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venerdì 16 marzo 2012

Perché alla primavera non segua l’inverno

Dall' Osservatore Romano del 16 marzo 2012

Intervista ad Al Jazeera del cardinale Tauran

ROMA, 15. Se i cristiani saranno costretti ad abbandonare il Medio Oriente sarà una «tragedia»: è uno scenario di desolazione che va assolutamente scongiurato quello che il cardinale presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Jean-Louis Tauran, delinea in un’intervista ad Al Jazeera, l’emittente televisiva più seguita nel mondo islamico.

Un’occasione inedita per affrontare temi spinosi come le persecuzioni religiose e l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente, la complessa situazione dei Luoghi Santi, come pure le prospettive della cosiddetta Primavera araba e l’intolleranza verso i musulmani immigrati in Europa, dove lo «scontro di civiltà » rischia di diventare uno «scontro di ignoranze».

I contenuti dell’intervista, realizzata il 24 febbraio scorso a Roma dal giornalista saudita di nazionalità britannica Sami Zeidan, sono stati anticipati oggi sul «Corriere della Sera» da Marco Ventura, il quale sottolinea come sia «la prima volta che un ministro della Curia si rivolge all’universo arabo-musulmano in un faccia a faccia televisivo». In pratica, «una svolta comunicativa» afferma Ventura.

La parte centrale dell’intervista — che da sabato andrà in onda per tre giorni nel programma «Talk to Al Jazeera» e sarà accessibile gratuitamente sul sito (http: // english. aljazeera. net/ programmes/ talktojazeera) — riguarda le violenze subite dai cristiani in diversi Paesi. Spariranno, dunque, le comunità cristiane dal Medio Oriente? «I cristiani — dice il cardinale nell’intervista secondo le anticipazioni del quotidiano italiano — condividono il destino dei popoli di quella regione e dove non c’è pace, la gente soffre.

Damasco, un anno di rivolte. I cristiani nel Paese diviso

AsiaNews - 15/03/2012 12:53

di Nabil Hourani*

L'Iran porta "aiuti sanitari" a Damasco. Arabia saudita e Qatar vorrebbero armare i ribelli. Ma intanto il Paese è sbriciolato. Un testimone, sacerdote cattolico, racconta l'odio e la paura che cresce fra le comunità, ma anche i segnali di collaborazione fra cristiani e musulmani nell'aiutare i colpiti. Le Chiese divise fra un appoggio cieco ad Assad e un'opposizione non violenta per far maturare uno Stato di diritto, dove cristiani e musulmani sono uguali davanti alla legge.

Damasco (AsiaNews) - Il 15 marzo di un anno fa le strade di Damasco si sono affollate per esigere anche in Siria i cambiamenti che la "primavera araba" stava portando in Nord Africa e nel Medio oriente.  Giorni dopo a Deraa vi sono state proteste per la tortura e l'uccisione di alcuni bambini, colpevoli di aver scritto sui muri slogan anti-Assad.

Da lì è iniziato il confronto sempre più duro fra l'esercito e molta parte della popolazione in varie città della Siria, fino al bombardamento durato un mese della città di Homs. Dopo un anno di proteste, la Siria è profondamente divisa da violenze molto vicine alla guerra civile. Perfino l'opposizione è sbriciolata in militari disertori, gruppi politici all'estero, gruppi politici all'interno. Il governo di Assad attua un disegno spietato contro tutti, mentre offre correzioni attraverso un referendum costituzionale e il lancio di nuove elezioni. Intanto i morti, secondo l'Onu sono almeno 8500 e sono migliaia i profughi in Turchia e in Libano. Il problema è pure che la Siria è divenuto un caso internazionale, uno scacchiere su cui combattono diversi interlocutori i cui interessi poco hanno a che fare con i bisogni della popolazione.  L'Iran difende a spada tratta il suo alleato e oggi ha fatto giungere al governo degli "aiuti sanitari" attraverso la Croce rossa siriana. Arabia saudita e Qatar vogliono il cambiamento di regime e il contenimento dell'influenza iraniana e per questo sono pronti ad armare i ribelli. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu è diviso, con Russia e Cina che appoggiano Assad per frenare l'influenza degli Stati Uniti nella regione. I cristiani, talvolta timorosi di fronte al regime, temono la sua caduta, che verrebbe sostituita da un governo fondamentalista islamico. Ciò non toglie che molti di loro, pur non imbracciando le armi, sostengono una trasformazione non violenta della società siriana. La testimonianza che presentiamo sotto, mostra che proprio la divisione e le ferite della popolazione è il nuovo campo di missione della Chiesa in Siria. Per ragioni di sicurezza, l'autore viene designato con uno pseudonimo.

giovedì 15 marzo 2012

ANNIVERSARIO. Un anno dopo l’inizio della crisi siriana

Un testimone racconta....  Intervista di Silvia Cattori

L’ingegnere di cui abbiamo raccolto la testimonianza viveva nella città di Homs fino a che, nel giugno 2011, terrorizzato dagli orrori commessi nel suo quartiere, è fuggito dalla città con la famiglia per rifugiarsi presso i genitori in un villaggio vicino. Le sue affermazioni in questa intervista con Silvia Cattori contraddicono tutti i resoconti comparsi sui nostri principali media. Non divulgheremo il nome dell’intervistato per proteggerlo.

