a non emigrare. In Libano abbiamo accolto migliaia di profughi, prima dall’Iraq e ora dalla Siria: non possiamo chiedere loro di tornare in patria o di non emigrare in Occidente. Essi lamentano che, anche quando riescono a trovare un lavoro nei loro Paesi tribolati, resta l’assillo circa il futuro da assicurare ai propri figli o su come costruire una vita degna di persone umane con pieni diritti civili. Perciò continuiamo ad annunciare il Vangelo e ad alimentare la nostra fiducia nella volontà di Dio, con esortazioni e incoraggiamenti: ma lo facciamo in un contesto socio-politico nel quale la religione della maggioranza musulmana influenza sempre di più la vita pubblica e privata dei cittadini. Che ne sarà del cristianesimo in questa regione fra 20 o 30 anni? Questa è la maggiore sfida che noi sperimentiamo oggi, nel ricordo delle stragi di un secolo fa in Turchia, del conflitto in Terra Santa, della crisi sanguinosa in Iraq dopo l’invasione del 2003 e delle orribili scosse che devastano la Siria.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4150&wi_codseq=SI001 &language=it

sabato 25 agosto 2012

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN LIBANO. LAICITA': "Il Libano separa Religione e Stato, nel rispetto di Dio"

AED intervista il Patriarca Maronita cardinal Béchara Boutros Raï


Beatitudine, pensa che la guerra civile in Siria si diffonderà in Libano e porterà al conflitto religioso tra sunniti e sciiti? Quest'anno ci sono già stati antagonismi tra i due gruppi religiosi.
 Certo. La guerra civile in Siria tra sunniti (la maggioranza) e alawiti (di minoranza) sta già avendo il suo impatto sui sunniti e alawiti in Nord Libano (Akkar e Tripoli). D'altra parte, i libanesi si dividono ancora tra coloro che sostengono il regime di Assad e di coloro che sostengono l'opposizione. In terzo luogo, il conflitto politico in corso in Libano tra i sunniti (14 marzo) e sciiti (8 marzo) si fa più acuto a causa degli eventi in Siria.

La visita del Santo Padre allora potrà aver luogo?
  Nonostante le tensioni, la visita del Papa non è compromessa. Tutti i libanesi si stanno preparando intensamente. I cristiani del paese attendono l'arrivo del Santo Padre con immensa gioia.

Che cosa possono fare i cristiani in Libano per evitare ulteriori tensioni nel loro paese?
 I Cristiani in Libano dovrebbero essere più uniti e riprendere il controllo della loro responsabilità. Perché essi tendono sempre, per la loro cultura e spiritualità, alla pace, al progresso e a valori moderni. Essi amano la pace e  lottano per la giustizia, sono aperti alla cordialità e alla cooperazione con i musulmani, senza pregiudizi o secondi fini.

Ma la Costituzione libanese non pone ostacoli a questa vita insieme? Lo Stato e la sua amministrazione sono distribuiti lungo i confini dei gruppi religiosi; si potrebbe dunque pensare che il divario tra le religioni si consoliderà a lungo termine.
  In generale, musulmani e cristiani, con tutte le loro comunità e confessioni, convivono in zone miste. Il Libano, contrariamente a tutti i paesi del Medio Oriente, separa religione e Stato, nel rispetto di Dio e di tutte le religioni e fedi. Lo Stato non interferisce nelle materie inerenti alla Legge Divina: riconosce a tutte le fedi autonomia legislativa, legale e giudiziaria, in materia di religione e di matrimonio con effetti civili. Questo si chiama "Statuto Personale". Questo è un aspetto del confessionalismo. L'altro aspetto è la partecipazione paritaria tra cristiani e musulmani al potere e alla pubblica amministrazione. Per comprendere tale accordo, conosciuto come il Patto Nazionale, si deve ricordare che tutti i paesi arabi - e anche Israele- si basano sulla teocrazia musulmana o ebraica, mentre il Libano è uno Stato puramente civile, senza una religione di Stato né Testo Sacro come fonte di legislazione. Si tratta di una vita comunitaria organizzata tra i cristiani che naturalmente tendono alla laicità e musulmani che tendono alla teocrazia.

La situazione dei cristiani nel Vicino e Medio Oriente non è realmente migliorata: un centinaio di migliaia di copti hanno lasciato l'Egitto dopo la rivoluzione. In Siria, alcuni estremisti sunniti minacciano i cristiani. L’ islamismo sta per mettere fine alla presenza dei cristiani nelle Vicino e Medio Oriente?
 Mai! I cristiani sono radicati nel Medio Oriente da 2000 anni, dai tempi di Nostro Signore Gesù Cristo e degli Apostoli. Hanno permeato le culture locali dei valori cristiani ed evangelici. Hanno tutti i tipi di istituzioni e una presenza attiva nei loro rispettivi paesi. Tuttavia, la vita di pace e tranquillità offre loro le condizioni necessarie per prevenire la migrazione e di rimanere sempre attivi. Gli stessi musulmani riconoscono l'importanza della presenza dei cristiani per le loro qualità intellettuali, morali e professionali, per la loro fedeltà alla legge, alla nazione e alle autorità civili.

Il Santo Padre si recherà in visita in Libano il mese prossimo a rendere pubblica l'Esortazione Apostolica dopo il Sinodo del Medio Oriente nel 2010. Quali sono le sue aspettative su questa?
 L'Esortazione Apostolica certamente indirizzerà un piano pastorale per la Chiesa cattolica in Medio Oriente. Per molte parti, si concentrerà sulla comunione tra le Chiese, l'Islam e le altre religioni. Un'altra parte traccerà la linea di azione per una buona testimonianza cristiana, sia nella vita quotidiana di ciascuno, sia dei servizi resi dalla Chiesa, così come i contributi dei cristiani nello sviluppo dei loro rispettivi paesi. Inoltre, questa Esortazione apostolica potrà riaccendere la speranza e incoraggiare i popoli del Medio Oriente per rafforzare la loro unità e la vita comunitaria, ma anche per svolgere pienamente il loro ruolo nella comunità araba e internazionale.

Che ne è dei Maroniti in Siria? Sono colpiti dal conflitto?
 I Maroniti della Siria subiscono la stessa sorte degli altri cittadini cristiani e musulmani. La guerra civile e la violenza può colpire chiunque. Abbiamo tre diocesi in Siria: Damasco, Aleppo e Latakia. Non vi è alcun attacco diretto contro i Maroniti, perché essi sono rispettati e non interferiscono negli affari politici.
http://www.aed-france.org/actualite/laicite-le-liban-separe-religion-et-etat-tout-en-respectant-dieu/



Il Patriarca della Chiesa siro-cattolica di Beirut , Joseph III Younan, denuncia l’ipocrisia dell’atteggiamento dell’Occidente nel conflitto siriano

"Noi vogliamo il primato dei diritti umani, non il primato di una religione"

La Chiesa siro cattolica appartiene ad una delle 18 comunità religiose riconosciute dalla Costituzione libanese. Il Patriarca, Sua Beatitudine Ignazio Ephrem Joseph III Younan, è uno dei sette patriarchi cattolici del Medio Oriente.

Intervista per AED a cura di Jürgen Liminski - 24 Agosto 2012

Beatitudine, da un lato si sente molto parlare della situazione dei rifugiati cristiani e delle tensioni in Libano. D'altra parte, vi è l'aspetto politico della presenza cristiana in Libano e in Medio Oriente. Questa presenza è minacciata?
  Patriarca Ignatius Joseph III Younan Efrem: "La situazione dei cristiani in Libano è fondamentalmente diversa da quella dei cristiani in altri paesi del Medio Oriente. La Costituzione libanese riconosce diciotto religioni ufficiali, undici dei quali sono cristiane. Ma ciò che conta ovunque, sono i diritti umani. Non c'è mancanza di soldi o mancanza di vocazioni. Noi siamo oppressi da coloro che non vogliono riconoscere  che una sola religione. Noi cristiani non domandiamo alcun privilegio, noi vogliamo beneficiare degli stessi diritti di tutti gli altri. Vogliamo la libertà di coscienza, la libertà di religione, noi vogliamo la libertà anche per coloro che non credono in niente. Questa uguaglianza di fronte al Diritto e alla legge non esiste. Questo sta seriamente minacciando la nostra sopravvivenza in tutta la regione.”

