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venerdì 15 febbraio 2019

Siria: Le mamme dolenti di Sadad



Situato alle porte del deserto della Siria, a sessanta chilometri a sud di Homs, il villaggio cristiano di Sadad conta solo tremila abitanti rimanenti. La sua popolazione è interamente cristiana, principalmente di rito siriaco-ortodosso. Questo antico villaggio è citato due volte nel Vecchio Testamento, e si parla ancora l'aramaico.

 Durante la guerra, Sadad era un punto strategico per controllare la strada tra Homs e Damasco, ed è stato quindi attaccato più volte dai terroristi. Organizzati in milizia, gli abitanti del villaggio hanno respinto un primo assalto di al-Nusra nel 2013 -che è giunto comunque fino a controllare i tre quarti del villaggio- e un secondo assalto di Isis nel 2015. Ma, in Sadad o altrove, molti giovani del villaggio hanno perso la vita nei combattimenti condotti durante la guerra. Morendo per la difesa del loro paese, hanno acquisito il titolo di martiri presso i siriani.
 Siamo andati ad incontrare le famiglie di questi martiri, per raccogliere la loro testimonianza e far conoscere al mondo questi racconti di vite spezzate e di famiglie in lutto.

Mayada si veste solo in nero e rifiuta ogni cibo dolce da sette anni. Suo figlio Shadi è morto in battaglia nel 2011, a vent'anni. Due anni dopo, la guerra le prendeva un secondo figlio, George, di soli diciassette anni. Da questi due drammi, una tristezza permanente si è installata nella piccola casa che condivide con il marito e la loro nuora Rouba, con i suoi due giovani figlioli. Ci rechiamo da questa famiglia in compagnia di Hyam, un'amica dell'associazione, peraltro cugina di Mayada, che ci tradurrà ciò che le nostre magre conoscenze in arabo non ci permetteranno di cogliere.

Al nostro arrivo, constatiamo che la casa è stata appena lavata con grandi secchiate. Desiderosa di riceverci bene, un pallido sorriso illumina il volto di Mayada mentre suo marito ci invita nella stanza di soggiorno, dove una stufa mai usata è appena uscita dalla soffitta in modo che non abbiamo freddo. I tubi mal aggiustati della stufa lasciano sfuggire ondate di fumo, e si deve presto rinunciare al suo uso. A questo punto, un piccolo riscaldamento a gas è immediatamente installato nella stanza, nonostante la carenza di gas. Questa famiglia tuttavia non è ricca: la loro piccola casa non è riscaldata, i mobili sono limitati, e i pezzi mancano chiaramente di finiture. Sul tetto-terrazza in cemento, la costruzione di un secondo piano che permetterebbe a queste differenti generazioni di vivere più comodamente è al punto morto, per mancanza di soldi.
                                                                          

Prendiamo il tè con loro, e a poco a poco la coppia si confida con noi. Apprendiamo così che i loro altri tre figli sono ancora militari e continuano a servire nell'esercito arabo siriano a Damasco e a Hama. Un'angoscia supplementare per quei genitori già provati. Ci parlano anche della loro amicizia con la first lady, Asma al-Assad. Commossa dalla loro storia, ella li ha ricevuti al palazzo presidenziale, ed ha offerto un'auto per permettere loro di lavorare. Da allora, ella continua regolarmente a chiedere le loro notizie e a offrire loro il suo aiuto, che rifiutano. Mayada ci spiega le ragioni di questo rifiuto, nonostante la loro miseria: "se accettassi questo aiuto, avrei l'impressione di vendere i miei figli". Suo marito approva, prima di aggiungere che "il sostegno morale e le foto" al lato della first lady sono sufficienti, e che non vogliono nulla di più. La foto scattata con M. Asma qualche anno fa troneggia ben visibile nella stanza, accanto alle foto di famiglia. Ma se questo sostegno importante costituisce un reale conforto morale, oltre ad aver migliorato la loro quotidianità grazie all'automobile, non potrà mai rendere completamente la gioia di vivere a questa coppia, che vive costantemente nella memoria dei due figli scomparsi.                                                                                                
I loro ritratti appaiono sullo sfondo dell'angolo di preghiera, e su uno scaffale vicino le scarpe di uno fanno da vaso per un mazzo di fiori di plastica, accanto al casco e alla bandiera siriana. E i due figli di Rouba sono stati battezzati Shadi e Georges, in ricordo dei loro zii defunti. Per ora, i due piccoli si divertono sul tappeto, e corrono di tanto in tanto a rifugiarsi tra le braccia della loro mamma o del loro nonno. Speriamo che il triste contesto che li circonda non peserà troppo sulla loro infanzia, e preghiamo soprattutto che il futuro del loro paese riservi loro un destino diverso da quello dei loro zii.

