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venerdì 11 aprile 2014

Siria, dove la pietà è un grido


Damasco, 10 aprile 2014


In questi giorni  sono caduti tanti colpi di mortaio sulle nostre zone cristiane, al-Kassa, Jaramana, Bab Touma…, abbiamo avuto tanti morti...

Oggi sono caduti a Jaramana piu di 45 colpi. E’ morto per una scheggia di mortaio pure un giovane uomo cristiano lasciando un bimbo.  Si chiama George Abo Samra.

Ero a pochi metri dal primo colpo, dove ero andato a fare la spesa. Mentre la gente era nascosta all'angolo dell'ospedale francese è caduto  il secondo colpo proprio dove la gente si era radunata, causando la morte di altre due persone .

Sono  corso subito alla scuola dove c’è mio figlio Micheal , il piccolo. Ho visto la paura negli occhi dei genitori. Ho visto bimbi con un volto sconvolto. Mio figlio mi ha detto che ha visto dalla finestra della classe una colonna di fumo. Insomma sono caduti in pochi minuti 4 colpi di mortaio nella zona di al-Kassa all'ora di punta. Colpiscono  mentre la gente sta facendo le spese e i genitori stanno andando a prendere i loro figli dalle scuole. Sono rientrato alle ore 13:15 e squilla il telefono e mi dicono che un colpo di mortaio ha colpito il palazzo dove ho la casa mia a Jaramana causando danni alla mia cisterna d'acqua e creando un buco nel soffitto della casa del mio vicino.

Ma quali sono le fonti di Avvenire???
Mentre ti scrivo queste parole ho sentito passare sopra di me due colpi di mortaio. Non so dove andranno a finire.  Ma la gente qua è proprio stanca di Jobar e Mileha da dove i ribelli lanciano contro di noi centinaia di colpi. 

Le scuole a Jaramana sono chiuse per più di una settimana, dopo che erano stati ammazzati 4 bambini, e  pure qua al Kassa le scuole domani chiudono che sono state aperte solamente due giorni (mercoledi e giovedi).

E la settimana scorsa hanno colpito pure sulla Patriarcale Melkita...

E allora diciamo:  Fino a quando l'esercito deve rimanere cosi di fronte a quello che fanno i gruppi armati di Jobar? Fino a quando dobbiamo resistere?

 Chiediamo all'esercito siriano di farli finire!

Samaan



Siria: Cristiani come animali



 MARCO TOSATTI

L’arcivescovo metropolitano della Chiesa apostolica ortodossa di  Antiochia Antonio Chedraui Tannous, ha affermato oggi che i cristiani di Siria sono ammazzati come se si trattasse di animali, nel momento in cui la comunità internazionale “si è tappata gli occhi e non vuole sentire”.  
L’arcivescovo parlava a José Gálvez Krüger direttore dell’Enciclopedia Cattolica, che fa parte del gruppo ACI. E denuncia che “senza dubbio la chiesa ortodossa antiochena vive un martirio interminabile: sequestro dei due arcivescovi e di alcuni sacerdoti, mattanza di sacerdoti e fedeli innocenti che non hanno niente a che edere con ciò che sta accadendo. Persecuzioni, distruzione di chiese, assassini. E la cosa peggiore e più barbare e che si uccidono i cristiani come si ammazzano gli animali, e tutto questo, nel nome di Dio”. E continua il prelato: “Mi chiedo: che cosa ha a vedere questo con la lotta per la democrazia o la libertà in Siria? I criminali, nella loro maggioranza, sono stranieri, che vengono dall’Arabia Saudita, dalla Turchia, dalla Cecenia e da altri Paesi”. Se i ribelli lottassero per la democrazia “sarebbero stati siriani, e non mercenari stranieri”.  
“Se l’occidente con in testa gli Stati Uniti e altri Paesi come l’Arabia Saudita e la Turchia non fossero intervenuti mandando denaro e armi, non saremmo al punto in cui siamo in Medio Oriente; e le Nazioni Unite, che ricevono ordini dagli Stati Uniti, non si interessano dei diritti umani e ancor meno di quelli dei cristiani in Medio Oriente”. Obama, secondo il vescovo ha sviluppato una politica ancora più aggressiva e peggiore di quella di Bush nella zona.  

http://www.lastampa.it/Page/Id/2.0.589627549


Homs : 25 morti tutti civili e 107 feriti per un'autobomba in quartiere abitativo,
seguita da una seconda quando si era radunata la gente per i soccorsi...


Armeni siriani di Kessab deportati in territorio turco

Agenzia Fides 10/4/2014
Alcuni anziani di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena assalita nelle scorse settimane da milizie armate anti-Assad, sono stati trasferiti dagli stessi miliziani in territorio turco, senza essere stati informati prima della loro destinazione. É quanto emerge da fonti armene consultate dall'Agenzia Fides.
Nei giorni scorsi la stampa turca aveva dato risalto alla notizia che almeno 18 armeni fuggiti da Kessab dopo l'assalto dei ribelli avevano trovato asilo in alcuni villaggi turchi come Yayladagı e Vakif. La notizia era stata riportata con enfasi, mentre si avvicina il centenario del genocidio subito dagli armeni nella Turchia ottomana. Le indagini condotte da alcuni media armeni hanno rivelato dettagli eloquenti sul modo in cui è avvenuto il trasferimento degli armeni siriani in territorio turco. Secondo le testimonianze di alcune donne anziane accolte nel villaggio turco di Vakif, gli uomini armati che hanno assalito le loro case parlavano in turco e hanno scelto di trasferire in territorio turco i pochi anziani rimasti a Kessab dopo che la quasi totalità della popolazione armena della città era fuggita verso la zona costiera di Latakia, all'arrivo delle milizia anti-Assad. Il trasferimento forzoso in Turchia è avvenuto in condizioni proibitive per gli anziani armeni, che erano stati tenuti all'oscuro della reale destinazione. 