C'è anche una differenza tra ciò che dicono le Costituzioni e la realtà delle cose ...
 Le questioni di diritto determinano la vita pratica. Esse costituiscono il quadro della dignità della persona. I nostri giovani non vogliono mendicare il diritto di poter lavorare e vivere nel proprio paese. In Iraq, essi mi chiedono: “Che cosa dobbiamo fare? Dove siamo ancora sicuri?” Per quanto riguarda la vita pratica… : Quando un giovane cristiano si innamora di una giovane donna musulmana e anche lei lo ama, egli deve convertirsi all'Islam per poter sposarla. Dov'è la libertà di culto in tutto questo? Un altro esempio: abbiamo accolto qui una famiglia proveniente dall’ Iran, i cui membri vogliono essere battezzati. Ma rischiano la vita in questo modo. Dov'è la libertà di religione in questo caso? L'Islam non tollera la conversione ad altre religioni. La situazione è simile in Turchia. Possiamo osservare le conseguenze di una libertà che è solo sulla carta. Le proprietà dei cristiani sono stati confiscate, molte chiese sono state distrutte. Ma i cristiani vivevano in Asia Minore prima che i musulmani. Anche in Iraq, i loro diritti sono ufficialmente riconosciuti, ma nessuno li protegge, nessuno è contro la persecuzione dei cristiani. E adesso la Siria. Anche in questo caso, la nostra presenza è minacciata.

Lei sostiene Assad o l'altra parte?
 Noi non siamo sostenitori di nessuno. Lo ripeto: Vogliamo solo godere degli stessi diritti di tutti gli altri. Supponendo di prendere le parti, sarebbe per il popolo siriano. Ma al giorno d'oggi, se qualcuno non manifesta contro Assad, subito si dice che è a favore di Assad. Voi sapete esattamente chi è dall'altra parte e se queste forze riconosceranno i diritti civili, la Carta delle Nazioni Unite?

 L'Unione Europea si sbaglia, schierandosi con i ribelli?
  Sarò franco. Siamo in presenza di un sacco di ipocrisia. Molti governi perseguono solamente i loro interessi economici. Il destino dei cristiani in Medio Oriente, non ha nessuna importanza per loro. Se non fosse così,  questi governi si impegnerebbero a favore della parità di fronte alla legge, per il rispetto dei diritti umani per tutti, anche in paesi in cui la cosiddetta Primavera araba non si è verificata. Da più di un anno, abbiamo già detto che la primavera araba avrebbe portato il caos e la guerra civile. Non si tratta di prender partito a favore o contro Assad  o per uno degli altri potentati della regione. Si tratta di una questione di diritti uguali per tutti. Si tratta del primato dei Diritti Umani e non del primato di una religione. L'integrazione e la convivenza non possono funzionare che se si rispetta questo primato. L’ho detto al governo francese a Parigi e lo ripeto. A lungo termine, l'Islam fondamentalista rifiuta il dialogo tra uguali. Se l'UE prendesse sul serio i suoi principi dei diritti dell’Uomo, si impegnerebbe apertamente in favore del futuro delle giovani generazioni di questa regione del mondo. Ma siamo di fronte a un sacco di opportunismo economico.

 E ciò è diverso in tutto il Medio Oriente?
  No. I rifugiati che attualmente vengono da noi ci dicono: Non abbiamo più alcuna fiducia, se non nella Chiesa. Fuggono città particolarmente grandi, Aleppo, Homs, Damasco. Lì, sono in pericolo. La maggior parte di loro vogliono continuare il loro viaggio e emigrare negli Stati Uniti, Grecia, Australia ed Europa. In particolare la classe media, che ha ancora qualche riserva. Essi cercano paesi in cui possano essere uguali davanti alla legge.


 

giovedì 23 agosto 2012

" Cristiani e musulmani, vivendo insieme nei nostri paesi arabi, rappresentano un modello di comunicazione, di aiuto reciproco, di solidarietà, di compassione e di rispetto per i fedeli di religioni diverse, sia a livello locale che mondiale”

"Il destino dei cristiani nel mondo arabo dipende anche da questa unità islamo-cristiana necessaria a fronteggiare “la crescente paura verso taluni gruppi religiosi e verso i cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo arabo. “
19 8 2012  Il messaggio di Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei melchiti, per la fine del Ramadan.
 

The greetings of His Beatitude for Eid ul-Fitr

To their Majesties, Highnesses and Excellencies, the Kings and Presidents of Arab Countries

http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/The-greetings-of-His-Beatitude-for-Eid-ul-Fitr

 
 











Oltre 12mila fedeli cristiani “alla fame” nel villaggio di Rableh: si invoca il diritto umanitario
Rableh (Agenzia Fides) – Oltre 12mila fedeli greco-cattolici sono intrappolati nel villaggio di Rableh, a ovest di Qusayr, nell’area di Homs. I viveri scarseggiano, i fedeli sono “ a pane e acqua”, mancano le medicine per curare i malati e i feriti. E’ l’allarme lanciato da fonti locali di Fides che, invocando il rispetto del diritto umanitario, confermano quanto la stampa internazionale sta riferendo sulla situazione a Rableh.
Da più di dieci giorni il villaggio di Rableh è soggetto a un rigoroso blocco da parte dei gruppi armati dell’opposizione, che lo circondano su tutti i lati. Uno dei responsabili di una parrocchia locale, B.K., che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, ha riferito a Fides che nei giorni scorsi tre giovani del villaggio sono stati uccisi da cecchini: George Azar di 20 anni, un altro di 21 anni, Elias Tahch Semaan, 35 anni, sposato e padre di quattro figli.
Alcuni rappresentanti dell’iniziativa popolare per la riconciliazione “Mussalaha” sono riusciti a portare un piccolo carico di aiuti umanitari al villaggio. Un rappresentante di “Mussalaha” ha rassicurato i fedeli affermando che “si farà di tutto per permettere la consegna di aiuti umanitari”.
Un appello è stato lanciato da Sua Beatitudine il Patriarca Gregorios III Laham, visibilmente commosso, a tutti gli uomini di buona volontà perchè “venga salvata Rableh e tutti gli altri villaggi colpiti in Siria, e giunga finalmente la pace nel nostro amato paese”. Anche il Nunzio Apostolico in Siria, S. Ecc. Mons. Mario Zenari, ha invitato tutte le parti coinvolte “al rigoroso rispetto del diritto internazionale umanitario”, ricordando che la risoluzione della crisi in Siria dipende prima di tutto sai dai suoi cittadini.
L’Agenzia Fides ha appreso, inoltre, che il monastero greco-cattolico di San Giacomo il Mutilato a Qara, che attualmente ospita una comunità di 25 persone da nove paesi e una ventina di rifugiati, nei giorni scorsi è stato colpito da bombardamenti di un elicottero d'attacco che intendeva colpire alcuni gruppi ribelli. Nessuna vittima, ma diverse parti del monastero, risalente al VI secolo d. C., sono state danneggiate. La Superiora del monastero, madre Agnès-Mariam de la Croix ha aggiunto la sua voce a quella della gerarchia locale, chiedendo la fine della violenza e “di adottare la logica del dialogo e della riconciliazione”. Autorità cristiane locali chiedono alle parti in lotta di risparmiare le aree dove vivono i civili e di salvaguardare il patrimonio culturale e religioso del paese. (PA) (Agenzia Fides 22/8/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39682&lan=ita

venerdì 17 agosto 2012

“Chiedo alla comunità internazionale, chiedo ai cristiani d’Europa, d’America e di tutto il mondo, chiedo ai governi di avere pietà di questo popolo siriano e di fare tutto il possibile per spingere tutti quanti a sedersi attorno ad un tavolo per dialogare, trovare una riconciliazione e risolvere questo problema in modo civile, umano. La guerra non fa che distruggere, non fa che uccidere: è una guerra fratricida."

