«Il Papa ci ha incoraggiati tutti. Cristiani e musulmani hanno sentito una
vera attenzione alla situazione della Siria e hanno apprezzato che Francesco si
sia “esposto” così chiaramente, in prima persona». Sono le parole di suor Marta, che parla a Tempi.it del possibile attacco americano e della «paura
per l’immediata destabilizzazione che si creerà».
da TEMPI.it - 10 settembre 2013
L’America potrebbe attaccare a breve la Siria. Nella vostra zona la
popolazione è spaventata?
Sì, ora che la cosa appare sempre più
decisa la paura è molta. Che cosa succederà se colpiscono un deposito di missili
o di armi chimiche? Temiamo di essere colpiti, soprattutto nel caso di
una “esplosione a catena”. Abbiamo anche paura delle conseguenze di una guerra
che investirà tutta la regione mediorientale e soprattutto temiamo l’immediata
destabilizzazione che l’attacco creerà qui in Siria.
Che tipo di destabilizzazione?
La nostra zona, come altre, è
piena di gruppi armati di al-Qaeda, salafiti e tanti altri. Subito oltre il
confine con il Libano ci sono altri gruppi di mercenari pronti ad attaccare e
sfondare i confini, come cercano di fare ogni notte. I piccoli villaggi temono i
massacri, come avvenuto in altri casi. Da poco, nella zona di Lattakie, 14
villaggi, tra cui tre cristiani, sono stati attaccati e distrutti: molte persone
sono morte, donne e bambini sono stati portati via.
Come reagiscono i siriani?
La gente si sta armando, è
pronta a difendersi da sola. Qui gli scontri sono dovuti soprattutto alla bande
armate, ai loro movimenti interni, agli attacchi che perpetrano contro i presidi
militari.
Avete recentemente scritto una lettera contro l’intervento armato.
Perché?
In questi due anni e più di conflitto abbiamo preferito non
intervenire molto, se non quando era davvero necessario. Siamo monache, la
nostra responsabilità per il mondo è la preghiera e in più è difficile evitare
di essere subito “schierati” da una parte o dall’altra. Ma di fronte
all’ignobile violenza di un attacco armato alla Siria, a questa palese
ingiustizia internazionale promossa con orgoglio e per orgoglio, un’azione di
parte, di fronte alla nostra gente del villaggio che nessuno ascolta, ci siamo
dette: dobbiamo pur dir qualcosa, dobbiamo farlo almeno per loro.
Perché parla di “azione di parte”?
A tutti qui sorge una
domanda: perché per gli altri massacri avvenuti, per quelli provati da video che
nessuno ha contestato, a volte non c’è stata neppure una parola sui media,
mentre per questo episodio, tragico ma pieno di interrogativi non risolti, si è
pronti a scatenare una guerra ancora più tragica? È di questi giorni
l’attacco a Maloula.
Nella lettera avete scritto: «Il problema è che è diventato troppo
facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati
come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la
responsabilità morale di non chiudere gli occhi”». Che cosa
intendete?
Vogliamo dire che, pur conservando uno sguardo di fiducia
nell’uomo, uno sguardo di speranza sulla vita delle singole nazioni e sui
rapporti che la regolano, non si può proprio essere ingenui fino a questo punto,
al punto di non vedere gli interessi enormi che sono in gioco e che purtroppo
sembrano prevalere su quei principi di vera umanità, di pace e speranza a cui ci
ha richiamato il Papa sabato.
Non si rischia di fare un discorso
dietrologico?
Dietrologico? Oggi alcune dichiarazioni vengono fatte
alla luce del sole, come ad esempio quella sul Qatar e l’Arabia Saudita, che
sono
pronti a finanziare in toto la guerra. Questo è un
esempio, ma non dovrebbe suscitare qualche domanda?
E poi il Signore stesso ci
ha detto: “I figli delle tenebre sono più astuti dei figli della luce “, e Lui
il cuore dell’uomo lo conosce bene. Credo non si possa accusarlo di mancanza di
speranza. Ma la speranza è una cosa reale, che si basa sulla conoscenza del
cuore dell’uomo, quindi anche sul suo peccato di orgoglio, di sete di potere, di
dominio. Il credente ha il dovere di interrogarsi e cercare la strada della
verità, dentro e fuori di lui. E come già scrivevamo nella lettera, se si vuole,
una verità oggettiva, insieme, la si può trovare.
Avete partecipato alla giornata di digiuno e preghiera indetta dal
Papa?
Tanti qui hanno digiunato e pregato. Anche noi abbiamo vissuto
la giornata di sabato in comunione con la Chiesa e gli uomini di buona volontà
di tutto il mondo. Abbiamo fotocopiato e distribuito il discorso del Papa
all’Angelus, e preparato con i giovani del villaggio un momento di preghiera nel
pomeriggio. Non abbiamo potuto farlo in contemporanea con il Papa per non
esporre la gente al rischio di riunirsi dopo il calar del sole.
È ancora possibile oggi in Siria la convivenza tra cristiani e
musulmani?
I cristiani da sempre sono in buone relazioni sia con i
musulmani sunniti sia con gli sciiti. Ciò che minaccia la convivenza è
l’elemento fondamentalista, che a seconda dei gruppi può agire con più o meno
durezza sui cristiani.
Concludendo la vostra lettera avete scritto: “Cercano di uccidere la
speranza, ma noi a questo dobbiamo resistere con tutte le nostre forze”. Come si
può avere ancora speranza nel futuro della Siria?
In Dio la nostra
speranza non muore mai, anche perché non si basa sulle nostre forze ma sulla
vita donata per sempre a noi da Cristo. Il Signore ci ha detto : “Beati quelli
che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”. È sulla Sua
parola che speriamo. Lui non ci ha mai promesso di risparmiarci la sofferenza,
il dolore, la croce; ma di vincerli, sì.
http://www.tempi.it/siria-suore-trappiste-attacco-usa-papa-francesco
Festa della Croce. Da Maloula a Damasco
I cristiani che vivono in Siria celebrano oggi la Festa della Croce. A Damasco si sono riuniti anche gli sfollati dalla città di Maaloula, teatro dei combattimenti, ma dove tradizionalmente si celebrava una messa solenne nel santuario di Santa Tecla. Da Damasco Gian Micalessin
VIDEO: