Traduci

martedì 20 febbraio 2024

Ricordi: Latakia 1981


 Una pagina del mio diario scritta quando in Siria era in atto la sedizione dei Fratelli Musulmani, ovvero l’intento imperiale della sporca guerra per procura che, purtroppo, si sarebbe concretizzata pienamente a partire dal 2011.

di Maria Antonietta Carta

Sono le due o le tre dopo la mezzanotte. In soggiorno regna un silenzio deserto e io sul divano guardo, inerte, un’altra delle mie notti senza sonno. Notti insopportabili in cui si sta conficcando, infida, la rassegnazione. Non voglio che la mia anima si raggeli. Mi alzo. Metto sul piatto del giradischi la sinfonia Jupiter. Torno al divano. Le terzine in do maggiore cominciano a disperdere il silenzio. Creature fantastiche riempiono lo spazio intorno a me. Arrivano gli archi e mi scuotono la mente. Adesso la musica si fa serena di una serenità a tratti malinconica. Un racconto leggero, suasivo, carezzevole. Ma ecco spirali e spirali di suoni solenni. Il racconto diventa mito, e mi rapisce. Il ritorno del do maggiore mi sorprende. La musica finisce, riappare il silenzio e mi trova colma di stupore. La mia famiglia dorme oltre la parete.

Odo degli spari. “Qualcuno sta colorando l’asfalto col suo sangue” penso.

La sublime musica di Mozart è svanita lasciandomi ancora più sola e inerme. Vorrei dissolvermi nel pulviscolo che copre le cose trascorse. Il canto dei muezzin inonda la città. Nell’oscurità della notte si sta insinuando la luce del giorno nascente.

Le salmodie che riempiono quest’alba ancora deserta mi riconducono al mio primo risveglio in Siria. A Damasco. Ripenso a quella mia prima alba damascena, anch’essa salutata dalle salmodie che si spandevano nell'aria dai minareti della città.

Il brusco risveglio, un sussulto e le orecchie e la mente invase da una preghiera corale allora a me ignota. Durante il viaggio da Damasco a Latakia, nel pomeriggio di quello stesso giorno, avevo visto un numero incredibile di carri armati tutti in fila uno dietro l’altro sulla sottile striscia di asfalto che taglia la steppa alle spalle del riarso Anti-Libano. Ne contai a decine e decine e mi era difficile crederli veri. Non mi sentivo particolarmente turbata o spaventata.

Forse li percepivo, ancora straniera inconsapevole o già misteriosamente disillusa, come il destino ineluttabile di questa terra martoriata. “Arrivano dalla Russia. Sono sbarcati al porto di Latakia” disse l’autista del taxi. Ciò che mi fece capire di essere arrivata davvero in un altro mondo furono invece i bordi della strada vergini di cartelloni pubblicitari. È trascorso un anno da allora.

Una vita. Ieri, mentre preparavo il pranzo, due aerei hanno volato ringhiosi-minacciosi sopra il tetto. Sopra la mia testa. Pochi attimi dopo un’esplosione fortissima. Il palazzo ha tremato. “La guerra” ho pensato. Poi un urlo fuori dalla porta. Sono andata a vedere e c’era la mia dirimpettaia, incinta di otto mesi, che correva verso le scale con le braccia attorno al figlio dentro la pancia. Sul pianerottolo stava rigido l’altro figlio di tre anni, come la mia bambina, abbandonato dalla disperazione della madre. Gli ho preso la mano e tutti e tre siamo scesi in cantina.

‘’Non avere paura, madame, erano aerei spia israeliani, uno è caduto qui vicino abbattuto dalla contraerea.” mi ha detto un uomo. Con gentilezza. Ho ritrovato la vicina all’entrata del palazzo e insieme siamo risalite fino al quinto piano. Abbiamo bevuto un caffè nella mia cucina mentre i due piccoli giocavano - Tu non hai mai vissuto nella guerra. - mi ha detto.

- No, sono nata nel 1948. La guerra in Europa era già finita. Faccio un altro caffè?

- Si grazie. Io sono nata nel 1949. E c’era la guerra. Finita una ne è nata un’altra. Qui la guerra non va mai via. Ogni tanto si nasconde dentro il ventre della terra e quando meno te lo aspetti riappare a tradimento.

È spuntata l’alba, ma il sole appena sorto illumina e accende già il crepuscolo mattutino. Ripenso alle albe primaverili in Sardegna. Con il sole sopra l’orizzonte e qualche ombra notturna ancora intorno al suo alone rosato, esse indugiavano a lungo sull'orlo del mare prima di cedere il posto al giorno. La città si risveglia. Fra poco si sveglierà anche mio marito e mi dirà: ‘’Già alzata? Hai fatto il caffè?’’

Suo padre, Abdallah, quando era giovane, aveva un piccolo battello e commerciava tra la Siria e la Palestina. Poi il battello, che si chiamava Farah (Letizia), fu distrutto da una tempesta. Come la Palestina.

Mi affaccio al balcone e saluto il sole, che ha già inondato la città.

Il sole insostenibile sulla mia vita nuova. Dovrò abituarmi a vivere in questo Paese così pieno di luce, ma rabbuiato dalla guerra. Costretto dalla guerra ad affamarsi per comprare bombe e cannoni. Mi torna in mente la Guerra dei Sei Giorni. Anche allora l’estate stava rinascendo. Il tempo era ancora fresco, ma già pieno di fragranze e colori nel mio paese di montagna con gli orti di ciliegie, albicocche, gelsi e pesche che cominciavano a maturare e il rigoglioso sottobosco dei castagneti e il mare azzurro azzurro in lontananza che si mischiava con il cielo. Vicino alla stazione ferroviaria, i prati ancora teneri ci invitavano a marinare la scuola. Frequentavo il liceo allora.

Mi torna in mente la mattina del 5 Giugno 1967. L’ora di greco. Con i miei compagni le avevamo tentate tutte per evitare l’interrogazione.  Invano. La professoressa, inesorabile, puntava i nostri nomi nel registro spalancato sulla cattedra quando la preside entrò in classe e disse: ‘’Ragazzi, è successa una cosa gravissima. In Medio Oriente è scoppiata la guerra.’’  Si parlò del Medio Oriente e alcuni di noi scamparono l’interrogazione. Com’era lontano allora il Medio Oriente! Sono soltanto le sette di un mattino di prima estate. Non un mattino fresco e soave come quelli della mia giovinezza ma un mattino troppo intenso.