Silvia Cattori: La città di Homs, il quartiere di Baba Amro, sono stati oggetto di numerosi reportage di giornalisti entrati illegalmente in Siria, «nel cuore dell’esercito siriano libero». Vorremmo conoscere il vostro punto di vista su quanto è accaduto a Homs da un anno a questa parte.
Risposta: Sono originario di Homs. Vivevo nel quartiere di Bab Sebaa. A metà aprile del 2011, gruppi di persone hanno cominciato a riunirsi pacificamente nel centro di Homs, sulla via Al-Kowatly, per chiedere riforme. Ben presto, però, la gente ha cominciato a sospettare di queste manifestazioni, c’era qualcosa di strano, di poco chiaro: taluni avevano comportamenti provocatori, estranei al sentire comune del nostro paese, ad esempio lanciavano slogan che incitavano alla Jihad. Molto rapidamente tutte le persone che conoscevo hanno smesso di manifestare, non si sentivano più a loro agio e concordi con questo genere di proteste del venerdì, all’uscita dalle moschee.
A giugno sulla strada di Hadara [a Bab Sebaa], sono stati ritrovati una quindicina di corpi di alauiti, fatti a pezzi, teste e membra tagliate, con un cartello: « vendita carne ». Sconvolti da questo eccidio, degli alauiti hanno incendiato dei negozi appartenenti a sunniti. Persone raccontavano di atti orribili di cui erano stati testimoni. Macchine di alauiti sono state date alle fiamme. L’inquietudine montava. A quel punto alauiti e cristiani hanno cominciato a marcare i loro negozi e macchine con delle croci ben visibili. Un giorno ho visto sotto il cofano di un camion, appartenente a sunniti, un carico di armi e munizioni. Ho visto sunniti armati sparare contro alauiti, sparare all’impazzata per uccidere. Si udivano di continuo detonazioni, spari, e le urla « Allah Akbar ». I miei bambini erano turbati, avevano paura. Così ho preso la decisione di lasciare Bab Sebaa e con la mia famiglia mi sono rifugiato dai miei genitori, in un villaggio vicino Homs.
Non avevamo mai visto questo genere di cose in Siria. Fino ad allora avevamo vissuto in perfetta armonia, non c’era mai stato nessun problema tra Siriani di diverse religioni. Per la prima volta ho sentito parlare di salafiti...
Sono tornato a Bab Sebaa due volte, a luglio e agosto. Il quartiere si stava svuotando, lentamente stava cessando di vivere. La maggior parte delle famiglie è fuggita, i bambini non c’erano quasi più, le scuole sono state chiuse. Poche famiglie sono rimaste solo perché non sapevano dove andare. L’ultima volta sono tornato a novembre. Homs era ormai diventata una città fantasma. Nessuno osava più avventurarsi in certi quartieri, la città era morta.
Silvia Cattori: Anche i sunniti sono stati perseguitati? Anche loro erano fuggiti?
Risposta: Sì, certamente. La grande maggioranza dei sunniti si è opposta a questi estremisti ed era contraria alle milizie armate. Il mio medico era sunnita e non era d’accordo con la loro violenza, ne aveva paura. Andava a pregare in moschea ma non partecipava alle manifestazioni. Poco a poco tutti i suoi pazienti sunniti hanno cominciato a disertare il suo studio. Si è sentito minacciato e ha lasciato Homs. Nella via dove abitavo solo due famiglie sunnite sono rimaste. I Siriani che sostengono gli oppositori armati sono una piccola minoranza. Gli oppositori armati hanno comportamenti inumani che spaventano gli stessi sunniti, non solo i cristiani o gli alauiti.
A maggio, Fadi Ebrahim, un giovane sunnita di 25 anni, è stato visto mentre scattava delle foto, cosa che era stata proibita dai miliziani, ed è stato rapito. Tempo dopo il suo cadavere è stato ritrovato in mezzo alla spazzatura a Bab Sebaa, nel mio quartiere.
Silvia Cattori: Temporalmente, a quando risale la rottura tra questa minoranza di manifestanti e la popolazione inquietata dai loro comportamenti?
Risposta: Credo fosse la fine di aprile quando la grande maggioranza delle persone, tra cui moltissimi sunniti, ha smesso di manifestare con loro. Solo i più fanatici hanno continuato ad andare a queste manifestazioni che partivano il venerdì dalla moschea. Sunniti che si erano rifiutati di manifestare sono stati rapiti, taglieggiati, uccisi. Queste manifestazioni anti-Bashar el-Assad non hanno mai raccolto più di qualche migliaio di persone, ma hanno beneficiato di una enorme risonanza mediatica all’estero.
Poco a poco si è preso coscienza del vero pericolo che correva il nostro paese. Certamente il timore che un intervento esterno facesse accadere anche a noi ciò che era successo al popolo libico, ha contribuito. A quel punto sono cominciate grande manifestazioni di milioni di persone in tutto il paese a sostegno di Assad, che chiedevano un cambiamento progressivo e pacifico, e soprattutto si opponevano a qualunque intervento straniero.
Silvia Cattori: Suoi parenti hanno subito violenze di cui ha la prova che siano state commesse dalle milizie armate?
Risposta: Sì. Due cugini della famiglia di mia moglie, originari di Al Qusayr, un villaggio vicino Homs abitato da cristiani e sunniti. Il primo, un ingegnere di 24 anni, è stato ucciso nel febbraio del 2012 mentre usciva da casa sua. L’altro, di 30 anni, è stato rapito dieci giorni fa e poi ritrovato impiccato ad un albero. È proprio ad Al Qusayr che l’esercito regolare si sta concentrando ora per sgominare i ribelli.
Dal lato della mia famiglia, in dicembre, un cugino di 33 anni è stato rapito a Baba Amro. È stato ritrovato due settimane dopo tra la vita e la morte a causa delle torture che aveva subito. È rimasto in ospedale per due mesi. Altri tre uomini erano stati presi con lui. Ad uno di loro, sunnita, hanno straziato le gambe. Gli altri due erano alauiti: sono stati sgozzati. Pensiamo che nostro cugino non sia stato ucciso perché è cristiano.
A gennaio, un mio vicino - l’unico che era rimasto a Bab Sebaa con la famiglia - mentre usciva dal suo palazzo in compagnia della figlia per accompagnarla all’università, è finito sotto il fuoco di cecchini. Lui è rimasto ucciso sul colpo, la figlia ferita.
Silvia Cattori: Vorremmo davvero capire chi sono questi che sgozzano, torturano, rapiscono. Nel caso di suo cugino, ad esempio, lui è tornato, cosa ha potuto testimoniare?
Risposta: Lui e i suoi amici sono stati fermati all’entrata del quartiere di Baba Amro ad un posto di blocco militare da uomini mascherati che indossavano uniformi dell’esercito regolare. Hanno mostrato i loro documenti ai militari dicendo di essere dalla loro parte, gli uomini mascherati li prendevano in giro, dicevano: « Sì, sì, lo vediamo che siete nostri amici...! ». A quel punto hanno capito che quegli uomini mascherati erano miliziani dell’«Esercito libero» (ESL). Qui da noi, dal nome e dalla regione di provenienza, si può capire a che religione si appartiene. Gli uomini mascherati hanno immediatamente sgozzato i due alauiti. Poi hanno torturato alle gambe il sunnita ma l’hanno liberato dopo aver minacciato la sua famiglia. Mio cugino è stato portato via, gli dicevano che sarebbe stato liberato se veniva pagato un riscatto. Sono cominciati dei negoziati tra i miliziani e le forze governative per ottenere il suo rilascio. Come dicevo, è stato ritrovato due settimane dopo in uno stato spaventoso.
Silvia Cattori: Credo a quanto mi racconta, ma i nostri media - facendo affidamento sui resoconti di giornalisti entrati illegalmente in Siria - imputano sistematicamente al governo di el-Assad gli atti barbari che lei attribuisce agli estremisti sunniti. Come può capire il pubblico da che parte sta la verità?
Risposta: Le violenze e gli orrori che subiamo da ben un anno sono commessi dalle milizie. Conosciamo il nostro popolo; la nostra gente, i nostri soldati, non sono violenti. Fanno ciò che possono. Rischiano la vita per proteggerci da queste milizie armate che rapiscono, taglieggiano, uccidono. Più di 3.000 soldati sono morti nel corso dell’ultimo anno.
La situazione è diventata crudele, la vita quotidiana dei Siriani è sconvolta dal caos e dall’insicurezza provocata da queste milizie. È duro, molto duro, vedere le persone costrette ad andarsene, il popolo cadere nella miseria. Molti hanno perso il lavoro. Le sanzioni dell’Onu aggravano la situazione.
Silvia Cattori: Abbiamo appreso ascoltandola che Baba Amro era un quartiere abbandonato dai suoi abitanti da molto tempo. Nessuno dei nostri media ha raccontato questo. Quando l’esercito ha dato l’assalto all’ESL [Esercito Siriano Libero], quindi, non c’erano civili presi in ostaggio, come pretendeva l’informazione nostrana?
Risposta: Mio fratello è rientrato due volte a Baba Amro nel mese di novembre per trasportarvi delle merci. Ci ha raccontato che la quasi totalità degli abitanti aveva lasciato il quartiere, che tutto era stato distrutto, i negozi erano chiusi. C’era ancora acqua ed elettricità, ma pochissime persone; cento o duecento famiglie al massimo. Si pensi che a Baba Amro vivevano 90.000 persone prima dell’arrivo delle milizie armate.
Silvia Cattori: Quante persone sono fuggite da Homs?
Risposta: La grande maggioranza degli abitanti di Homs e dei sobborghi della città è scappata [4]. Penso diverse centinaia di migliaia di persone. Quando sono tornato a Bab Sebaa a novermbe, nella via dove abitavo solo due famiglie, su cinquecento, erano ancora lì. Tutti sono scappati, cristiani, sunniti, alauiti.
Silvia Cattori: Quando ha sentito che i combattenti dell’ESL erano stati cacciati da Baba Amro, cosa ha provato?
Risposta: Un grande sollievo. Da tempo aspettavamo l’intervento dell’esercito. Le immagini mostrate durante l’assalto di febbraio possono far credere che sia stato l’esercito governativo a distruggere Baba Amro. Ma come ricordavo prima, Baba Amro era stato stato distrutto molto prima dalle milizie.
Silvia Cattori: A Baba Amro ora la popolazione può rientrare, i gruppi armati sono stati cacciati. Che ne è degli altri quartieri?
Risposta: Uno dei quartieri più problematici, ora, è quello di Al Hamidia. Vi si trova una piccola minoranza di sunniti. I cristiani che vi sono rimasti hanno passato dei momenti molto duri. Sono stati vittime di aggressioni, furti, rapimenti, da mesi ormai. La gente non osava più uscire di casa. L’esercito non poteva andare in loro aiuto perché i miliziani controllavano le vie di accesso, avevano occupato le case dei cristiani e li tenevano in ostaggio.
L’unico quartiere di Homs da cui la gente non sia fuggita in massa è quello di Akrama [come invece nel caso di Al Hamidia]. È ad Akrama, dove cristiani e alauiti sono in maggioranza, che le persone in cerca di maggiore sicurezza cercavano di trovare un alloggio. Gli abitanti si sono organizzati per proteggersi. Qui gli abitanti si sentivano più sicuri rispetto le altre zone di Homs, almeno fino a gennaio.

I cristiani vivono la Quaresima “in silenzio, con le mani vuote, il cuore pesante e gli occhi rivolti a Cristo Risorto, che guida i nostri passi sulla via del perdono e della pace”

L’Arcivescovo Maronita: “Cristiani impotenti, mentre il conflitto è in un vicolo cieco”

 “La sofferenza che viviamo è grande. Stiamo assistendo impotenti al dramma. Per fortuna il Santo Padre Benedetto XVI colma il vuoto chiedendo pace, giustizia, dialogo e riconciliazione” dice all’Agenzia Fides Mons. Samir Nassar, Arcivescovo maronita di Damasco, a un anno dall’inizio della rivolta e della violenza in Siria.

In un messaggio inviato a Fides, l’Arcivescovo ricorda che “quella che era iniziata come una piccola manifestazione nella parte meridionale della Siria, il 15 marzo 2011, si è ora trasformata in una crisi che inghiotte ogni città del paese. Di fronte a una crisi che, in un anno, è cresciuta dal livello locale a proporzioni regionali, la Siria è diventata una zona di conflitto internazionale, in cui la posta in gioco, che è politica, militare ed economica, sta plasmando il futuro del paese”.
Mons. Nassar nota che “il conflitto è in un vicolo cieco: da un lato, un forte potere centralizzato che rifiuta di farsi da parte; dall'altro, una sollevazione popolare che non accenna ad arrendersi, nonostante l'intensità della violenza. Questo conflitto, che sta paralizzando il paese, ha portato sanzioni economiche, inflazione, svalutazione della moneta locale (-60%), aumento della disoccupazione, distruzione, popolazioni sfollate e vittime a migliaia”. La gente “è sottoposta a pressioni enormi e intensa sofferenza, che cresce col passare del tempo. Odio, divisioni e miseria aumentano, in assenza di atti di compassione e di aiuti umanitari. La Siria sembra stretta nella morsa di una impasse mortale”, rimarca con preoccupazione.
Sulla condizione dei cristiani, l’Arcivescovo afferma: “L'attuale situazione di stallo sta alimentando l'angoscia dei fedeli che, alla fine di ogni Messa, si salutano con un addio, avvertendo così incerto il loro futuro. Le chiusure delle ambasciate a Damasco ha reso impossibile ottenere i visti, in modo da limitare notevolmente la possibilità di lasciare il paese”.
“In questo momento di grande tormento e divisione – spiega Mons. Nassar – la famiglia diventa l'unico rifugio per le vittime della crisi. La famiglia agisce come uno scudo che garantisce la sopravvivenza della società e della Chiesa. Per questo motivo, di fronte a tale tragedia, la Chiesa ha scelto di focalizzare la propria attenzione e preghiera per le famiglie, fornendo loro tutto l'aiuto e il sostegno possibile”.
Ma intanto “la crisi non sembra volgere al termine. Piuttosto, la tempesta è sempre più forte e non si vede la fine del tunnel”. Il quesito cruciale è: “Dove andrà e che fine farà la Siria?”. Con tale preoccupazione, conclude l’Arcivescovo, i cristiani vivono la Quaresima “in silenzio, con le mani vuote, il cuore pesante e gli occhi rivolti a Cristo Risorto, che guida i nostri passi sulla via del perdono e della pace”. (PA)
 (Agenzia Fides 15/3/2012)

martedì 13 marzo 2012

I Francescani: “Urge uno sforzo di dialogo e di pace; non lasceremo le nostre missioni”

Damasco (Agenzia Fides) – “Le Ambasciate dei paesi occidentali chiudono, noi francescani restiamo, per stare accanto alla gente. Siamo qui da otto secoli, non lasceremo le nostre missioni, vogliamo continuare l’opera di amore e servizio a tutto il popolo siriano”: è quanto dice all’Agenzia Fides, fra Romualdo Fernandez, OFM, direttore del Centro ecumenico di Tabbale (Damasco) e Rettore del Santuario dedicato alla Conversione di San Paolo, a Damasco.