Commossa, Mayada smette di parlare. Con suo marito, usciamo a visitare il giardino. Dopo il nostro giretto, la ritroviamo fuori, seduta su una sedia di plastica, immobile. Trova ancora la forza di sorridere quando li lasciamo e li ringraziamo calorosamente per la loro accoglienza e la loro testimonianza. “Tornate a farci visita! Venite quando volete, siete i benvenuti! ". Queste poche parole, già tante volte sentite a Sadad, prendono però qui un senso particolare, pieno di speranza, e ci mostrano che nonostante il dolore che opprime questi genitori provati, il loro cuore è rimasto aperto e generoso. Ripartiamo ammirati davanti al loro coraggio.
       trad: OraproSiria

giovedì 15 novembre 2018

SOS Chrétiens d’Orient: "Questa generazione può cambiare il mondo e restituire la sua anima all'Europa"

Vorrei iniziare questo breve report sulle mie 5 settimane di volontariato in Siria con questo scambio con padre Tony (se ben ricordo il nome), un sacerdote cattolico greco-melchita in visita a Maaloula per la festa di San Sergio, che si è celebrata il 7 ottobre.
"Che cosa fai con dei francesi?"  
- "Cosa sto facendo qui? ... Mi pongo la stessa domanda! Ma un italiano può adattarsi a tutte le situazioni! "
"Ne sono sicuro. "
Mi chiamo Nicola. Ho 32 anni, archeologo italiano di Bari, e ho scelto di andare in Siria con Fondazione SOS Cristiani d'Oriente .
È difficile per me condividere questa esperienza e spiegare i motivi che mi hanno portato a fare le valigie e prendere il mio zaino. Di ritorno a casa, tutto sembra diverso. Ho dovuto fermarmi, sedermi e riordinare i miei ricordi prima di tornare alla routine quotidiana italiana. Ogni volta che ho provato a scrivere qualcosa, ho finito per cancellare tutto per ricominciare da capo.
Solo una volontà molto forte ti porta a lasciare il tuo paese e superare i tuoi limiti personali. Negli ultimi anni molti europei si sono uniti ai terroristi islamisti per combattere e distruggere, per servire una causa che considerano giusta. Andare all'inverso di questo pensiero non è automatico ; partire per un paese in guerra per ricostruirlo non si impone allo spirito naturalmente.
Mi sono confrontato con la realtà siriana: un paese colpito dal flagello della guerra. I Siriani sono straordinari e, sebbene siano al centro di un conflitto mondiale da 8 anni, sono ancora profondamente gioiosi. Ti guardano con il cuore. Ogni persona che incontri ha nei suoi occhi qualcosa di unico e autentico, difficile da decodificare e appena percettibile.
A Damasco, Maaloula e Homs, ho preso parte ai cantieri di ricostruzione e alle attività con bambini e anziani vivendo pienamente l'istante presente, in mezzo a queste persone sconosciute ma molto rapidamente accattivanti. I confini culturali e psicologici sono facilmente superabili lavorando insieme.
Tutti questi incontri li ho vissuti e molto poco fotografati. Fotografare mi ha fatto sentire un turista della morte. D'altra parte, penso che fosse necessario rendere la mia famiglia e gli amici consapevoli della realtà della situazione in Siria. Il rischio è di abituarsi all'orrore, diventare dipendente dal caos.
Il Krak dei Cavalieri, magnifica fortezza e insieme teatro di orribili orrori, appare oggi ferito dall'occupazione dei terroristi jihadisti e trasformato dalla sua riconquista. Sembra che questo castello abbia dato ai siriani il coraggio di resistere. In Occidente, abbiamo dimenticato le nostre radici e la nostra identità. Se l'Europa avesse vissuto un decimo di quello che ha sofferto il Medio Oriente, non sarebbe rimasto nulla. Il popolo siriano è forte ben oltre la morte; non hanno paura di ricostruire dalle macerie, non hanno paura di sposarsi, di avere figli, senza particolare aiuto da parte del governo, non si vergognano della loro fede e credono in un mondo migliore.
A un certo momento, la Siria ha bisogno della vera Europa e l'Europa ha bisogno della Siria. Ovunque andassi, mi è stato detto: gli italiani sono gli arabi d'Europa. Forse è vero, abbiamo un enorme potenziale che la globalizzazione ci ha fatto dimenticare.
Sono andato in Siria e ho visto un popolo che non si arrende. Sono partito perché sono cristiano. Non ho paura di dirlo! La fede non è solo un sentimento intimo da conservare per se stessi. Deve riflettersi nella vita, nelle relazioni personali, nella cultura, nel lavoro, nell'educazione e nella politica. Come mi è stato detto molte volte, la fede di un cristiano deve essere il meridiano che attraversa tutti i paralleli della sua vita.
Ringrazio SOS Chrétiens d’Orient per avermi dato l'opportunità di vivere questa esperienza e tutte le persone che ho incontrato. Accanto alla Siria dei siriani, c'è per me la Siria dei francesi! Ho trovato qui dei volontari che non fuggono dal loro paese ma cercano veramente la verità. Nonostante le nostre differenze culturali e le incomprensioni che ne derivano, abbiamo davvero creato forti legami. Come diceva T. Eliot, "Nel mondo dei fuggiaschi, chiunque si muove nella direzione opposta sembrerà un disertore. "
Questa generazione che si coinvolge, che non ha paura di lavorare, in un caldo torrido o un freddo gelido, può cambiare il mondo e restituire all'Europa la sua anima.
 ( traduzione OraproSiria)
Per raggiungere i volontari di SOS Cristiani d'Oriente richiedete il formulario scrivendo a roma@soschreriensdorient.fr