Nel 1915 si è consumato uno dei più efferati genocidi dello scorso secolo. In un impero ottomano ormai agonizzante e percorso da ventate di nazionalismo, di cui era interprete l'organizzazione conosciuta come “giovani turchi”, si scatenò la caccia agli esponenti della piccola, ma radicata minoranza armena. Gli Armeni sono cristiani, anzi furono una delle prime nazioni a diventare interamente cristiane, e per questo la loro vita non fu mai facile all'interno di un impero che innalzava la bandiera dell'Islam militante. Ma quello che avvenne nel 1915 superò per orrore ogni precedente persecuzione. Decine di migliaia di persone furono strappate dalle loro case e brutalmente massacrate sul posto o avviate, in lunghe colonne, verso le zone più inospitali dell'Anatolia dove vennero letteralmente lasciate morire di fame e di stenti. I villaggi armeni vennero distrutti e le chiese profanate e trasformate in moschee o locali pubblici. 
Molti Armeni fuggirono dalla Turchia per non essere vittime dei pogrom e trovarono rifugio e protezione nelle nazioni vicine tra cui Siria e Libano che, pur essendo formalmente parte dell'Impero Ottomano, non solo non si associarono ai massacri, ma anzi nascosero e protessero i fuggitivi. Fu così che in Siria e Libano nacquero grosse comunità armene e sopravvissero quelle più antiche che vi risiedevano già da molti secoli. Una di queste ultime vive (forse  meglio dire viveva fino al 21 marzo di quest'anno) nella piccola città di Kessab al confine tra Siria e Turchia ed a pochi chilometri dall'importante porto siriano di Latakia. Seimila persone, per oltre due terzi Armeni, che abitavano in sei piccole frazioni in una zona montuosa fino a pochi giorni fa risparmiata dalla guerra. IL 21 marzo però dal confine turco sono arrivate gli integralisti islamici dell'ISIL e del fronte Al Nusra che hanno prima bombardato e poi attaccato Kessab, costringendo l'intera popolazione a fuggire ed a cercare rifugio nella vicina Latakia. Fatto assolutamente nuovo, l'esercito turco, che presidia il confine a pochi chilometri da Kessab, non solo ha lasciato passare le bande armate, ma addirittura, secondo molti testimoni oculari, le ha appoggiate con l'artiglieria ed i blindati ed ha lanciato missili contro gli aerei siriani, uno dei quali è stato abbattuto. L'intenzione dei guerriglieri è sicuramente quella di minacciare Latakia per distogliere forze siriane dalla battaglia in corso nel Qalamoun. I Turchi invece sembrano cercare un casus belli per poter attaccare la Siria, come parrebbero confermare le intercettazioni dei discorsi tra esponenti del regime di Erdogan resi pubblici probabilmente da ambienti militari turchi ostili alla linea del premier. Non è sicuramente un caso per che, per dare il via a questa loro nuova linea, i Turchi abbiano scelto di attaccare un villaggio armeno, colpendo così oltre che la Siria, anche i loro tradizionali nemici. Probabilmente Erdogan contava sul fatto che la Russia -impegnata sul fronte ucraino- non si sarebbe esposta più di tanto in difesa dell'alleato siriano. Così ovviamente non è stato perchè immediatamente tre navi russe alla fonda nel porto di Tartous hanno fatto rotta verso quello di Latakia. Una presenza simbolica, ma sufficiente a far capire ad Ankara che la strada intrapresa avrebbe potuto portare a conseguenze pericolose. Vedremo gli sviluppi.

martedì 25 marzo 2014

La fuga degli armeni di Kessab


Kessab, Siria

Tremila persone sono dovute scappare da una città siriana attaccata dai ribelli antigovernativi, ed è la terza volta in un secolo


Ieri sera, in tarda serata, un amico, tormentato, mi inoltra la lettera di una ragazza armena della diaspora, che vive lontano dal villaggio dei suoi antenati, Kessab. Lei, la sua famiglia e l’anziana nonna in lacrime hanno passato questi giorni senza sapere cosa sarà di oltre tremila armeni che hanno dovuto, alle cinque di mattina del 21 marzo scorso, lasciare le loro case.
Kessab è l’ultimo villaggio armeno della Siria. Si trova nella regione nord-occidentale, ai confini con la Turchia. È l’eredità del Regno armeno di Cilicia, importante regno medievale che si estendeva poco più a nord del villaggio, nell’attuale Turchia meridionale, fino alla seconda metà del Quattordicesimo secolo quando cadde sotto l’attacco dei mammalucchi.
Il villaggio è stato attaccato all’alba del 21 marzo scorso dai ribelli siriani anti-governativi e gli abitanti si sono trovati costretti a fuggire e a riparare verso sud, a Laodicea (Latakia), dove sono stati accolti nella chiesa armena e nella chiesa greco-ortodossa della città.





Kessab, SiriaKessab, Siria
Immediatamente gli armeni della Repubblica d’Armenia e della diaspora, le loro istituzioni, i loro capi religiosi e i partiti politici si sono attivati per richiamare l’attenzione degli stati e delle organizzazioni internazionali sul destino di Kessab. 
Il Presidente della Repubblica armena Serzh Sargsyan oggi pomeriggio ha denunciato l’aggressione alla comunità armena siriana. Sargsyan ha appunto ricordato come, per la terza volta, in poco più di un secolo, gli armeni di Kessab si trovino in pericolo. La prima volta con i massacri di Adana del 1909, quando la popolazione venne duramente colpita, la seconda con il 1915, con la messa in atto del genocidio da parte dei Giovani Turchi che decimò la popolazione, ed ora nuovamente nel 2014, ad un anno dal centesimo anniversario del Grande Male (come gli armeni chiamano il genocidio). Il Catholicos armeno di Cilicia (al vertice della Chiesa apostolica armena in Medio Oriente) ad Antelias, in Libano, si è incontrato con l’ambasciatore siriano in Libano. Quest’ultimo ha accusato la Turchia della situazione.
La Kessab Educational Association of Los Angeles ha inviato un appello al Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon per chiedere un intervento delle Nazioni Unite in difesa della minoranza armena cristiana a Kessab, accusando apertamente la Turchia di aver concesso il passaggio sul proprio territorio ai ribelli. 
Il comunicato cita anche testimoni che avrebbero visto forze turche partecipare direttamente all’attacco contro l’esercito siriano.