Syrian Archbishop of Aleppo appeals for dialogue, peace

Listen to Tracey McClure's full-length interview with Archbishop Jeanbart: RealAudioMP3
http://www.radiovaticana.org/EN1/Articolo.asp?c=613395




INTERVISTA A MERE MARIE AGNES :
Free" "Syrian" "Army" Terrorists are killing Christians, burning and destroying Christian Churches 






Bartolomeo I: Pace in Siria e nel mondo intero
di NAT da Polis
Istanbul (AsiaNews) - In occasione della Festa della Dormizione della Vergine (in occidente: l'Assunzione di Maria al Cielo), il Patriarca ecumenico di Costantinopoli ha diffuso un comunicato in cui egli esprime "profonda preoccupazione" per la situazione della Siria e delle comunità cristiane di quel luogo. Il patriarca non dimentica altre zone di tensione in tutto il Medio oriente, la Nigeria e il Sudan e domanda la fine dell'uso politico del fondamentalismo religioso.
Ieri, per il terzo anno consecutivo, Bartolomeo si è recato a celebrare la festa mariana al monastero della Madonna di Sumela, sul Mar Nero. Dal 2009 il governo turco ha dato il permesso per celebrare una messa il 15 agosto, dopo 80 anni di divieti e dopo la trasformazione dell'antico monastero in museo.
Il patriarca ha focalizzato il suo intervento sulla crisi che sta colpendo l'umanità intera e la conseguente diffussione della violenza nel mondo.
"Il Patriarcato Ecumenico - dice il comunicato - è profondamente preoccupato per la diffusione della violenza in tutto il mondo d'oggi. Ci troviamo di fronte a fenomeni di intolleranza che non solo indeboliscono la pace globale, ma costituiscono una negazione della dignità umana. Fenomeni come omicidi, atti di razzismo, genocidi, pulizie etniche, antisemitismo, distruzioni di luoghi di culto, sono espressioni di barbarie, e devono essere condannati in modo categorico e inequivocabile, in particolare quando [tali atti] sono perpetrati in nome della religione".
"Il Patriarcato ecumenico - prosegue il comunicato - esprime le sue particolalori preoccupazioni soprattutto per la situazione creatasi in Medio Oriente , Nigeria e Sudan. Gli scontri e i conflitti tra cristiani e musulmani in questi luoghi, devono e possono essere superati soltanto con il rafforzamento dell'amor verso il prossimo, in quanto espressione di legame di pacifica coesistenza".
"Il Patriarcato Ecumenico - si aggiunge - è anche molto preoccupato per il futuro del popolo siriano e il futuro del cristianesimo su quella terra e rivolge un appello a tutti i protagonisti del conflitto, per far tacere immediatamente le armi, per urgenti motivi umanitari".
"La soluzione di tutti questi conflitti - continua - passa principalmente attraverso il dialogo. Perché, il dialogo è l'unico e miglior strumento di comprensione e di riappacificazione delle nostre differenze, e costituisce un agente di cambiamento e di riconciliazione. Pertanto, i capi religiosi di tutto il mondo, hanno il dovere e l'obbligo morale di opporsi ai conflitti e promuovere la pace come l'unica necessità. La religione non deve essere stumentalizzata ed utilizzata come pretesto per i vari conflitti, facendo leva sul fondamentalismo per uso politico. Il crimine commesso in nome della religione, è un crimine contro la religione".
http://www.asianews.it/notizie-it/Bartolomeo-I:-Pace-in-Siria-e-nel-mondo-intero-25557.html

martedì 14 agosto 2012

Quos deus vult perdere dementat prius

A quanto pare, non c'è solamente Hillary Clinton che se ne impippa degli appelli del Papa e dei Vescovi siriani ...

Padre dall’Oglio: “In Siria l'Onu deve intervenire con le armi”
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/padre-oglio-siria#ixzz23Gip59gc



GLI ERRORI DI PADRE DALL'OGLIO
Poiché padre Dall'Oglio è un cattolico si presume che conosca il catechismo, e quindi conosca le 5 condizioni che devono CONTEMPORANEAMENTE sussistere per l'uso delle armi contro un potere ritenuto tirannico.
"n.2243 (Catechismo della Chiesa Cattolica) La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori."
Diamo per scontato che il regime di Assad sia "oppressivo". Non occorre però molto acume per capire che almeno il punto 3 è stato violato in una maniera disgustosa. Il disordine attuale della Siria è certamente peggiore della situazione di "inizio primavera": quante persone morivano in Siria nel gennaio 2011?
Da notare poi che, quando una ribellione cerca di abbattere un regime, deve garantire che il nuovo regime sarà un regime giusto, ossia sottomesso alla legge naturale universale. Il problema è che gli islamisti non hanno la legge naturale universale nel loro impianto culturale, per cui sono nella impossibilità di poter assicurare un regime giusto. Avranno quindi a loro carico le colpe della distruzione della Siria, senza poter offrire i benefici del regime giusto: alla fine sarà stato solo un inutile ribaltamento del potere, a prezzo del sangue degli innocenti.
Padre Dall'Oglio aveva tutto il diritto di sostenere l'iniziale opposizione di tipo politico (quanti erano però questi oppositori? il dato ormai non è più quantificabile), ma aveva il dovere di denunciare e opporsi ai ribelli quando l'opposizione politica è stata fagocitata dall'opposizione armata venuta dall'estero e finanziata dall'estero (Arabia, Emirati, Qatar).
Nella Libia della finta ribellione cirenaica, adesso comanda Al-Kib, nato a Tripoli, che lavorò nell'American University of Sharjah (dove si formano personaggi occidentalisti&islamisti) e nel Petroleum Institute degli Emirati Arabi. Chi comanderà in Siria, visto che il CNS è sul modello del CNT libico? La risposta è fin troppo ovvia.
Possibile che padre Dall'Oglio non si renda conto che il suo atteggiamento sostiene le monarchie assolute della penisola arabica?
Possibile che non sappia che in quelle monarchie la vita cristiana è impossibile? E che esporteranno in Siria il loro modello?
Giovanni Lazzaretti
14 agosto 2012, San Massimiliano Maria Kolbe


il parere dei mussulmani radicali sugli osservatori ONU




Proche-Orient. Le sort des minorités si les rebelles prennent le pouvoir…

Et si l’on pensait aux chrétiens de Syrie ?

di Roland Hureaux

http://www.valeursactuelles.com/parlons-vrai/parlons-vrai/et-si-l%E2%80%99-pensait-aux-chr%C3%A9tiens-de-syrie20120808.html




 
"E se il regime oggi cadesse cosa accadrebbe? questa è la domanda che angoscia oggi le minoranze siriane"

Syria's Christians can be the catalysts for peace

Christians have no ambition to rule Syria but they can encourage the warring parties to negotiate a peace deal

di Nadim Nassar

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/aug/02/syria-christians-catalyst-peace





"Per l'opposizione estera sponsorizzata, lo Stato potrebbe essere già caduto ai suoi occhi, ma per tutti gli altri il movimento di opposizione violenta è il fallimento catastrofico."
Violent Revolution in Syria a Catastrophic Failure     




 

"Qui nessuno vuole la guerra"
« Ici personne ne veut de la guerre »
Che influenza ha il popolo siriano sugli avvenimenti in Siria? A mio parere, nessuna...
(Entretien de weltnetz.tv avec Karin Leukefeld, journaliste allemande indépendante installée en Syrie )

mercoledì 8 agosto 2012

PREGHIERA PER LA SIRIA

In questo tempo dell'anno liturgico così fortemente impregnato della memoria della Vergine Maria e di San Bernardo Abate, invitiamo tutti i nostri amici, conoscenti, lettori a rivolgere alla Vergine Maria una preghiera insistente di pace per la popolazione siriana dilaniata dalla sempre più violenta guerra civile, e in particolare per le presenze cristiane ancora numerose nel paese.