A un anno dall’inizio della rivolta, le Nazioni Unite hanno annunciato 8.000 vittime, mentre Ong come “Human Rights Watch” lanciano l’allarme per le mine antiuomo disseminate sulle strade verso il Libano. “La gente ha paura. Vediamo che aumentano le famiglie, anche cristiane, che lasciano la Siria per il timore di un futuro incerto e cupo. Anche il costo della vita è salito e per molti la quotidianità diventa insostenibile” racconta il francescano.
P. Fernandez lancia un appello: “Bisognerebbe investire di più e fare uno sforzo maggiore per promuovere il dialogo fra governo e opposizione. La comunità internazionale e i mass-media dovrebbero spingere di più per il dialogo”. I francescani auspicano “un incontro positivo, costruttivo, non violento per una apertura democratica e per riportare la pace”.
Il frate spiega: “La gente teme il risultato politico dopo le sommosse. La situazione è molto complessa: c’è la questione del confronto fra le diverse componenti della popolazione siriana e, d’altro canto, ci sono le pressioni degli stati vicini, in Medio Oriente. Noi cristiani, guardando l’odierna situazione dell’Iraq, speriamo che la popolazione siriana non soffra come quella irachena, martirizzata anche dopo la guerra. Quello che i cristiani temono è un vuoto di potere, che lasci spazio alle mafie, all’ingiustizia, agli estremismi. Noi comunque continueremo a pregare e a stare accanto alla popolazione”. (PA) (Agenzia Fides 13/3/2012)

“Rispetto dei diritti umani: perchè si applica in modo selettivo?”, chiede il Vicario Apostolico Mons Nazzaro
Aleppo (Agenzia Fides)
 – “L'Occidente ricordi sempre di non fare agli altri quello che non vorrebbe sia fatto a se stesso”: con queste parole, ricordando un “motto della Sacra Scrittura”, Mons. Giuseppe Nazzaro OFM, Vicario Apostolico di Aleppo dei Latini, commenta all’Agenzia Fides l'attuale situazione in Siria, all'indomani della visita di Kofi Annan. Secondo gli osservatori, l'inviato dell'Onu ha lasciato la Siria senza importanti passi in avanti per fermare il conflitto in corso.
“Nè governo nè opposizione hanno accettato le proposte di cessate il fuoco o di dialogo”, nota con rammarico il Vicario. “Che l’opposizione sia guidata e manipolata fin dall'inizio, i timori sono fondati: vi sono in gioco altre sponde”, riferisce con preoccupazione. Secondo informazioni filtrate negli ultimi giorni e riportate dai mass-media (come AKI - Adnkronos International), il conflitto sarebbe alimentato anche da settori islamisti della società siriana.
Il Vicario rimarca a Fides: “L'Occidente, se vuole interessarsi del Medio Oriente, deve abbracciare tutta l'area che va dal Mediterraneo fino al Golfo Persico. Non si possono considerare solo dati eventi o situazioni, perché così vuole una certa filosofia occidentale. Per attuare profondi cambiamenti culturali e sociali ci vogliono secoli: non si possono pretendere immediati risultati, non si può ragionare con un metro di pensiero puramente occidentale”.
P. Nazzaro continua: “Perché il rispetto dei diritti umani si applica in modo selettivo solo alla Siria? Forse per ragioni politiche o commerciali? In molti altri stati del mondo, nello stesso Medio Oriente, avvengono abusi peggiori, nel generale silenzio. Intanto gli stati che perpetrano tali abusi votano risoluzioni all’Onu contro la Siria. Dove sta la morale?”, conclude. (PA) (Agenzia Fides 12/3/2012)

E l'albero si conosce dai suoi frutti...




domenica 11 marzo 2012

L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti

LA DERIVA ISLAMISTA DELLE PRIMAVERE ARABE

di Gianandrea Gaiani

Gli sviluppi della crisi siriana e la progressiva deriva islamista assunta dalla cosiddetta “primavera araba” mettono in discussione la strategia adottata finora dall’Occidente. Nonostante le rivolte dell’ultimo anno abbiano preso il via grazie a movimenti liberali e libertari il rovesciamento dei vecchi regimi ha visto affermarsi gruppi islamici che solo in parte e solo eufemisticamente possono venire definiti moderati. Un risultato paradossale se si valuta la strategia statunitense sviluppatasi dopo l’11 settembre e se si considera che tutti i regimi (Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia e persino Gheddafi in Libia) erano alleati o comunque legati a Washington e all’Occidente che li hanno sacrificati sull’altare di un cambiamento che pare oggi fuori controllo. La Libia è nel caos tra scontri tribali e penetrazione islamista. Della settantina di milizie che stanno “feudalizzando” un Paese nel quale il Consiglio nazionale di transizione perde costantemente prestigio e influenza, le quattro più forti sono di matrice islamista e stanno inviando combattenti in Siria per il jihad contro il regime di Bashar Assad. In Egitto il Parlamento è in mano a Fratelli Musulmani e salafiti grazie ad elezioni farsa che hanno prodotto 52 milioni di voti contro soli 40 milioni di elettori. Oggi il loro potere si confronta, anche in cerca di compromessi, con quello dei militari che fin dalla caduta della monarchia hanno sempre governato ed espresso il presidente. Anche in Tunisia al successo del partito Ennhada, espressione dei Fratelli Musulmani, si affianca il crescente peso del “Partito della Liberazione”, formazione salafita che spesso conduce azioni violente per colpire persone e locali pubblici che non rispettano i dettami del più stretto islamismo. Azioni che preoccupano i laici, in un Paese tra i più moderni e aperti del mondo arabo, ma anche i servizi di sicurezza occidentali che rilevano in Tunisia la crescente presenza di salafiti già noti in Europa per il sostegno al terrorismo islamico. Come ha ricordato recentemente Massimo Amorosi, analista dell'Osservatorio Geopolitico Mediorientale di Roma, ha creato tensioni in Tunisia la visita del predicatore egiziano Wajdi Ghuneim, che in diversi sermoni ha invocato l'applicazione della Sharia e il ripristino della mutilazione genitale femminile. Il religioso noto per i rapporti con il gruppo palestinese Hamas (altro movimento legato ai Fratelli Musulmani) è un ex militare al quale è precluso il soggiorno in Gran Bretagna per “apologia della violenza terroristica”.
Una strana alleanza
La strategia messa a punto dall’Occidente di fronte alle rivoluzioni (o involuzioni) arabe resta in parte da decifrare. Emerge un asse che unisce statunitensi, franco-britannici e turchi alla Lega Araba e soprattutto ad Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti che insieme alla Giordania hanno svolto un ruolo finanziario e militare nel rovesciare Gheddafi e premono oggi per far cadere Bashar Assad. Così come emerge la crescente influenza turca nell’area compresa tra il Mediterraneo e l’Asia Centrale. Un contesto nel quale spicca ancora una volta l’assenza imbarazzante dell’Unione Europea in una crisi che si sviluppa minacciosamente nel suo giardino di casa. Londra e Parigi, tornate protagoniste sulla scena internazionale, schierano truppe scelte e istruttori militari al fianco degli insorti siriani così come fecero in Libia. Iniziative che rispondono a interessi nazionali non certi comunitari. Pare evidente la volontà di Washington e di Ankara di favorire la nascita di un blocco arabo sunnita che, rovesciando il regime scita siriano, isoli l’Iran e i miliziani libanesi Hezbollah. Non mancano però i dubbi su un’iniziativa che rischia di far cadere la principale area petrolifera del mondo nelle mani di gruppi radicali islamisti, parenti a volte molto stretti delle milizie di al-Qaeda e dei talebani afghani con i quali gli statunitensi stanno trattando, non a caso, in Qatar. Paradossale che le forze speciali britanniche segnalate a Homs al fianco dei ribelli siriani, combattano dalla stessa parte delle milizie irachene di al-Qaeda loro acerrime nemiche in Iraq. La presenza in Siria delle cellule di “al Qaeda in Mesopotamia”, dopo i devastanti attentati di Damasco e Aleppo contro comandi militari e di polizia, è stata ufficializzata da Baghdad e dall’intelligence statunitense. Ammissioni che hanno sgombrato il campo dalla propaganda degli insorti che indicava lo stesso regime di Assad come responsabile delle autobombe. Desta non pochi interrogativi e imbarazzi anche la considerazione che gli stessi Paesi che oggi combattono per impedire ai talebani di riportare la sharia a Kabul siano politicamente e militarmente impegnati a portarla a Tripoli, Damasco e in tutto il Medio Oriente così come è evidente che il sostegno delle monarchie arabe del Golfo alla libertà e alla democrazia venga meno quando a chiederle sono gli abitanti del Bahrein (dove Riad ha inviato truppe a sostegno dell’emiro) o gli stessi cittadini sauditi e del Qatar.
L’impasse siriana
L’amministrazione Obama sembra cominciare a valutare il rischio concreto di consegnare la Siria agli islamisti soprattutto dopo le amare lezioni giunte dalla Libia dove imponenti arsenali di armi moderne sono passati dai depositi dell’esercito di Gheddafi alle mani di insorti e terroristi di al-Qaeda nel Sahel , in Sudan e persino a Gaza e in Libano. Damasco dispone di ampie riserve di armi chimiche disseminate in una cinquantina di depositi che verrebbero tenuti d’occhio dai velivoli teleguidati statunitensi decollati dalla Turchia e forse anche da Israele e dalle basi britanniche a Cipro. Nelle mani di terroristi e jihadisti i gas nervini (Sarin e VX) di Assad diverrebbero armi micidiali se impiegate contro obbiettivi civili in ambienti urbani. Una preoccupazione che sembra smorzare le possibilità di un intervento militare internazionale sulla falsariga di quello attuato in Libia per non creare escalation e caos che faciliterebbero la sottrazione di armi di distruzione di massa ma anche delle sofisticate armi convenzionali di produzione russa in dotazione alle forze di Damasco. Quella siriana è però già a tutti gli effetti una guerra civile dove dei circa 7.500 morti registrati quasi un terzo sono militari e poliziotti governativi. Il conflitto siriano registra inoltre una progressiva internazionalizzazione. Aiuti militari, denaro e istruttori per i campi militari dei ribelli in Turchia giungono da Occidente e Paesi arabi mentre Russia, Cina e Iran appoggiano Damasco. Pasdaran iraniani e consiglieri militari russi affiancano le truppe governative che, nel timore di interventi militari stranieri e per ostacolare i traffici di armi che riforniscono i ribelli, già nel novembre scorso hanno minato i confini con Giordania, Turchia e Libano (le frontiere con Israele sul Golan sono già da tempo minate). Per Mosca non si tratta solo di difendere un alleato storico e un importante cliente ma anche di arginare islamismo e jihadismo che già minacciano la Russia caucasica e le repubbliche centro-asiatiche che in passato furono sovietiche ma prima ancora parte rilevante dell’impero ottomano. Il vertice di Tunisi dei cinquanta Paesi auto definitisi “amici della Siria” ha evidenziato le titubanze di Washington e dell’Occidente che mirano a mettere a punto una risoluzione che chieda la fine delle violenze per consentire a personale delle Nazioni Unite e alle agenzie umanitarie di entrare a Homs, contesa da governativi e ribelli. Difficile valutare se si tratti di un primo passo verso un intervento militare giustificato da “esigenze umanitarie” o di un ripensamento strategico dovuto al rischio di togliere di mezzo Assad per regalare la Siria ai jihadisti.

