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sabato 18 giugno 2016

Assad riceve il Patriarca e sei Vescovi siro cattolici: “una nuova Costituzione del tutto laica”


Agenzia Fides 17/6/2016


 Il Presidente siriano Bashar Assad ha in programma una riforma della Costituzione per la nazione da lui guidata, e immagina un testo costituzionale dove dovrebbero venir meno i riferimenti alla Sharia come fonte principale della legislazione, così da eliminare ogni pretesto legale alle discriminazioni, anche striscianti, verso le minoranze religiose. Sono questi alcuni dei progetti per il futuro confidati dallo stesso Assad a una delegazione della Chiesa siro cattolica, composta dal Patriarca Ignace Youssif III accompagnato da sei Vescovi, ricevuti dal Presidente siriano a Damasco lunedì 13 giugno. 

Durante l'incontro, durato un'ora e mezza, Assad ha manifestato l'intenzione di togliere dalla nuova Costituzione, pienamente laica, anche la disposizione che vincola il Capo dello Stato siriano a professare la religione musulmana. 
Il leader siriano – riporta all'Agenzia Fides chi era presente all'incontro – si è anche mostrato convinto che in pochi giorni la situazione di conflitto riesplosa ad Aleppo – e adesso congelata con una tregua di due giorni – sarà completamente risolta, con la creazione di un blocco militare intorno alla città che impedisca il rifornimento di armi ai sobborghi periferici in mano alle forze antagoniste, in gran parte di matrice islamista, ma senza attacchi contro i quartieri, per evitare nuove sofferenze ai civili.
“Il Presidente Assad ha definito anche loro come 'nostri figli”, e ha molto insistito sulla matrice internazionale e non nazionale del conflitto siriano, sottolineando che adesso a parole tutti vogliono combattere i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh), ma ancora distinguono nettamente tra costoro e i gruppi qaidisti come Jabhat al Nusra” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, alla guida della diocesi siro cattolica di di Hassakè-Nisibi, presente all'incontro.

Nella conversazione tra il Presidente e i membri della delegazione ecclesiale, ci sono stati anche accenni alla voci di una possibile spartizione della Siria su base etnico-settaria, con la creazione di uno Stato curdo indipendente e di uno islamista, scenari che Assad ha sempre respinto come irricevibili. Nell'incontro con il Patriarca e con i Vescovi siro cattolici, il Presidente siriano non ha fatto alcun cenno diretto al Papa o alla Santa Sede, e ha invece invitato i suoi interlocutori a intensificare contatti e condividere giudizi e iniziative rispetto alla tragica situazione mediorientale con la Chiesa ortodossa russa. 
http://www.fides.org/it/news/60256-ASIA_SIRIA_Assad_riceve_il_Patriarca_e_sei_Vescovi_siro_cattolici_il_Presidente_progetta_una_nuova_Costituzione_del_tutto_laica#.V2QYGruLSM8


"Nell'incontro con il Presidente Bachar al-Assad, Sua Eminenza il Patriarca Younan e la delegazione dei religiosi hanno espresso grande dolore per quello che ha subito l'amata Siria ed il suo popolo in questa guerra, fatta in nome della democrazia ma con le mani dei nemici dell'umanità che non rispettano i diritti dell'uomo usando proprio la religione, e con quelle di quegli Stati che cercano di dominare popoli poveri usando ragioni machiavelliche che provocano morte e conflitti. 
Il Presidente ha confermato che i Siriani devono ritornare fratelli sinceri, grazie alla riconciliazione... Ha chiesto di lavorare insieme affinchè i siriani si fermino nella loro terra e invitando quelli profughi a tornare per partecipare alla ricostruzione della Siria e della sua civiltà lontana dal settarismo, basata su un sistema laico e non confessionale. Dove tutti i cittadini rispettino l'appartenenza alla Nazione Siriana ed abbiano pari diritti e doveri. Il Presidente ha sottolineato che il venir meno della presenza cristiana nel Medio-Oriente farebbe perdere il valore e l'importanza al Medio-Oriente stesso." 
da:  Patriarcato Siro-Cattolico di Antiochia

venerdì 10 giugno 2016

Il patto con il diavolo. Come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’Isis

Terrorismo wahabita, guerre, flussi finanziari, colossali compravendite di armi: in un libro di Fulvio Scaglione storia, dati e numeri su ciò che per ragioni di business le democrazie occidentali fingono di non vedere




VaticanInsider , 10 giugno 2016
di Andrea Tornielli

«La conclusione, inevitabile, è una sola: sappiamo, ma facciamo finta di non sapere. Continuiamo a parlare di lotta al terrorismo islamico, ai jihadisti, ma non interveniamo abbastanza sul denaro, cioè sul motore che tiene in vita e promuove quello stesso terrorismo. Ci teniamo stretti come amici proprio coloro che sostengono chi anima quella che molti di noi considerano addirittura una minaccia alla sopravvivenza della nostra civiltà. E li armiamo, li rendiamo sempre più potenti e, all’occorrenza, devastanti». È l’amara ma realistica conclusione a cui arriva il giornalista Fulvio Scaglione, inviato di guerra e conoscitore del Medio Oriente, nel suo ultimo libro: «Il patto con il diavolo» (BUR, pp. 208, 15 euro), un saggio a metà tra storia e cronaca che spiega «come abbiamo consegnato il Medio Oriente al fondamentalismo e all’Isis». Leggendo il saggio di Scaglione si comprende ancora meglio perché Papa Francesco, quando parla o viene interpellato sul terrorismo e sulla guerra, non ometta di citare spesso i trafficanti di armi, i flussi finanziari e una certa ipocrisia da parte di alcuni leader.  

Soldi e armi al fondamentalismo wahabita  
L’autore fa notare ciò che è - o dovrebbe - essere sotto gli occhi di tutti: l’attuale terrorismo, quello dell’Isis e di Al Qaeda, ha origini nel fondamentalismo wahabita che ha ricevuto e riceve sovvenzioni e armi da finanziatori che abitano nei paesi considerati i migliori alleati dell’Occidente. Nel libro molto spazio è dedicato al ruolo dell’Arabia Saudita che storicamente ha sempre tenuto sotto controllo e stroncato certi movimenti fondamentalisti in casa propria, ma li ha foraggiati per destabilizzare altri Paesi islamici, com’è stato fatto ad esempio con la Siria di Assad. «Per decenni l’Arabia Saudita ha giocato su questo schema - scrive Scaglione - e per decenni i suoi alleati occidentali hanno accettato di sottoscrivere un patto con il diavolo di cui ignoravano le implicazioni, o convinti di trarne comunque un guadagno. Senza notare, o facendo finta di non vedere, quanto i due piani fossero intrecciati, perché proprio la spinta alla diffusione mondiale del radicalismo aggressivo insito nella variante wahabita dell’islam garantisce alla monarchia saudita la legittimità e il consenso necessari a conservare il trono e le ricchezze». 

Davvero «moderati»?  
I danni che questo atteggiamento ha procurato ai Paesi occidentali sono enormi. È curioso, sottolinea l’autore del libro, che i più restii ad ammetterlo siano proprio coloro che più agitano la bandiera dello scontro di civiltà e dipingono a tinte sempre più fosche l’ipotetico futuro di un’Europa assediata da orde di potenziali terroristi. Non pare incredibile che questi stessi personaggi ci abbiano tanto a lungo raccontato la favola dei sauditi e delle altre monarchie del Golfo come “arabi moderati”?». Scaglione fa notare come non sia un caso che proprio Bruxelles sia stato il luogo di «allevamento» dei terroristi che hanno recentemente colpito la Francia e il Belgio, ricordando che proprio lì dal 1969 si è insediato il primo importante centro di propaganda wahabita d’Europa. Pur essendo patria di non più del 2 per cento dei musulmani del mondo, l’Arabia Saudita esercita «un’influenza importante o decisiva su quasi il 90 per cento delle istituzioni islamiche mondiali, soprattutto nelle scuole». 
Ricorda pure che i terroristi qaedisti degli attacchi dell’11 settembre 2001 erano in maggioranza di nazionalità saudita e ricevevano denaro in gran quantità da persone residenti a Dubai. La «guerra al terrore» dichiarata da George W. Bush dopo gli attacchi agli Stati Uniti non ha cambiato nulla nei meccanismi di finanziamento del jihadismo, ed è per questo, sostiene Scaglione, che il terrorismo oggi riesce a colpire con maggiore frequenza e crudeltà. 