Forse, il ricordo di quei mattini lontani se ne andrà col prossimo scirocco.

mercoledì 14 febbraio 2024

La Quaresima nello sguardo dei patriarchi del Medio Oriente


 In un mondo sempre più “avvolto nelle tenebre” della guerra, delle violenze confessionali, dell’egoismo il tempo di digiuno e preghiera che precede la Pasqua indica alle nostre vite “un nuovo orizzonte” ed invita a “lasciare che lo Spirito Santo ci cambi dall’interno”. È il monito lanciato dal card. Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, in occasione della lettera pastorale per il tempo di Quaresima che inizia oggi e inviata per conoscenza ad AsiaNews. Il porporato sottolinea come oggi, dalla Terra Santa all’Ucraina, la situazione sembra essere “eccezionalmente più complicata” e in peggioramento “soprattutto nella nostra regione. A causa dell’abbandono dei valori umani e religiosi, il nostro mondo - avverte - è in uno stato di caos, squilibrio, instabilità”. Sono “divisioni interne per potere e denaro” accompagnate da “interventi esterni per interessi politici ed economici” che finiscono per alimentare “guerre devastanti”.

Di fronte a una escalation che colpisce cuori e menti, crea turbamento e alimenta ansia e paura, che rischia di trasformarsi in conflitto globale, il periodo di Quaresima diventa occasione di preghiera e di riflessione: “Il digiuno - ricorda il card. Sako - non è solo digiuno dal cibo, ma anche dal peccato. È un tempo di conversione e pentimento” ed è “tempo dell’applicazione pratica del comandamento dell’amore e della misericordia”. “Dobbiamo tornare alla nostra autenticità, dare un esempio meraviglioso alle nostre parrocchie, famiglie e società, convertendoci e affrontando con decisione - conclude - i comportamenti malvagi, prima che avvenga il disastro” per “raggiungere la pace” in un “mondo avvolto nelle tenebre”. 

 Mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), sottolinea come la Quaresima sia “un cammino di speranza perché Dio vuole la nostra salvezza e ci offre il suo abbondante perdono e la sua misericordia”. Nel messaggio ai fedeli il prelato richiama quello di papa Francesco, con la riflessione sul “deserto” attraverso il quale “Dio ci conduce alla libertà”. “Vi invito a meditarlo” esorta mons. Martinelli, perché “l’immagine del deserto ci è familiare. Siamo chiamati a passare dalla schiavitù del peccato alla Libertà di essere figli di Dio: alla conversione, a un profondo cambiamento di vita”. Infine, il prelato invita a vivere questo tempo di preparazione alla Pasqua “dedicando più tempo alla preghiera, al digiuno e all’elemosina. Il digiuno (non solo dal cibo ma da tante cose inutili che ci rendono vittime del consumismo) ci aiuta a liberarci dai vizi e dagli idoli. L’elemosina ci spinge alla carità e all’amore verso gli altri. Troviamo occasioni - conclude - per aiutare qualcuno in difficoltà. Dio ama chi dona con gioia” e che “il cammino quaresimale vi porti frutti di gioia e di autentica Libertà”.

 Un invito al digiuno e alla riconciliazione è espresso dal patriarca maronita Beshara Raï: nel messaggio per la Quaresima ispirato alle parole del profeta Gioele e intitolato “Ritornate a Dio con tutto il cuore” egli invita a tendere “una mano in aiuto fisico, spirituale e morale” attraverso uno “spirito di pentimento e di austerità”. Per il porporato il dovere più importante della Chiesa, dei suoi pastori, figli e figlie, è quello di “dare l’esempio nel vivere la riconciliazione” tra loro e con le persone che formano la comunità “soprattutto nei casi di abuso e di male”. “La riconciliazione nasce - spiega - dalla misericordia che impariamo da Dio” il quale è “ricco di misericordia”.
A seguire, il patriarca Raï richiama la situazione della società libanese in generale e quella politica del Paese dei cedri che soffre “di divisioni, conflitti, odio e malizia” il cui prezzo è pagato “dal popolo libanese a tutti i livelli: sociale, politico, costituzionale, finanziario e di riforma”. Per questo è “dovere di tutti noi, insieme a tutte le persone di buona volontà, lavorare per porre fine alle differenze, rimuoverne le cause, rafforzare il rispetto reciproco e ripristinare la fiducia perduta tra le componenti della nazione”. “Viviamo così il tempo della Grande Quaresima, conosciuto come tempo della riconciliazione, a partire dalla famiglia, passando per la società, fino ad arrivare ai partiti e ai gruppi politici. Una volta raggiunte la riconciliazione e la fiducia, potremo cooperare - conclude il porporato - per ricostruire lo Stato e le sue istituzioni, rilanciare la sua economia, stimolare il suo commercio e rilanciare le sue banche e l’attività finanziaria”.

 Per il patriarca siro-cattolico di Antiochia Ignatius Joseph III Younan, il tempo di digiuno diventa “un processo di pentimento attraverso lo Spirito Santo”. Il tempo della Quaresima, spiega il primate nel suo messaggio, è “un cammino di pentimento, cioè un ritorno spirituale pieno di rimorso a Dio, attraverso lo Spirito Santo” durante il quale “ascoltiamo le sue parole vivificanti” perché “la sua luce risplenda nella nostra vita”. Intitolato “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto” con riferimento all’evangelista Luca, il testo richiama lo Spirito Santo che ha condotto Gesù “nel deserto perché digiunasse 40 giorni tentato dal diavolo” finendo “con la meravigliosa vittoria sul tentatore”. “Lo Spirito guida la Chiesa nel tempo, ci accompagna e guida i nostri passi nel deserto di questo mondo, soprattutto nel tempo della Quaresima, affinché possiamo sperimentare - conclude il patriarca - con Cristo la nostra carenza e debolezza, e il nostro bisogno di pentimento e di rinnovamento”.

FONTE: asianews.it

lunedì 12 febbraio 2024

Medio oriente: chi viola il diritto internazionale?

di Alessandro Orsini

.......  Una delle questioni più importanti della politica internazionale, mai dibattute in Italia, è la presenza di una base americana in Siria, la base di al-Tanf, governatorato di Homs, sull’autostrada strategica M2 Damasco-Baghdad, dove tre soldati americani sono stati uccisi alcuni giorni fa scatenando i bombardamenti di Biden contro vari Paesi mediorientali. 