venerdì 6 aprile 2018

Ritorno a Deir Ezzor



di Alexandre Goodarzy
responsabile di SOS Chrétiens d'Orient

La mia ultima visita a Deir Ezzor risale a dieci anni fa. Sto tornando in questa città che ora sembra così lontana da Damasco. Dovevo vedere come si presenta adesso, dopo tanti anni di assedio e di guerra.
La strada rimane pericolosa anche se l'intera zona è stata riconquistata e pacificata dall'Esercito Arabo Siriano e dai suoi alleati. Quindi scegliamo di volare a Qamishli, una città di origine siriaca situata nell'estremo nord-est del paese, vicino al confine turco. Poi saliremo a bordo di un veicolo che ci porterà a Hassakeh, più a sud. Resteremo lì durante la notte. Nelle prime ore del mattino successivo prenderemo un altro veicolo per continuare verso sud per raggiungere il fiume Eufrate e giungere a Deir Ezzor, la nostra destinazione finale. Viaggiamo con Padre Gabriel, un prete Siriaco Ortodosso di Hassakeh, che ha gentilmente accettato di guidarci in sicurezza verso la nostra destinazione.
Dobbiamo passare un check point dopo l'altro, quelli dei Curdi del PYD e quelli dell'Esercito Siriano, prima di raggiungere la "Porta di Deir Ezzor" che possiamo vedere da lontano in una foschia nebulosa. È nera. L'arredamento funebre diventa sempre più chiaro man mano che ci avviciniamo alla città. Le carcasse "disossate" di auto e camion stanno sparpagliate su entrambi i lati della strada. Questa scena mi ricorda Aleppo e le molte ore di viaggio su strade che non hanno niente altro da offrire che scene di totale desolazione da Ithrye quando si prende la strada di Khanasser.   Veicoli leggeri e pesanti che sono esplosi sulla strada sono i silenziosi testimoni della violenza usata per fermarli sul loro percorso. È semplicemente impossibile immaginare lo scenario! Persone che volevano fuggire, o - forse - tornare a casa - letteralmente distrutte dagli uomini in nero.
Proseguiamo verso la città ma è impossibile accedervi direttamente. Dobbiamo fare una lunga deviazione. Questo ci dà l'opportunità di attraversare villaggi dove si sono verificati terribili massacri "prima che gli Hezbollah venissero a liberarci", ci racconta un mercante locale che ci vende bottiglie d'acqua. Il marchio della Bestia Islamica è onnipresente. Può persino essere visto sulle facciate di alcune case. Può essere ancora letto sui cartelli stradali nonostante le molte mani di vernice che sono state usate per cancellarlo.   Questi villaggi stanno tornando alla vita davvero! I più giovani tornano a scuola e i padri che stanno bevendo il tè sul ciglio della strada sono occupati con i lavori manuali che richiedono il loro lavoro per guadagnarsi il pane quotidiano.   Sono presenti molti soldati. I tratti tesi sui loro volti e nei loro occhi abituati alla vista della guerra testimoniano quanto han dovuto lottare per riconquistare alcune centinaia di metri quadrati di terreno.
 Finalmente raggiungiamo le rive dell'Eufrate. Niente più ponti, sono stati tutti distrutti durante le lotte tra l'Esercito Arabo Siriano e lo Stato Islamico.
I Russi sono dall'altra parte del fiume. Hanno allestito una sorta di ponte galleggiante che è legato a due anfibi che spingono il ponte da un lato all'altro. È il modo consueto di attraversare il fiume, ma Padre Gabriel chiede a uno dei soldati di farci attraversare con uno Zodiac. In questo modo abbiamo diritto a una speciale crociera di benvenuto. Mentre Padre Gabriel sta aspettando il ponte galleggiante per portare la sua auto dall'altra parte, noi beviamo un bicchiere di mate e aspettiamo che egli si unisca a noi.