Al momento gli armeni di Kessab sono ancora a Laodicea, senza sapere se potranno tornare o dovranno fuggire ancora, forse in Libano, dove esiste un’altra importante comunità raccolta principalmente attorno alla Chiesa apostolica armena o alla Chiesa cattolica armena, in comunione con Roma (esiste poi anche una Chiesa armena protestante). Molti sono figli di sopravvissuti del genocidio. 

Gli armeni, popolazione indo-europea originaria di quell’area che è oggi compresa tra la Turchia orientale e il Caucaso (l’Armenia storica) sono cristiani dal 301, quando il re Tiridate III si fece battezzare da San Gregorio Illuminatore e rappresentano una delle ultime presenze cristiane in Medio Oriente. 
Anche l’Italia ha un profondo e antico legame con l’Armenia, con chiese armene sparse per tutto il territorio e il più importante monastero armeno cattolico al mondo a Venezia, centro, dal Diciottesimo secolo, della rinascita culturale degli armeni.

http://www.ilpost.it/2014/03/24/armeni-kessab/

Mussa Dagh, oggi come 100 anni fa




di  Marco Tosatti

Vi ricordate “ I Quaranta giorni del Mussa Dagh”, il bellissimo romanzo di Franz Werfel sull’eroica – fortunata – resistenza di sette villaggi armeni contro la deportazione e il genocidio turco nella Prima Guerra Mondiale?

L’incubo di allora – è passato quasi un secolo, ma la memoria è ben viva fra gli armeni – si è ripresentato in questi giorni in quella regione, al confine fra Siria e Turchia, il Kessab. Secondo quanto riportano diverse fonti giornalistiche armene, i villaggi della zona a popolazione armena sono stati il bersaglio di tre giorni di attacchi brutali, partiti dal oltre il confine con la Turchia, da parte di fondamentalisti islamici del fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda. Si parla di circa ottanta morti, fra i civili; e oltre quattrocento famiglie hanno abbandonato la zona, cercando rifugio a Lattakia e a Basit.
Un responsabile della comunità armena, Nerses Sarkissian, ha dichiarato che i terroristi sono entrati dalla Turchia, sconsacrando chiese, saccheggiando case e distruggendo gli edifici pubblici. Alcuni armeni sono rimasti nei villaggi; la loro sorte non è conosciuta.

Sarkissian ha sottolineato che le bande di aggressori venivano dalla Turchia e hanno agito con l’appoggio dei militari di Ankara. I feriti fra di loro sono trasportati in Turchia per ricevere le cure del caso. Questo episodio, oltre all’abbattimento di un jet siriano da parte della contraerea turca in una situazione controversa di sconfinamento dimostra che la Turchia sta aumentando il suo coinvolgimento al fianco dei miliziani fondamentalisti di 83 Paesi diversi che stanno combattendo in Siria.

Hanano barrack - the refugee camp of Armenians in 1923

A questo riguardo pubblichiamo un comunicato della Comunità Armena di Roma.

Con il pretesto della guerra civile in Siria il governo turco (peraltro alle prese con gli scandali ed una crisi politica senza precedenti) prosegue, ora come cento anni fa, la politica di aggressione contro le locali comunità armene.

E’ notizia di questi giorni attacchi e bombardamenti turchi nei confronti della cittadina armena di Kessab (Siria nord orientale) che si trova prossima al confine con la Turchia stessa nella zona del Mussa Dagh, il massiccio reso celebre dal capolavoro letterario di Franz Werfel. Gruppi paramilitari turchi hanno attaccato la zona popolata quasi esclusivamente dai discendenti di quegli armeni che sfuggirono all’orrore del genocidio del 1915.

Un sacerdote armeno, parroco in Kessab, attraverso la sua pagina Facebook ha postato oggi la notizia che due giorni fa, alle 6 del mattino, la città è stata bombardata da parte di gruppi paramilitari turchi e la popolazione del paese (1500 anime) è fuggita verso Latakia (a circa 60 km da Kessab). Mentre scriviamo Kessab è nelle mani delle milizie turche.

A quasi un secolo di distanza i turchi non perdono il vizio di considerare gli armeni il loro nemico principale e non hanno alcuna remora ad attaccare i pacifici residenti di questi villaggi di confine.

Le comunità armene di tutto il mondo si stanno muovendo per denunciare questa ennesima aggressione che risulta essere oltretutto alquanto pericolosa alla luce della grave situazione siriana.

L’abbattimento dell’aereo siriano avvenuto oggi può essere collegato a queste azioni turche di aggressione dal momento che, stando a fonti ufficiali, il velivolo dell’aviazione siriana si sarebbe spinto fino alla zona prossima al confine con la Turchia proprio per cercare di contrastare le attività paramilitari turche di infiltrazione nel territorio della Siria.

Il Consiglio per la comunità armena di Roma nell’esprimere la sua enorme preoccupazione per l’accaduto, vuole unirsi agli armeni di altri paesi denunciando con fermezza la politica turca di aggressione e chiedendo anche alla stampa italiana di dare risalto a quanto sta accadendo nella regione, al fine di scongiurare lo sterminio dell’inerme popolazione armena della zona”.

La Comunità armena statunitense si è rivolta al Segretario Generale dell’ONU, alla Casa Bianca e al Congresso USA affinché fermino questa aggressione.

http://www.lastampa.it/2014/03/24/blogs/san-pietro-e-dintorni/mussa-dagh-oggi-come-anni-fa-idyKztkf599OqVyxANbxgP/pagina.html


Il Patriarca armeno cattolico: i cristiani fuggiti da Kessab affrontano l'emergenza con spirito di comunione