http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero126/article_335127405250543564512322863788_3717816370_0.jsp

sabato 10 marzo 2012

Viviamo questo momento difficile nell'attesa e nella preghiera.La nostra speranza è una riconciliazione nazionale e una pacificazione del paese.

Il Vicario Apostolico Mons Nazzaro: “Kofi Annan venga senza pregiudizi o istruzioni preconfezionate”

Aleppo (Agenzia Fides)

 Una chance di pace in Siria c'è se un osservatore come Kofi Annan “ascolta ed entra nella psicologia del popolo siriano”, dice all'Agenzia Fides il francescano p. Giuseppe Nazzaro OFM, Vicario Apostolico di Aleppo. Il Vicario lancia un appello all'ospite delle Nazioni Unite, in questi giorni in Siria: “Venga per entrare realmente dentro alle questioni aperte, senza pregiudizi e senza portare istruzioni per soluzioni preconfezionate. Se sarà prevenuto, non risolverà nulla”. “La visita di Annan – spiega p. Nazzaro – ha una reale possibilità di pacificazione se il leader sarà capace di entrare nella psicologia e nella vita del popolo siriano. La chiave può essere ascoltare governo e opposizione, società, minoranze, senza subire i condizionamenti di forze esterne e le pressioni di altri stati”.
“La questione siriana – continua – va necessariamente iscritta nel contesto del Medio Oriente e dei suoi recenti cambiamenti, analizzando il quadro complessivo. La situazione siriana non nasce oggi ma ha radici antiche. Nell’affrontarla vanno tenute in considerazione la storia, la cultura, le aspettative di un intero popolo”.
“Ogni paese ha qualcosa da migliorare: l’Occidente aiuti a correggere e migliorare la Siria senza imporre una propria ideologia, ma lasciando che maturi una coscienza. Questo l'Occidente deve capirlo, entrando nella mente dei siriani. Non si può pensare solo alla parte economica, al commercio, a interessi geopolitici”, nota il Vicario.
Come comunità cristiana, che in Siria rappresenta l’8% della popolazione, “viviamo questo momento difficile nell'attesa e nella preghiera. La Siria è un paese che finora ci ha dato garanzie, preservando le comunità cristiane, nella pratica e nel rispetto della fede. I cristiani siriani sono timorosi verso un cambiamento futuro che potrebbe portare sofferenze e persecuzioni: vedasi quanto accaduto in Iraq o in Egitto. La nostra speranza è una riconciliazione nazionale e una pacificazione del paese, nel pieno rispetto dei diritti e della dignità di ogni essere umano”. (PA)
(Agenzia Fides 10/3/2012)
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38640&lan=ita

La Siria accoglie Kofi Annan con oltre 80 morti

da  Asia News
10/03/2012

La militarizzazione del conflitto renderebbe solo peggiore la situazione

L’ex segretario generale dell’Onu incontrerà a Damasco il presidente Bashar al-Assad per negoziare una soluzione politica alla guerra civile. Per le truppe ribelli, solo “uno spreco di tempo”. Da ieri nuove violenze in tutto il Paese hanno prodotto più di 80 morti.

Damasco (AsiaNews/Agenzie) - Da questa mattina Kofi Annan, inviato speciale per Onu e Lega araba, è a Damasco per discutere con il presidente Bashar al-Assad possibili negoziati. Annan si fermerà nella capitale per 24 ore. Tuttavia, il Syrian National Council (Snc) ha già definito questa visita "tempo sprecato", se non si faranno pressioni militari sul governo Assad. Alla vigilia della sua missione infatti, l'ex segretario generale delle Nazioni Unite ha chiesto a entrambe le parti di porre fine alle violenze e sedere al tavolo delle trattative, aggiungendo che la "militarizzazione" del conflitto renderebbe solo peggiore la situazione.

Al momento però, la ricerca di una soluzione politica alla crisi siriana non sembra trovare molti sostenitori. Da ieri, una nuova ondata di violenze ha colpito varie zone del Paese, provocando la morte di oltre 80 persone. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights (gruppo di attivisti dell'opposizione, con base a Londra), almeno la metà sono rimaste vittima dei raid del governo vicino alla provincia di Idlib. Situata a nord di Homs, il principale centro dei ribelli, Idlib è vista come il prossimo obiettivo delle truppe militari, dopo i combattimenti a Baba Amr.

venerdì 9 marzo 2012

Dietro le apparenze

Siria: i timori dei cristiani, presi tra due fuochi

“Se i cristiani di Siria hanno paura? Certo che sì. Hanno molto da perdere e lo sanno bene. Anche se in quest’assurdo conflitto che mette i fratelli l’uno contro l’altro i cristiani non c’entrano, sono proprio loro che un domani, in qualità di minoranza, potrebbero esser chiamati a pagare il prezzo più alto di questa assurda guerra”.

9.2.12
Misna - Lo dice un religioso cristiano, molto bene informato sulla situazione, contattato dalla MISNA in Siria mentre a Homs proseguono i bombardamenti delle forze armate contro “la roccaforte” dei movimenti di opposizione. “Da Homs la maggior parte dei cristiani è andata via per timore delle bombe e di possibili scontri. In città ci sono elementi armati che potrebbero ingaggiare combattimenti con i militari: questa è una cosa di cui, i mezzi di informazione occidentale non parlano, lasciando credere che tutt’ad un tratto il governo di Damasco sia impazzito e abbia cominciato a bombardare i suoi cittadini solo perché avevano pacificamente manifestato in piazza” prosegue la fonte, chiedendo di rimanere anonima per motivi di sicurezza.

Insieme al Libano, la Siria è ancor oggi l’unico Paese arabo in cui l’Islam non è formalmente definito religione di Stato dalla Costituzione e il credo religioso non viene riportato sulle carte d’identità dei cittadini. Nelle ultime settimane, tuttavia, i timori di una deriva confessionale dei disordini in corso in Siria – a partire e non a caso da Homs, la cui popolazione è equamente divisa tra alawiti e sunniti – sono alimentati dal ricordo dell’esodo dei cristiani iracheni. “Negli occhi e nelle orecchie di tutti i siriani riecheggiano i racconti, terribili, dei profughi in fuga da Baghdad, Mosul o Erbil” dice ancora la fonte, ricordando che mentre l’Europa cercava di respingerli o ‘dirottarli’ in Africa e America Latina “la Siria ha aperto le sue porte agli iracheni, di qualunque confessione religiosa essi fossero”.

Alla battaglia che si consuma nel paese se ne contrappone un’altra, ben più ampia, sul fronte internazionale, con cancellerie occidentali da un lato, Mosca e Cina – che hanno apposto il veto ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che prevedeva le dimissioni di Assad – dall’altro. “A ben guardare però – azzarda la fonte della MISNA – chi soffia più di tutti sulle braci, invocando un intervento umanitario come quello ideato per la Libia sono potenze unite da un nemico comune: l’Iran. Gli Stati Uniti, che non vedono l’ora di disfarsi degli Ayatollah, la Turchia sunnita che ne teme le ingerenze sul governo a maggioranza sciita di Baghdad, l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo che contendono agli sciiti il primato dell’egemonia religiosa nel grande Medio Oriente”.

In Siria, conclude il religioso, sono in molti a credere che “questa guerra, combattuta soprattutto sui media, vada oltre Damasco e Homs ma guardi molto più lontano, versoTeheran”.