La base di al-Tanf è illegale. Il governo siriano ha chiesto infinite volte alla Casa Bianca di abbandonare quel territorio. Anche Russia, Cina e Iran hanno denunciato che al-Tanf viola il diritto internazionale. La Casa Bianca ha risposto che serve a combattere contro l’Isis. In realtà la base è stata utilizzata soprattutto per sostenere i ribelli che cercano di rovesciare il presidente siriano per sostituirlo con un presidente filo-americano. Si chiama regime change ed è un’azione illegale.

 “Timber Sycamore” è il nome dell’operazione segreta della Cia per rovesciare il regime siriano con la forza e sostituirlo con un regime filo-americano. “Timber Sycamore”, lanciata nel 2012, è stata rivelata dalla stampa americana nel 2016. Una delle ragioni principali per cui l’immane tragedia della guerra civile in Siria non ha fine è che è alimentata illegalmente dagli Stati Uniti. La base di al-Tanf svolge svariate funzioni illegali, tra cui quella di bombardare illegalmente il territorio siriano.

 La Casa Bianca ha cambiato molte volte la giustificazione della sua presenza illegale in Siria. Nel 2019, John Bolton, l’allora National Security Advisor di Trump, disse che la base di al-Tanf serviva a contrastare l’Iran, ovvero a promuovere la politica di potenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. La Casa Bianca ha giustificato la base di al-Tanf, cioè la violazione del diritto internazionale, prima con l’Isis, poi con l’Iran, infine con il petrolio. 

 Le dichiarazioni più imbarazzanti su al-Tanf sono state infatti rilasciate da Trump, il quale dichiarò che i soldati americani sono in Siria soltanto per sfruttare il petrolio di quel Paese. La notizia fu riportata dal Guardian in un articolo intitolato: “Trump contraddice i propri consiglieri e dice che le truppe americane sono in Siria solo per il petrolio” (13 novembre 2019). Pochi giorni prima, il Washington Post, commentando la dichiarazione di Trump, aveva spiegato che la presenza americana in Siria era illegale in un articolo intitolato: “Trump continua a parlare di prendere il petrolio del Medio Oriente. Sarebbe illegale”. 

Il Washington Post parlava di “furto” e di “crimine di guerra” da parte della Casa Bianca in questo brano adamantino: “Prendere il petrolio siriano potrebbe costituire un saccheggio – un furto durante la guerra – vietato dall’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra e dalle leggi e consuetudini della guerra terrestre dell’Aia del 1907. […]. Il divieto ha solide basi nelle leggi di guerra e nella giustizia penale internazionale, nonché nel codice federale degli Stati Uniti, anche come sanzione per lo sfruttamento illegale di risorse naturali come il petrolio proveniente da zone di guerra” (5 novembre 2019).

.....

mercoledì 7 febbraio 2024

Non cali il silenzio

 

Un anno fa il terribile terremoto che rase al suolo il sud della Turchia e il nord-ovest della Siria, con un bilancio di quasi 60.000 vittime.


L'Osservatore Romano, 6 febbraio 2024

«È importante che non cali il silenzio sulla tragedia». È l’appello del vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia e presidente di Caritas Turchia, a un anno esatto dal terremoto che il 6 febbraio 2023 rase praticamente al suolo il sud della Turchia e il nord-ovest della Siria. Attraverso Caritas internationalis, in una nota, monsignor Bizzeti parla delle «conseguenze» che ancora oggi la popolazione vive: «Purtroppo non siamo fuori dall’emergenza: il numero degli sfollati è alto e la ricostruzione richiederà del tempo e l’aiuto di tutti», dice.

Nello spazio di sessantacinque secondi, 53.537 vite — secondo gli ultimi dati pubblicati dalle autorità di Ankara — vennero inghiottite dai cumuli di cemento degli edifici crollati su sé stessi, accartocciati, polverizzati. Ad esse vanno aggiunti i 6.000 morti registrati nella vicina Siria, Paese già insanguinato da oltre un decennio di guerra, dove una stima precisa dei danni è difficile da concretizzare ancora oggi. Un’unica certezza: quasi 60.000 vittime totali.

La «peggiore catastrofe della storia moderna», titolarono allora i giornali turchi. Undici province della Turchia vennero colpite. Più di 100.000 edifici crollati, 2,3 milioni danneggiati, 700.000 persone vivono tutt’oggi nei container, gente di Antakya, Gaziantep, Kahramanmaraş, solo per citare alcune delle città maggiormente danneggiate.

Secondo Save the Children, in Turchia un bambino su tre di quelli che hanno perso la casa per la violenza delle scosse — dopo la prima di magnitudo 7.8 del 6 febbraio, ne seguirono centinaia di altre — vive ancora in rifugi temporanei. Con essi, le loro famiglie. Per tutti i terremotati, la risposta all’emergenza della rete Caritas si è inizialmente concentrata sulla distribuzione di aiuti alimentari e kit igienici e sulla fornitura di alloggi. Si è poi estesa — spiega il comunicato di Caritas internationalis — al miglioramento delle condizioni di vita degli sfollati e ad attrezzature per gli alloggi temporanei, come ventilatori, frigoriferi, stufe. Stessa sollecitudine anche in Siria.

Lì, in base a dati dell’Onu, circa 265.000 persone sono state private delle loro case dal terremoto: 43.000 vivono ancora in rifugi. Centinaia i bambini rimasti orfani. Tra loro anche la piccola Aya, nata proprio il 6 febbraio e trovata viva tra i resti di un palazzo a nord-ovest di Aleppo, ancora attaccata al cordone ombelicale della mamma, morta per il crollo. Lo zio Khalil al-Sawadi, che ne è il tutore e la chiama Aafraa in memoria della madre scomparsa, in questi giorni ha mostrato alla stampa internazionale la foto che lo ritrae mentre, un anno fa, portava in salvo la piccola. Oggi Aya-Aafraa compie un anno. Di vita e, nonostante tutto, di speranza. (giada aquilino)

Siria, un anno dopo il terremoto: ad Aleppo la gente ha ancora paura

La testimonianza del religioso marista Georges Sabé, che lancia un appello alla comunità internazionale: siamo un popolo ridotto alla miseria, ci aiuti a ritrovare la dignità

VATICAN NEWS , 6 febbraio 2024

Era la notte tra il 5 e il 6 febbraio 2023 quando un violento terremoto di magnitudo 7,5 devastava la Turchia sudorientale e la Siria nordoccidentale. Numerose le scosse nei giorni successivi, che hanno causato, in totale, quasi 60 mila morti. Si è trattato del peggior disastro naturale per la regione dal sisma del 1999 a Izmit. In Siria, Paese già provato da tredici anni di guerra, dove hanno perso la vita 6 mila persone, a un anno di distanza il timore per l’arrivo di nuove devastanti scosse non abbandona gli abitanti delle regioni colpite, ora alle prese con una crisi economica senza precedenti che ha generato tanta povertà. A tutto ciò si aggiunge lo stop, dall’1 gennaio, dell’invio degli aiuti alimentari del Programma alimentare delle Nazioni Unite, che ha sfamato quasi 5,6 milioni di siriani.