Agenzia Fides 25/3/2014
“Le famiglie armene fuggite da Kessab sono più di trecento. Hanno trovato per ora riparo nella parrocchia armena ortodossa nella città di Latakia, a un'ora di auto da Kessab. Si sono accampati nella scuola e nei locali parrocchiali. Ma adesso temono che i ribelli attacchino anche Latakia, e molti si preparano a fuggire anche da lì”.
Così il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni descrive all'Agenzia Fides la condizione incerta in cui si trovano i cristiani costretti a lasciare la città, a maggioranza armena, occupata dalle milizie ribelli anti-Assad all'alba del 21 marzo. Il Patriarca Tarmouni, in costante contatto con il sacerdote Nareg Louissian e i suoi parrocchiani fuggiti da Kessab, fornisce a Fides dettagli precisi dell'assalto:
“I cristiani sono fuggiti all'alba, alcuni di loro in pigiama, senza poter portare nulla con sé, appena hanno sentito il rumore degli spari. I ribelli arrivavano dalle montagne al confine con la Turchia. Erano tanti e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si sono ritirate, così come i giovani armeni del Nashtag (un movimento nazionalista armeno di sinistra, ndr) che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese”.
Gli armeni di Kessab erano in gran parte agricoltori. Persone pacifiche. L'area rurale, finora non coinvolta dal conflitto siriano, occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: “Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi” spiega il Patriarca Nerses Bedros, “a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena della regione”. Secondo il Patriarca, anche le strategie militari delle formazioni anti-Assad rispondono, almeno in parte, a motivi di ordine simbolico: “Adesso i ribelli potrebbero puntare a Latakia, che non è grande come Damasco o Aleppo, ma rappresenta una roccaforte degli alawiti, la comunità religiosa a cui appartiene Assad e molti del suo gruppo di potere”.
Nell'affrontare insieme la situazione di emergenza, i cristiani armeni – spiega a Fides il Patriarca Tarmouni – stanno sperimentando lo spirito di comunione fraterna, al di là delle distinzioni confessionali: “domenica scorsa, armeni cattolici e ortodossi hanno celebrato messa insieme. Ho sentito il nostro parroco Nareg, e l'ho incoraggiato a stare vicino a tutti i fedeli, in questo momento difficile. Ho saputo che da Aleppo sono stati inviati a Latakia 3 sacerdoti armeni ortodossi, per offrire assistenza spirituale e materiale ai rifugiati”

http://www.fides.org/it/news/54861-ASIA_SIRIA_Il_Patriarca_armeno_cattolico_i_cristiani_fuggiti_da_Kessab_affrontano_l_emergenza_con_spirito_di_comunione#.UzF3OUZOXwp


Syrie : le village arménien de Kassab, victime "d’une épuration ethnique:

"Les rebelles n’ont pas besoin de passer par ce poste frontière pour faire venir des armes et des munitions, ils traversent facilement par les collines boisées du Djebel turkmène plus au sud, explique-t-il. La prise du poste frontière n’est qu’un prétexte, nous sommes face à une stratégie d’épuration ethnique à l’égard de la population arménienne de Kassab".

venerdì 7 febbraio 2014

Genocidio armeno e genocidio siriano

Quasi un secolo dopo il genocidio armeno, questo popolo è  ancora massacrato in Siria

E ora, quasi sotto silenzio nei media,
i loro luoghi sacri sono stati profanati



di Robert Fisk

Proprio oltre 30 anni fa, ho tirato fuori dal terreno le ossa e i crani delle vittime del genocidio armeno su una collina situata al di sopra del fiume Khabur, in Siria. Erano persone giovani – i denti non erano deteriorati – ed essi erano soltanto alcuni del milione e mezzo di armeni massacrati durante il primo Olocausto del ventesimo secolo, la distruzione di un popolo, deliberata, pianificata dai turchi Ottomani nel 1915.
Era difficile trovare queste ossa perché il fiume Khabur – a nord della città siriana di Deir ez-Zour – era cambiato. Erano così tanti i corpi ammucchiati nella sua corrente, che le acque andavano a est. Il fiume aveva alterato il suo corso. Però gli amici armeni che erano con me hanno presso i resti umani e li hanno sistemati nella cripta della grande chiesa armena di Deir ez Zour dedicata alla memoria di quegli armeni che erano stati uccisi – si vergogni lo stato turco “moderno” che nega ancora l’Olocausto – in quell’omicidio di massa su scala industriale.

E ora,  quasi non citati sui media, questi campi di uccisioni di massa sono diventati i campi delle uccisioni di massa di una nuova guerra. Sopra le ossa dei morti armeni si sta combattendo il conflitto siriano. E i sopravvissuti, discendenti dei cristiani armeni, che hanno trovato rifugio nelle vecchie terre siriane, sono stati costretti a fuggire di nuovo – in Libano, in Europa, in America. Proprio la chiesa dove le ossa degli armeni assassinati hanno trovato il loro presunto luogo finale di riposo, è stata danneggiata durante la nuova guerra, sebbene nessuno conosca i colpevoli di questa azione.

Ieri ho telefonato al Vescovo Armasi Nalbandian di Damasco che mi ha detto che, mentre la chiesa a Deir ez-Zour era davvero stata danneggiata, la cripta era rimasta intatta. La chiesa stessa, ha detto, era meno importante del ricordo del genocidio armeno – ed è questo ricordo che  potrebbe essere distrutto. Ha ragione. Ma la chiesa – un edificio non bellissimo, devo dire – è tuttavia un testimone, un monumento che ricorda l’Olocausto degli armeni, e ogni pezzetto è sacro quanto il monumento Yad Vashem alle vittime dell’Olocausto in Israele. E sebbene lo stato israeliano, con una infamia equivalente a quella dei turchi, sostenga che il genocidio armeno non è stato un genocidio, gli israeliani stessi usano la parola Shoah -Olocausto – per le uccisioni degli armeni.


Ad Aleppo, una chiesa armena è stata  danneggiata  dal Libero esercito siriano, i ribelli “buoni” che combattono il regime di Bashar al-Assad, finanziati e armati dagli americani e anche dagli arabi sunniti del Golfo. 

Però a Raqqa, la sola capitale regionale che è stata del tutto conquistata dall’opposizione in Siria, i combattenti Salafiti hanno distrutto la Chiesa cattolica dei Martiri e hanno incendiato i suoi arredi. 
E – Dio ci risparmi il pensiero – molte centinaia di combattenti turchi, discendenti degli stessi turchi che hanno tentato di distruggere la razza armena nel 1915, si sono ora uniti ai combattenti affiliati ad al-Qa’ida che hanno attaccato la chiesa armena. La croce in cima alla torre campanaria è stata distrutta per essere sostituita con la bandiera dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante.
E non è tutto. L’11 novembre, quando il mondo rendeva omaggio ai morti della Grande Guerra, che non aveva dato agli armeni lo stato che si meritavano, una bomba da mortaio è caduta fuori dalla Scuola Nazionale armena dei Sacri Traduttori, a Damasco,* e altre due sono cadute su degli scuolabus, provocando la morte di due scolari armeni: Hovahannes Atokanian e Vanessa Bedros. Il giorno dopo, i passeggeri armeni  di un autobus che viaggiava da Beirut ad Aleppo, sono stati derubati sotto la minaccia delle armi. Due giorni dopo, Kevork Bogasian è stato ucciso da una bomba di mortaio ad Aleppo. Il bilancio delle vittime  armene  in Siria è soltanto di 65, ma suppongo che potremmo calcolarlo in 1.500.065. Più di cento armeni sono stati rapiti. Gli armeni, naturalmente, come molti altri cristiani in Siria, non appoggiano la rivoluzione contro il regime di Assad, anche se  non potrebbero certo essere chiamati sostenitori di Assad.

Fra due anni commemoreranno il centesimo anniversario del loro Olocausto. Ho incontrato molti sopravvissuti, oramai tutti morti. Però lo stato turco, con il suo appoggio all’attuale rivoluzione in Siria, celebrerà la sua vittoria a Gallipoli in quello stesso anno (1915),  una battaglia eroica in cui Mustafa Kemal Ataturk ha salvato il suo paese dall’occupazione alleata. Anche gli armeni hanno combattuto in quella battaglia – con l’uniforme dell’esercito turco, naturalmente – ma scommetterò quanti dollari volete che nel 2015 essi non saranno ricordati dallo stato turco che doveva così presto distruggere le loro famiglie.
..........
*http://www.30giorni.it/articoli_id_426_l1.htm

http://znetitaly.altervista.org/art/13334
Originale: The Indipendent 
http://www.independent.co.uk/voices/comment/nearly-a-century-after-the-armenian-genocide-these-people-are-still-being-slaughtered-in-syria-8975976.html




Le vittime del genocidio armeno saranno canonizzate

Questa immagine, scattata da un giornalista tedesco e conservata
negli archivi del Vaticano,  documenta il massacro
delle donne cristiane armene nel deserto di Deir ez-Zor - Siria ,
il 24/04/1915 durante il genocidio da parte dei soldati turchi.

Agenzia Fides, 5/2/2014

 A quasi cent'anni dal genocidio armeno – perpetrato nei territori dell'attuale Turchia nel 1915 – la Chiesa armena apostolica conferma in maniera decisa e definitiva l'intenzione di procedere con sollecitudine alla canonizzazione per martirio delle vittime di quello che gli armeni chiamano “il Grande Male”.



I Leader cristiani siriani chiedono  agli USA di smettere il  supporto per i ribelli anti-Assad

Padre Michael Kayal, prelevato esattamente un anno fa dai ribelli dell' Esercito Siriano Libero , insieme a Padre Isaac, mentre viaggiavano  su un autobus


da: TIME Swampland
30 gennaio 2014


Le storie raccontate da cinque principali leader cristiani siriani sugli orrori  che le loro chiese stanno vivendo per mano di estremisti islamici sono bibliche nella loro brutalità.

Mons. Elias Toumeh, rappresentante del patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, racconta del funerale che ha celebrato dieci giorni fa per il corpo senza testa di uno dei suoi parrocchiani in Marmarita.  Il Rev. Adeeb Awad, vice moderatore del Sinodo Nazionale Evangelico della Siria e del Libano, spiega come i ribelli hanno fatto saltare la sua chiesa e poi puntato il dito contro il regime.  Mons. Armash Nalbandian, primate della Chiesa armena di Damasco, dice di aver ricevuto la comunicazione  su Facebook da un collega vescovo di Aleppo che due membri della congregazione erano in viaggio quando i combattenti dell'opposizione hanno fermato il loro bus, e quando hanno presentato la loro Carta d’Identità di armeni,  li hanno  portati via. I combattenti, racconta Nalbandian, hanno restituiti ai compagni di viaggio poche ore dopo con una scatola, che hanno detto che essere di dolci. Dentro c'erano le due teste degli armeni.

Le storie dei vescovi sono difficili da verificare in modo indipendente, e i morti della guerra vanno ben al di là delle sole  comunità cristiane in Siria: più di 130.000 persone sono state uccise dall'inizio dei combattimenti, e almeno due milioni di altre hanno lasciato il paese. Ma stanno emergendo come parte di una spinta concertata dai cristiani siriani per far giungere agli Stati Uniti la richiesta di fermare il loro sostegno ai gruppi ribelli che combattono il presidente siriano Bashar al Assad. "Gli Stati Uniti deve cambiare la loro politica e devono scegliere la via della diplomazia e del dialogo, non sostenere i ribelli e non  chiamarli  “combattenti per la libertà", dice Nalbandian.

Il gruppo è la prima delegazione del suo genere che visita Washington dall'inizio della crisi tre anni fa, e i suoi cinque membri rappresentano  diverse comunità cristiane del paese. Awad, Toumeh, e Nalbandian sono stati raggiunti dal Rev. Riad Jarjour, pastore presbiteriano da Homs, e il vescovo Dionisius Jean Kawak, metropolita della Chiesa ortodossa siriana. L'Istituto Westminster e Barnaba Aid, due gruppi che si concentrano sulla libertà religiosa e di soccorso per le comunità di fede minacciate,  hanno sponsorizzato il  loro viaggio.

Dato il  'maggiore sostegno degli Stati Uniti ai gruppi ribelli non-terroristici dovuto al  ricorso del regime di Assad ad armi chimiche’ , la missione dei leader religiosi è un colpo forte.  I vescovi chiedono agli Stati Uniti di esercitare pressioni su paesi come l'Arabia Saudita, Qatar e Turchia perchè smettano di sostenere e inviare  combattenti terroristi in Siria.


"Il vero problema è che l’ opposizione militare forte sul terreno è un'opposizione straniera," Awad spiega, sostenendo che il sostegno ai gruppi di opposizione da parte degli Stati Uniti significa  il supporto per i combattenti terroristi stranieri. "Sono quelli che uccidono e attaccano le chiese e il clero e le suore,  danno fiamme alle case e mangiano  fegati e i cuori degli uomini e tagliano le teste", dice Awad.

Le chiese cristiane siriane non  chiedono  sostegno a titolo definitivo  al regime di Assad. Così facendo, sarebbero ulteriormente in pericolo i loro seguaci e pregiudicata la componente morale della loro richiesta,  per via del  presunto uso da parte del regime di armi chimiche contro i civili.  Invece, si sono riuniti in privato con i legislatori, diplomatici e gruppi di esperti.
E’ stato difficile   guadagnare credito, se non altro per la ragione che il sostegno per i cristiani e le minoranze minacciate di estinzione può apparire come il supporto per Assad, e che un intero paese viene distrutto dalla guerra, non solo le comunità cristiane. Il presidente Obama ha solo brevemente accennato alla Siria nel suo discorso sullo Stato dell'Unione martedì. "In Siria, noi sosteniamo l'opposizione che rifiuta l'ordine del giorno delle reti terroristiche", ha detto. " La Diplomazia americana, sostenuta dalla minaccia dell’uso della forza, è il motivo per cui le armi chimiche della Siria sono stati eliminate, e continueremo a lavorare con la comunità internazionale per inaugurare il futuro che il popolo siriano merita, un futuro libero dalla dittatura, terrore e paura. "

Leader più recenti come Aderholt vedono che è tempo di prendere una posizione: "La maggior parte degli americani non si rende conto che i cristiani in tutto il Medio Oriente sono in grave pericolo e sono stati spesso costretti a lasciare i loro paesi di origine a causa di persecuzioni e minacce da musulmani radicalizzati," dice. "Se vogliamo che una vera democrazia emerga da questa regione, i cristiani e altre voci di minoranze religiose devono condividere il processo decisionale, e certamente non possono essere perseguitati e vivere nella paura per la propria vita a causa di elementi estremisti che si riversano in Siria."

Le storie dei vescovi sono simili ad altre cupe relazioni di violenza contro i cristiani durante la guerra. Le scuole cristiane a Damasco sono stati colpite da mortai nel mese di novembre. Il mese successivo, una dozzina di suore ortodosse greche sono state prelevate  dal monastero di Mar Takla in Maaloula. I gruppi ribelli hanno rapito due vescovi nei pressi di Aleppo lo scorso aprile. Il sacerdote gesuita Paolo Dall'Oglio, di cui TIME ha scritto nel 2012, quando ha visitato gli Stati Uniti per un viaggio di supporto, è stato prelevato e da luglio lo si teme morto .

http://swampland.time.com/2014/01/30/syrian-christian-leaders-call-on-us-to-end-support-for-anti-assad-rebels/



E nel frattempo....  Il Senatore John McCain si scaglia contro i leader cristiani siriani.
Continuando a ignorare la presenza di al-Qaeda, al-Nusra, ISIS e i Fratelli musulmani fra l’opposizione in Siria, l'ex-candidato alla presidenza degli Stati Uniti John McCain si scaglia contro chiunque denunci questa mostruosa realtà:

venerdì 24 gennaio 2014

La croce: segno di condanna per i cristiani siriani
























25 gennaio- conversione di San Paolo sulla via di Damasco

Il segno della croce e’ stato sempre presente nella vita dei cristiani del Medio Oriente in particolare in Siria; e’ presente ovunque nei nostri quartieri; sopra i campanili  delle nostre chiese; nelle classi  delle nostre scuole parrocchiali; all’entrata delle case; ed in special modo al collo dei nostri fedeli.
I nostri parenti ci insegnavano sempre di non uscire dalla casa prima di aver fatto il segno della croce, e questa bella abitudine si è  conservata fino ad oggi.
La croce e’ il  fondamento della vita cristiana, anzi uno stile da vivere e da testimoniare ogni giorno alle altre confessioni in cui ci viviamo.
Essere cristiano vuol dire essere un progetto vivo di testimonianza ed anche in questi giorni neri nella vita dei siriani cristiani , mi dispiace dirlo, è un progetto odierno di martirio per il cristianesimo.

Vi racconto la triste storia vera del ragazzo cristiano Fadi Matanius Mattah (34 anni) che è stato proprio decapitato quando i jihadisti hanno visto che portava la croce al collo.
L’episodio è avvenuto l’8 gennaio scorso. I due, Firas Nader (29 anni) e Fadi Matanius Mattah (34 anni), stavano recandosi in automobile da Homs al villaggio cristiano di Marmarita. Un gruppo di cinque jihadisti armati ha intercettato il mezzo e ha aperto il fuoco sulla vettura. Raggiunta l’auto, i miliziani, notando che Fadi portava una croce al collo, lo hanno decapitato, piantando la croce nel suo petto. Hanno poi preso denaro e documenti, lasciando Firas per terra ferito, credendo fosse già morto. Firas, testimone oculare di quanto avvenuto, è invece riuscito a mettersi in salvo, raggiungendo a piedi la cittadina di Almshtaeih ed è stato poi trasferito all’ospedale di Tartous. Alcuni fedeli sono riusciti a recuperare il corpo di Fadi, portandolo a Marmarita, dove la comunità cristiana locale, nel lutto e nel dolore, ha espresso forte sdegno per l’orribile atto.”

Ecco: tutti sappiamo bene che il cristianesimo è fondato sull’amore dato gratis a noi nella persona di Gesù e la croce è il segno vivo del cristianesimo. I nostri concittadini siriani musulmani sanno bene questa realtà.
Proprio davanti alla croce c’è l’incontro inseparabile tra l’amore ed il dolore: è una scelta definitiva nella vita dei cristiani siriani in questi giorni; perchè rischiano la propria vita.
Non è nella cultura dei siriani veri di commettere questi atti brutali; il siriano non uccide  il suo fratello siriano e questo è il bello della Siria; anche se noi  siamo di diverse confessioni ci vogliamo bene.