Alla preghiera di ciascuno ricordiamo in particolare le sorelle del monastero cistercense trappista di N.S. Fonte della Pace (Deir al Adrha Yanbu'a-s-Salam) di Azeir.




Le Monache Carmelitane di Aleppo testimoniano il terrore di tutta la popolazione cristiana e musulmana
"Seule une intervention divine peut changer le cours des choses"


Vous êtes encore si nombreux à demander des nouvelles et à prier pour nous ! Un immense MERCI ! C'est une grande grâce pour nous que de nous savoir et nous sentir soutenues un peu partout ! Je vous envoie quelques nouvelles (les mêmes pour tous, cela facilite la correspondance qui est plus qu'abondante en ce moment !)
Nous portons comme nous pouvons le poids des canons et de la chaleur ….
les bombardements aériens d'avion de guerre, commencés le 3 août ont été virulents. Ils ont cessé pour le moment, mais les bombardements terrestres se poursuivent, ainsi que les attaques par hélicoptère....
Que Dieu ait pitié de tous ! Je sais que vous priez pour nous. Mille mercis ! Les nuits et les journées sont dans l'ensemble très bruyantes, malgré des accalmies. Coups de canon, tirs de mitraillettes, roquettes et autres armes du même genre se multiplient, hélas ! Nous ne sommes pas menacées ni visées directement mais nous sommes épouvantés lorsqu'il y a des poursuites tout autour de notre monastère, et c'est souvent …. Nous avons trouvé dans le jardin et sur la terrasse des balles perdues !
(...) Nous ne savons vraiment pas comment tout cela va finir, et le nombre des victimes augmente tous les jours de part et d'autre ; pour la plupart ce sont de malheureux jeunes qui s'en vont, fanatisés par la violence des hommes…. Que Dieu ait pitié de leurs familles, du pays et de nous tous ! Les vols enlèvements, attentats se multiplient et nul n'est à l'abri. Du coup, les gens restent le plus possible terrés chez eux ou fuient les quartiers des belligérants, se réfugiant dans les jardins publics ou les écoles….
Certains annoncent un renfort de 50 000 rebelles, envoyés par la Turquie (jeunes de Lybie, Pakistan, Irak, Jordanie et autres pays du même genre….) et un renforcement de l'armée syrienne.
....
http://www.oeuvre-orient.fr/page-syrie-seule-une-intervvention-divine-peut-changer-le-cours-des-choses-1072.html

lunedì 6 agosto 2012

Messaggio di Gregorios III: "Beati gli operatori di pace"

 
Il nostro ruolo di cristiani è quello di mediazione e di riconciliazione: di essere costruttori di ponti tra i figli della stessa patria. Questa è la missione più bella che abbiamo potuto svolgere per il nostro paese, la Siria, per ogni nostro fratello e sorella, concittadini di tutte le denominazioni, a prescindere dal partito politico, tribù, regione o convinzione.
Noi preghiamo Dio affinchè si degni di riportare l'amore nei cuori di tutti i siriani, in modo che essi non abbiano bisogno di armi o  paura di massacri, perché possano vivere insieme, come figli della stessa famiglia e della stessa patria.
Noi lo imploriamo: Dio della pace, dona la pace al nostro paese!
Damascus, 3 August 2012


“Blessed are the peacemakers”
With these words Our Lord exalts peace-makers, saying that “they shall be called children of God.” (Matthew 5: 9)
Through these same Gospel words, I should like to explain the Church’s attitude to the widespread talk of arming Christians, especially in Damascus:
1. No official has spoken to us about arming Christians.
2. We have never contacted any official and we have never asked for our Christian children to be armed, in Damascus or elsewhere.
3. We have never considered – and never will – arming ourselves.
4. Furthermore, we believe that the attempt to arm Christians, from whatever quarter, involves a danger of sectarian conflict and exposes predominantly Christian districts to attacks of unknown origin.
5. We call upon all our faithful, in all parishes, to refuse offers of arms. We remind them of the teachings of Our Lord, Jesus Christ, “All they that take the sword shall perish with the sword.” (Matthew 26: 52) And also, “Blessed are the meek, for they shall inherit the earth... Blessed are the peacemakers, for they shall be called the children of God." (Matthew 5: 5 and 9)
6. We remind them likewise of Saint Paul’s teaching, "If it be possible, as much as lieth in you, live peaceably with all men." (Romans 12: 18)
Our role as Christians is one of mediation and reconciliation: of being bridge-builders between the children of the same homeland. That is the finest mission that we could carry out for our country, Syria, for our brother and sister fellow-citizens of all denominations, regardless of political party, tribe, region or persuasion.
7. We have not stopped calling for this, ever since the outbreak of the crisis in March, 2011. That is the role of the Church and its pastors – Patriarchs, bishops, priests – monks, nuns and lay-persons involved in various sectors of activities and services of the Church. Our churches, schools, institutions and confraternities are all schools of peace, faith, virtue, love and frank, sincere fellow-citizenship and respect for all.
8. I recall a saying of the late Ecumenical Patriarch Athenagoras of Constantinople, "I am no longer afraid, because I have laid my weapons down!"
Our Lord calls us to this in the Holy Gospel, "It is I, be not afraid!" (Matthew 14: 27; Mark 6: 50; John 6: 20) And also, "Be of good cheer! I have overcome the world." (John 16: 33) And John the Evangelist tells us, "This is the victory that overcometh the world, even our faith." (1 John 5: 4) Let us add: faith in our brethren, our homeland and our sincere, humane national values.
We pray God to deign to bring back love to the hearts of all Syrians, so that they will have no need of weapons or fear of massacres, for they will be living together, as children of the same family and the same homeland.
We implore him: God of peace, grant peace to our country.
+ Gregorios III
Patriarch of Antioch and All the East,
Of Alexandria and of Jerusalem
http://www.pgc-lb.org/eng/gregorios/view/Blessed-are-the-peacemakers



SIRIA : Chi l'ha a cuore?
Testimonianza da Aleppo dove si prepara lo scontro, forse, decisivo
S.I.R. Prima pagina Martedì 07 Agosto 2012
"Ci sono scontri in atto in diverse zone e quartieri della città. Si odono continui colpi di arma da fuoco, tanti scoppi, alcuni molto forti, forse di mortaio. Siamo molto preoccupati perché non sappiamo cosa accadrà e a cosa andremo incontro. Si dice che si stia preparando una battaglia, che genere di conflitto sarà, quando comincerà e quanto durerà non lo possiamo sapere. Non possiamo fare altro che sperare in un compromesso che eviti uno spargimento di sangue, vittime innocenti. Altro sangue non farà che aumentare l’odio, le divisioni, e la distanza tra le parti". È una voce affranta quella di mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, la seconda città siriana, snodo economico della nazione, dove da giorni si stanno ammassando le truppe regolari del presidente Assad per cacciare le forze dell’opposizione armata barricate in alcuni quartieri della città. Si parla di 20 mila soldati pronti a sferrare un attacco che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti del conflitto. Alla capacità militare di Assad non corrisponde, però, un’altrettanta potenza politica soprattutto dopo la fuga in Giordania del premier, nominato solo un mese fa, Riad Hijab. Una defezione che, per gli analisti, è un segnale che il regime sarebbe avviato alla disgregazione. "L’abbandono dell’ex premier - dichiara il presule - mostrerebbe una certa debolezza del regime e getta sul popolo un ulteriore motivo di preoccupazione. Politica e diplomazia cerchino vie di dialogo che è quello che il popolo vuole ed auspica, non il suono cupo delle armi". Invece, "siamo costretti ad assistere a scelte totalmente opposte, basti pensare alla decisione del presidente Usa, Barack Obama, di autorizzare missioni segrete in sostegno dei ribelli. Non è da oggi che gli Usa spingono in questa direzione".
Un Paese in ginocchio. Chi è già in ginocchio è il Paese: dal marzo 2011, inizio del conflitto, i morti - secondo stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani - sarebbero oltre 21 mila, gli sfollati ancora in Siria un milione e mezzo. Centinaia di migliaia quelli fuggiti in Turchia, Libano e Giordania. L’economia è ferma, manca il lavoro e l’emergenza umanitaria è sempre più vicina, complici anche le sanzioni adottate dalla comunità internazionale.