Il business delle democrazie europee  
Anche se l’Arabia Saudita non è stato e non è l’unico Paese che alimenta l’estremismo e il jihadismo, nessuno «ha potuto mettere in campo una potenza finanziaria, diventata poi potenza di fuoco, paragonabile a quella dei sauditi». Secondo una proiezione inglese «magari aleatoria ma comunque indicativa», nei 74 anni della sua storia l’Unione Sovietica avrebbe speso quasi cinque miliardi di sterline per fare propaganda al comunismo fuori dai propri confini; l’Arabia Saudita, diventata prospera grazie allo sfruttamento del petrolio a partire dalla fine degli anni Trenta, per diffondere il wahabismo ne avrebbe già investiti quasi novanta». Forse il motivo per cui molti in Occidente fingono di non vedere è il business. L’Arabia Saudita è, ad esempio, il primo partner commerciale del Medio Oriente per la Gran Bretagna, con 200 joint ventures che producono un giro d’affari di circa 18 miliardi di sterline l’anno. Le forze armate saudite sono il miglior cliente dell’industria britannica degli armamenti, con ordini per 4 miliardi di sterline tra il 2010 e il 2015. Per la Francia sta accadendo qualcosa di simile, dopo la firma di contratti per 10 miliardi di euro siglati da duecento industriali francesi guidati a Ryad nell’ottobre scorso dal primo ministro Manuel Valls. L’Italia ha raggiunto nel 2014 un interscambio commerciale di 9 miliardi di euro, e punta a incrementarlo. 

Il caso Stati Uniti  
L’Arabia Saudita, ricorda Scaglione, ha un volto moderno, da Paese sviluppato, perché nella seconda metà del Ventesimo secolo gli americani gliel’hanno costruito pezzo per pezzo. Fino all’anno 2000 anche i ministeri e le principali agenzie governative saudite si servivano di personale americano i cui contratti erano firmati dal Dipartimento del Tesoro Usa. Nel 2010 Barack Obama ha autorizzato la più imponente vendita di armi nella storia degli Stati Uniti, proprio a favore dell’Arabia Saudita: 60 miliardi di dollari in aerei, elicotteri, missili terra-aria e terra-terra, mitragliatrici, radar. Con quella sola firma il Nobel per la Pace che si prepara a concludere il suo secondo mandato alla Casa Bianca aveva quasi eguagliato 56 anni di commercio di armamenti tra i due Paesi, dato che nel periodo 1950-2006 gli Usa hanno fornito ai sauditi armamenti per 62,7 miliardi di dollari. Lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che monitora il commercio di armi nel mondo, informa che nel periodo 2011-2015 i quattro maggiori importatori di armi sono stati nell’ordine: India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti. «L’India e la Cina - commenta Scaglione - contano insieme 2 miliardi e 620 milioni di abitanti. L’Arabia Saudita e gli Emirati ne contano insieme 36 milioni. Eppure competono, quanto ad acquisto di armi, con questi colossi asiatici». Possiamo davvero stupirci, si domanda l’autore del libro, se poi il Medio Oriente è in fiamme? «E davvero crediamo - continua - che tutte quelle armi siano acquistate a mero scopo di difesa? Siamo davvero convinti che mitragliatrici, cannoni e pallottole stiano chiusi nei magazzini sauditi e degli Emirati a prendere polvere... oppure avremo l’audacia di immaginare che un po’ di quella roba se ne vada in giro ad alimentare la violenza in questo o quel gruppo jihadista?». 

Le verità della candidata Hillary  
Fulvio Scaglione domanda poi quali cambiamenti possiamo attenderci nel prossimo futuro da Hillary Clinton, la prima candidata donna alla Casa Bianca - al momento favorita - dato che una delle principali fonti di finanziamento della fondazione che fa capo a lei e al marito Bill «risulta essere il denaro in arrivo non solo da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ma da tutti i Paesi e i soggetti in qualche modo beneficiari del commercio internazionale di armi?». Eppure, grazie alla diffusione delle comunicazioni riservate dello scandalo WikiLeaks, sappiamo che proprio Hillary il 30 dicembre 2009, quando era Segretario di Stato (durante il suo mandato approverà vendite di armi per 165 miliardi di dollari, quasi il doppio di quanto approvato da Bush jr nel suo secondo mandato), in un documento catalogato con il numero 131801 scriveva: «L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas». In quello stesso documento la futura candidata democratica alla Casa Bianca, osservava: «I donatori privati dell’Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento per i gruppi di terrorismo sunnita nel mondo» e che era «una sfida senza fine quella di convincere le autorità saudite ad affrontare il finanziamento dei terroristi che nasce nel loro Paese come una priorità». 

Le parole di Joe Biden  
Le comunicazioni riservate di Hillary non erano affatto considerazioni isolate nell’amministrazione Obama. Nell’ottobre 2012 il vicepresidente Biden, incontrando gli studenti di Harvard, per spiegare la crisi in Siria e la genesi dell’Isis ha detto: «Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti... che cos’hanno fatto? Hanno riversato centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi su chiunque dicesse di voler combattere Assad. Peccato che tutti quei rifornimenti andassero a finire ad Al-Nusra, ad Al-Qaeda e ai jihadisti accorsi a combattere in Siria da ogni parte del mondo». Qualche anno prima, nel 2007, il vice-segretario del Tesoro Stuart Levey, che aveva la delega all’intelligence sui reati finanziari e sul terrorismo, aveva più volte dichiarato anche in Tv: «Se potessi schioccare le dita e tagliare ai terroristi i finanziamenti di uno specifico Paese, sceglierei senz’altro l’Arabia Saudita». 

Quei dubbi del vescovo Hindo  
Nella parte finale del libro, Scaglione dà voce a quegli inascoltati leader delle Chiese cristiane orientali che vivono in Medio Oriente. E ricorda come ha reagito lo scorso marzo monsignor Jacques Behnan Hindo, vescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi, a cavallo tra Siria e Turchia, il quale nel marzo scorso, di fronte all’accusa di genocidio rivolta dal Segretario di Stato americano John Kerry, in un’intervista invitava a non puntare ogni riflettore sull’Isis, e così «censurare tutte le complicità e i processi storico politici che hanno portato alla creazione del mostro jihadista, a partire dalla guerra fatta in Afghanistan contro i sovietici attraverso il sostegno ai gruppi armati islamisti. Si vogliono cancellare con un colpo di spugna tutti gli strani fattori che hanno portato all’emersione rapida e repentina di Daesh». 

giovedì 31 gennaio 2013

Chiediamo la preghiera di tutti i cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria


Distrutta una chiesa in Mesopotamia. L’Arcivescovo: “Con la guerra tutti perdono”

Deir al-Zour: la Chiesa  distrutta


Agenzia Fides 31/1/2013
Hassakè – La chiesa siro-ortodossa di Santa Maria e la scuola cristiana di Al-Wahda sono state distrutte a Deir Ezzor, cittadina della Mesopotamia, al centro di scontri che hanno causato un esodo della popolazione civile. Lo riferisce a Fides l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di “Jazirah ed Eufrate”, spiegando che “è un giorno molto triste per me e per tutta la comunità”. Le due strutture sono state colpite e distrutte nel fuoco incrociato fra esercito regolare e gruppi ribelli. La Mesopotomia, notano fonti locali di Fides, sta vivendo “una lenta agonia”, e tutta la popolazione civile (arabi, cristiani, curdi, e altri gruppi) sta pagando un prezzo altissimo. L’Arcivescovo Matta Roham nota a Fides: “Questa guerra feroce è prima di tutto una guerra contro la nostra civiltà. E’ un conflitto dove tutti perdono, nella distruzione del nostro amato paese. Se i ribelli o il regime pensano di vincere, alla fine, credo ci ritroveremo solo un paese in rovina, con migliaia di orfani, vedove, poveri e soprattutto destabilizzato dall’inimicizia nella società”. 
L’Arcivescovo si rivolge a quanti stanno combattendo: “Chi ricostruirà tutto quanto abbiamo costruito in decenni di duro lavoro? E quanto tempo ci vorrà? Chi ricucirà le relazioni sociali deteriorate? Chiediamo la preghiera di tutti cristiani del mondo, per riavere la pace in Siria”. 