 La gente che ha ammazzato Fadi sono stranieri; non sono della nostra cultura siriana!
Che cosa possiamo dire alla madre di Fadi,  davanti a questo atto barbarico che hanno commesso questi jihadisti?  ecco mi vengono in mente le parole indirizzate ai Romani del grande apostolo delle genti  San Paolo, cittadino siriano onorario, che dice: "chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? ” (Romani 8,35).
Gesù stesso disse a noi nel vangelo di Giovanni: “non vi scandalizzate; viene l’ora che chiunque vi uccide credera’ di rendere culto a Dio. e faranno questo perchè non hanno conosciuto nè il Padre nè me”. (Giovanni 16,1-2).
Ed ecco l’ora e’ gia’ presente; i cristiani siriani ogni giorno sono come le pecore portate al sacrificio per il nome di Gesu’.
Infine: questa nube nera che copre il cielo della Siria si sta allontanando  dal cielo blu della Siria con le preghiere  continue del Santo Padre e di tutta la comunita’ universale, e grazie agli sforzi internazionali per la pace in tutto il mondo.
Tutto il mondo sta pregando per l’amata Siria; e prima o poi  sara’ una voce di pace dall’alto che risuona gia’ nella coscienza di tutti gli uomini di buona volontà: “lasciate la Siria in pace”.

Concludo con la preghiera dal libro delle lamentazioni di Gregorio di Narek (951-1003), monaco e teologo armeno, intitolata “ Il suo sguardo mi salva”

Il tuo sguardo mi salva:


 “Fissa il tuo sguardo su di me,
 o Compassionevole,
 come un tempo su Pietro
 allorché ti rinnegò,
 perché sono del tutto annientato.

 Irradia su di me
 il raggio della tua misericordia,
 tu che sei tutto bontà,
 affinché, ricevuta la tua benedizione,
 Signore,
 io sia giustificato,
 io viva,
 e divenga puro dai miei errori
 che non sono le tue opere
 e che mi torturano.

Non ho l'audacia di tendere verso di te
 la mia mano colpevole,
 fino a che tu avvicini
 la tua destra benedetta,
 per rinnovarmi, io condannato.

Trionfa dunque ancora una volta
 della mia testardaggine
 grazie alla tua dolcezza
 venendo in mio soccorso,
 nella tua benignità.

E per la tua onnipotenza
 rimetti la somma totale dei miei peccati:
 i miei primi errori, con quelli
 della media età
 e quelli della fine della vita.
 O Cristo,
 ingegnoso nel realizzare l'impossibile,
 o Re, Luce dei giusti.!


La partecipazione del Pontificio Collegio Armeno di Roma alla Settimana di Preghiera per l’unita’ dei Cristiani.


Come tutti i riti orientali cattolici, anche noi abbiamo partecipato a questo evento celebrando la santa messa cantata in rito armeno nella chiesa di Santa Maria in via Lata, mercoledi 22-01-2014.
La Santa Messa e’ stata presieduta dal Rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, Mons. Kevork Noradungian.
I canti sono stati eseguiti dal Coro di N. S. di Narek composto dai seminaristi del collegio armeno e dai membri laici del coro.
Nella sua omelia Mons. Kevork ha spiegato  :
Come ogni anno siamo riuniti per pregare per l’unita’ dei Cristiani, anzichè per l’unità delle chiese; perche’ i cristiani sono uniti nella persona unica di Gesu’, ma le  chiese sono diverse,
a- nell’interpretazione della fede, e questa va superata per arrivare all’unità della fede,
b-  si differenziano per i riti e liturgie, ciò che va conservato e non è argomento di discordia e di divisione. 
Anzitutto , si deve ritornare alle radici del vangelo; seguendo proprio la via dei discepoli di Gesù 'come abbiamo udito e visto questo trasmettiamo a voi', cioe’ cercare la persona di Gesù; vivere la fede trasmessa a noi anzichè cercare la diversita’ dei riti.
Secondo: ha presentato l’ecumenismo del martirio, cominciando dal primo martire nella chiesa Santo Stefano arrivando ai martiri della Siria, del sangue che si versa ogni giorno nella terra di Siria: i cristiani siriani sono il nuovo modello dell’ecumenismo del martirio.
E ha proseguito ricordando anche i due preti, i due vescovi e le suore di Maalula: tutti loro rapiti in Siria e fino ad oggi nessuna liberazione.


Mons. Noradungian si è posto la domanda: possiamo ancora permetterci il lusso di nutrire  le nostre paure dell’ "altro, diverso” da noi quando i semplici fedeli nelle loro differenze di rito ci hanno anticipato in cielo versando il loro sangue per testimoniare la loro ferma fede in Gesù Cristo Salvatore?
Terzo: ha sottolineato i punti importanti che ci uniscono nelle diverse chiese; la persona di Gesù come centro per il dialogo e per l’unita’; la fede trasmessa a noi dai discepoli ed il martirio e la vita esemplare dei santi.
Infine, abbiamo alzato una preghiera speciale per la pace in Siria ed abbiamo pregato anche per la conferenza sulla Siria di Ginevra2: affinche’ il Signore Gesu’ illumini la mente e lo spirito dei capi del mondo per arrivare a una uscita di pace per la Siria.