domenica 5 agosto 2012

Nei quartieri cristiani di Damasco

Ore d'inferno sotto il fuoco incrociato
di ALIX VAN BUREN - LaRepubblica

L'assalto alle porte dei quartieri cristiani, a Bab Sharqi e Bab Touma nella Città vecchia di Damasco, è iniziato col canto rituale dei muezzin che precede l'alba. «Al primo "Allahu Akbar" intonato dai minareti s'è scatenata una sarabanda di fuoco»: Samir, patriarca di un'antica famiglia di commercianti, ha il palazzetto proprio di fianco a Bab Sharqi, la Porta d'Oriente dalla quale si accede all'area dei Masihiyya, i "seguaci del Messia".
«Era notte fonda, le scintille dei proiettili esplosi schizzavano in ogni direzione fuori delle finestre», Samir è ancora pallido e scosso. «La gente, giù per i vicoli, gridava "Eccoli, sono arrivati!", e intendevano i gruppi armati. Lo aspettavamo come il peggiore degli incubi: l'invasione dei quartieri cristiani. Dopo quelli di Homs e Aleppo, sarebbe toccato anche a noi».
I primi scontri sono iniziati verso l'una a Bab Touma, poco distante da Bab Sharqi. Un commando di insorti si è appostato in un edificio ai margini di un gruppo di misere casette, vicino al corso d'acqua che scorre all'esterno della porta. Presa la stazione della polizia,è intervenuto l'esercito.
Una ventina di uomini è riuscita a sgusciare verso Bab Sharqi. «Erano mercenari», sostengono gli abitanti, «parlavano con accenti stranieri». "Libici" dicono e intendono genericamente afgani, pakistani, ceceni, che popolano i loro timori dopo le notizie dei jihadisti entrati dall'estero. Sul cellulare mostrano le fotografie dei quattro uccisi nelle sparatorie, le barbe fino al petto.
«Tre quarti d'ora d'inferno», raccontano fra le case dove negli ultimi anni sono fioriti alberghi boutique, ristoranti citati anche all'estero, gallerie d'arte, piano bar, discoteche. Le loro parole suonano tanto più incongrue: «I nostri giovani sono scesi per strada, armati di kalashnikov. Sanno a malapena sparare». Da qualche giorno, infatti, da che è iniziata la battaglia di Aleppo, una parte della comunità cristiana siè dotata di armi e di una guardia. «Assieme ai soldati, hanno fermato l'attacco sulla porta. Se fossero entrati, Damasco sarebbe crollata». Il pomeriggio s'era annunciato coi combattimenti alle spalle di Jaramane, a breve distanza da Bab Sharqi, nei frutteti colpiti dall'artiglieria, un elicotteroa individuare dal cielo le posizioni dei ribelli.
A casa del mercante Samir, è una processione di gente. «Mi chiedono cosa fare», dice. «La sensazione è che questo sia soltanto l'inizio: una prova per saggiare la nostra reazione, capire quanto e come siamo armati. Vedrà, stanotte ritenteranno con armi più pesanti. Questo è un luogo strategico: chi prende il nostro quartiere, ha in pugno il cuore di Damasco». Il boss cristiano non ha torto: la Città vecchia, il centro della più antica capitale al mondo, cresce su se stessa da cinque millenni. La via Recta dei tempi romani riordina attorno a sé il groviglio dei suq. Le case addossate l'una all'altra, chiuse da muri ciechi all'esterno, offrono un appostamento ideale.
Una rete di cunicoli sotterranei permette di muoversi, non visti, attraverso l'intero quartiere; i tetti, contigui, sono una rete di passaggio ininterrotta, dominante dall'alto. Né carri armati, né artiglieria hanno spazio di manovra. Stanare chi si annidasse qui, sarebbe un'impresa proibitiva. Perciò i ribelli armati resistono da mesi nel centro di Homs, e ora in parte di Aleppo. Agli occhi dei cristiani, però, la posta è «immensamente più alta: sta prendendo corpo il più cupo dei nostri presagi» dice Tony, un avvocato, e per spiegarsi ripete a bassa voce lo slogan ascoltato in certe piazze siriane dall'inizio della rivolta: «"Alawiyya 'a tabut, Masihiyya 'a Beirut. Sta per "gli Alawiti alla tomba, i Cristiani a Beirut". Homs si è svuotata dei Masihiyya come in Iraq, e da Aleppo fuggono in decine di migliaia». Il siriano s'inasprisce: «Già una parte dei ribelli fondamentalisti ci vuole fuori di qui. In più, Francia e America per assurdo ci spingono a emigrare. Questo vorrebbe dire lasciar tutto: le antiche case, i nostri averi, quel che abbiamo costruito nella storia. Equivarrebbe a rinunciare alle nostre radici».
George, un antiquario, interviene: «Ascolti, noi eravamo qui ancor prima di San Paolo», s'inorgoglisce: «Quando Saul arrivò, già l'aspettava un vescovo». Ricorda un convegno in America, lui cristiano arabo invitato a parlare a una platea di protestanti. «Un americano m'ha chiesto: "Com'è cambiata la sua vita dopo la conversione alla Chiesa di Gesù?". Gli ho risposto: "Caro signore, spetterebbe a me rivolgere questa domanda a lei, dal momento che i miei avi erano cristiani molti secoli prima dei vostri?"».
S'è fatta l'ora dei vespri; lo scampanellio delle chiese torna a riempire il cielo, vivace e impertinente. Il Patriarcato riapre, i fedeli si avviano ai santuari ortodossi, cattolici e delle tante denominazioni cristiane. Il ristorante Narenj, a 100 metri dall'arco di Bab Sharqi, imbandisce i celebri tavoli di fronte a una chiesa e a una moschea, come se nulla fosse stato. Munir, il maître, sfoglia il libro delle prenotazioni: «Stasera tutto pieno», dice. E sembra crederlo.
Più in là, a Bab Touma, i segni della sparatoria sono scomparsi.
Tutto ripulito, anche i bossoli da terra. Non c'è traccia di soldati, né carri armati. Una quinta di normalità avvolge la lotta mortale per il futuro di questa terra.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/08/02/nei-quartieri-cristiani-di-damasco-ore-dinferno.html?ref=search

venerdì 3 agosto 2012

La Siria in un vicolo cieco: ascoltiamo il Papa (e Kofi Annan)

Asia News 03/08/2012 - Bernardo Cervellera
Le dimissioni di Kofi Annan dalla carica di inviato dell'Onu per la pace in Siria accresce l'oscurità nel presente e nel futuro del Paese medio-orientale. Le notizie quotidiane di massacri dall'una e dall'altra parte; gli spietati bombardamenti dell'esercito siriano sulle città, come gli attacchi con armi sempre più pesanti da parte dell'opposizione mostrano che quella che è divenuta una guerra civile difficilmente avrà vincitori o vinti: avendo ognuno deciso di eliminare l'avversario e di progettare un futuro senza di esso, le due parti si sono scatenate in una guerra senza esclusione di colpi.
Anche se Assad pensasse di vincere, la Siria non potrà essere come quella di prima delle rivolte: non vi è soltanto al Qaeda a lottare, né il Free Syrian Army, o "i terroristi", ma anche buona parte della popolazione che esigono avere parte nella gestione del Paese.