Il calvario dei cristiani in Medio Oriente

da CANTO NUOVO , intervista a HARALD SUERMANN

Dialogare con gli attori dei processi in atto in Nord Africa e Medio Oriente, “nel rispetto dei popoli”, con l’obiettivo di costruire “società stabili e riconciliate, aliene da ogni ingiusta discriminazione, in particolare di ordine religioso”. Lo ha chiesto Benedetto XVI alla comunità internazionale, in occasione della presentazione degli auguri per il nuovo anno del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Il pensiero del Papa è subito andato alla Siria, per la quale – ha detto – auspica “una rapida fine degli spargimenti di sangue”. Particolare la situazione dei cristiani, come spiega Harald Suermann, direttore della divisione Medio Oriente dell’organizzazione umanitaria tedesca Missio, che nei giorni scorsi ha partecipato all’incontro della Roaco, la Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali:

HARALD SUERMANN-Direttore divisione Medio Oriente di Missio
La situazione è molto difficile: la maggior parte dei cristiani ha paura della rivoluzione. Non si sa cosa ne verrà fuori. Il regime di Assad non è un buon regime, ma comunque ha consentito di mantenere una situazione stabile. Il timore è – ed è una paura molto grande – che questa rivoluzione dei Fratelli Musulmani provochi una situazione simile a quella verificatasi in Iraq. Pertanto hanno paura e, come dire, non sono dalla parte di Assad, ma chiedono un cambiamento graduale delle cose.

Il Papa, nel discorso agli ambasciatori, ha poi auspicato il riconoscimento della dignità inalienabile di ogni persona umana e dei suoi diritti fondamentali. Il pensiero corre quindi anche all’Egitto e alla presenza cristiana nel Paese, minacciata da attentati e violenze estremiste contro i copti:
HARALD SUERMANN-Direttore divisione Medio Oriente di Missio
Soprattutto ora, considerando il caso dell’Egitto, si possono notare le conseguenze sulla vita della Chiesa cristiana e dei cristiani, che non migliora perché con questo cambiamento di regime si è verificato un vuoto di potere che è stato strumentalizzato da quanti vogliono spaventare i cristiani. Si sono verificati episodi in cui le chiese venivano bruciate e i cristiani venivano attaccati: questa è la situazione per il momento. Dobbiamo aspettare il ristabilimento e il rafforzamento del potere centrale per avere una sicurezza, che però da sola non garantirà un futuro positivo per i cristiani. Ritengo che, a lungo termine, la gente chiederà più libertà ed eguaglianza tra le persone, ma serve tempo.

Benedetto XVI ha anche espresso compiacimento per la ripresa del dialogo tra palestinesi e israeliani, grazie ad un’iniziativa del Regno di Giordania.
HARALD SUERMANN-Direttore divisione Medio Oriente di Missio
Hamas, il partito radicale islamico, sta diventando più moderato e sta anche prendendo le distanze dal regime siriano: c’è quindi un’atmosfera positiva per un cambiamento, ci sono le premesse per delle trattative di pace. A mio avviso, si verifica una congiuntura che potrebbe essere positiva, se viene colta non tanto dagli europei, quanto da Israele e dalla Palestina. E mi auguro anche che la Giordania possa veramente svolgere un ruolo di mediazione.

Nuove violenze segnano la Siria

Dall' Osservatore Romano di sabato 10 marzo 2012

Pechino lavora a una road map per una soluzione politica della crisi

DAMASCO, 9. Nuove violenze in Siria. Sono almeno 56 le persone uccise ieri dalle forze di sicurezza in varie località del Paese. Lo riferiscono i Comitati di coordinamento locale degli attivisti, che forniscono un bilancio documentato e dettagliato delle vittime. Di queste, 44 sono morte a Homs. Il Governo attribuisce la responsabilità degli scontri a gruppi di terroristi.
Intanto, sul fronte internazionale, la Cina cerca sostegno per il suo piano per trovare una soluzione politica alla crisi. Arabia Saudita, Egitto e Francia sono le tappe della missione di sette giorni — che inizierà domenica — dell’inviato di Pechino, Zhang Ming.
L’obiettivo, hanno spiegato dal ministero degli Esteri, è presentare una nuova road map per la pace. Liu Weimin, portavoce del dicastero, ha precisato che al Cairo Zhang Ming incontrerà responsabili della Lega Araba. Il piano cinese prevede l’immediato stop delle violenze in Siria e l’avvio di un dialogo, senza precondizioni, tra Governo e opposizioni. Negli ultimi giorni la Cina, che ha posto per due volte (insieme a Mosca) il veto in Consiglio di Sicurezza Onu a risoluzioni contro la Siria, si è detta disponibile per una mediazione tra le parti con l’aiuto di Nazioni Unite e Lega Araba.

Siria. Denunce di torture a Homs. Profughi accolti dai cristiani libanesi

Da Radio Vaticana - 7 marzo 2012

In Siria la situazione è sempre più drammatica e la popolazione fugge verso il Libano. Secondo le Nazioni Unite 2000 nuovi rifugiati hanno varcato il confine in questi giorni. La comunità cristiana in Libano è pronta ad accogliere tutti senza distinzioni. Massimo Pittarello ha chiesto a padre Paul Karam, direttore delle Pontificie Opere Missionarie se i profughi siano già arrivati e qual è la reale situazione in Libano.RealAudioMP3
R. – Non abbiamo visto questo numero, che l’Onu dice. Il Libano è una terra piccola è non è adatta per accogliere in pianta stabile tutti i profughi. Abbiamo già fatto l’esperienza dei profughi palestinesi, che sono qui già da oltre 60 anni: cosa abbiamo risolto? Quale è la soluzione pacifica, quando cacci via un popolo e lo metti in un’altra nazione, sotto le tende? E’ questa la soluzione che vuole la comunità internazionale? Sicuramente il popolo libanese è un popolo che accoglie tutti, ma dobbiamo aiutarlo. Non è sufficiente dire: venite qua, dove potrete rimanere per l’eternità. No: questo non è giusto.

Siria, nuove vittime nel venerdì di protesta. Congresso Usa vota nuove sanzioni

Da Radio vaticana - 9 marzo 2012

In Siria, è di almeno 38 morti, fra cui tre bambini, il bilancio provvisorio dell’odierna giornata di proteste in tutto il Paese, come è consuetudine nel venerdì di preghiera islamica. Lo riferiscono i comitati locali d’opposizione, precisando che la maggior parte delle vittime si registrano nella città ribelle di Homs. Intanto, ferve l’attività diplomatica internazionale per porre fine alla crisi siriana: la Commissione per gli Affari esteri del Congresso Usa ha approvato nuove sanzioni nei confronti del governo di Damasco.

La Russia si è invece opposta al nuovo progetto di risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che definisce “non equilibrato”. Il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, ha iniziato oggi una missione diplomatica per mediare sulla situazione. Lavrov farà tappa prima a Il Cairo, per incontri con le sue controparti della Lega araba, e poi a New York, per una serie di colloqui a margine della riunione di lunedì del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Infine, la Cina ha annunciato l’invio di un suo emissario a Riad, il Cairo e Parigi per illustrare un piano di pace in sei punti proposto domenica scorsa e già accettato dal governo di Bashar al-ssad. (A cura di Marco Guerra)

Bruxelles sostiene la missione Onu in Siria

Dall' Osservatore Romano del 9 marzo 2012

Lo ha annunciato Catherine Ashton al termine del colloquio con Kofi Annan

DAMASCO, 8. L’Unione europea sostiene «pienamente» la missione dell’inviato speciale dell’Onu e della Lega araba, Kofi Annan, per giungere a una soluzione diplomatica della crisi siriana. Lo ha assicurato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza comune, Catherine Ashton, in un colloquio telefonico con Annan. Quest’ultimo — riferisce una nota — ha informato Ashton sulla sua visita nella regione, programmata per i prossimi giorni: domani si recherà al Cairo per colloqui con il segretario generale della Lega Araba, Nabil Al Arabi, con cui discuterà di una strategia globale per fermare le violenze.
Intanto, la Siria si è detta pronta a «cooperare» con una delegazione umanitaria dell’Onu per far giungere nel Paese gli aiuti umanitari.

Questo il risultato del colloquio avvenuto ieri tra il sottosegretario generale dell’Onu per gli Affari umanitari, Valérie Amos, e il ministro siriano degli Affari Esteri, Walid Muallem, che ha sottolineato «l’impegno della Siria a cooperare con la delegazione nel quadro del rispetto, della sovranità e dell’indip endenza della Siria e in coordinamento con il ministero degli Affari esteri» come ha indicato l’agenzia ufficiale Sana. Walid Muallem ha anche detto alla Sana che la Siria sta facendo tutto il possibile per fornire cibo e assistenza medica ai suoi cittadini nonostante «il fardello delle ingiuste sanzioni imposte da qualche Paese occidentale e arabo». Damasco attribuisce la responsabilità delle violenze in corso a gruppi armati di matrice terroristica.