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40904&lan=ita


 Marcia di solidarietà per i sequestrati in Mesopotamia

 Una marcia di solidarietà con le vittime dei sequestri; un corteo per sensibilizzare l’opinione pubblica verso il fenomeno dei rapimenti; una “assemblea di speranza” che ha visto riunite tutte le componenti della società: cristiani, musulmani, curdi, associazioni e Ong, leder delle chiese e capi della moschee, funzionari pubblici.

Agenzia Fides 28/1/2013 – Come appreso dall’Agenzia Fides, l’iniziativa, tenutasi giovedì 24 gennaio ad Hassake, capoluogo della Mesopotamia, dove la popolazione civile è ridotta allo stremo (vedi Fides 17/1/2013), scuote l’area della Siria orientale. Nella regione si vive un precario equilibrio fra le forze di opposizione (fra le quali milizie islamiste), le forze curde, l’esercito regolare siriano, in lotta fra loro.
A fare le spese del conflitto permanente è la popolazione che è dunque scesa in piazza – oltre tremila presenti al corteo – con striscioni e slogan per chiedere un “un futuro di pace e di speranza per la Mesopotamia”. I partecipanti, che hanno dato vita alla “Associazione di solidarietà con le famiglie delle persone rapite”, hanno marciato dal quartier generale della Chiesa ortodossa siriana al Palazzo di Giustizia della città, esprimendo la loro sofferenza e le loro rivendicazioni. E’ stato presentato un memorandum al Procuratore della Repubblica, chiedendogli di svolgere i suoi compiti e chiedendo al governo locale di assicurare la protezione ai cittadini innocenti.
“Il sequestro di persona è diventato un fenomeno quotidiano per le strade di questa città. I rapitori non esitano a commettere crimini alla luce del giorno. Circa tre settimane fa, tre uomini armati, a volto scoperto, hanno fermato un taxi e rapito un ragazzo di 10 anni, Saeed Afram Aho, mentre stava andando alla scuola elementare” spiega a Fides l’Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, Metropolita di “Jazirah ed Eufrate”.
“Circa sei mesi fa i sequestri di persone hanno iniziato a moltiplicarsi, opera di alcune bande”. Oggi le vittime sono 43, appartengono e tutte le componenti della società (cristiani, musulmani, yazidy, curdi e arabi), sono di età e ceto sociale diversi: bambini, studenti, medici, ingegneri, commercianti e gente comune. L’Arcivescovo racconta a Fides “i momenti molto difficili, la paura e il dolore delle famiglie” anche perché i rapitori, nota, “utilizzano forme di tortura verso vittime innocenti, in spregio alle virtù umane, morali e religiose, per ottenere un forte riscatto”. Un bambino, Bashar, è stato lasciato per due giorni senza cibo e acqua in una cella sotterranea, in una fattoria lontana dalla città. “Oggi – spiega – molte famiglie cristiane sono fuggite, cercando salvezza nei paesi vicini e in Occidente”.
Mons. Matta Roham ha preso parte alla marcia con gli altri due Vescovi della città, il Vescovo siro-cattolico Jacques Behnan Hindo e il Vescovo Mar Afrem Natanaele, della Chiesa assira. In questo periodo di forte crisi, i tre Presuli si incontrano regolarmente per discutere questioni di interesse sociale e religioso.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40877&lan=ita


INIZIATIVA DI PREGHIERA DI "AED : Aide à l'Eglise en Détresse"

VEGLIA DI PREGHIERA PER I CRISTIANI SIRIANI
Mercoledì 6 febbraio 2013, dalle 20.00 alle 22.00.
63 rue de Caumartin Paris IX°

Prière, chants, témoignages, intercession, adoration, Messe à l'intention des chrétiens de Syrie
 Avec le témoignage du père Ziad Hilal, curé de la paroisse Saint-Sauveur à Homs
 En présence de Marc Fromager, directeur de l'Aide à l'Eglise en Détresse (AED), de Monseigneur George Assadourian, curé de la cathédrale Sainte-Croix des Arméniens Catholiques de Paris et du Père Elie Wardé, curé de la paroisse syriaque Saint Ephrem de Paris.
Paroisse Saint-Louis d'Antin,  63 rue de Caumartin et 4, rue du Havre,  Paris IX°
 Métro Havre Caumartin - Métro St Lazare

lunedì 24 giugno 2013

Ucciso prete cattolico al nord di Aleppo

Il vescovo Hindo: ha offerto il suo martirio per la pace


La Stampa- Marco Tosatti
Secondo fonti siriane attendibili i militanti islamici di Jabhat al-Nusra avrebbero attaccato in giornata un convento latino nel nord della Siria, in località Ghassanieyh, vicino a Idlib e almeno un sacerdote sarebbe morto.
Fonti locali hanno riferito che i militanti del "Fronte della vittoria" avrebbero attaccato la chiesa latina, e la vittima sarebbe il rettore del convento di San Simone, padre Francois Murad.
I militanti inoltre avrebbero saccheggiato il monastero e tentato di dargli fuoco.
Si ignora se vi siano altre vittime; è difficile vista la situazione avere conferme e dettagli.
Jabhat al-Nusra è un'organizzazione vicina ad al-Qaeda. Quel movimento, e altri formati in maggioranza da elementi non siriani, si sono resi responsabili in maniera crescente di violenze contro cristiani, sciiiti, alawiti e sunniti moderati.
http://www.lastampa.it/2013/06/23/blogs/san-pietro-e-dintorni/siria-ucciso-prete-cattolico-9xCno6KZDPXsDXiWsmRTlN/pagina.html



AGGIORNAMENTI 24 GIUGNO


Il convento Francescano (Latino) del villaggio di Ghassanieh (Gisser Es-Choughour), sulle montagne vicine al fiume Oronte, è stato attaccato dai terroristi Jamaat El-Nousra che ha fatto irruzione sparando all'impazzata. Hanno saccheggiato tutto ciò che potevano trovare sotto mano, ed hanno trucidato il monaco di rito siriaco cattolico, P. François Mourad. 
Padre François era stato formato dai Padre Francescani di Terra Santa. Sentendosi chiamato ad una vita più contemplativa, lascia i Francescani, completa i suoi studi dai Trappisti a Latroun (Palestina), poi rientra in Siria ed è ordinato sacerdote dal Vescovo Siro Cattolico di Hassaké nel Giaziret siriano. Egli stava iniziando una nuova fondazione monastica, ispirandosi a San Simeone lo Stilita, aveva costruito il monastero nei pressi del villaggio di Ghassahieh ed aveva iniziato la formazione di alcuni giovani siriani. 
Con l'aggravarsi degli eventi di sommossa e con l'arrivo delle bande di prezzolati e senza coscienza, i giovani che erano con lui sono rientrati in famiglia. P. François rimane solo, e si appoggia sul convento-parrocchia del villaggio vivendo con il Parroco Francescano. Egli è uno dei pochi sacerdoti rimasti assieme ai pochi fedeli ed ai sacerdoti Francescani dei villaggi che nel gergo sono definiti "i villaggi dell'Oronte" riferendosi, appunto al biblico fiume Oronte che passa in quella zona.
Al villaggio di Ghassahieh, fin da quando sono entrate le masnade assassine che avevano costretti tutti a fuggire abbandonando ogni cosa, erano rimasti soltanto il Parroco Francescano, P. François, tre Suore del Rosario ed una dozzina di fedeli che vivevano tutti protetti dal convento. Qualche mese fa fu ucciso il capo della Comunità cattolica (latina) che era rimasto sul posto, ed un paio di giorno addietro hanno trucidato il Padre François. 
Un pietoso Padre Francescano è riuscito a raggiungere il villaggio di Ghassanieh ed ha portato via il corpo martoriato di P. François per dargli un cristiana sepoltura nel vicino villaggio cristiano di Kanayé, altro villaggio dove il parroco Francescano è rimasto sul posto per proteggere il suo popolo. Con il corpo del P. François sono state portate via anche le Suore del Rosario. Naturalmente gli assassini hanno raggiunto il loro scopo, perché già in quel villaggio avevano ridotta a stalla e latrina pubblica la Chiesa greca ortodossa, il parroco greco ortodosso era scappato con tutti i fedeli nei giorni in cui entrarono gli assassini Jamaat El-Noiusra.
A questo punto ci viene spontanea una considerazione: E' possibile che i governi occidentali non vogliono proprio riflettere che loro sono i responsabili morali dei morti cristiani, alawiti e sunniti moderati? E' possibile che la loro mente sia così ottusa da non comprendere che il mondo islamico non ragiona come pretendono ragionare loro? Le categoria mentali sono totalmente opposte alle loro e questi capi occidentali nella loro ottusità mentale non vogliono proprio capire che non hanno diritto di armare e sostenere gente che in nome di un Dio trucidano le persone. 
Questi assassini sono arrivati in Siria perché hanno avuto la visione delle vergini del paradiso islamico che, se dovessero morire martiri (come dicono loro) in Siria, le vergini li accoglierebbero immediatamente nelle loro braccia.