Ai media vaticani il religioso marista Georges Sabé, che vive ad Aleppo, una delle città del nordovest della Siria più colpite dal terremoto, racconta il suo sforzo quotidiano per ridare speranza alla gente e nell'intervista rilasciata chiede alle organizzazioni internazionali di non “abbandonare una popolazione sofferente”.

Che aspetto ha Aleppo oggi?

Ogni giorno vedo edifici in parte distrutti, in totale insicurezza, eppure, se un piano non è in rovina, spesso è abitato. In linea di principio, la gente non dovrebbe risiedere lì. Ma c'è chi, a causa della povertà, della miseria, perché quella era la propria casa, decide di viverci. Ci sono state persone che si sono spostate, tra le 500 e le 600 famiglie hanno dovuto cambiare luogo di residenza. La città non è ancora stata ricostruita, né la parte più colpita dalla guerra, né quella distrutta dal terremoto.

Al di là dei danni materiali, a un anno dal terremoto si notano conseguenze psicologiche tra i residenti ?

La parte peggiore di tutto questo è la paura. La paura si è insinuata in tante persone, sia tra i bambini, sia tra gli adulti, tra i giovani, tra i meno giovani... C'è gente che ha dormito per un po' vestita perché aveva paura. Ci sono bambini che fino a ora hanno avuto grandi difficoltà a separarsi dai genitori, sia di notte, ma per alcuni anche di giorno. C’è molto da fare: dobbiamo ricostruire gli edifici ma anche il sentimento di sicurezza di molte persone. Non dobbiamo dimenticare inoltre che questo trauma si fonde con l’esperienza della guerra, con tutte le sue conseguenze.

E tra le conseguenze della guerra c’è pure la crisi economica che ha colpito la Siria. Che ricadute ha nella sua vita quotidiana?

Ultimamente abbiamo, in parte, dimenticato il sisma, perché stiamo vivendo un terribile terremoto economico. Siamo ancora soggetti a sanzioni (internazionali, ndr). Queste sanzioni, anche se si sostiene che non colpiscono la popolazione, si riflettono nella nostra vita quotidiana. Ad esempio, siamo in pieno inverno e abbiamo solo due ore di elettricità al giorno. Ciò significa che siamo costantemente alla ricerca di modi per riscaldarci.

Al momento del terremoto avete ricevuto aiuto da alcune Ong e organizzazioni internazionali, in particolare dalle Nazioni Unite. Oggi com'è la situazione?

L'aiuto che è arrivato è stato molto limitato e da allora si è interrotto. La Siria, prima del 6 febbraio 2023, era già stata dimenticata dalle Ong, ma gli aiuti continuavano comunque. Dall’1 gennaio 2024, l’Agenzia per gli aiuti alimentari delle Nazioni Unite, il Programma alimentare mondiale, ha sospeso tutti gli aiuti. Il motivo è che ci sono altri luoghi di intervento. Personalmente, credo che, sotto questo profilo, non abbiamo il diritto di abbandonare una popolazione che soffre. Che diritto abbiamo oggi di accettare che una popolazione viva nella povertà e nella miseria? Faccio un appello: occorre vivere con dignità. Non siamo mendicanti, ma abbiamo sofferto tante difficoltà, tanti problemi, tante disgrazie e l’umanità deve aiutarci a rimetterci in piedi, non ridurci all’accattonaggio.

Lei parlava di ricostruzione di un senso di sicurezza per gli abitanti di Aleppo. Come si può ritrovare la speranza in questa situazione?

Dobbiamo credere che la speranza è possibile. Nonostante un orizzonte chiuso, dobbiamo credere personalmente, comunitariamente, a livello di Chiesa, che la speranza è possibile e che il Signore non ci abbandona. Da questa speranza dobbiamo andare incontro agli altri, per servirli il più possibile e per fornire loro, sempre per quanto possibile, l'aiuto di cui hanno bisogno. La nostra fede ci aiuta ad andare avanti. Il Signore ha promesso di non dimenticarci, nemmeno in mezzo alla tempesta, come i discepoli sorpresi da una tempesta in mare aperto. Il Signore sembra dormire, ma è lì per calmare i nostri cuori e calmare le nostre menti. Questo è il principio su cui, attualmente, come maristi e maristi blu, stiamo lavorando per continuare a seminare speranza nel concreto, nel reale: con cesti alimentari, con sostegno psicologico, con l'educazione, con lo sviluppo umano, con gli aiuti per agli affitti.

martedì 6 febbraio 2024

Lettera dai Fratelli Maristi di Aleppo: tristezza e tragedia


Lettera da Aleppo n° 48, 5 febbraio 2024 (a un anno dal terribile terremoto) 

Traduzione di fratel Giorgio Banaudi

Cari amici,

I Maristi blu sono in lutto: la nostra volontaria più anziana, Marguerite També, è morta improvvisamente pochi giorni fa, mercoledì 31 gennaio.

All'età di 92 anni, Margot era ancora molto attiva, veniva ogni giorno nella nostra sede presso la comunità dei Fratelli, gestiva il progetto "Sviluppo delle donne", riordinava e distribuiva gli abiti usati che ricevevamo, ascoltava i nostri volontari e condivideva con loro la sua vita e la sua esperienza. Margot è stata con noi fin dagli inizi, nel 1986, in questo cammino di solidarietà insieme con i più svantaggiati. Lascerà un grande vuoto nei nostri cuori e nella vita di tantissime persone qui ad Aleppo.

 Ho esitato a lungo prima di scrivere questa lettera. Mi sembrava quasi indecoroso parlarvi della nostra situazione ad Aleppo mentre poco lontano da noi si sta consumando una terribile tragedia, una delle peggiori della storia.