Crescenti violenze

(ANSA) - GINEVRA, 8 MAR - In Siria ci sono "almeno 15.000 stranieri" che combattono contro le forze del presidente Bashar al Assad. Lo ha detto il vice ambasciatore russo presso l'Onu a Ginevra, intervenendo al forum sulla Siria tenutosi oggi. I ribelli "uccidono, torturano e intimidiscono i civili, l'afflusso di terroristi da alcuni Paesi vicini e' in crescendo", ha detto Mikhail Lebedev: "Sono almeno 15.000 i combattenti stranieri. I confini sono senza controllo"

da MISNA - 9 marzo
ANNAN CERCA SOLUZIONE POLITICA

 La Russia ha accusato la Libia di ospitare sul proprio territorio un campo di addestramento destinato a combattenti dell’opposizione siriana. L’accusa è stata formulata dall’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, che ne ha parlato nel corso di una sessione del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
“Abbiamo informazioni che in Libia, con il sostegno delle autorità di Tripoli, è stato creato uno speciale centro di addestramento per rivoluzionari siriani che vengono poi rimandati in Siria a combattere contro il legittimo governo” ha detto Churkin. La notizia è stata smentita più tardi dal governo libico che ha sostenuto di non avere informazioni al riguardo.
Intanto, al Consiglio di sicurezza è in discussione un’altra bozza di risoluzione sulla Siria questa volta presentata dagli Stati Uniti. Sebbene, la risoluzione contenga espliciti riferimenti alle violenze commesse anche dall’opposizione, secondo fonti della MISNA la Russia ha già anticipato la propria opposizione al testo chiedendo un maggiore bilanciamento delle responsabilità tra governo e opposizione. Secondo le stesse fonti sia Mosca che Pechino sono inoltre contro il riferimento a “una transizione politica” fatto nel testo proposto.
Sul campo, le truppe governative stanno provando a spingere ulteriormente l’offensiva contro le roccaforti dell’opposizione. Nel mirino sarebbe ora Rastan, cittadina a una ventina di chilometri a nord da Homs. Ma anche a Homs, nonostante la caduta del quartiere di Baba Amr, permangono sacche di resistenza così come a Deir Ezzor, Idlib, Daraa, altri teatri del confronto armato.
Dopo la defezione, ieri, del viceministro del Petrolio, Abdo Hussameddine che in un videomessaggio ha annunciato dimissioni e adesione ai movimenti di opposizione, il portavoce del cosiddetto Esercito libero siriano ha sostenuto che quattro generali avrebbero disertato e si troverebbero in questo momento in Turchia.
In questa generale corsa al confronto armato che potrebbe aprire a una recrudescenza dei combattimenti, a parlare di dialogo e della necessità di soluzioni politiche è stato ieri l’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan. Nominato rappresentante congiunto in Siria da Onu e Lega Araba, Annan è atteso nei prossimi giorni a Damasco e ieri, al Cairo, ha detto: “Spero che nessuno stia pensando seriamente di usare la forza in questa situazione. Faremo il possibile per arrivare a una cessazione delle ostilità, delle uccisioni e delle violenze”. La soluzione, ha aggiunto Annan, “non può che essere politica”



Leggi anche la testimonianza :

I miei occhi non vedono che lacrime e funerali in tutta la Siria

giovedì 8 marzo 2012

Nuovo confronto all’Onu sulla crisi siriana

Dall' Osservatore Romano dell' 8 marzo 2012


In esame una bozza di risoluzione presentata da Washington


DAMASCO, 7. Mentre in Siria gli oppositori del presidente Bashar el Assad denunciano nuove uccisioni di civili da parte delle forze governative, a New York si sono riuniti ieri sei membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite — i cinque permanenti (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti) più il Marocco in rappresentanza del gruppo dei Paesi arabi — , per discutere la nuova bozza di risoluzione sulla Siria elaborata dagli Stati Uniti.

Uscendo dalla riunione, tenuta a porte chiuse, gli ambasciatori non hanno rilasciato commenti. Fonti diplomatiche occidentali hanno però sostenuto che il testo in esame è meno forte di quello bloccato nelle scorse settimane dal veto di Russia e Cina. Secondo l’agenzia di stampa italiana Ansa, che si dice in possesso della nuova bozza, questa chiede in particolare al Governo di Damasco l’immediato accesso degli operatori umanitari nel Paese, la   cessazione di ogni violenza e cooperazione piena con l’inviato dell’Onu, l’ex Segretario generale Kofi Annan. Non si fa invece nessuna menzione di un cambio di Governo in Siria, uno dei nodi che avevano bloccato l’adozione del documento precedente.

Sulla questione siriana è previsto oggi un incontro a Riad, in Arabia Saudita, tra i ministri degli Esteri dei Paesi del Golfo persico e quello russo Serghiei Lavrov.

Nel frattempo, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in una conferenza stampa tenuta ieri alla Casa Bianca, ha detto che rispetto a quella libica la situazione siriana è «diversa e molto più complicata».

Obama si è detto certo che Assad perderà il potere, ma ha aggiunto che «sarebbe un errore dare il via a una azione militare unilaterale come alcuni suggeriscono, o pensare che ci sia una soluzione semplice» alla crisi siriana.

mercoledì 7 marzo 2012

Il Papa incoraggia i cristiani d'Oriente a "perseverare"

L’UDIENZA GENERALE, 07.03.2012

Il Papa saluta il patriarca di Cilicia degli Armeni, Nerses Bedros XIX
"Mentre affido il Sinodo Armeno alla materna intercessione della Santissima Madre di Dio, estendo il mio orante pensiero alle Regioni del Medio Oriente, incoraggiando Pastori e fedeli tutti a perseverare con speranza nelle gravi sofferenze che affliggono quelle care popolazioni.
Il Signore vi benedica.
Grazie."

In Iraq, come in Siria, gli eserciti stranieri creano solo guai

Sacerdote giordano risponde ad Alain Juppé 
di Rif'at Bader

da Asia News 7/03/2012

Al ministro francese degli esteri, che si è vantato per l'impegno del suo Paese a favore dei cristiani d'oriente, p. Rif'at Bader ribatte che la fuga dei cristiani dall'Iraq sta a testimoniare il contrario. La follia di esportare la democrazia con le armi anche in Siria. Se l'occidente vuole fare davvero qualcosa per il Medio oriente (non solo per i cristiani) occorre potenziare l'educazione, i media, la sanità, ma soprattutto collaborare a risolvere il problema israelo-palestinese.

Amman (AsiaNews) - Il p. Rif'at Bader, direttore del Centro di studi e comunicazione nella capitale giordana, ha risposto in questi giorni a un articolo del ministro francese degli esteri, Alain Juppé, apparso su diversi giornali mondiali. Nell'articolo, Juppé rivendicava un ruolo di difesa dei cristiani svolto dalla Francia e invitava i cristiani di Siria a combattere con più decisione contro Bashar Assad. Ecco la risposta che p. Bader ci ha inviato (traduzione dal francese a cura di AsiaNews).

leggi la lettera qui
http://www.asianews.it/notizie-it/Sacerdote-giordano-risponde-ad-Alain-Juppé:-In-Iraq,-come-in-Siria,-gli-eserciti-stranieri-creano-solo-guai-24170.html

martedì 6 marzo 2012

Il fondamento della pace

Ignace IV Hazim - Patriarca Greco-Ortodosso - Damasco - Sirya.

“Non puoi in nome di Dio uccidere l’uomo; non puoi in nome di Dio disprezzare l’uomo; non vi è uomo di prima categoria e un uomo di decima categoria.
Dio non ha creato gli uomini secondo determinati gradi e livelli.
Egli dà la grazia a tutti; la Sua immagine è in ogni uomo senza distinzione alcuna. Con queste parole noi ci rivolgiamo ai nostri tempi dove sentiamo di persone che nominano Dio, da una parte, e uccidono dall’altra.
Non vi è giustificazione per l’omicidio per chi lo commette a prescindere dalle motivazioni. Non vi è giustificazione per uccidere l’essere, che Dio ha rispettato, perché la vita dell’uomo proviene da Dio e a Dio tornerà non per mano dell’uomo ma per mezzo di Colui che dette vita all’uomo.
Occorre ridare all’uomo la propria santità essendo fatto ad immagine e somiglianza di Dio, un’immagine di cui molti non parlano più.
Abbiamo visto gente che si spara a vicenda.
Abbiamo visto persone che sgozzano un uomo come fosse un agnello. Ma come possiamo evocare il nome di Dio, uccidendone i figli e dire poi che adoriamo Dio?
Mi auguro con queste parole, che non ho avuto il tempo di preparare, che tutti sentano la necessità di “leggere” l’uomo. Questo uomo deve essere “letto” perché si sappia il perché Dio volle crearlo.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno ascoltato e chiedo a Dio di illuminare tutti perché sappiano che Dio non creò l’uomo per essere sgozzato, ucciso, reso povero o disprezzato.”

lunedì 5 marzo 2012

Estremisti islamici e terroristi cavalcano la rivoluzione siriana

 da Asia News  
Fonti di AsiaNews rivelano la presenza nel Paese di membri di al-Qaeda giunti in Siria per combattere il jihad. Gli interessi della Lega araba alimentano il clima di odio e violenza e allontanano le speranze di una soluzione diplomatica duratura.
05/03/2012 16:08

Damasco (AsiaNews) - "Gli estremisti islamici hanno sfigurato il movimento pro-democrazia nato in marzo con le manifestazioni dei giovani disoccupati siriani". È quanto affermano fonti di AsiaNews, che fanno notare come le proteste pacifiche contro il regime abbiamo lasciato il posto a una lotta armata che trascina il Paese verso una sanguinosa guerra civile. "Nella lotta contro gli Assad - spiegano - ci sono in gioco molti interessi che non riguardano solo il bene del popolo siriano". Secondo le fonti, fra i ribelli militano diversi terroristi islamici stranieri, molti dei quali appartenenti ad al-Qaeda, giunti in Siria per combattere il jihad contro il regime e difendere gli interessi dei Paesi della Lega araba, alimentando il clima di violenza e di odio che allontana le speranze di una soluzione diplomatica basata sul dialogo fra le parti.

"La popolazione ha paura - spiegano - per le strade di Damasco vige il coprifuoco. La città è divisa fra chi sostiene il regime e chi è a favore dei ribelli. La stessa situazione si riscontra nelle altre città del Paese". Le fonti sottolineano che la Siria è in una fase di stallo dove a violenza si risponde con violenza.