l'osservatore siriano d'Aleppo   


“Preghiamo” scrive nel comunicato il Custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa OFM “perché questa guerra assurda e vergognosa finisca presto e che la gente di Siria possa tornare presto alla normalità”

Agenzia Fides - 24/6/2013

Gassanieh - Domenica 23 giugno il sacerdote siriano François Murad è stato ucciso a Gassanieh, nel nord della Siria, nel convento della Custodia di Terra Santa dove aveva trovato rifugio. Ne dà conferma un comunicato della Custodia di Terra Santa inviato all'Agenzia Fides. Le circostanze della morte non sono del tutto chiarite. Secondo fonti locali, il convento in cui si trovava p. Murad sarebbe stato assaltato da miliziani legati al gruppo jihadista Jabhat al-Nusra.
Padre François, 49 anni, aveva fatto i primi passi nella vita religiosa con i frati francescani della Custodia di Terra Santa, e con essi continuava a condividere stretti vincoli di amicizia spirituale. Dopo essere stato ordinato sacerdote aveva iniziato nel villaggio di Gassanieh la costruzione di un monastero cenobitico dedicato a San Simone lo Stilita, nell'alveo della Chiesa siro-cattolica.
Dopo l'inizio della guerra civile, il monastero di San Simone era stato bombardato e p. Murad si era trasferito presso il convento della Custodia per motivi di sicurezza e per sostenere i pochi rimasti, insieme a un altro religioso e alle suore del Rosario.
“Preghiamo” scrive nel comunicato il Custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa OFM “perché questa guerra assurda e vergognosa finisca presto e che la gente di Siria possa tornare presto alla normalità”.
Riferisce a Fides l'Arcivescovo Jacques Behnan Hindo, titolare della arcieparchia siro-cattolica di Hassaké-Nisibi: “Tutta la vicenda dei cristiani del Medio Oriente è segnata e resa feconda dal sangue dei martiri di tante persecuzioni. Negli ultimi tempi, padre Murad mi aveva fatto arrivare alcuni messaggi in cui si mostrava consapevole di vivere in una situazione pericolosa, e offriva la sua vita per la pace in Siria e in tutto il mondo”.

http://www.fides.org/it/news/53051-ASIA_SIRIA_Ucciso_sacerdote_cattolico_Il_vescovo_Hindo_ha_offerto_il_suo_martirio_per_la_pace#.UchQAW1H45t



AsiaNews - 24/06/2013 11:49

Latakia, ucciso un monaco cattolico nel convento francescano di Ghassanieh
P. Franҫois Mourad, monaco eremita siriano era ospite del convento francescano di Sant'Antonio da Padova a Ghassanieh. Ancora incerta la dinamica dell'omicidio. Fonti parlano di un proiettile vagante, altre di un vero e proprio assassinio da parte dei ribelli islamisti che avrebbero depredato e distrutto l'edificio religioso.



Damasco  - La Custodia di Terra Santa comunica la morte di p. Franҫois Mourad, monaco siriano, e l'assalto del convento francescano di Sant'Antonio da Padova a Ghassanieh, villaggio a maggioranza cristiana della provincia di Latakia nel nord ovest del Paese.
P. Halim Noujaim, sacerdote francescano , afferma in una lettera inviata alla Custodia che p. Hanna e p. Firas, religiosi francescani a Kanaieh (Latakia), si sono recati a Ghassanieh per prelevare la salma di p. Franҫois e avrebbero confermato la distruzione di parte del convento. Nella sua lettera, p. Halim lancia un appello all'occidente dove sottolinea i rischi di un sostegno armato ai ribelli anti-Assad, che appoggiano gli estremisti religiosi responsabili di diversi attacchi contro la minoranza cristiana.
http://www.asianews.it/notizie-it/Latakia,-ucciso-un-monaco-cattolico-nel-convento-francescano-di-Ghassanieh-28288.html



.....
Il racconto è avvalorato dalla testimonianza diretta di un francescano, padre Firas, che dalla località di Kanaieh avrebbe raggiunto Ghassanieh. Qui avrebbe parlato con le suore del convento e preso il cadavere di padre François per dargli degna sepoltura.
 “Vorrei che tutti sapessero - sono parole del Ministro regionale dei francescani di Siria, Halim Noujaim - che l‘Occidente nell‘appoggiare i rivoluzionari appoggia gli estremisti religiosi, e aiuta ad uccidere i cristiani. Di questo passo non rimarrà nessun cristiano in queste zone”. 

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/24/siria._ribelli_attaccano_un_convento_francescano_a_ghassanieh:_mort/it1-704253
del sito Radio Vaticana


Chi è Padre François Mourad


di Giuseppe Caffulli | 24 giugno 2013


Si chiamava padre François Mourad (49 anni) il religioso ucciso ieri a Ghassanieh, nella valle dell’Oronte, in Siria, in una delle missioni dei frati minori francescani della Custodia di Terra Santa. Padre François si era trasferito nella zona da Aleppo, per aiutare i frati nel lavoro pastorale e nell’assistenza ai profughi. Secondo una prima versione, ad ammazzare il religioso sarebbe stato un proiettile vagante. Ma secondo una ricostruzione più precisa dei fatti, la morte di padre François sarebbe avvenuta in seguito a un’irruzione dei ribelli nel convento francescano, forse a scopo di rapina.
La salma del religioso è stata recuperata dai frati della Custodia del vicino villaggio di Knayeh, dove oggi si è svolgerà il funerale della vittima. Anche le Suore del Rosario che si trovavano a Ghassanieh hanno lasciato per motivi di sicurezza il loro convento.

Di padre François Mourad, fondatore di una nuova congregazione siro-cattolica che si ispirava alla spiritualità di San Simeone lo Stilita, avevamo parlato tempo fa sulla rivista Terrasanta (cfr novembre-dicembre 2006, p. 42) Siriano della provincia di Lattakia, saio grigio, modi gentili, padre François prima di ottenere dal vescovo siro-cattolico il permesso per dare vita alla nuova fraternità, era stato prima trappista a Latroun (Israele) e poi francescano.
Aveva dato vita ad un piccolo monastero ad Hwar, poco fuori Aleppo, dove viveva con alcuni novizi e postulanti: «Il carisma di San Simeone è il carisma della presenza, della contemplazione, dell’essenzialità e dell’ascolto – raccontava durante il nostro incontro –. Cerchiamo di vivere in questo modo, in semplicità, condividendo quello che abbiamo con le famiglie del nostro villaggio, per la gran parte musulmane, mostrando nella quotidianità il volto di Cristo. È un dialogo delle piccole cose che crediamo possa portare grandi frutti».

