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mercoledì 10 febbraio 2016

Le giravolte della Merkel e la guerra siriana e irachena


Piccole Note, 9 febbraio '16

In un articolo di oggi, la Repubblica riporta la notizia, ripresa da un’agenzia di stampa curda, che in questi giorni in Iraq l’Isis ha giustiziato trecento innocenti. «Hanno sentito avvicinarsi l’attacco delle truppe governative e i bombardamenti della coalizione a guida Usa e hanno reagito nel modo più sanguinoso», ha commentato Giampaolo Cadalanu nel suo scritto.
Riportiamo questa notizia come corollario alla nota riguardante l’indignazione di Angela Merkel riguardo i raid russi in Siria. Un po’ di indignazione per quanto fa l’Isis alle popolazioni che ha schiavizzato sarebbe quantomeno equa… ma tant’é, ne abbiamo già accennato in una Nota.

La vendetta  dell’Isis colpisce anche ad Aleppo, dove i miliziani del terrore stanno bombardando in maniera più assidua i quartieri sotto il controllo del governo, come riporta in una sua commovente missiva padre Ibrahim Alsabaghalla quale rimandiamo (inutile aggiungere parole).

Si può notare che anche in Iraq, come spiega l’articolo di Repubblica, si bombarda, e anche qui la gente fugge dalle bombe, ma in questo Paese le bombe sono della Nato e forse per questo non fanno indignare nessuno.
  Al momento l’ondata di profughi iracheni è meno consistente (e inesistente sui media per i quali sembrano importanti solo i profughi siriani), anche perché i combattimenti vanno a ralenti, ché sembra che detta coalizione non abbia alcuna fretta di liberare il Paese dal cancro del terrorismo (si attende l’evoluzione della vicenda siriana, il vero nodo della vicenda).
  Si fa notare, inoltre, che anche tra le milizie che imperversano in Iraq, tantissimi, molto più che in Siria dove incarognisce la legione straniera tirata su da turchi e sauditi, sono iracheni (ex componenti del partito Baath di Saddam).
Solo che in Siria per questo motivo vengono chiamati ribelli, in Iraq, a quanto pare, ci sono solo terroristi… bizzarrie del linguaggio…
Invece la categoria dei ribelli siriani è alquanto elastica. Abbraccia gruppi di jihadisti provenienti da mezzo mondo. E molto aperta, dal momento che miliziani di una formazione passano all’altra con facilità. Se serve propalare il terrore diventano dell’Isis, quando devono trattare passano a milizie più moderate. Come frequenti sono i passaggi di armi dall’una all’altra, come dimostrano i moderni equipaggiamenti che hanno in dotazione tutti indistintamente.
  I “ribelli” siriani in realtà sono davvero pochini, basta considerare ad esempio che, per ammissione degli stessi Stati Uniti d’America, l’ultima leva è andata malino: dei 1500 ribelli siriani previsti ne hanno tirati su solo 54, quasi tutti poi uccisi nella loro prima missione dai miliziani di al Nusra, formazione legata ad al Qaeda e, dicono anche i media mainstream quando se ne ricordano, ad Ankara.
Già, Ankara. Da tempo martella senza tregua i villaggi curdi in Siria e Iraq. Bombardamenti indiscriminati, che la Turchia propaganda come eliminazione di pericolosi terroristi. Domenica scorsa, ad esempio, hanno bombardato il villaggio di Cizre, uccidendo sessanta civili, come denuncia il blog dell’Ufficio informazioni del Kurdistan in Italia (secondo loro anche usando armi chimiche, come dimostrerebbero le foto pubblicate; chi ha cuore forte, può vedere sul loro sito).
Solo uno dei tanti bombardamenti sui civili ad opera di Ankara. Tanto che monsignor Rabban al-Qas, vescovo caldeo di Amadiya nel nord Kurdistan, ha commentato alcuni di tali raid con queste parole: «Bisogna avere il coraggio di dirlo: questo è terrorismo bello e buono!».