E se l'opposizione vincesse, è quasi sicuro che vi sarebbe un'altra guerra interna: fino ad ora, infatti, la sfrangiata opposizione mostra che ognuno va avanti per la sua strada e non sa cucire insieme con gli altri ribelli un futuro unitario.

La lucida analisi di Kofi Annan accusa - per la prima volta in modo esplicito - entrambe le parti per l'escalation del conflitto, togliendo quell'aura di "eroi partigiani" di cui i rivoltosi hanno goduto finora.

Ma Kofi Annan accusa soprattutto il Consiglio di sicurezza Onu e la comunità internazionale di essersi divisa e di "puntare il dito" e di "offendersi" l'un con l'altro.

Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno continuato a criticare Russia e Cina perché frenano mozioni risolutive all'Onu contro il regime siriano. Ma essi - e gli Usa soprattutto - hanno fatto della cacciata di Assad e del suo governo il passo risolutivo. Demonizzando Assad si rischia il fallimento dell'Iraq, quando alla caduta di Saddam Hussein gli Stati Uniti hanno azzerato la burocrazia e l'amministrazione del partito Baath, condannando per anni il Paese all'anarchia e alla violenza.

Russia e Cina (e Iran) da parte loro sfoggiano il loro patronato sulla Siria, ma non hanno mai proposto alcuna pista ragionevole per la pace, preferendo soltanto difendere il loro legame (anche commerciale) con Damasco.

La Lega araba, e in particolare l'Arabia saudita e il Qatar, da un pulpito improbabile, continuano a condannare la dittatura di Assad, difendendo la rivoluzione araba purché avvenga fuori dei loro confini. E per combattere una paventata egemonia iraniana, consegnano la Siria ai fondamentalisti di al Qaeda e ad altri integralisti islamici, che avrebbero vita difficile a Riyadh e a Doha.

Un capitolo a parte meriterebbe il bazar delle armi. Ogni sostenitore provvede per il suo gruppo: elicotteri da guerra (Russia); strumenti di comunicazione e intelligence (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti); armi pesanti e soldi (Arabia saudita e Qatar). Nel commercio di armi sono implicate le stesse nazioni che avevano dato il mandato a Kofi Annan di cercare una pace possibile!

In un editoriale pubblicato sul sito del Financial Times, Kofi Annan chiede un po' di serietà alle grandi e piccole potenze. Per l'ex segretario dell'Onu, Russia, Cina e Iran "devono assumere sforzi comuni per persuadere la leadership siriana di cambiare corso e abbracciare la transizione politica", anche con la partenza di Assad. Le potenze occidentali, i sauditi e il Qatar "devono far pressione sull'opposizione perché percorrano un processo politico onnicomprensivo - che deve includere comunità e istituzioni che attualmente sono associate con il governo".

Impressiona la profonda sintonia fra le richieste di Annan e quanto Benedetto XVI ha richiesto all'Angelus di domenica 29 luglio. Il papa, che segue gli avvenimenti in Siria "con apprensione", ha detto che chiede "a Dio la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un'adeguata soluzione politica del conflitto".

Il punto è che il pontefice ha a cuore "i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi". Non sappiamo invece cosa abbiano a cuore i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu o la Lega araba. Forse degli interessi piccoli piccoli.
http://www.asianews.it/notizie-it/La-Siria-in-un-vicolo-cieco:-ascoltiamo-il-Papa-%28e-Kofi-Annan%29-25465.html

Nessuno può reggere a un assedio mediatico

Assad prima o poi finirà come Gheddafi, e un proconsole del Qatar o degli Emirati si installerà al suo posto. Come in Libia, dove adesso comanda Al-Kib “l’americano”, l’uomo del Petroleum Institute degli Emirati Arabi Uniti.
Noi occidentali siamo fatti così. I dittatori laici che tengono a bada il fondamentalismo non ci piacciono. Ci piace la finta democrazia esportata dalle monarchie assolute islamiche della penisola arabica.
“Ma perché gli occidentali devono credere a ogni balla che gli viene raccontata?”
Speriamo che i giornalisti onesti si sveglino.
Se tutto ciò che filtra dalla Siria sono le chiacchiere dei ribelli e le foto della Reuters, un giornalista onesto dovrebbe limitarsi a dire “Siria: disponiamo solo di voci non controllabili”. E meglio dire così, visto che un “ribelle siriano” e un “contractor” assoldato dall’occidente non sono facilmente distinguibili.
Giovanni Lazzaretti


SUAD  SBAI- STRAGE DI CIVILI SIRIANI AD ALEPPO:
Se nessuno ha il coraggio di dire che cosa ha infettato la Siria da mesi lo facciamo noi.
(AGENPARL) – Roma, 01 ago – “Amnesty fa bene a denunciare a gran voce i massacri ad Aleppo e in tutta la Siria, ma dovrebbe anche chiamare i soggetti autori con il loro nome e cognome. Sul sito almaghrebiya.it circolano le immagini relative alla mattanza di civili ad Aleppo, fatti a pezzi dai mitra e dai kalashnikov dei mercenari assoldati dal terrorismo estremista e radicalista che impazza in Siria. Ancora bugie senza pudore, sulla pelle del popolo siriano: l’Onu perché non vede e non denuncia anche questo massacro? Questa è disinformazione pura”. Così l’On. Souad Sbai commenta “le immagini di un video sul web che mostra civili siriani ammassati dopo un pestaggio in un angolo di strada e crivellati di colpi dai mercenari in Siria”. “ Se nessuno ha il coraggio di dire che cosa ha infettato la Siria da mesi lo facciamo noi. Bande di assassini che trucidano la popolazione e si macchiano di tanti crimini quanti i miliziani, solo che vengono omessi nella loro responsabilità, perché qualcuno ha interesse a mistificare un massacro che ha autori ben noti. Gli opinionisti della geopolitica corrotta dal denaro di qualche sceicco anch’esso ben noto – dice Sbai – dovrebbero vergognarsi delle bugie con le quali hanno falsificato la vicenda siriana e prima quella libica. Sulla Siria va fatta informazione, sui diritti umani: e non rispolverare ad ogni ora filmati triti e ritriti, che altro non fanno se non continuare una certa propaganda. Vedendo queste immagini qualcuno dovrebbe farsi un grosso esame di coscienza e poi spiegare all’opinione pubblica mondiale perché vuole consegnare la Siria e con essa tutto il quadrante mediorientale e caucasico all’integralismo, infiltratosi nelle fila della protesta da alcuni paesi arabi. Siamo di fronte al più grande inganno internazionale di sempre – conclude – in cui hanno parte attiva l’Occidente intero e gli Stati Uniti, corresponsabili del massacro del popolo siriano innocente e ormai allo stremo delle forze”.