Come tanti siriani in questo frangente di guerra civile, padre François era stato costretto a lasciare la propria casa di Aleppo e a riparare nelle montagne dell’Oronte, dove si era messo al fianco dei francescani (con i quali coltivava stretti legami spirituali). A Ghassanieh viveva nelle ultime settimane insieme ad un frate francescano della Custodia di Terra Santa, impegnandosi nel portare sollievo alle persone in difficoltà con la semplicità che era il suo stile.
Fino a ieri, all’assalto che gli è costato la vita.

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=5323&wi_codseq=SI001 &language=it

giovedì 13 marzo 2014

Nel triste anniversario del 15 MARZO....

LOSSERVATORE ALEPPINO RIFLETTE 

Aleppo, 10 marzo '14 

Ieri, 8 marzo, nel mondo intero si e’ celebrata la festa della donna, eccetto che nel Medio Oriente perchè qui da noi la donna la onoriamo (cristiani e musulmani) il giorno 21 dello stesso mese. Oggi ascoltavo le notizie dall’Italia, anche la Rai annunciava che sono state liberate le suore prese prigioniere a Maaloula, in cambio di oltre un centinaio di donne detenute dal regime siriano. Sarà questo un segno di buona volontà d’ambo le parti per porre un termine a tanta violenza fatta di distruzione e morte, che stiamo vivendo e subendo da ormai tre anni? Sarà questo un segnale per riavere liberi i due vescovi rapiti il 22 aprile scorso? I due sacerdoti rapiti il 9 febbraio 2013? Il rev.do gesuita Paolo Dell’Oglio? 
Il prossimo sabato, 15 marzo, per la Siria ed i siriani ricorre un ben triste anniversario. E’ il giorno in cui iniziò ciò che fu chiamato “Primavera araba”.  Ma dobbiamo ammettere, per essere onesti, che non siamo dinanzi ad una primavera, ci troviamo dinanzi una vera e propria catastrofe che si può benissimo definire un inferno in cui non v’è altro che distruzione e morte. Ormai ai poveri siriani non sono rimaste altro che lacrime, hanno perduto il senso della gioia, l’unica cosa di cui possono andare ancora fieri ed in cui sono saldamente radicati è la loro fede in Dio e sono certi che arriverà il momento in cui “Egli visiterà il suo popolo” liberandolo da ogni angoscia causata loro da chi dice di essere  fratello di fede e di patria. 

In questi tre anni centinaia di migliaia sono stati i morti, o caduti sotto i bombardamenti,  o, peggio ancora, uccisi in nome di un Dio che si fregiano di chiamare “clemente e misericordioso”, o perchè sono semplicemente cristiani.
Durante questi tre anni il così detto mondo civile e democratico non ha saputo fare altro che vendere armi alle diverse fazioni che si affrontano. Dico diverse perchè ormai tutto il mondo deve sapere, nel caso fingesse di non saperlo, che in Siria non è più l’opposizione siriana che combatte il governo, ma sono le differenti frange del terrorismo mondiale che si identifica in al-Qaeda o in Daesh o nelle Jamaat al-Nousra, e qui convogliate dall’Occidente sponsorizzato dalle petromonarchie.
Il giorno, però, verrà in cui anche l’Occidente e le petromonarchie dovranno fare i conti con questi portatori di morte, violenza, stupro e qualsiasi atto contro il comandamento di Dio di amarsi e rispettarsi l’un l’altro perchè Egli ci ha creati e siamo tutti Suoi figli e quindi fratelli.
Il così detto mondo civile, ricco e mai sazio del benessere di cui dispone, continua a vendere armi ed in nome della Libertà e della Democrazia non sa fare altro che Guerra per saccheggiare e derubare i vari tesori che altri posseggono.
In questi tre anni di Guerra, qui in Siria, è stato distrutto tutto ciò che si poteva distruggere. E’ stato distrutto il patrimonio storico-archeologico appartenente all’umanità tutta, distrutto semplicemente perchè testimoniava della presenza di un cristianesimo che ha sempre dovuto subire fin dal VII secolo. E l’Occidente dinanzi a questi scempi sacrileghi ha taciuto e continua a tacere. Bravo! Bravissimo!  
Perche’ si tace dinanzi a queste distruzioni? Perchè queste sono cose secondarie... "Noi vogliamo abbattere il dittatore, un regime assolutista". 
la festa per la sposa-bambina
E sì, perchè gli Occidentali ne sanno qualcosa dei vari dittatori che si sono succeduti nei vari paesi d’Europa. Per onestà dobbiamo una certa scusante agli occidentali. Chi governa i popoli d’Europa non è vissuto nel mondo dei Paesi arabi, non conosce la loro lingua, i loro costumi, la loro mentalità e quindi può facilmente essere raggirato. Non hanno capito che quando le petromonarchie si sono rivolte all’Occidente per eliminare un dittatore "che non dà i diritti umani ai propri sudditi, ecc"….- non hanno capito o forse non hanno voluto mai capire - che non si trattava di diritti umani non rispettati e quindi non concessi, si trattava semplicemente di eliminare un regime laico che non può esistere nella nomenclatura del mondo islamico.

Il nostro Presidente, da quando è stato eletto per la prima volta, non ha fatto altro che mettere in pratica i principi di uno Stato Laico, esattamente come fanno i Governi occidentali. Naturalmente, trattandosi di uno Stato islamico e sapendo che la laicità dello Stato non può esistere nel mondo coranico, ha iniziato gradatamente questo processo portandolo avanti con determinazione. In questo Stato Laico tutti i cittadini erano liberi di agire, di andare dove si voleva, di viaggiare, di impiantare fabbriche, di aprirsi al commercio con l’estero. Ogni cittadino mangiava il proprio pane guadagnato con il sudore della propria fronte. Le leggi erano uguali per tutti. Basti pensare che ogni etnia religiosa era libera di praticare , in pubblico ed in privato, la propria religione. Cose che non troviamo in qualche petromonarchia  di là del Mar Rosso. Ora tutto ciò, grazie alla lungimiranza occidentale, grazie alle petromonarchie, è stato distrutto; ai siriani profughi che vivono nei campi di concentramento non è rimasto altro che piangere e magari vendere le proprie bambine ai magnati che arrivano con le tasche piene di petrodollari, perchè non hanno più nulla. Le vendono allettati dalla promessa che saranno educate ed avranno una vita migliore,  non riescono a capire, accecati dalla fame e dalla disperazione, che le loro figliolette saranno alla mercè di loschi individui che pensano soltanto a soddisfare i loro bassi istinti animaleschi.  
Tutto ciò, caro Occidente, nella vostra incauta ignoranza, ce l’avete causato voi. Voi, gente civile, gente democratica, gente che predicate il rispetto dei diritti umani. Avete anche tentato la farsa di una Conferenza di pace detta “Ginevra 2”. Siete andati a Ginevra con la vostra solita boria che soltanto voi capite e sapete tutto. L’unica soluzione è e resta quella di eliminare il dittatore. Non sapendo e non conoscendo neppure a chi ci venderete. Svegliatevi una buona volta, riflettete a cosa avete fatto fino ad oggi nei vari paesi arabi dove avete sostenuto la vostra "primavera”. 

Possibile che la storia di appena qualche giorno fa l’abbiate già messa da parte? Siete diventati talmente ciechi che non riuscite a capire i guai che avete combinato sull’altra sponda del Mediterraneo? Svegliatevi e riflettete! Abbiate il coraggio e l’onestà di dire, almeno una volta: abbiamo sbagliato!  
Che il Signore vi perdoni! 
l’Osservatore di Aleppo

Testimonianza di S. E. Jacques Behnan Hindo,  Arcivescovo Syro-Cattolico di Hassaké-Nisibi :

sabato 19 gennaio 2013

Ci vogliono terrorizzare, per questo noi cristiani fuggiamo

Appello dalla popolazione della Mesopotamia, abbandonata a se stessa

Hassakè, capoluogo della Mesopotamia (Siria Orientale), è una città fantasma, isolata dal resto del mondo. La popolazione soffre il freddo, non ha carburante, l'acqua scarseggia, c'è solo un'ora di elettricità al giorno. Oltre 25mila cristiani (siro-ortodossi, siro-cattolici, caldei, armeni) assiepati nella città, molti dei quali rifugiati dalle aree circostanti, lanciano un allarme per la sopravvivenza tramite alcuni messaggi pervenuti all'Agenzia Fides. 