Ma al di là dell’indignazione della Merkel, che paga così il suo tributo al Califfo di Ankara per trattenere nei suoi confini i milioni di profughi destinati al Vecchio Continente, val la pena accennare alle incognite future.
La vicenda dei profughi, che resta una tragedia, viene usata come una clava contro i russi, nel tentativo di frenarne la campagna militare, la quale, con Aleppo ormai  praticamente accerchiata, tra poco sarà a un punto di svolta. Tante però le incognite, non solo quelle legate alle mene di sauditi e turchi per entrare direttamente in guerra (con possibile allargamento del conflitto alla Nato).
Anzitutto il problema dei profughi, che andrà aumentando con l’avanzata di russi e siriani. Più volte  gli americani e la Ue hanno chiesto alla Turchia di serrare le frontiere per chiudere i rifornimenti all’Isis.  Richiesta non accolta: troppo ampio il confine. Invece in questi giorni le ha chiuse ai profughi in fuga dai villaggi vicini ad Aleppo. E ha annunciato che creerà un campo di accoglienza alla frontiera, un modo come un altro per alimentare l’emergenza a fini anti-russi e mettere un piede in terra siriana.

  C’è il rischio che usi di questo stratagemma per creare un corridoio “umanitario” in territorio siriano per portare aiuto agli jihadisti asserragliati dentro Aleppo. Con rischi di escalation. 
D’altra parte Damasco e i suoi alleati hanno fretta di chiudere la partita, per tornare a sedersi sul tavolo dei negoziati con Aleppo ormai liberata (o conquistata secondo il punto di vista del mainstream, che annovera gli jihadisti tra i campioni della democrazia). Una fretta, però, che non giova a condurre una campagna militare cittadina, dove l’alta densità abitativa rende i civili più a rischio che altrove.
   Gli jihadisti potrebbero profittarne per tentare di aumentare al massimo le vittime civili, usando anche delle consuete strategie stragiste atte a incolpare gli avversari. Per mettere in seria difficoltà il nemico e macchiare di orrori indicibili, e per sempre, questa campagna militare.

Servirebbe una trattativa seria. Ma l’indignazione unilaterale della Merkel rischia di complicarla. Di fatto è una presa di posizione a favore di quanti hanno armato e finanziato le Agenzie del terrore, turchi e sauditi in testa, che, forti di tali appoggi, non hanno alcuna intenzione di abbandonare i propri pupilli (cosa che metterebbe subito fine al conflitto).
Non resta che sperare nella consueta ambiguità dell’Angela teutonica, usa a giravolte politiche e diplomatiche (come successo per i rifugiati, ai quali prima ha spalancato le porte e ora cerca finestre dalle quali buttarli di sotto).
http://piccolenote.ilgiornale.it/27094/le-giravolte-della-merkel-e-la-guerra-siriana-e-irachena

Vicario apostolico di Aleppo: I siriani non vogliono più la guerra, sono gli stranieri a fomentarla


AsiaNews, 10 febbraio '16

L’esercito regolare siriano, con la collaborazione dei russi, "ha iniziato la campagna di liberazione della regione di Aleppo. Fra i civili in fuga, vi sono anche combattenti del fronte dei ribelli con le loro famiglie, la gente ha paura. Ma l’obiettivo dei militari è ripulire il territorio e far rientrare i civili; e in alcune aree questo è già successo”. È quanto riferisce ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, raccontando gli ultimi sviluppi della guerra nella “capitale del nord” della Siria. “L’obiettivo è liberare la zona dai miliziani estremisti - spiega il prelato - e permettere alle persone di rientrare nelle loro case. In alcune aree hanno riaperto le scuole ed è tornata parte della fornitura di luce e acqua”. 
Secondo fonti Onu l’assedio dell’esercito ad Aleppo, un tempo hub commerciale e industriale della Siria, potrebbe privare fino a 300mila persone degli aiuti. Dal 2012 la città è divisa in due, con la zona ovest sotto il controllo di Damasco e il settore orientale ai ribelli. Le Nazioni Unite chiedono alla Turchia di aprire i confini e consentire l’ingresso di 30mila rifugiati, accampati alla frontiera. 
In una situazione di tensione, mons. Georges Abou Khazen intravede spiragli positivi: “Molti dei combattenti locali, dei guerriglieri siriani, chiedono di mettere fine alla guerra, vogliono anch’essi la riconciliazione e il dialogo con esercito e governo. Dove invece - aggiunge - vi è una prevalenza di miliziani stranieri e jihadisti, legati a potenze straniere della regione e fuori dalla regione, vincono le armi. È un dato di fatto che i locali vogliano trovare una via per il dialogo, cercando di evitare altre battaglie sanguinose per città e villaggi”. 
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http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-I-siriani-non-vogliono-pi%C3%B9-la-guerra,-sono-gli-stranieri-a-fomentarla-36646.html