Padre KARNIK YOUSSEF

lunedì 6 gennaio 2014

L' Epifania - il Natale armeno


Le feste di Natale durano abbastanza a lungo nella vita della chiesa armena a motivo dei diversi calendari liturgici ;  il mondo latino festeggia la solennità dell’Epifania, mentre la chiesa armena celebra il Natale e la Epifania, che sono per noi una sola festività.
Quindi il Natale ed il Battesimo di Gesù sono festeggiati in un’unica festa, ma gli Armeno-cattolici celebrano il Natale il 25 dicembre, come i cattolici e gli ortodossi che seguono il calendario gregoriano.
Dopo la santa messa cantata che dura quasi due ore si comincia la seconda parte della cerimonia; si celebra  la Solenne benedizione delle Acque, durante la quale si rivive il Battesimo di Gesù nelle acque del fiume Giordano. Si leggono le profezie, le litanie, un’Epiclesi e i tropari in cui si sottolinea la discesa del Signore e l’azione compiuta da San Giovanni Battista, anello di congiunzione tra l’Antico ed il Nuovo Testamento.
 Momento emozionante è anche  quando si canta l’inno secondo il VII tono del calendario armeno:
<< Luce da Luce, dal Padre fosti inviato e Ti incarnasti dalla Santa Vergine per rinnovare l’Adamo corrotto. Tu, Iddio, apparisti sulla terra, camminasti con l’uomo e salvasti l’universo dalla maledizione d’Adamo>>. Si versano alcune gocce del Santo Crisma nell’acqua, e si immerge la Croce; durante questi gesti  canta il vescovo- celebrante e tutto il coro questo canto ed anche il celebrante ed il Padrino immergono nell’acqua santa il crocifisso: <<Sia benedetta e santificata quest’acqua col segno della Santa Croce e del Santo Vangelo e del Santo crisma e della grazia di questo giorno, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen. Alleluia, Alleluia, Alleluia.>>
E’ una tradizione nella chiesa armena di avere un Padrino del Battesimo del Signore; e di solito si sceglie un ragazzo giovane di 12 anni, che sia maschio ed abbia fatto la prima comunione e cosi lui rappresenta tutta la comunita’ . Dopo la cerimonia si passa nella sala della parrocchia, dove vengono i fedeli a baciare la croce battezzata e si distribuisce l’acqua santa che si porta a casa per la benedizione per l’inizio dell’anno nuovo.
L’Epifania è veramente un giorno pieno di luce. Così come il Battesimo è una festa di luce nella Chiesa armena.
 Per i nostri fedeli armeni siriani da quasi tre anni è una festivita’ di speranza e di continue preghiere per la pace cosi tanta assente in questa terra benedetta -la Siria; che era e rimarrà con l’aiuto del Signore il centro della Pace in medio oriente.
I nostri fedeli armeni siriani hanno  fiducia nel Signore della Pace che il giorno della Pace si  avvicini e tornera’ la grande madre Siria come era terra di Pace; terra dei profeti ed innanzitutto modello di convivenza tra tante confessioni; questa e’ la Siria; terra aperta per tutti.
Infine, chiedo a voi tutti di continuare anzi di non smettere di pregare per la Pace in Siria; perchè da lontano come i Magi vediamo gia’ la scintilla della Pace.
La Pace del Signore vi accompagni e vi assista nel continuare il vostro lavoro per le bene delle anime.

Vi auguro Santo e buon Natale Armeno.
P.  Karnik Youssef     




mercoledì 24 aprile 2013

Nella memoria del Genocidio Armeno

Il 24 aprile è per il popolo armeno il giorno della Memoria del Genocidio subito da questo popolo, legato a due eventi distinti (uno nel 1894-1896, e uno nel 1915-1916) ma legati fra loro, che insieme videro lo sterminio di più di un milione di persone.
Ma la memoria - che rimane viva nel cuore degli armeni e degli uomini di buona volontà - in questo caso come in molti altri del genere sembra non aver lasciato alcuna traccia nel cuore del mondo, né aver insegnato nulla, visto che a distanza di 98 anni dal secondo evento di questo genocidio, la storia si ripete in tutta la sua crudezza e tragicità come riporta su Libero il giornalista Leonardo Piccini in un interessante articolo-intervista a Monsignor Georges Yeghiayan, vicario del Patriarca di Cilicia, che riproponiamo parzialmente in questo post, essendo peraltro l'articolo reperibile su internet per intero. (qui)

Leonardo Piccini
«Un nuovo genocidio armeno nella Siria degli anti Assad»

(...)
Che rapporti avete con la Chiesa Cattolica?
«Noi armeni siamo molto attaccati alla Chiesa di Roma, che protesse e difese la nostra identità nazionale e culturale con due grandi Papi del passato: papa Benedetto XIV e papa Benedetto XV. L’Armenia istituì una propria Chiesa indipendente. Noi abbiamo una lunga tradizione di lotta e di indipendenza: dal 451 d.C. nella prima battaglia contro i Persiani ad oggi, la nostra storia è fatta di battaglie per la Religione e per la Patria. Non siamo mai stati sconfitti. Da questo senso comune di appartenenza discende la nostra speranza per la nostra sopravvivenza e per un futuro migliore».

La Siria vista da qui è molto vicina: dopo due anni di guerra quale è il bilancio per la comunità armena siriana?
«Lo dico chiaro e forte perché tutti gli italiani sappiano: assistiamo, ancora una volta nel silenzio totale e complice dell’Occidente, alla distruzione della comunità armena, e questa volta in Siria. Un eccidio che avviene proprio in questo momento e che oggi minaccia anche la comunità cattolica. So che forse, non è politicamente corretto, ma tanto gli armeni quanto i cattolici sono sempre stati rispettati e difesi da Assad, perché considerati cittadini leali, intraprendenti e fedeli. Oggi, questa ribellione armata che è capeggiata da Paesi come l’ Arabia Saudita e la Turchia, mette in serio pericolo la sopravvivenza stessa degli armeni e dei cattolici. 

A Deir el Zor, una città simbolo per gli armeni, perché qui vennero deportati dai turchi migliaia di nostri fedeli, gli insorti anti Assad hanno distrutto a colpi di razzo il convento e dato alle fiamme il mausoleo che ricordava il nostro olocausto. 
In Siria abbiamo informazioni dettagliate di linciaggi di armeni e cristiani, e della distruzione sistematica di molte chiese. È una tragedia terribile: chiedo a papa Francesco di alzare alta la voce contro queste uccisioni di massa, perché la pace si fonda solo sulla giustizia dei popoli».

                                                                   
Proponiamo alcuni video:
The Armenian Genocide

Truth about Armenian Genocide

PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
Memoriale di Tzitzernakaberd
Yerevan, 26 settembre 2001
  • O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
    Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,

    l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,
    il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,
    come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.
    Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma,
    che riecheggia la supplica del suo Predecessore, il Papa Benedetto XV,
    quando nel 1915 alzò la voce in difesa
    "del popolo armeno gravemente afflitto,
    condotto alla soglia dell’annientamento".

    Guarda al popolo di questa terra,
    che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,
    che è passato attraverso la grande tribolazione
    e mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.
    Asciuga ogni lacrima dai suoi occhi
    e fa' che la sua agonia nel ventesimo secolo
    lasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre.

    Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,
    ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora
    conoscere aberrazioni tanto disumane.
    Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,
    imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,
    e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.
    La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,
    mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,
    la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,
    la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più.

    O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!