Decine di migliaia di bombe sganciate su una piccola area con la più alta densità di popolazione al mondo; decine di migliaia di vittime civili (27.000 i morti finora), la maggior parte dei quali sono bambini e donne; non c'è famiglia che non abbia perso uno o più membri; quasi due milioni di sfollati su una popolazione di poco più di 2.200.000 abitanti, la maggior parte dei quali vivevano già praticamente come profughi; la maggior parte degli ospedali e delle strutture mediche è stata resa inutilizzabile; le medicine, l'acqua, l'elettricità e il cibo vengono forniti col contagocce; i palestinesi di Gaza stanno soffrendo come mai nessuno prima.

E tutto questo continua, nonostante la condanna dei governi del mondo, nonostante le incessanti richieste del Segretario Generale delle Nazioni Unite, dell'UNICEF, dell'OMS, di Medici senza frontiere e di Human Right Watch di fermare questi atti di guerra e lasciar passare gli aiuti umanitari.

L'unico aspetto positivo di questa tragedia è che ha riportato in primo piano la questione palestinese e che tutti i governi, soprattutto le grandi potenze, tornano finalmente a parlare della soluzione dei due Stati, mentre, pur essendo convinti che questa sia l'unica soluzione possibile, da 20 anni non hanno fatto nulla per metterla in pratica, permettendo anzi che la colonizzazione dei territori palestinesi occupati continuasse e impedendo di fatto la creazione di uno Stato palestinese autonomo.

Qui ad Aleppo, tutti sono solidali con i palestinesi e, a dir poco, disgustati dalle atrocità commesse contro di loro. Le conversazioni degli aleppini, i messaggi su WhatsApp, i post su Facebook sono tutti incentrati su questa tragedia.

Non solo: anche la situazione economica e la vita quotidiana in Siria, e in particolare ad Aleppo, sono argomenti di discussione quotidiana, perché le cose qui vanno di male in peggio.

I prezzi aumentano ogni giorno di pari passo con il crollo della valuta nazionale; il costo della vita, già insopportabile, continua a salire a livelli mai visti, con il risultato che il 90% delle famiglie vive sotto la soglia della povertà e non riesce ad arrivare a fine mese. Lo Stato, non avendo più a disposizione risorse finanziarie, non sovvenziona più come un tempo i prodotti essenziali come pane, benzina e gasolio per il riscaldamento, contribuendo così all'aumento dell'inflazione.

E pensare che prima del 2011 il Paese era prospero e la povertà molto rara.

Le riserve sono ormai quasi esaurite; molti prodotti sono razionati; l'elettricità viene erogata solo per 2 ore al giorno. La gente soffre; basti pensare a questo freddo inverno, con temperature di 4-5 gradi, senza nessuna possibilità di riscaldamento!

Durante gli anni della guerra, la vita ad Aleppo era pericolosa. Negli ultimi 6 anni è diventata ancora più difficile, addirittura intollerabile. Il movimento migratorio sta crescendo, soprattutto di recente, grazie soprattutto alle nuove opportunità offerte dal governo canadese. Alcuni dei principali referenti dei Maristi Blu sono già partiti, altri sono in attesa del visto per emigrare.

Cosa possiamo dire a coloro che, disperati e senza più speranza, vengono a chiederci consiglio su una possibile partenza o a coloro che, ottenuto il visto, vengono a salutarci? Se non augurare loro buona fortuna.

Di fronte a tutte le sofferenze patite dalla popolazione di Aleppo, noi Maristi Blu riteniamo che il nostro contributo per alleviarle sia ancora più urgente che mai.

Vi faccio qualche esempio:

Il nostro programma "Goccia di latte” fornisce a 2.100 bambini il fabbisogno mensile di latte. Il prezzo di una razione mensile di latte per bambini (720.000 LS) è più costoso dello stipendio mensile attribuito al papà (che è di circa 400.000 LS).

Di recente abbiamo ricevuto una grande donazione in natura da un'associazione francese: pannolini per neonati. Il prezzo mensile dei pannolini per un bambino (200.000 LS prodotti qui localmente) è la metà dello stipendio del papà! Il nostro progetto "Pannolini per i bèbè” aiuta circa 600 famiglie al mese.

Il nostro progetto "LED", che consiste nell'installazione di una batteria, di un inverter e di luci a LED nelle case di oltre 200 anziani o di famiglie numerose, ha permesso loro di non vivere più al buio dopo il tramonto. La maggior parte delle persone non dispone dei soldi per pagare un modesto abbonamento mensile a un generatore privato (400.000 LS al mese), che fornirebbe un po' di elettricità per accendere almeno qualche lampadina.

I "Cestini alimentari" che distribuiamo a 1.100 famiglie ogni mese, sono proprio ciò di cui hanno più bisogno. Il prezzo (400.000 LS) di ogni cesto permette così a molte famiglie di sopravvivere; il 56% delle famiglie siriane è considerato a rischio dal punto di vista alimentare, stando alle agenzie delle Nazioni Unite.

Infine, per concludere questa carrellata di esempi, il nostro programma "Sostegno scolastico" contribuisce alle spese scolastiche, di trasporto e di assistenza per più di cento alunni e studenti.

Tutti gli altri progetti proseguono normalmente.

I nostri programmi educativi, in sintesi: "Voglio imparare” per l'istruzione e l'educazione di 120 bambini dai 3 ai 6 anni, "Piccoli Semi" per il sostegno psicosociale di 450 bambini e adolescenti, "Taglio e cucito" per l'insegnamento del cucito a 20 partecipanti per ogni sessione che dura circa 3 mesi.

I nostri programmi di assistenza: "Affitto" per aiutare 120 famiglie sfollate a trovare un alloggio, "Aiuto medico” per curare circa 150 malati ogni mese, "Pane condiviso " per fornire un pasto caldo quotidiano a 260 anziani che non hanno più nessuno ad Aleppo. 

Infine i nostri programmi di sviluppo: MIT", il nostro centro di formazione per adulti, con 2 sessioni di 12 ore al mese; il programma "Microprogetti", che insegna alle persone a creare e avviare progetti personali e finanzia una cinquantina di progetti all'anno; "Formazione professionale", con 2 moduli per 20 apprendisti ciascuno, che imparano un mestiere nell'arco di 2 anni; il progetto "Sviluppo delle donne", con sessioni della durata di 3 mesi ciascuna; e infine, ma non meno importante, "Heartmade (fatto col cuore)", che, grazie alle sue 16 sarte, crea capi di abbigliamento unici per le donne, a partire da scarti di tessuto.

Quest'anno, più che negli anni precedenti, stiamo facendo del nostro meglio per formare i membri dei Maristi Blu, in particolare i responsabili dei progetti.