martedì 9 febbraio 2016

Mercoledì delle ceneri, 10 febbraio, giornata mondiale di preghiera e digiuno per la Pace in Siria e in Iraq

«Pregate e digiunate affinché il Signore abbia misericordia di noi».



Aiuto alla Chiesa che Soffre promuove una giornata mondiale di preghiera e digiuno per la Pace in Siria e in Iraq, invitando tutti i cristiani del mondo ad aderire all’iniziativa che porta il titolo: 
«Porterai la loro Croce per un giorno? Nel mercoledì delle ceneri prega e digiuna per Iraq e Siria»
È possibile prendere parte alla campagna anche attraverso i social network, utilizzando gli hashtag #fastandpray #carrythecross e #AshWednesday.
imposizione delle Ceneri lunedì 8- 02-2016 ad Aleppo


«Da cinque anni ormai continuiamo a camminare nel deserto – scrive il patriarca Gregorios III – ed il vostro costante aiuto è stato per noi come la manna che il Signore ha fatto scendere dal cielo per gli Israeliti». Il patriarca pone l’accento sulla drammatica situazione in cui versano la sua comunità e l’intero popolo siriano. «Assistiamo alle atroci sofferenze dei bambini, all’agonia dei loro genitori e siamo costantemente circondati dall’odio e dalla morte. L’unico nostro desiderio è di tornare a vivere in pace».
mercolediceneriIl prelato siriano chiede a tutti i cristiani del mondo di pregare e digiunare per aiutare i loro fratelli nella fede mediorientali. «In questa Quaresima, portate la nostra Croce come Simone di Cirene ha fatto con Gesù».
Un appello cui si unisce il patriarca Sako, denunciando la sofferenza della sua comunità. «Chi poteva lasciare l’Iraq lo ha già fatto. Milioni di bambini nei campi profughi hanno fame, ma hanno soprattutto sete di futuro: vogliono una scuola ed una casa. Avete fatto tanto per noi, ora vi chiedo: pregate e digiunate perché possiamo rimanere nella nostra amata patria e perché chi l’ha già lasciata possa farvi ritorno. Così che in questa Pasqua, nella terra di Abramo, i cristiani possano finalmente, risorgere dalle ceneri».

Signore e Sovrano della mia vita, non darmi uno spirito di ozio, di curiosità, di superbia e di loquacità.
Concedi invece al tuo servo uno spirito di saggezza, di umiltà, di pazienza e di amore.
Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare il mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amin.
O Dio, sii propizio a me peccatore e abbi pietà di me.
Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare il mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amin.

domenica 7 febbraio 2016

Angelus papa Francesco domenica 7 febbraio: " Ora tutti insieme preghiamo a Maria per l'amata Siria"




"Con viva preoccupazione seguo la drammatica sorte delle popolazioni civili coinvolte nei violenti combattimenti nell'amata Siria e costrette ad abbandonare tutto per sfuggire agli orrori della guerra. Auspico che, con generosa solidarietà, si presti l’aiuto necessario per assicurare loro sopravvivenza e dignità, mentre faccio appello alla Comunità internazionale affinché non risparmi alcuno sforzo per portare con urgenza al tavolo del negoziato le parti in causa. 
Solo una soluzione politica del conflitto sarà capace di garantire un futuro di riconciliazione e di pace a quel caro e martoriato Paese, per il quale vi invito a pregare molto, anche adesso.
 Ora tutti insieme preghiamo a Maria per l'amata Siria (Ave Maria)."