I LETTORI DELLA STAMPA CATTOLICA SI ASPETTANO DI PIU' DI UN "SI DICE"
I media italiani avevano già dall’inizio la certezza da che parte stare: subito hanno dato per buono tutto ciò che veniva messo a disposizione dall’opposizione siriana su you tube e dal famigerato ‘osservatorio siriano per i diritti umani’ con sede a Londra.
Sin da subito avevano adottato il solito gergo con cui ci siamo abituati con la guerra di Libia, “il rais”, il regime, i lealisti, gli ‘assadiani’, i ‘pro Assad’ e dall’altra parte l’esercito libero siriano, i partigiani, i ribelli, gli amici della Siria.. termini certo più “tonici”… cosicché qualsiasi cosa dicesse l’opposizione è stata sempre considerata vera mentre quando i fatti maldestramente lasciati non manipolati hanno scagionato Assad, gli è però stato fatto ugualmente dono del tono sprezzante, degli appellativi più infamanti e l’onta del governo siriano però rimane.
Quando ha tentato di fare qualcosa di buono subito è arrivata la replica del Segretario di Stato USA: “non credibile”. E’ accaduto tutto in un dato momento, l’ambasciatore americano sceso tra la folla a protestare. Cosa fosse cambiato da ieri, quando Assad veniva ricevuto e riverito ovunque non ci è dato di sapere, eppure le riforme che aspettava la popolazione aveva cominciato a farle, ma tutto era già deciso prima ancora che iniziasse.
Tuttavia ciò che più mi sgomenta è l’allineamento delle maggiori testate cattoliche con i criteri adottati dai media mainstream.
Sulla maggior parte delle testate cattoliche si sono susseguiti, alternandosi, articoli che riportano il giudizio sugli avvenimenti dati dalle autorità della Chiesa siriana ( in conformità a quello espresso dal documento CCEE il Consiglio della Conferenza Episcopale Europea) e nello stesso tempo articoli che vanno in tutt’altra direzione. parafrasando esse dicono: “Quella in corso in Siria è una guerra dolorosa ma necessaria per il cambiamento, la democrazia l’emancipazione degli oppressi”.
Leggi tutto l'articolo su:
http://www.vietatoparlare.it/2012/08/02/i-lettori-dalla-stampa-cattolica-si-aspettano-di-piu-di-un-si-dice/

mercoledì 1 agosto 2012

In Siria «rinforzi» sunniti dall'estero


In Siria, tra gli oppositori del regime di Bashar Al Assad, sta combattendo un numero crescente di militanti stranieri del Jihad islamico.

Terrasanta.net | 1 agosto 2012

Guerriglieri fondamentalisti che provengono dalla Libia, dal Kuwait, dall’Arabia Saudita; ma anche dalla Gran Bretagna, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Alcuni di loro possono vantare un curriculum da «professionisti» delle rivolte islamiche, essendo giunti in Siria dopo aver combattuto in Libia. Per tutti la motivazione religiosa è fondamentale; e la loro presenza sul campo, carica il conflitto siriano dei toni cupi della «guerra di religione», essendo i jihadisti sunniti ferocemente opposti agli alawiti di Assad.
L’allarme era stato lanciato nelle scorse settimane dall’Onu e dal governo iracheno che spiegava di come cellule di al Qaeda fossero penetrate in Siria dal confine con l’Iraq. Oggi documenta una storia simile un reportage ripreso a diversi quotidiani mediorientali, tra cui il Jordan Times di Amman.
L’autore del reportage, Suleiman Al Khalidi dell’agenzia Reuters, racconta di aver incontrato al confine con la Turchia, due giovani, Abdullah Ben Shamar, studente saudita di 22 anni, e il suo amico libico Salloum, in procinto di entrare illegalmente in Siria per combattere. «È nostro dovere andare in Siria e difenderla dai tiranni alawiti che stanno massacrando il suo popolo», spiega Abdullah. Secondo lo studente, lui e il suo amico starebbero seguendo le orme dei loro antenati, che combatterono in schiere inviate dal profeta Maometto, all’alba dell’era musulmana, per liberare la grande Siria da quelli che consideravano come barbari bizantini. I barbari del Ventunesimo secolo, sostengono Abdullah e il suo amico, sono Assad e le sue coorti, espressione del governo della setta minoritaria degli alawiti. Gli estremisti sunniti, come i combattenti stranieri che in questo periodo si stanno recando in Siria, provano un odio viscerale per gli alawiti di Assad, che considerano alla stregua di infedeli, esattamente come gli sciiti dell’Iran che sostengono Assad.

«Finalmente la popolazione musulmana della Siria si è levata in piedi – dice Shamar – dopo che Assad e gli alawiti hanno saccheggiato il Paese con l’aiuto di hezbollah. I musulmani di tutto il mondo non possono rimanere senza far nulla per aiutare la rivolta». Abdullah e Salloum si sarebbero conosciuti in Gran Bretagna, ormai diversi anni fa, nella città di Brighton, dove si erano recati per frequentare un corso di lingua inglese.
Salloum, 24 anni, è uno studente dell’università di Tripoli, facoltà di Chimica, e ha combattuto in Libia, nella battaglia di Zawiya, vicino alla capitale, prima la caduta di Muammar Gheddafi. Essere in Siria rappresenta per lui un dovere religioso. «I nostri fratelli siriani hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile – ha spiegato –, poiché a differenza della Libia, la comunità internazionale li ha abbandonati». Salloum, che desidererebbe unirsi alla Brigata Ahar Al Sham (la brigata «per la liberazione di Damasco», composta in gran parte da stranieri) sostiene che è una delle massime aspirazioni di un musulmano quella di partecipare al jihad.
Suleiman Al Khalidi, il giornalista autore del reportage, che è cittadino giordano, fu stato arrestato dalle forze di sicurezza siriane nel maggio 2011, mentre seguiva gli eventi della rivolta in atto nel Paese. Una volta liberato ha pubblicato la sua esperienza di prigioniero e le torture di cui è stato testimone.
Diversi comandanti del Libero esercito siriano in attività del Nord Ovest della Siria confermano che negli ultimi mesi molti militanti stranieri si sono uniti alle loro forze: vengono da Libia, Kuwait, Arabia Saudita; ma anche dalla Gran Bretagna, dal Belgio e dagli Stati Uniti. Diversi di loro sarebbero figli di siriani emigrati in Occidente perché oppositori della famiglia Assad. La maggioranza di questi combattenti stranieri si sarebbero concentrati nella provincia di Hama, nella Siria centrale, dove alcuni jihadisti più esperti, ex combattenti in Afghanistan, li starebbero formando alla guerriglia e all’uso delle armi. Se ad Hama - il maggior centro della rivolta contro Assad - i jihadisti sono centinaia, se ne trovano alcuni anche a Damasco, ma in numero troppo limitato per mettere in scacco l’esercito regolare.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4132&wi_codseq=SI001 &language=it


PERCHE' PREGO PER LA SALVEZZA DI ASSAD 

di Giovanni Lazzaretti

Caro Direttore,
è possibile la democrazia in un paese islamico? La risposta sarebbe stata banale, fino a qualche decennio fa; oggi non più. Bisogna infatti fare un passo indietro e chiedersi: cos’è la democrazia?
La democrazia secondo i nostri Padri Costituenti era più o meno: legge naturale universale + Costituzione che cerca di tradurre la legge naturale universale + rappresentanza parlamentare che cerca di legiferare secondo Costituzione e secondo legge naturale universale. Questo schema, pur con molte sbavature, definiva il “mondo occidentale”.
Da qualche decennio però sono apparsi gli “occidentalisti”. Gente che crede nella “democrazia procedurale”, dove la rappresentanza parlamentare genera le maggioranze, e le maggioranze decidono ciò che vogliono, anche contro la Costituzione e contro la legge naturale.
Torniamo quindi all’inizio. E’ possibile la democrazia in un paese islamico? Poiché l’islam non conosce la legge naturale universale, è ovvio che la democrazia del primo tipo non può esistere. Può esistere solo la democrazia procedurale. Quindi: elezioni, affermazione di una maggioranza islamica, introduzione della Shari’a più o meno mascherata. Democrazia procedurale che si trasforma in democrazia totalitaria, come direbbe Giovanni Paolo II.
ismSmettiamola quindi di parlare di “occidentali”: parliamo invece di “occidentali” (ossia “quelli della legge naturale”) e di “occidentalisti” (ossia “quelli della democrazia procedurale”). Questi ultimi si trovano benissimo con gli stati di matrice islamica, e meglio ancora con le monarchie assolute islamiche: condividono infatti con loro la negazione della legge naturale.
E così perché stupirsi se Arabia Saudita, Qatar e occidentalisti di varia matrice hanno lavorato assieme per distruggere le dittature laiche dell’Iraq e della Libia, e adesso lavorano per la distruzione della Siria?
Saddam e Gheddafi erano dittatori? Certamente. Assad è un dittatore? Certamente. Ma chi altri, se non un dittatore laico, può convincere un paese a maggioranza islamica a rinunciare alla Shari’a e a trattare con un certo rispetto la minoranza cristiana?
“Abbattere un dittatore” è una frase che ci riempie la bocca. Ma abbattere un dittatore attraverso ribelli infiltrati da ogni dove, estranei al paese “da liberare”, e posti sotto l’egida delle monarchie assolute della penisola arabica è una cosa che a un occidentale dovrebbe far venire il voltastomaco. Non agli “occidentalisti”, però.
Abbiamo già la Libia sulla coscienza, Libia dove alle recenti elezioni si poteva scegliere tra le tre correnti dei Fratelli Mussulmani, dei salafiti che vogliono un islam più puro, e degli islamo-affaristi, aperti alla Shari’a e ai buoni traffici. La liberazione delle donne attuata da Gheddafi, a breve diventerà un sogno: la Shari’a regnerà sovrana.
In Siria non sarà diverso. Salvo che in Siria i cristiani sono il 10% e le loro sofferenze sono e saranno immani con l’avanzata del “libero esercito” di matrice arabo-qatariota.
Per quali motivi una democrazia occidentale dovrebbe essere alleata delle monarchie assolute dell’Arabia Saudita, del Qatar e degli Emirati nel loro intento di ridisegnare la carta del Nord Africa e del Medio Oriente? Non c’è alcun motivo valido.
Da occidentale mi permetto quindi di avversare le monarchie assolute arabiche, di avversare gli occidentalisti che le appoggiano, e di pregare per la salvezza di Assad. Dittatore. Mussulmano. Ma non islamista.
Cordiali saluti
Giovanni Lazzaretti
http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1728:perche-prego-per-la-salvezza-di-assad-di-giovanni-lazzaretti&catid=54:societa-civile-e-politica&Itemid=123