Per i nuovi volontari stiamo organizzando corsi formativi: un ciclo di tre sessioni di formazione: i Maristi – i Maristi Blu - la Solidarietà.

Per i volontari più esperti, formazione sul campo attraverso la condivisione delle attività di altri progetti. 

Per i direttori dei progetti: da un lato, incontri regolari per riflettere insieme sull'impatto dei progetti sui volontari e sui beneficiari, sulla conformità dei nostri valori con le nostre azioni, sullo stato attuale dei Maristi Blu e sul loro futuro; dall'altro, sessioni di formazione, su base locale o con la presenza dei Maristi del Libano o della Spagna; l'ultima sessione di formazione di 3 giorni completi si è appena conclusa con la partecipazione di tutti i direttori dei progetti, sotto la direzione di 2 formatori libanesi dell'associazione Waznat.

Stiamo facendo del nostro meglio, entro i limiti delle nostre capacità umane e materiali, per aiutare, alleviare, educare, formare, sviluppare e seminare un po' di speranza in un ambiente di sofferenza che incoraggia solo il pessimismo e la disperazione.

Infine, vi chiediamo, cari amici, di pregare per:

  • Noi, Maristi Blu, affinché Dio ci aiuti a continuare la nostra missione;

  • Per i siriani che soffrono e che non vedono alcuna luce all'orizzonte o alla fine del tunnel;

  • Per la popolazione di Gaza, affinché la carneficina si fermi;

  • Per tutti i palestinesi, affinché i loro diritti siano finalmente riconosciuti, l'occupazione finisca e possano vivere nel loro Stato.

  • Per l'intera regione mediorientale che, come una polveriera, potrebbe esplodere in qualsiasi momento.

Aleppo, 5 febbraio 2024

Per i Maristi Blu – Dr. Nabil Antaki

sabato 3 febbraio 2024

Gli USA bombardano la Siria

 

Serie di post di Elijah Magnier 

Gli USA hanno effettuato attacchi aerei su obiettivi iraniani collegati all'IRGC (l'Iran ha negato di avere qualsiasi posizione collegata alle sue forze) nei distretti di Al Bukamal, Deir ez-Zor, confini orientali di Syria e Iraq (suggerendo all'opinione pubblica: 'dopo un tempestivo avviso che ha consentito l'evacuazione della maggior parte delle posizioni'). I bombardieri pesanti B-1B dell'USAF, i caccia F-15E e gli A-10 Warthog hanno utilizzato 125 armi a guida di precisione contro 85 bersagli senza risultati strategici.

L'attacco USA della scorsa notte ha preso di mira la forza di sicurezza ufficiale irachena, Hashd al-Sha'bi, posizionata ad al-Anbar, uccidendo 3 ufficiali e due civili.

I bombardamenti statunitensi non hanno intimidito le forze della Resistenza in Siria, che hanno reagito alla posizione americana nel nord-est del paese con un messaggio provocatorio. Gli alleati di Gaza continuano a fare affari come al solito, sperando che Joe Biden venga ulteriormente trascinato nel pantano del Medio Oriente e mostri come il paese più forte del mondo stia combattendo una guerra impossibile da vincere contro piccoli attori non statali.

Il comportamento bellicoso degli Stati Uniti metterà ulteriormente a repentaglio il dispiegamento americano in Iraq. La Resistenza Irachena ha affermato di aver lanciato droni e attacchi missilistici contro la base USA di Ayn al-Assad. La Resistenza ha bombardato la base di al-Harir USA in Kurdistan , Iraq. La base militare USA di al-Tanf, al confine tra Iraq e Siria, è stata attaccata da droni.

Il governo iracheno condanna gli attacchi aerei statunitensi e li descrive come una “violazione della sovranità”, avvertendo di “conseguenze disastrose”.

L'attacco USA ha ucciso 16 iracheni e 7 siriani con 120 missili lanciati contro 2 paesi sovrani, Iraq e Syria , che gli americani occupano di prepotenza. Nessuna vittima iraniana nei bombardamenti: l'azione sarà lungi dall’impedire alla Resistenza di rispondere agli Stati Uniti, di sostenere Gaza e bombardare Israele.

Iran , Iraq e Russia condannano le violazioni USA contro 2 paesi sovrani e chiedono una riunione d'emergenza delle Nazioni Unite , che gli Stati Uniti invocherebbero ai sensi dell'articolo 51 per "autodifesa". L'Iraq ha confermato che non c'era stato alcun coordinamento preventivo, un passo necessario poiché gli americani sono presenti come ospiti e non come aggressori. Il parlamento iracheno chiede una sessione d'emergenza per adottare misure contro l'aggressione americana sul territorio iracheno, in particolare contro le forze di sicurezza di frontiera incaricate di monitorare e contrastare ISIS le incursioni nel paese.

L'ISIS ha colto l'occasione per attaccare le posizioni di Hasd al-Shabi e altri villaggi di al-Anbar contemporaneamente ai bombardamenti statunitensi.


Dichiarazione del Ministero della Difesa siriano

"Le forze di occupazione statunitensi hanno lanciato questa mattina una palese aggressione aerea su una serie di siti e città nella regione orientale della Siria, vicino al confine siriano-iracheno. Questa aggressione ha provocato il martirio di numerosi civili e militari, nonché il ferimento di altre persone, e hanno causato ingenti danni a proprietà pubbliche e private.

L’area presa di mira dagli attacchi statunitensi nella Siria orientale è la stessa area in cui l’Esercito arabo siriano sta combattendo i resti dell’organizzazione terroristica ISIS. Ciò conferma che gli Stati Uniti e le loro forze militari sono coinvolte e allineate con questa organizzazione, lavorando per rilanciarla come braccio sul campo in Siria e Iraq con tutti i mezzi sporchi.

L’aggressione delle forze di occupazione statunitensi questa mattina non ha altra giustificazione se non il tentativo di indebolire le capacità dell’Esercito arabo siriano e dei suoi alleati nella lotta al terrorismo. Tuttavia, l’Esercito, che è stato in grado di sconfiggere varie organizzazioni terroristiche nel corso degli anni, continuerà a mantenere la sua fermezza e il suo principio di difesa della Siria e del suo popolo, colpendo tutte le organizzazioni, non importa quanto i loro sponsor e sostenitori cerchino di ostacolare questo obiettivo.