Agenzia Fides 17/1/2013

Dopo l’appello diffuso due mesi fa dai tre Vescovi della regione, che “lanciavano un SOS per evitare la catastrofe” (vedi Fides 23/11/2012), “nulla è stato fatto: nessuno si cura della popolazione stremata di Hassake, che ha urgente bisogno di aiuti umanitari”, ribadiscono i Presuli.
I Vescovi, come il siro-cattolico Mons. Jacques Behnan Hindo e il siro-ortodosso Mons. Matta Roham, stanno intensificando i contatti con gli altri leader cristiani siriani e con le organizzazioni umanitarie, ma la riposta che ricevono non lascia spiragli: “E’ impossibile portare aiuti ad Hassakè perchè è troppo pericoloso e mancano le minime condizioni di sicurezza”.
Dopo la città di Tall Tamr, la regione è infestata da gruppi islamisti e terroristi che impongono numerosi posti di blocco sulle strade. Si tratta dei militanti di “Jubhat el Nosra”, fazione salafita che anche gli Stati Uniti hanno di recente inserito nela lista nera dei “gruppi terroristi”. A loro si aggiungono banditi comuni che compiono rapine, razzie, sequestri, saccheggi, anche in città. La popolazione “sta morendo lentamente, abbandonata a se stessa”, nota a Fides p. Ibrahim, prete cristiano residente ad Hassakè.
Hassakè -chiesa armena
“La popolazione soffre la fame e vive nel terrore” racconta. “Ogni giorno, alle 3 del pomeriggio, scatta una sorta di coprifuoco, perchè per le strade scorrazzano gruppi armati. Si susseguono i sequestri, a volte con richiesta di riscatto, a volte no. Nei giorni scorsi due fratelli della famiglia Bashr e due giovani della famiglia Fram sono stati uccisi a bruciapelo per strada. I giovani cristiani sono minacciati e terrorizzati, al 90% sono fuggiti dalla città. Se i giovani se ne vanno, a cosa serviranno le nostre chiese?”, dice sconsolato.
Secondo quanto racconta all’Agenzia Fides" Georgius, studente universitario cristiano che ha la famiglia ad Hassakè e che da pochi giorni si è rifugiato in Libano, “i miliziani con le bandiere nere del gruppo Jubhat el Nosra hanno preso di mira tutti i giovani nati fa il 1990 e il 1992. Li cercano, li accusano di essere militari in servizio di leva, li uccidono a sangue freddo. Vogliono terrorizzare i giovani per impedire di arruolarsi”. La popolazione di Hassakè, allo stremo delle forze, riferisce Georgius, “teme l'assalto finale alla città che potrebbe causare l' esodo definitivo dei cristiani da Hassakè”

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40793&lan=ita

L'Arcivescovo siro-ortodosso Roham: per sopravvivere al freddo si bruciano anche gli antichi alberi della Mesopotamia


il fiume Eufrate

Agenzia Fides 16/1/2013

Hassaké (Agenzia Fides) - Tra i disastri che segnano l'inverno di guerra sofferto dalle popolazioni siriane c'è anche la distruzione progressiva dell'ambiente e in particolare delle esigue aree boschive, come quelle finora conservate nell'area protetta di Jebel Abdel Aziz, nella Mesopotamia siriana. A lanciare l'allarme su questo ulteriore effetto della tragedia siriana è l'Arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, titolare della sede metropolitana di Jazira e Eufrate.
In un appello inviato all'Agenzia Fides, Mons. Roham racconta di aver constatato di persona gli effetti rovinosi della guerra sul patrimonio naturale, in un recente sopralluogo nel Parco nazionale. “I poveri beduini dei sobborghi di Hassaké” scrive nel suo appello l'Arcivescovo, “hanno tagliato tutti gli alberi antichi”. Un saccheggio avvenuto sotto gli occhi dei guardiani del Parco, che non se la sono sentita di fare resistenza davanti alle ragioni di chi cercava legna per sopravvivere al freddo, in un Paese dove nessuno trova più combustibile per riscaldare le case e i black out elettrici si susseguono senza tregua.
La deforestazione selvaggia e i danni all'ambiente – nota l'Arcivescovo Roham – sono un effetto collaterale della catastrofe siriana fatta di “morti, distruzione, inflazione, povertà, emigrazione, rapimenti”.

"1.500 unità di attrezzature farmaceutiche e industriali sono state smantellate, requisite e trasportate dalla città di Aleppo in Turchia ", ha detto l'Ambasciatore siriano Jaafari nel corso della discussione sulla lotta al terrorismo in seno al Consiglio di Sicurezza.
Nel suo messaggio, Mons. Roham riferisce anche dei saccheggi subiti dalle case dei cristiani fuggiti da Ras- Al- Ayn, la città ai confini con la Turchia che due mesi fa è stata al centro di scontri tra ribelli e truppe lealiste.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40786&lan=ita


martedì 17 maggio 2016

UNA FIRMA per abolire le sanzioni ai siriani

Lo scopo della petizione ''Basta Sanzioni alla Siria'' lanciata sulla piattaforma 'Change.org' è attirare l'attenzione dell'opinione pubblica e della politica sul problema dell'embargo. Le sanzioni potrebbero essere rinnovate lunedì 23 maggio quando si riunirà il Consiglio Europeo con rappresentanti dei governi, ministri o sottosegretari.  E' sufficiente che un solo membro si opponga al rinnovo perché le sanzioni vengano sospese.
La guerra e le sanzioni non lasciano altro scampo ai siriani che la fuga. Lo spiega l'appello delle religiose e dei religiosi siriani, impegnati ogni giorno a soccorrere le popolazioni, i superstiti di Aleppo come i milioni di sfollati interni: essi chiedono una possibilità dignitosa di restare nella propria terra.

Vi invitiamo dunque a firmare e a diffondere tra tutti i vostri conoscenti la petizione, che trovate qui:

Nel 2011 l’Unione Europea, varò le sanzioni contro la Siria, presentandole come “sanzioni a personaggi del regime”, che  imponevano al Paese l’embargo del petrolio, il blocco di ogni transazione finanziaria e il divieto di commerciare moltissimi beni e prodotti. Una misura che dura ancora oggi, anche se, con decisione alquanto inspiegabile, nel 2012 veniva rimosso l’embargo del petrolio dalle aree controllate dall’opposizione armata e jihadista, allo scopo di fornire risorse economiche alle cosiddette “forze rivoluzionarie e dell’opposizione”.
In questi cinque anni le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa. E si aggiungono a una guerra, che ha già comportato 250.000 morti e sei milioni di profughi.
La situazione in Siria è disperata. Carenza di generi alimentari, disoccupazione generalizzata, impossibilità di cure mediche, razionamento di acqua potabile, di elettricità. Non solo, l’embargo rende anche impossibile per i siriani stabilitisi all’estero già prima della guerra di spedire denaro ai loro parenti o familiari rimasti in patria. Anche le organizzazioni non governative impegnate in programmi di assistenza sono impossibilitate a spedire denaro ai loro operatori in Siria. Aziende, centrali elettriche, acquedotti, reparti ospedalieri sono costretti a chiudere per l’impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o benzina.
Oggi i siriani vedono la possibilità di un futuro vivibile per le loro famiglie solo scappando dalla loro terra. Ma, come si vede, anche questa soluzione incontra non poche difficoltà e causa accese controversie all’interno dell’Unione europea. Né può essere la fuga l’unica soluzione che la comunità internazionale sa proporre a questa povera gente.
Così sosteniamo tutte le iniziative umanitarie e di pace che la comunità internazionale sta attuando, in particolare attraverso i difficili negoziati di Ginevra, ma in attesa e nella speranza che tali attese trovino concreta risposta, dopo tante amare delusioni, chiediamo che le sanzioni  che toccano la vita quotidiana di ogni siriano siano immediatamente tolte. L’attesa della sospirata pace non può essere disgiunta da una concreta sollecitudine per quanti oggi soffrono a causa di un embargo il cui peso ricade su un intero popolo.
Non solo:  la retorica sui profughi che scappano dalla guerra siriana appare ipocrita se nello stesso tempo si continua ad affamare, impedire le cure, negare l’acqua potabile, il lavoro, la sicurezza, la dignità a chi rimane in Siria.
Così ci rivolgiamo ai parlamentari e ai sindaci di ogni Paese affinché l’iniquità delle sanzioni alla Siria sia resa nota ai cittadini dell’Unione Europea (oggi assolutamente ignari) e diventi, finalmente,  oggetto di un serio dibattito e di conseguenti deliberazioni.
 FIRMATARI
Padre Georges Abou Khazen – Vicario apostolico dei Latini ad Aleppo
Padre Pierbattista Pizzaballa  - Emerito Custode di Terrasanta
Padre Joseph Tobji  - Arcivescovo maronita di Aleppo
Padre Boutros Marayati- Vescovo armeno di Aleppo
Suore della Congregazione di San Giuseppe dell'Apparizione dell'Ospedale “Saint Louis” di Aleppo
Comunità Monache Trappiste in Siria
Dottor Nabil Antaki – Medico, ad Aleppo, dei Fratelli Maristi
Suore della  Congregazione del Perpetuo Soccorso - Centro per minori e orfani sfollati di Marmarita
Padre Firas Loufti - Francescano
Monsignor Jean-Clément Jeanbart - Arcivescovo greco-cattolico di Aleppo  
Monsignor Jacques Behnan Hindo – Vescovo siro-cattolico di Hassakè-Nisibi