martedì 31 luglio 2012

Primi passi di pace in alcuni villaggi: l'opposizione rinuncia all’opzione militare. La TELETHON SAUDITA.

Accordo di pace a Qalamoun sulla linea tracciata a Roma dagli oppositori
Damasco (Agenzia Fides)- Nuovo successo dell’iniziativa “Mussalaha” (Riconciliazione) che si sta adoperando per dimostrare che esiste una “terza via” possibile, alternativa alla guerra e alle armi, quella della società civile.
Secondo quanto riferiscono fonti locali all’Agenzia Fides, il 30 luglio è stato firmato un “accordo storico tra le forze dell’opposizione di Qalamoun e i rappresentanti di Mussalaha di Yabroud, Qâra, Nebek e Deir Atieh e dintorni”.
La regione di Qalamoun è un’area di altopiani situata tra Damasco ed Homs che comprende i villaggi cristiani di Maaloula (dove si continua a parlare l’aramaico, la lingua vernacolare di Gesù) e di Saydnaya (dove è collocato il Santuario della Madre di Dio) oltre agli antichi monasteri di Santa Tecla, Mar Touma, Mar Moussa e Mar Yakoub. La popolazione è in maggioranza sunnita ma vi è pure una forte presenza cristiana che è rispettata grazie ad un patto che risale di tempi di Saladino.
Da mesi diversi villaggi della regione, si erano proclamati "indipendenti" e avevano paralizzato le istituzioni statali (comuni, stazioni di polizia, tribunali) e della vita civile (con scioperi diffusi e permanenti). Questa fase di disobbedienza civile è stata accompagnata da una insurrezione armata con miliziani che attaccavano postazioni dell'esercito, ma anche alcuni civili ritenuti vicini al governo o troppo concilianti con il regime. Ai miliziani si sono aggiunte le bande criminali che hanno approfittato del disordine e della mancanza di sicurezza per rapire persone a scopo di estorsione ed effettuare rapine contro fabbriche, depositi, negozi.
L’accordo di ieri si unisce alla dichiarazione di Roma dei gruppi dell'opposizione riuniti dalla Comunità di Sant'Egidio. In base a tale accordo l'opposizione rinuncia all’opzione militare, e, quindi, vieta ai suoi membri di attaccare le forze governative, militari o di sicurezza e i civili. Essa depone le armi e rimette la sicurezza nelle mani dello Stato. Da parte sua il governo continua a dare alla popolazione civile la libertà di esprimersi democraticamente attraverso manifestazioni e sit-in .
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39627&lan=ita


In Arabia Saudita una raccolta fondi televisiva per i ribelli siriani
Per sostenere la rivolta contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad, in Arabia Saudita hanno pensato di utilizzare un telethon, ovvero la modalità di raccolta fondi più televisiva e coinvolgente, inaugurata in Occidente diversi anni fa a scopo benefico e oggi piegata, in Medio Oriente, alla causa politica. Come riporta l’Agenzia di stampa saudita (Spa), si è concluso con una raccolta di 108 milioni di dollari (equivalenti a circa 88 milioni di euro) l’inedito telethon finalizzato al «soccorso al popolo siriano», promosso dal sovrano saudita Abdallah bin Abdul Aziz in persona.
 Inoltre ha espresso il proprio supporto ai ribelli siriani contro il regime di Assad. I sauditi recentemente avrebbero anche proposto di versare dei salari ai ribelli, in modo da incentivare la diserzione di soldati dell’esercito di Assad.
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=4128&wi_codseq=SI001 &language=it


lunedì 30 luglio 2012

""Non mandate armi..." Gli appelli del patriarca di Antiochia e dell'arcivescovo di Aleppo

“Preghiera, preghiera, preghiera”: al telefono da Damasco Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, riferisce al Sir di “una situazione tranquilla nella capitale, dove solo in lontananza si odono dei colpi. Aleppo, invece, è un campo di battaglia. Quanto sta avvenendo lì è terribile”. Con voce rotta dall’emozione il patriarca racconta che “le comunità cristiane stanno abbastanza bene, i combattimenti avvengono lontano dal centro, dove vive la maggior parte dei fedeli, in località periferiche e di campagna. Sono in contatto con altri confratelli vescovi, oggi ad Aleppo c’è una riunione con vescovi e laici che ha lo scopo di organizzare aiuti per non farsi trovare impreparati se le cose dovessero volgere al peggio”. Sono tre giorni che l’esercito siriano e i ribelli del Free Syrian Army (Fsa) si danno battaglia nella più popolosa città della Siria e centro economico più rilevante. Secondo la responsabile degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos, nel weekend sono scappate da Aleppo circa 200 mila persone dirette nei villaggi vicini e in Turchia. Non si conosce, invece, il numero di coloro che sono bloccati nei luoghi dove si combatte.
Le parole del Papa. A mitigare la pena del patriarca sono giunte le parole di Benedetto XVI ieri all’Angelus, da Castel Gandolfo: “Riceviamo molta forza dal Pontefice che ha detto di seguire con apprensione ‘i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi’. La sua vicinanza ci conforta e c’incoraggia ad andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante appello, ‘perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue’ ha avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso. Chi ha responsabilità, ricordava il Papa ieri, non deve lesinare sforzi per aprire un negoziato e lo stesso deve fare la comunità internazionale”. “Molto apprezzata” per Gregorios III, è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui il presidente, card. Péter Erdő, e i due vicepresidenti, il card. Angelo Bagnasco e mons. Jozef Michalik, ribadivano la necessità di far “cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace”. “Siamo in pena per le sorti del nostro Paese – ammette Gregorios III – quando in alcuni Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare, questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il conflitto. Gli Usa, l’Europa, e gli altri Paesi devono fare più pressione non per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti a un tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e non scatenare vendette. Il regime è molto forte, come l’opposizione. Ciò che fa paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto due suoi fratelli rapiti e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Il 1° agosto, i cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan. Sarà per noi un digiuno in preparazione alla festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria del 15 agosto e un momento di condivisione e preghiera per la Siria”.