 











Mentre l'esercito siriano avanza e libera  territori ai sobborghi  di Aleppo per raggiungere i confini turchi, i distretti cristiani di Aleppo ricevono una pioggia di proiettili lanciati dalle bande armate che fanno grande distruzione e vittime innocenti.



giovedì 4 febbraio 2016

#syriaconference e la risposta alla speranza del popolo siriano : la voce delle Monache Trappiste in Siria

La guerra in Siria e la tragedia delle sanzioni


Piccole Note, 3  febbraio 2016

Da Tibhirine ad Azeir. Questo l’itinerario spirituale che ha portato alcune suore trappiste in Siria, come lo racconta suor Marta, la superiora del monastero Vergine Fonte della Pace di Azeir. Ce lo racconta in una sua breve visita romana, durante la quale la incontriamo – al Santuario delle Tre Fontane – per avere notizie su quella tragedia siriana nella quale lei e le sue sorelle sono coinvolte da ormai cinque anni.

Quando avvenne il massacro dei monaci trappisti in Algeria, un eccidio controverso, attribuito gli islamisti ma sul quale si deve ancora fare luce, l’ordine cistercense si fece interpellare dall’accaduto. Fu allora che diversi fratelli e sorelle si offrirono per seguirne le orme, chiedendo di andare in Algeria. Non una sfida da raccogliere, come racconta oggi suor Marta, o una bandiera da rialzare dopo esser stata ammainata da feroci assassini. Semplicemente si trattava di seguire un itinerario cristiano avvincente che aveva fatto breccia nei cuori di tanti monaci e monache: quello di costituire una presenza cristiana nel mondo arabo, minoritaria e aperta al dialogo.

Una presenza di preghiera, ché questa è la caratteristica dei “trappisti”, abitata dalla speranza e dalla carità cristiana verso tutti. Ma le condizioni non erano favorevoli per l’Algeria, così, dopo aver scartato altre opzioni, alcune di quelle suore approdarono in Siria, in un paesino a due passi dalla frontiera con il Libano.
«Quando siamo arrivate, dieci anni fa», spiega suor Marta, «era tutto diverso: la convivenza tra islamici e cristiani era normale, un qualcosa di quotidiano che passava dalle minime cose piuttosto che un astratto dialogo culturale. Certo, il regime aveva le sue rigidità e i suoi limiti, ma grazie ad esso era possibile tale convivenza tra diversi e si viveva tranquillamente.
Si poteva ad esempio girare a qualsiasi ora senza nessun timore. C’era un profondo rispetto, aiuto reciproco, fondato sul fatto che si era tutti davanti a Dio nonostante le diversità del proprio credo. Ricordo che quando giravo per strada, per andare a fare la spesa o altro, gli autobus si fermavano a tirarti su anche al di fuori delle fermate ordinarie. Insistevano, dovevi salire per forza: “Per una benedizione”».
Un piccolo ricordo tra i tanti, che fa intravedere una stagione altra, ormai passata. Perché poi tutto è precipitato.

«Sulla Siria si è abbattuta questa immane tragedia», riprende suor Marta, «che ha fatto scorrere moltissimo sangue e che ci ha fatto scoprire un mondo nuovo, quello della disinformazione. Quando leggevo i giornali o vedevo in Tv i servizi dei media occidentali su quanto avveniva in Siria mi sentivo impotente: tutto veniva manipolato! La foto di una manifestazione pro-Assad veniva presentata come una contestazione del regime, le stragi chimiche fatte dai ribelli come eccidi delle forze governative… che, certo, avevano le loro responsabilità, ma in tutt’altra prospettiva di quella raccontata dai media.. se non fossi stata qui, non avessi visto e ascoltato da così vicino, non avrei mai immaginato si potesse arrivare a tanto».