Padre Mtanios Haddad – Archimandrita della chiesa Cattolica-Melchita e Procuratore patriarcale

Mons. Hilarion Capucci – Arcivescovo emerito della Chiesa greco-cattolico melchita

S.B. Ignace Youssef III Younan Patriarca di Antiochia dei Siri

Mgr.Georges Masri, Procuratore presso la Santa Sede della Chiesa Siro-cattolica

S.B. Gregorio III Laham – Patriarca dei Melchiti

mercoledì 2 ottobre 2019

Per quali motivi con le sanzioni si vuole strangolare la Siria?


di Mostafa El Ayoubi

Dopo il fallimento del progetto di conseguire un cambio di regime in Siria, della crisi che continua ad attanagliare gravemente questo paese se ne parla poco. E, quando ciò avviene è generalmente per analizzare i problemi politici che esistono tra attori esterni che hanno partecipato a questo progetto: Turchia e Usa in particolare, a causa della questione curda. E anche tra Turchia e Ue per quanto riguarda la crisi dei profughi siriani. Ma riguardo invece alla grave crisi umanitaria nella quale vive il popolo siriano a causa delle sanzioni economiche imposte unilateralmente dagli Usa e dai suoi alleati, i media mainstream mantengono un profilo molto basso.
Oggi una gran parte del territorio è tornata sotto il controllo dell’esercito regolare siriano. Ne rimangono tuttavia fuori alcune zone non di poco conto: il nord-est e il nord-ovest.
Nel nord-est una parte del territorio è sotto il controllo delle milizie separatiste curde dell’Unità di protezione popolare (YPG), che fa parte dell’alleanza delle cosiddette Forze Democratiche Siriane. Milizie assistite militarmente sul campo dagli americani (e dai loro alleati inglesi e francesi). Di fatto, oggi i curdi siriani hanno proclamato unilateralmente il Rojava (nord-est) regione autonoma curda. Occorre notare che in questa regione non vi è una omogeneità etnica. Oltre ai curdi ci sono gli arabi sunniti, i cristiani assiri, i turkmeni e altri gruppi etnici e religiosi.
I curdi sono una maggioranza relativa. Se a Kobane i curdi costituiscono il 55% degli abitanti, nel vasto territorio del Rojava (cosi la chiamano i curdi), la cui popolazione ammonta a circa 6 milioni, essi non superano il 40 %. La pretesa separatista dei curdi si scontra con la realtà - complessa dal punto di vista etno-demografico - del nord-est siriano. Ma tra i curdi c’è chi pensa di poter modificare questa realtà. A tal proposito, in un articolo di Repubblica del 16 febbraio scorso si afferma: ”In Siria centinaia di migliaia di arabi sono stati cacciati dalle zone cadute sotto il controllo delle milizie curde sostenute da Washington. Questo spostamento forzato di popolazioni sunnite è stato documentato da organizzazioni non governative e da alcuni organismi internazionali, le accuse contro i curdi vanno dai crimini di guerra alla pulizia etnica”. Nello stesso articolo, l’autore, Paolo Celi, riporta le parole preoccupanti dell’arcivescovo Benham Hindo, vescovo siro cattolico di Hasaka (nord-est) il quale “denuncia un progetto che punta ad eliminare la presenza cristiana e delle altre minoranze da quella parte della Siria”.
Ma nel nord-est siriano ci sono anche i turchi che nel gennaio 2018 hanno invaso Efrin e cacciato via i curdi. Il sostegno di Washington ai curdi siriani è un grosso problema per Ankara. Questa alleanza costituisce il principale motivo delle forti frizioni diplomatiche tra le due capitali negli ultimi 3 anni. La Turchia non vuole in nessun modo che nasca lungo i suoi confini una entità autonoma curda. Per gli Usa una simile entità – sotto la loro tutela - è strategica, perché permetterebbe loro di controllare molto da vicino la Siria ma anche la stessa Turchia.
Memore del fallito di colpo di stato nel luglio 2016 ai suoi danni, il presidente turco Rajab Taib Erdogan non si fida più dell’establishment americano perché lo considera l’ideatore di quell’attentato. Da quella data la Turchia si è avvicinata progressivamente alla Russia (altra protagonista di peso sulla scena siriana, schierata con Damasco). L’acquisto, di recente, di batterie del sistema di difesa antiaerei russo S 400 da parte dei turchi ha provocato l’ira del governo americano. Come ritorsione, il 17 luglio scorso gli americani hanno sospeso la partecipazione della Turchia al programma di produzione del caccia bombardiere F 35. Ma i turchi hanno già individuato nei Sukhoi Su-57 russi una più che valida alternativa per il loro sistema di difesa aerea e ne stanno valutando l’acquisto.
Oggi l’alleanza tra Usa e Turchia non è più strategica di lungo respiro come lo era prima, ma ha assunto una modalità di tipo tattico congiunturale. L’esito finale della guerra contro la Siria stabilirà la natura dei rapporti futuri tra le due nazioni. Gli americani sono consapevoli che sarebbe una sciagura per la Nato perdere i turchi (che costituiscono il secondo esercito, dopo quello americano, di questo organismo militare); sanno che i russi e i cinesi sono pronti ad accoglierli. Motivo per cui prima o poi Washington abbandonerà i suoi alleati curdi per non perdere Ankara!
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Di recente la Casa Bianca ha accettato il diktat di Erdogan per la creazione di una “zona di sicurezza” lungo il confine della Turchia con la Siria, ma esclusivamente nel territorio di quest’ultima. Lo scopo di questa zona cuscinetto – non ben definita - per la Turchia è quella di isolare i curdi e allontanarli dai suoi confini. Il progetto - è partito recentemente con un parziale ritiro, su ordine di Washington, delle milizie combattenti curde dal confine nord est. Questa mossa sta preoccupando, e non poco, i dirigenti curdi siriani che paventano il rischio di essere abbandonati dagli americani.
Un’altra zona importante è la provincia di Idlib nel nord-ovest, ancora in mano alle milizie islamiste - sotto varie sigle ma in gran parte riconducibili a Jabhat al Nusra (e quindi ad al Qaeda) – con la tutela militare della Turchia e il consenso diplomatico degli Usa. Washington e Ankara giustificano la presenza militare illegale in Siria per combattere i jihadisti. Quando in realtà si sa che li hanno utilizzati per destabilizzare e distruggere questo paese.
Riguardo al sostegno ai terroristi, in una inchiesta giornalistica a firma di Dilyana Gaytandzhieva pubblicata il primo settembre scorso sul sito web di Arms Watch si legge che “Silk Way Airlines [di proprietà dell’Azerbaigian] ha effettuato 350 voli diplomatici con armi per terroristi in Siria, Afghanistan, Yemen e Africa. I voli sono stati noleggiati dal Pentagono, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Le armi furono portate di nascosto a Baku (Azerbaigian), alla base aerea di Incirlik”. Questa base si trova in Turchia e appartiene all’esercito americano.  L’inchiesta parla di 3 milioni di unità di armi (proiettili di mortai e missili) provenienti della Serbia (e anche dalla Bulgaria) e destinati ai jihadisti nello Yemen e in Siria. Eppure all’opinione pubblica internazionale, i grandi media raccontano una narrazione diversa: le grandi potenze occidentali e i loro alleati arabi e curdi combattono il terrorismo (vedi Islamic State weapons in Yemen traced back to US Government: Serbia files (part 1), Dilyana Gaytandzhieva, 01/09/ 2019).