Esempio di tale divisione è stato il risultato "reale" del referendum per la riforma costituzionale, che ha visto il partito di governo (Baath) rinunciare al suo ruolo fondamentale per lo Stato e per la società, aprendo al pluralismo politico. Secondo il regime circa l'87% dei votanti (57% della popolazione) ha scelto per il cambiamento, ma i dati reali mostrano che meno del 50% ha votato per il si. "Tale risultato - affermano le fonti di AsiaNews - è un danno per il regime, ma anche per l'opposizione che ha fallito nella sua chiamata al boicottaggio delle urne".

Intanto continuano a Homs i combattimenti fra truppe fedeli alla famiglia Assad e ribelli del Free Syrian Liberation Army. Questa mattina l'intervento della Croce Rossa ha permesso l'arrivo di aiuti ai profughi siriani che stanno fuggendo dai combattimenti nella zona di Baba Amr, la più colpita dagli scontri, che resta ancora interdetta ai soccorsi.

Oggi, Nabil al-Arabi, segretario generale della Lega araba ha annunciato che il regime ha accettato Kofi Annan come inviato speciale Onu. Egli giungerà il 10 marzo a Damasco.

http://www.asianews.it/notizie-it/Estremisti-islamici-e-terroristi-cavalcano-la-rivoluzione-siriana-24151.html

domenica 4 marzo 2012

“La Vergine Maria ha fermato i proiettili con le Sue stesse mani" Divine intervention saved convent: Syria nun

Founded in 547, the convent of Our Lady of Saidnaya is a leading Antiochian Orthodox nunnery, which overlooks a mountain village of the same name, just 35km from Damascus. The convent includes a school for orphans, whose costs are covered by private donations, according to a brochure distributed by the complex.
The nunnery is a major pilgrimage center and lies not far from the villages of Jabadin and Maalula, where people still speak Syriac, the modern version of Aramaic.




Sister Stefanie, the head of Sednaya Monastery, shows journalists damage caused to the convent during a recent shelling on Tuesday. Journalists were taken to the monastery northwest of the capital, Damascus, on a government-organized trip to view damage caused to the convent that came under artillery fire on Sunday.  

Feb 02, 2012

Photo: AFP

La risonanza mediatica dell'appello del Custode di Terra Santa per far fronte all'Emergenza Siria

Siria: l’appello del Custode di Terra Santa si diffonde su internet

Le parole del Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, hanno risuonato con forza in questi giorni, grazie alla risonanza mediatica data a questa importante iniziativa. Su moltissimi siti internet, noti e meno noti, è stata ripresa la richiesta di aiuto per i cristiani siriani.
Ringraziamo i responsabili di questo tam-tam mediatico, che hanno permesso alla generosità di molte persone di aiutare con il loro gesto concreto la popolazione siriana e la Custodia di Terra Santa in Siria, in questo momento segnato dal dolore.

http://www.proterrasancta.org/it/aiutaci/

Nella speranza che non resti solamente l'archeologia...


Eremiti e cenobiti siriani
Tra storia e geografia di Pasquale Castellana

Editore: ETS - The Franciscan Centre of Christian Oriental Studies
Collana: Monographiae
Lingua: italiano
Numero pagine: 134
Formato/codice regione: Libro illustrato
Anno pubblicazione 2011
ISBN: 978-88-6240-122-7
disponibile subito a € 17,50

Nel corso della sua lunga attività di archeologo nella Siria settentrionale padre Pasquale Castellana, da solo e in collaborazione con i confratelli Ignacio Peña e Romualdo Fernàndez, ha restituito alla comunità scientifica e locale centocinquanta chiese inedite, centosettanta tra monasteri ed eremi, sessantuno torri di monaci reclusi, oltre che vasche battesimali, iscrizioni greche, necropoli, pressoi, tempietti, colonne di stiliti. A tutto ciò va ad aggiungersi quest'ultimo lavoro, che costituisce una sorta di commiato dalla sua intensa dedizione all'archeologia e vuole offrire una panoramica di quanto di meglio egli ha scritto nell'ambito della esaltante avventura del monachesimo in terra siriana. Destinato a tutti gli appassionati di storia del monachesimo antico, il volume è interamente corredato da piantine e immagini a colori.

Un'immensa tragedia umana

In Siria una guerra più ampia

di Giorgio Bernardelli | 9 febbraio 2012
da Terrasanta.net

È sempre più drammatica la situazione in Siria: bucano lo schermo le notizie dei morti provocati dai bombardamenti dell'esercito di Bashar al-Assad a Homs e quelle sullo stallo della diplomazia internazionale, riassunto dal veto posto da Russia e Cina a una risoluzione di condanna del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Due fotogrammi che da soli, però, non bastano a rappresentare tutto il quadro, che purtroppo è drammaticamente più complesso.
L'abbiamo già scritto e lo ripetiamo: nonostante tutto quanto il pedigree non certo immacolato di Assad sta lì a suggerire, questo conflitto non si può leggere davvero se si inquadra tutto dentro l'unico schema del confronto tra un regime autoritario e una popolazione oppressa. La guerra aperta ormai in corso è un vero e proprio conflitto regionale: si combatte in Siria ma in gioco ci sono equilibri che riguardano tutto il Medio Oriente. E probabilmente non solo. Mi veniva da sorridere ascoltando un Gr radiofonico definire una «sorpresa» la scelta dei Paesi del Golfo di ritirare i loro ambasciatori da Damasco. Sorprendente proprio per niente: come spiega chiaramente l'analisi del quotidiano di Dubai The National che pubblichiamo qui sotto, attraverso lo specchio Assad a Homs si sta combattendo una guerra tra l'Iran (di cui la Siria degli alauiti è il più stretto alleato) e l'Arabia Saudita. Con buona pace di tutti quanti continuano a domandarsi se Israele bombarderà o no le installazioni nucleari iraniane, la guerra contro Teheran è già cominciata in Siria. Ed è un conflitto che va oltre la stessa dimensione regionale. Perché - scrive sempre The National - quello che è andato in scena in questi giorni al Consiglio di sicurezza dell'Onu è probabilmente il primo atto del confronto tra Stati Uniti e Cina rispetto ai loro interessi strategici nell'area. Anche in Medio Oriente infatti oggi Pechino è tutt'altro che uno spettatore.
In una situazione così complessa che cosa potrebbe succedere? Se lo domanda Yusuf Kanli sul quotidiano turco Hurriyet. Cioè in un altro dei crocevia di questa guerra, perché fin dall'inizio delle rivolte la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha offerto un sostegno non solo logistico all'opposizione siriana. Kanli si chiede: ma se al contrario di quanto continua a dire Erdogan il presidente siriano Assad non dovesse cadere da un momento all'altro? Qual è il piano B della Turchia? E traccia un parallelismo inquietante: quello con la rivolta del 1982 e i massacri di Hama compiuti da Assad padre. Anche allora - sostiene l'analista turco - era la stessa guerra dell'Arabia Saudita contro l'Iran combattuta in Siria. Anche allora le potenze occidentali stavano dalla parte dell'Arabia Saudita in funzione antisovietica. Ma tutto ciò che la Turchia ha ottenuto da quella stagione - commenta - è stata l'esplosione della questione curda entro i suoi confini.
Sono analisi ovviamente da prendere per quello che sono: sguardi geopolitici di fronte a quella che da qualsiasi parte la si osservi è un'immensa tragedia umana. Perché l'idea che la violenza genera altra violenza non è solo una frase fatta. Ad esempio le testimonianze che in queste ore arrivano da Homs sulle milizie islamiste che nella loro reazione ai bombardamenti dell'esercito siriano prendono di mira le chiese sono una verità scomoda che non si può tacere. Come pure la denuncia lanciata già qualche giorno fa da l'Oeuvre d'Orient - la storica ong francese che sostiene le Chiese d'Oriente - sulle centinaia di cristiani in fuga da Homs perché - sostanzialmente - in questa guerra sono ormai presi tra due fuochi.
Il punto è che l'esito del conflitto siriano sarà decisivo per il futuro dei cristiani in tutto il Medio Oriente. E si capisce allora anche l'ultima notizia che qui sotto oggi rilanciamo: il summit islamo-cristiano organizzato l’altroieri a Beirut dal patriarcato maronita. «Chiediamo unità nazionale al nostro Paese - scrivono vescovi e leader musulmani nella dichiarazione conclusiva pubblicata dal quotidiano The Daily Star - in un momento in cui il Libano e la regione araba sono attraversati da difficoltà e circostanze complicate». Un tentativo per far sì che almeno il Libano non sia risucchiato in una spirale che appare sempre più pericolosa.
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Violenze senza tregua a Homs

Dall' Osservatore Romano del 4 marzo 2012


Oltre settanta morti negli scontri

DAMASCO, 3. Sette camion carichi di medicinali e tre ambulanze del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) non hanno potuto entrare nella città di Homs, da mesi al centro di violenze e scontri. «È inaccettabile che gente che da settimane ha bisogno urgente di assistenza non abbia ancora ricevuto alcun aiuto» ha detto il presidente del Cicr, Jakob Kellenberger.
In precedenza, le autorità siriane avevano concesso l’autorizzazione all’ingresso. Ieri, tuttavia, hanno ritirato il permesso. Negli ultimi giorni, i combattimenti a Homs si sono intensificati, in particolare nel quartiere di Bab Amro: gli attivisti riferiscono di 75 persone uccise. Il Governo di Assad attribuisce la responsabilità degli scontri a bande di terroristi infiltrati dall’estero.

L’Onu ha chiesto l’accesso immediato degli aiuti umanitari nella città.
«Continuiamo a ricevere informazioni su esecuzioni sommarie, arresti arbitrari e torture» ha detto il segretario generale, Ban Ki-moon, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite aggiungendo che contro la città «ieri c’è stato un grande assalto» delle forze governative. «Ad Homs, Hama e altrove, brutali combattimenti hanno visto i civili intrappolati nelle loro case, senza cibo né elettricità, e senza la possibilità di poter evacuare i feriti o seppellire i morti» ha detto ancora Ban Ki-moon parlando all’Assemblea generale.