Azeir e il suo circondario non hanno subito gli orrori del conflitto, se non in alcune circostanze e in piccola parte.
Nondimeno le strette di quanto sta avvenendo nel resto del Paese si sentono. «Non sappiamo come e quando finirà questa guerra. Quel che è certo è che la comunità internazionale non sta aiutando, anzi. Se all’inizio c’erano davvero alcuni ribelli siriani, da subito nella guerra ad Assad si sono infiltrate le  milizie straniere che hanno portato il terrore. Provengono da moltissime nazioni, cosa che ripetono le autorità e che colpisce la gente comune: hanno la consapevolezza di trovarsi nell’epicentro di una sorta di guerra mondiale, e che stanno resistendo a una pressione che proviene da mezzo mondo. “Più di centosettantasei Paesi contro di noi”, ripetono. Un’esagerazione, forse, ma non troppo».

Non che non ci sia un’opposizione siriana tra i tanti movimenti armati che circolano nel Paese, aggiunge suor Marta, ma i moderati ormai sono una presenza residuale. E la gente percepisce Assad come l’unica alternativa al caos e alla dissoluzione violenta della Siria. «Assad è un freno oggettivo al dilagare del terrore, questo è il sentimento comune basato su un fatto semplice: il Paese è talmente pieno di armi e mercenari, che un vuoto di potere di mezz’ora comporterebbe stragi e faide a non finire», spiega suor Marta.

«In questi anni si sono fatti alcuni tentativi di riconciliazione sponsorizzati dalla comunità internazionale. – aggiunge – Però sono state cose calate dall’alto: i cittadini siriani non avevano alcuna fiducia nelle figure che gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali immaginavano come nuovi dirigenti del Paese: è gente che vive all’estero, dicevano tutti, mentre qui ci ammazzano. “Fantocci”, era il termine con il quale venivano indicati. Oggi c’è una nuova possibilità, ci sono nuovi negoziati… preghiamo, speriamo, che altro possiamo fare?».

Già, la speranza. Nel luglio scorso, il suo monastero si era fatto portatore di un appello accorato perché fossero abrogate le sanzioni contro la Siria. Una esile voce ripresa, alcuni giorni fa dall’Avvenire, ovviamente senza alcun seguito. «Le sanzioni non servono a niente. Anzi. Il governo di Damasco non ne ha alcun danno, mentre stanno fiaccando la povera gente.
L’Occidente si commuove per la sorte dei profughi siriani o quando vede immagini di siriani denutriti a causa dell’assedio di alcune località, ed è giusto. 
Eppure nessuno parla del fatto che tutti i siriani si trovano da cinque anni sotto assedio da parte della comunità internazionale a causa delle sanzioni: soffrono la fame, la malattia a causa di queste. Gli adulti e i bambini muoiono per mancanza di medicine… che civiltà è quella che fa questo?».

«La speranza non si uccide solo con il fucile, ma anche con le sanzioni», continua suor Marta. «La nostra gente non solo è stata privata dei propri beni; non solo ha visto uccidere familiari e amici, ma viene depredata anche del suo futuro. Le sanzioni hanno spinto alle stelle i prezzi di tutti i beni. Senza energia, senza combustibile, privati del necessario, per la gente è impossibile intraprendere una qualsiasi attività lavorativa, tentare una pur piccola ripresa. 
E va tenuto presente che, ad aggravare la situazione, ci sono i tanti rifugiati che hanno trovato riparo all’interno del Paese: persone che hanno perso tutto e non possono far nulla per ricominciare».

«Le sanzioni non colpiscono chi è al potere», conclude suor Marta, «ma stanno abbattendo un intero popolo. O forse si vuole proprio questo: creare disperazione tra la gente per fiaccarne la resistenza e costringerla ad accettare un cambio di regime imposto dall’esterno, senza rispettare l’autodeterminazione, uno dei pilastri della democrazia».