L’occupazione delle forze statunitensi in alcune parti del territorio siriano non può continuare, e il Comando Generale dell’Esercito e delle Forze Armate afferma il proprio impegno a continuare la guerra contro il terrorismo fino alla sua completa eliminazione e la propria determinazione a liberare l’intero territorio siriano da ogni terrorismo e occupazione."


ULTERIORI INFORMAZIONI QUI: https://www.vietatoparlare.it/gli-usa-bombardano-in-siria-e-in-iraq/

mercoledì 31 gennaio 2024

Gli Stati Uniti non si ritireranno dalla Siria

 Il Ministero della Cultura della Siria chiede di proteggere le antichità di Afrin che le forze turche e le fazioni dell'SNA appoggiate dai turchi stanno assaltando e distruggendo. 

di Emma JamalSyria (North Press)

Il vice segretario di Stato americano ad interim Victoria Nuland ha dichiarato martedì che il suo Paese non intende ritirare le forze militari dalla Siria.

"Gli Stati Uniti non si ritireranno dalla Siria", ha dichiarato Nuland alla CNN Turk. Secondo la funzionaria, la decisione del ritiro non è ancora stata presa.

Il 28 gennaio, la Resistenza islamica in Iraq ha rivendicato la responsabilità dell'attacco a una base statunitense in Giordania, vicino al confine con la Siria, che ha causato l'uccisione di tre soldati americani e il ferimento di altri 34.

Dall'inizio della guerra tra Israele e Hamas, nell'ottobre 2023, le basi statunitensi in Siria e Iraq sono state prese di mira dalle milizie sostenute dall'Iran e quasi tutti gli attacchi sono stati rivendicati dalla Resistenza islamica in Iraq.

giovedì 18 gennaio 2024

La mostra sul Monastero di Azer visitabile a Milano

 
TEMPI, 17 gennaio 2024

L’associazione Charles Péguy porta a Milano la mostra, presentata la scorsa estate al Meeting di Rimini, “Azer. L’impronta di Dio. Un monastero nel cuore della Siria”

La mostra sarà esposta presso la sala espositiva Monastero San Benedetto, in Via Felice Bellotti, 10 , Milano, dal 20 al 28 gennaio 2024, e vuole essere un evento a livello cittadino.

Attraverso video, interviste, testi e foto questa mostra racconta lo stupore per la straordinaria vicenda di alcune suore trappiste del monastero di Azer, in Siria, paese di vicende drammatiche, in una zona abitata da popolazioni islamiche sciite e sunnite con l’eccezione di due piccoli villaggi cristiani: il luogo, quasi al confine Nord del Libano, è anche assai prossimo alle sconvolgenti azioni belliche in Palestina.

Nel marzo 2011 lo scoppio della guerra ha provocato devastazioni enormi, massacri senza fine e l’esodo di milioni di persone; dal marzo 2020 è giunta l’epidemia Covid-19; quindi, nel settembre 2022 un contagio di colera; infine, nel febbraio 2023, il terremoto. 

In questo lungo e drammatico periodo le monache hanno posto un seme di vita nuova, rimanendo con una presenza orante, laboriosa, gratuita: un germe vivente, di pace che Dio ha posto, in un tempo e in un luogo di guerre dilanianti. Un seme, una testimonianza anche per noi: chiamati noi stessi a generare per grazia di Dio cellule di vita nuova, oggi, qui…

L’incontro di presentazione della Mostra sarà: Venerdì 19 gennaio 2024 ore 21.00 - Auditorium CMC Largo Corsia dei Servi, 4 - Milano


QUI il link alla presentazione della Mostra al Meeting di Rimini e al dialogo di alcuni amici con suor Marta: https://oraprosiria.blogspot.com/2023/08/non-dimenticare-la-siria-dal-meeting.html

lunedì 15 gennaio 2024

Card. Pizzaballa: reciprocità e riconciliazione per la Terra Santa

"È nelle scuole e nelle università che si deve cominciare a rieducare la gente alla pace e alla non-violenza, cioè a credere, a conoscersi e a stimarsi, e anzitutto a incontrarsi, cosa che purtroppo non avviene né nelle scuole arabe né in quelle ebraiche, se non in rari casi". Così è intervenuto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, invitato oggi, 15 gennaio, come ospite d'onore all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica, presso il Policlinico Gemelli di Roma. 

Vatican News, 15 gennaio 2024

La Chiesa non perda la sua dimensione profetica

Il cardinale Pizzaballa parla dell'impatto che la sanguinosa guerra in corso sta avendo sulla popolazione. "Come uscire dal fango di questa guerra, da questo orribile pantano in cui più si entra e più pare impossibile uscire?". È la domanda cruciale che si pone e pone ai presenti il porporato, con il tono di grande parresia che contraddistingue sempre il suo parlare. Precisa che “pace” sembra essere oggi una parola "lontana, utopica e vuota di contenuto, se non oggetto di strumentalizzazione senza fine". Così, è necessaria una parola chiara di speranza che si deve attingere dalle Scritture e da una dimensione profetica della Chiesa. "Se la Chiesa perde tale dimensione - rimarca - parla semplicemente di ciò che la gente vuol sentire". Afferma che è questo un rischio ricorrente, soprattutto in Medio Oriente: il rischio di seguire la corrente, anziché orientarla. 

Tempi lunghi per guarire dalla lacerazione della guerra 

Il Patriarca di Gerusalemme lamenta poi che "i tempi di una guarigione saranno necessariamente lunghi e avranno bisogno di percorsi complessi", esortando a crederci davvero nella pace. "Si dovrà prendere atto - sottolinea - che le parole giustizia, verità, riconciliazione e perdono non potranno essere (come forse è stato fino ad oggi) solo auspici, ma dovranno trovare contesti realmente vissuti, con una interpretazione condivisa, e tornare ad essere espressioni credibili e desiderate, senza le quali sarà difficile pensare ad un futuro diverso". La questione problematica è che "ciascuno vede se stesso come vittima, la sola vittima, di questa guerra atroce. Vuole e chiede empatia per la propria situazione, e spesso percepisce nell’esprimere sentimenti di comprensione verso altri da sé, un tradimento o almeno un mancato ascolto della propria sofferenza. Una situazione in tutti i sensi lacerante". 