Oggi, sia Washington che Ankara temono che la riconquista di Idlib da parte dell’esercito siriano potrebbe sancire la fine della guerra in Siria e quindi la loro sconfitta geopolitica definitiva in Medio Oriente. Ciò comporterebbe per loro il fatto di non avere nessuna influenza sul futuro politico in questo paese, il quale si avvicinerebbe ancor più alla Russia e all’Iran.
Ma come è accaduto ad Aleppo nel 2016, la liberazione di Idlib è solo una questione di tempo perché i russi – a fianco dei siriani - sembrano determinati ad estirpare i terroristi dalla Siria. A tal riguardo, a fine agosto scorso i jihadisti sono stati cacciati da Khan Sheikhoun, città strategica nella provincia di Idlib. Anche la riconquista del nord-est è considerata dalla Siria e dai suoi alleati una questione di calendario.
Ma se di fatto il governo americano ha fallito nel suo progetto di addomesticare militarmente la Siria, esso continuerà a cercare di annientarla economicamente attraverso l’arma micidiale delle sanzioni economiche, le quali a lungo termine sono più letali delle bombe. E su questo aspetto della crisi i grandi media tergiversano sistematicamente.
Le sanzioni contro la Siria partono da lontano. Nel 1979 gli Usa le ha applicate contro Damasco perché la consideravano uno “sponsor del terrorismo”. Nel 2003 altre sanzioni contro di essa sono state messe in atto sotto la legge Patriot act voluta da George W. Bush, il quale dichiarò la Siria parte dell’asse del male, insieme all’Iraq, all’Iran, alla Libia, alla Corea del Nord e a Cuba.
Le misure economiche restrittive e punitive nei confronti della Siria sono state esponenzialmente ampliate a partire dall’inizio della guerra nel 2011. Occorre sottolineare che le sanzioni contro la Siria non sono state decretate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e quindi sono in flagrante violazione del diritto internazionale. Sono state decise dagli Americani e poi dall’Unione europea. E generalmente il governo americano costringe governi, multinazionali e banche ad aderire e a rispettare l’ordine di sanzionare qualsiasi paese considerato come una “minaccia contro la sicurezza degli Stati Uniti d’America”.
“Il governo svizzero è paralizzato dal timore di discostarsi dalla politica delle sanzioni degli Stati Uniti”, si legge in un articolo di Arret sur info dal titolo: Les sanctions contre la Syrie ont des «répercussions dévastatrices» sur la population civile,  pubblicato il 28 giugno 2018. Sulla scia degli Usa, l’Ue applica dal 2011 sanzioni contro la Siria, specie nel settore petrolifero e in quello bancario. Queste misure sono state prorogate nel maggio scorso.
Al riguardo, a margine della novantaduesima Assemblea plenaria dell'incontro delle associazioni cattoliche per l’aiuto ai cristiani d’Oriente  avvenuto lo scorso giugno a Roma, il vescovo Pascal Gollnisch ha definito le sanzioni economiche dell'Unione europea contro la Siria "inaccettabili" , "controproducenti”  e “danneggiano notevolmente una popolazione già ammaccata da otto anni di guerra". [N.d.R.: Di notevole importanza l'esortazione del Card. Parolin all'ONU il 24 settembre 2019 per l'abrogazione delle sanzioni, che segue gli appelli da Aleppo del Card Bagnasco, Monteduro di ACS e Mons. Delpini]
A causa delle sanzioni oggi la Siria è in ginocchio. Il commercio estero è ridotto al minimo. Il Paese è isolato dal sistema bancario internazionale basato sul dollaro. Su pressione del Tesoro americano, compagnie finanziarie come Visa, Master Card hanno sospeso nel 2011 loro servizi in Siria. Le rimesse degli espatriati siriani - voce importante per l’economia di un paese in via di sviluppo – sono ostacolate dall’embargo finanziario. Inoltre i fondi sovrani che sono soldi dello Stato siriano - importanti per pagare le fatture dei prodotti d’importazione - sono oggi congelati nelle banche occidentali.  
Il petrolio greggio costituiva il 53% delle esportazioni siriane prima dell’inizio del conflitto, nel 2015 è precipitato a 6%. Gli introiti derivati servivano per importare combustibili necessari per il fabbisogno interno. Oggi i siriani passano giorni interi in coda per pochi litri di benzina/gasolio e una bombola di gas. Molte fabbriche sono ferme per mancanza di materie prime e pezzi di ricambi soggetti all’embargo.
I forni pubblici per la produzione di pane non riescono ad andare avanti a causa dell’embargo. Prima della crisi, il pane veniva venduto alla metà del prezzo di produzione. E come conferma un rapporto del Consiglio dei diritti umani dell’Onu del gennaio 2011, il paese aveva una discreta autosufficienza alimentare (vedi Report of the Special Rapporteur on the right to food, Olivier De Schutter, Mission to the Syrian Arab Republic, Human Rights Council,  27 January 2011).
Oggi l’economia di questo Paese è crollata vertiginosamente. Secondo un rapporto dell’Onu, pubblicato nel maggio del 2018, il PIL è diminuito di due terzi; nel 2010 un dollaro valeva 45 lire siriane, diventate poi 501 nel 2017; la disoccupazione è passata dall’8,5% del 2010 al 48% nel 2015. Le cause di questa situazione, secondo il relatore del rapporto, sono in gran parte derivanti dalle sanzioni economiche imposte alla Siria.
In un incontro avvenuto a Beirut il 7 agosto dell’anno scorso, un membro della Commissione economica e sociale per l’Asia occidentale dell’Onu ha affermato che per ricostruire la Siria, distrutta dalla guerra e dalle sanzioni, occorrono 388 miliardi di dollari. Gli Usa oggi minacciano e ricattano chiunque abbia l’intenzione di partecipare alla ricostruzione di questo paese.  
Anche i medicinali scarseggiano a causa delle sanzioni; gli ospedali, quelli scampati ai bombardamenti, faticano molto a servire i cittadini bisognosi di cura.  Secondo lo stesso rapporto dell’Onu poc’anzi citato, prima della guerra, il sistema sanitario siriano era uno dei più avanzati nel Medio Oriente. Lo Stato garantiva assistenza sanitaria gratuita per tutti i suoi cittadini. Prima del 2011 il Paese era auto sufficiente per quanto riguarda diversi medicinali vitali perché venivano prodotti in loco.
Oggi le misure restrittive, in particolare quelle relative al sistema bancario, hanno danneggiato la capacità della Siria di acquistare e pagare medicinali, attrezzature, pezzi di ricambio e software. Le aziende private straniere non sono disposte ad effettuare transazioni con la Siria  per il timore di essere accusate di violare le misure restrittive contro di essa (vedi  “End of mission statement of the Special Rapporteur on the negative impact of unilateral coercive measures on the enjoyment of human rights to the Syrian Arab Republic, 13 to 17 May 2018”).  
Parafrasando l’intellettuale francese Frantz Faron, il potere imperialista di fronte ad un popolo sovrano non si arrende. Forte della sua potenza economica cerca di affamare tale popolo per mezzo delle sanzioni e degli embarghi. Ed è ciò che gli Usa stanno facendo oggi al popolo siriano.

http://www.nigrizia.it/notizia/le-sanzioni-strangolano-la-siria