Intanto, la comunità internazionale alza i toni contro Damasco. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha dichiarato che «la questione non è se, ma quando» il Governo siriano cadrà. A Bruxelles, i leader europei hanno deciso di «preparare nuove sanzioni» e di riconoscere il Consiglio nazionale di transizione (piattaforma che raccoglie vari gruppi di attivisti) come un «legittimo rappresentante dei siriani». Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha deciso la chiusura dell’ambasciata di Francia a Damasco.

«Quello che succede in Siria è uno scandalo: è inaccettabile che Homs rischi di essere cancellata dalle carte geografiche» ha denunciato Sarkozy. «Ma non ci saranno azioni finché le Nazioni Unite non avranno stabilito le condizioni giuridiche» ha precisato.

sabato 3 marzo 2012

Il male minore

 Ecco perché i cristiani avranno comunque la peggio

da "Il Sussidiario"
sabato 3 marzo 2012
 

L’esercito del presidente siriano Bashar Assad ha riconquistato Baba Amr, il quartiere della città di Homs che era stato liberato dai ribelli. Nel frattempo si intensificano le violazioni dei diritti umani da parte del regime. Secondo quanto riferisce il Media Center of Syrian Revolution, una fonte di informazioni vicina ai ribelli, solo a febbraio nel quartiere di Baba Amr sarebbero morte 420 persone, inclusi 19 bambini, 22 donne e 13 ragazzi deceduti in carcere durante le torture. Le forze di Assad avrebbero aperto due dighe sul fiume Assi, minacciando di allagare l’area archeologica di Darkoush. Elementi fedeli al regime avrebbero inoltre sequestrato e distrutto le medicine dalle farmacie per impedire ai cittadini rimasti feriti di ricevere medicazioni. Ilsussidiario.net ha intervistato Gian Micalessin, inviato de Il Giornale, sulla posta in gioco dell’attuale fase del conflitto siriano.
Micalessin, quali sono i principali rischi di quanto sta avvenendo in Siria?
Innanzitutto, nella componente dei rivoltosi siriani c’è un’altissima percentuale di Fratelli musulmani. Non a caso se guardiamo i messaggi che corrono sul web, scopriamo che una componente dei Fratelli musulmani libici in questi giorni ha raggiunto la Siria per combattere. Lo scenario che si ripete è sempre lo stesso: il Qatar utilizza i Fratelli musulmani, sostenendoli e finanziandoli, per portare al successo le rivolte nei vari Paesi arabi e quindi controllarli. E’ quanto è avvenuto in Tunisia, dove le elezioni sono state vinte dagli islamisti del partito di Ennahda. La stessa dinamica si è vista in Egitto, dove i Fratelli musulmani hanno conquistato il 47% dei seggi. Durante la rivoluzione libica, il Qatar ha inviato direttamente i suoi militari e dopo la caduta di Gheddafi ha favorito le fazioni islamiste. In Siria stiamo assistendo allo stesso scenario, con un elemento in più: l’influenza della Turchia, grande potenza musulmana che si affaccia sul Medio Oriente e appoggia vari gruppi e componenti. Tra i rischi della Siria ci sono anche quelli di un’opposizione divisa e incapace di contrapporsi al regime.
Come valuta la situazione dei cristiani, che rischiano di trovarsi tra due fuochi?
I cristiani siriani hanno purtroppo di fronte l’esempio non felice dell’Iraq, dove una volta caduto il regime di Saddam si sono trovati alla mercé dei fondamentalisti. I cristiani in Iraq sono stati sterminati e le loro chiese sono state attaccate. Per salvarsi, i cristiani irakeni sono fuggiti proprio in Siria. I cristiani siriani, che hanno ascoltato i loro racconti, oggi si chiedono se accadrà loro la stessa cosa. Per questo per il momento preferiscono appoggiare il regime piuttosto che stare con i rivoltosi. E’ una scelta determinata da condizioni oggettive. Spostandoci in Egitto, i copti del resto non hanno certo tratto vantaggio dalla rivoluzione, che ha fatto sì che le chiese fossero attaccate e i cristiani fossero discriminati.

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venerdì 2 marzo 2012

Nel 2012 divampa la guerra contro i cristiani

 Adesso tocca alla Siria

da " Corrispondenza Romana"
(di Giulio Meotti su Il Foglio del 18-02-2012)

“The war on christians”. La guerra ai cristiani. Così ha titolato la copertina di Newsweek. Il servizio di otto pagine della rivista era firmato da Ayaan Hirsi Ali, la dissidente e apostata di origini somale attualmente residente a Washington, dove lavora per l’American Enterprise Institute for Public Policy Research. Adesso un nuovo rapporto dell’organizzazione no profit Open Doors getta nuova luce sulle dimensioni di questa agonia nel mondo islamico.

Nel documento annuale World Watch List 2012, Open Doors elenca otto su dieci paesi islamici fra le nazioni dove la fede cristiana viene di più perseguitata. Gli altri due, Corea del nord e Laos, sono regimi comunisti in cui l’anticristianesimo è dogma di stato. A Pyongyang, da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300 mila cristiani e adesso si stima che vi siano dai 50 ai 70 mila cristiani nei terribili campi-prigione a causa della loro fede. Ma più generalmente ben 32 delle 50 nazioni della classifica sono islamiche.
“Si tratta di un genocidio in corso che meriterebbe un allarme globale”, scrive Ayaan Hirsi Ali. “La cospirazione del silenzio che avvolge quest’espressione di intolleranza religiosa deve finire”. Un consistente peggioramento è registrato per i cristiani in Pakistan, che entra nella top ten, mentre il Sudan passa dal 35esimo al sedicesimo posto. La Nigeria vanta il più alto numero di martiri cristiani e passa dal 23esimo al tredicesimo posto.
Nell’Egitto della “primavera araba” scenari di attentati a chiese e gruppi di cristiani portano il paese dalla diciannovesima alla quindicesima posizione. L’Afghanistan è al secondo posto, seguito dall’Arabia Saudita, custode della Mecca e di Medina, che vieta ufficialmente ogni culto non islamico. Poi troviamo la Somalia e l’Iran, dove un pastore aspetta la condanna a morte per apostasia.
Questa preziosa World Watch List, la lista nera dei paesi ove la persecuzione è più dura, è compilata attraverso un questionario appositamente progettato, composto da cinquanta domande sui vari aspetti della libertà religiosa. Dal 2003 a oggi, oltre 900 cristiani iracheni (per gran parte assiri) hanno trovato la morte negli attacchi terroristici nella sola Baghdad e 70 chiese sono state date alle fiamme.
Nel 2011 estremisti islamici hanno ucciso almeno 510 cristiani in Nigeria, dato alle fiamme o distrutto più di 350 chiese in dieci stati del nord. Impiegano armi da fuoco, bombe di benzina, persino machete, gridando “Allah Akbar” (Dio è grande) quando attaccano gruppi di cittadini. Tra i loro obiettivi si contano chiese, pub, consigli comunali, saloni di bellezza, banche.
Gli islamisti di Boko Haram si sono concentrati nell’eliminazione dei cattolici. Nel Sudan meridionale i cristiani sono bersaglio di bombardamenti aerei, omicidi mirati, sequestri e altre atrocità. Per la fine dell’anno, oltre 200 mila cristiani d’Egitto avranno abbandonato le loro case. Tutti gli occhi sono adesso puntati sulla Siria, dove si è passati da una rivolta contro il regime di Bashar el Assad a una guerra religiosa fra la maggioranza sunnita e le minoranze che detengono il potere: alawiti, ismailiti, cristiani, drusi e curdi.
I cristiani rappresentano poco meno del dieci per cento, tanto quanto gli alawiti, mentre i tre quarti dei siriani sono sunniti. Adnan al Aroor, sceicco esiliato in Arabia Saudita e fra i leader della rivolta contro Assad, ha incitato i seguaci, attraverso appelli e sermoni, a “fare a pezzi, tritare e dare in pasto ai cani” la carne dei cristiani, bollati come “collaborazionisti”.
La condizione dei cristiani è stata denunciata in un recente rapporto dell’agenzia cattolica Asia News: “Rivoluzione più ‘islamica’, cresce la violenza contro i cristiani”. A Homs, epicentro degli scontri, si contano già più di 230 cristiani uccisi. Nei quartieri misti l’80 per cento degli abitanti cristiani sono partiti e si sono stabiliti presso amici o parenti nelle regioni cristiane, spesso nei rifugi sulle montagne. I cristiani di Hama e della sua provincia fanno lo stesso. Il fenomeno è progressivo e implacabile.
Il paese si sta spaccando attorno alle linee etniche e confessionali. Musulmani sunniti non entrano più nei quartieri alawiti e viceversa. Al Qaida ha allungato le mani nella rivolta. Insieme al Libano, la Siria è oggi l’unico paese arabo dove l’islam non è formalmente definito religione di stato e la religione non è riportata sulle carte d’identità. Il regime degli Assad ha sempre usato la laicità per tenere assieme le etnie e dominare il paese.
Nel 1971, con la presa del potere da parte del colonnello Hafez el Assad, dal progetto di Costituzione venne omesso ogni riferimento all’islam come “religione di stato”. Migliaia di persone, mobilitate dai Fratelli musulmani, scesero in piazza per denunciare il “testo ateo”. Agnès-Mariam de la Croix, una delle voci più significative oggi della comunità cristiana siriana, ha dichiarato che “fino a ieri i cristiani non erano stati oggetto di una persecuzione ‘diretta’.
Ma oggi sembra che il dato stia cambiando. Come se la tendenza che covava stia diventando una consegna”. Il 25 gennaio è stato ucciso il primo prete cristiano, Basilios Nassar. Uno slogan della resistenza anti Assad promette scenari poco edificanti: “I cristiani a Beirut e gli alawiti al muro”.
Giulio Meotti