Una pace credibile chiede una purificazione della memoria

Pizzaballa ribadisce la responsabilità di ciascuno, in questo contesto di grande disorientamento, nel dare coraggio per costruire prospettive di vita. "Laddove tutto sembra rinchiudersi in odio e dolore, è chiamato ad aprire orizzonti". Essere profeti, in ogni ambito, non vuol dire essere visionari, ma credenti, cioè "avere la fede che si deve fare il possibile per investire nello sviluppo, per sostenere un pensiero positivo e illuminato, per evitare manipolazioni religiose e anzi promuovere un discorso su Dio che apra alla vita e all’incontro". Reciprocità e riconciliazione. Sono queste le direttrici su cui perseverare per la Terra Santa, tenuto conto - dice Pizzaballa - che le ferite non possono essere semplicemente cancellate o ignorate con una pace che sia semplicemente “assenza di guerra”. Con una nota di carattere psicologica, ricorda che le ferite, se non sono curate, assunte, elaborate, condivise, continueranno a produrre dolore anche dopo anni o addirittura secoli, creando vittimismo e di rabbia. 

Un linguaggio privo di umanità ferisce più delle bombe

Si sofferma ampiamente, il cardinale, sulla necessità di un linguaggio che aiuti nella costruzione della pace, ripetendo che non di banale accessorio si tratta. Richiamando ancora la necessità di parresia e chiarezza nel parlare, precisa inoltre che "bisogna, non solo dire quello che si pensa, ma anche pensare a quello che si dice, di avere la coscienza che, soprattutto in queste circostanze così sensibili, le parole hanno un peso determinante". Quanti hanno una responsabilità pubblica hanno il dovere di orientare le loro rispettive comunità con un linguaggio appropriato, che limiti "la deriva di odio e sfiducia che spesso nei media dilagano con facilità", osserva Pizzaballa. Insiste sulla necessità di "preservare il senso di umanità", soprattutto nell'uso dei social. Attribuisce a un linguaggio "violento, aggressivo, carico di odio e di disprezzo, di rifiuto e di esclusione", una forte responsabilità e uno degli strumenti principali di questa e troppe altre guerre. Fa anche esempi: definire l’altro come 'animale', è anch’essa una forma di violenza che apre o forse addirittura può giustificare scelte di violenza in molti altri contesti e forme. "Sono espressioni che forse feriscono più ancora degli eccidi e delle bombe". Facendo riferimento a come si raccontano le due parti nel conflitto israelo-palestinese, il porporato si addentra nella questione relativa a quelle che sono state e continuano ad essere "narrative indipendenti l’una dall’altra, che non si sono mai incontrate realmente. E ora - spiega - questo è diventato esplosivamente evidente in questi ultimi mesi. È necessario quindi il coraggio di un linguaggio non esclusivo", soprattutto nei luoghi di formazione culturale, professionale e spirituale. 

Il conflitto spirituale

Sua Beatitudine approfondisce le modalità attraverso cui guerra in Medio Oriente intacca inevitabilmente la vita spirituale degli abitanti della Terra Santa. E si chiede qual è stato il ruolo delle fedi e delle religioni. Il cardinale Pizzaballa constata che "con poche eccezioni, non si sono sentite in questi mesi da parte della leadership religiosa discorsi, riflessioni, preghiere diverse da qualsiasi altro leader politico o sociale". Condivide l’impressione che ciascuno si esprima esclusivamente all’interno della prospettiva della propria comunità. Ebrei con ebrei, musulmani con musulmani, cristiani con cristiani, e così via. E racconta che "in questi mesi è stato ed è ancora pressoché impossibile, ad esempio avere incontri di carattere interreligioso, almeno a livello pubblico". Lamenta che "rapporti di carattere interreligioso che sembravano consolidati sembrano oggi spazzati via da un pericoloso sentimento si sfiducia. Ciascuno si sente tradito dall’altro, non compreso, non difeso, non sostenuto". Esorta a questo proposito che la fede non può adagiarsi: da un lato deve essere di conforto, dall'altra "elemento di disturbo". 

La guerra è uno spartiacque nel dialogo interreligioso

Il rapporto tra cristiani, musulmani ed ebrei non potrà essere mai più come è stato finora. Ne è convinto Pizzaballa che osserva come il mondo ebraico non si sia sentito sostenuto da parte dei cristiani e lo ha espresso in maniera chiara. "I cristiani a loro volta, divisi come sempre su tutto, incapaci di una parola comune, si sono distinti se non divisi sul sostegno ad una parte o all’altra, oppure incerti e disorientati. I musulmani si sentono attaccati, e ritenuti conniventi con gli eccidi commessi il 7 ottobre… insomma - conclude - dopo anni di dialogo interreligioso, ci siamo ritrovati a non intenderci l’un l’altro. È per me, personalmente, un grande dolore, ma anche una grande lezione". Da qui il dialogo dovrà ripensarsi, spiega: non più solo tra appartenenti alla cultura occidentale, come è stato fino ad oggi, ma "dovrà tenere in conto le varie sensibilità, i vari approcci culturali non solo europei, ma innanzitutto locali. È molto più difficile, ma da lì si dovrà ripartire. E si dovrà farlo, non per bisogno o necessità, ma per amore".

La Chiesa evidenzi le ingiustizie, senza strumentalizzazioni

La presenza del cardinale Pizzaballa all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Università Cattolica serve oggi a ribadire l'urgenza di educare alla speranza e alla pace, proprio perché la scuola e le università hanno un ruolo chiave in questo. "In un ambiente segnato da lacerazioni e contrasti, possiamo diventare, come Chiesa, luogo ed esperienza della pace possibile", afferma infine il porporato. "Se abbiamo poca possibilità di sedere ai tavoli internazionali - sostiene - abbiamo però il dovere di edificare comunità riconciliate e ospitali, aperte e disponibili all’incontro, autentici spazi di fraternità condivisa e di dialogo sincero". Le sue parole richiamano un ecumenismo che non sia "di facciata o di comodo", ma "vissuto, fatto d’incontri, di collaborazione, di reciproco sostegno e di sofferenza condivisa". Su un aspetto non trascurabile si sofferma ancora nel suo intervento: la Chiesa non può ridursi ad “agente politico” o a partito o fazione, non si può esporre insomma a facili strumentalizzazioni. Contestualmente non può tacere, scandisce Pizzaballa, "di fronte alle ingiustizie o rinchiudersi nell’angelismo o nel disimpegno". Il cardinale si congeda esprimendo tutto il disagio vissuto sulle proprie spalle proprio perché 'conteso' da una parte o dall'altra. Raccomanda, allora, che "prendere posizione non può significare diventare parte di uno scontro, ma deve sempre tradursi in parole e azioni a favore di quanti soffrono e non in condanne contro qualcuno".