Una volta completata la traversata, continuiamo sulla strada per gli ultimi chilometri che ci separano ancora da Deir Ezzor e dal suo centro. Guidiamo lungo la zona dell'aeroporto che è stata brutalmente assediata dai terroristi per un lungo periodo di tempo. Questo mi porta a ripensare a grandi eroi, come il generale Issam Zahreddin, e a immaginare tutti gli anni di intensi combattimenti che lui e i suoi uomini hanno dovuto affrontare, principalmente per le popolazioni locali le cui vite hanno cercato di risparmiare o di salvare.  Ricordo anche le numerose volte in cui l'esercito americano ha bombardato senza sosta la Guardia nazionale siriana , indebolendo così l'Esercito Siriano di fronte al nemico. Questo obiettivo "sbagliato" ha portato alla perdita di un posto strategico detenuto dall'Esercito Siriano, dividendolo in due parti ed isolandole l'una dall'altra e rendendo l'Esercito Siriano più vulnerabile di fronte ai barbari dello Stato Islamico! Nonostante ciò, erano rimasti saldi fino a quando l'Armata siriana non è riuscita a penetrare attraverso le linee meridionale e occidentale e a spezzare l'assedio.
Passiamo poi nelle aree più danneggiate e distrutte della città, quelle della prima linea, dove sorgevano le chiese e il cinema Fouad. Non è rimasto nulla. Questi edifici sono tutti sbriciolati, solo un mucchio di detriti. L'unica chiesa che è ancora in piedi è la chiesa Siriaco Ortodossa. Il tetto dell'edificio, o ciò che ne rimane, è ancora sul posto e ci offre una "vista mozzafiato" su un paesaggio urbano desolato.
Solo rovine a perdita d'occhio. Eppure la vita sta riprendendo il sopravvento. Gli uomini stanno tornando per vedere cosa rimane del loro negozio o della loro casa. Puliscono, rassettano, prestano attenzione a ogni punto su cui mettono i piedi. Nonostante questo le mine stanno ancora mutilando e uccidendo, anche anni dopo la fine dei combattimenti.
Il tempo passa velocemente. Abbiamo già passato ore a osservare i resti della città. Dobbiamo tornare indietro. È impossibile attraversare l'Eufrate dopo le 14:00 e sono già le 13:00. È il momento di dire addio ..
Sulla via del ritorno, lasciando la città, ci fermiamo a una diga che arriva fino all'altezza di un ponte. È distrutto e sprofonda nel fiume. Lo riconosco, è quello che fu costruito nel secolo scorso dai Francesi. Lo ricordo perché 10 anni fa mi tuffai da questo ponte nell'Eufrate e vi feci il bagno. Era diventato una specie di rituale! Ogni volta che andavo a Damasco, passavo a Palmyra, poi continuavo verso Deir Ezzor prima di tornare ad Aleppo. Il passaggio per Deir Ezzor era invariabilmente segnato da ore di nuoto nell'Eufrate. L'immagine del ponte è rimasta impressa nella mia testa. A volte ripenso a tutti questi giovani che vivevano lì e con i quali condividevamo questi momenti, mi chiedo che ne sia stato di loro... Il ponte in questione è distrutto, ma non posso fare a meno di sorridere ripensando a tutto questo ...
Scattiamo qualche foto e poi ripartiamo velocemente, infatti è già troppo tardi. Non si lascia passare più nessuno a quest'ora, né in un senso né nell'altro. Ma il rispetto che i Siriani hanno per gli uomini di chiesa ci apre le porte e rende molte cose più facili. I soldati dell'Esercito siriano, gli uomini di Hezbollah, i Russi, gli Afghani e miliziani curdi del PYD che incrociamo non rifiutano niente ad un uomo di chiesa, quale che sia la loro religione. Alla vista di un prete, ci si inchina e si fa un'eccezione ...
Arriviamo in extremis ad attraversare l'Eufrate in direzione opposta, poi riprendiamo il nostro percorso per Hassakeh e Qamishli dove il nostro aereo ci aspetta per ritrovare Damasco, anch'esso sotto le bombe... nel momento in cui il mondo si lamenta per il destino di questi stessi delinquenti che cercano di fare di Damasco quello che essi hanno già fatto di Deir ez Zor, di Aleppo, di Mosul e di molte altre città in Medio Oriente... 
Il bilancio, a Damasco, era pesante al nostro ritorno: 38 morti e 50 feriti ...


Durante la mia visita a Mhardeh e Sqelbiye, sono stato toccato dalle parole di speranza e di fede di eroi come Simon e Nabel. Questi due guerrieri della Difesa Nazionale affrontano quotidianamente migliaia di terroristi siriani e stranieri a sud di Idlib. Le decine di autobus che hanno svuotato la Ghouta (alle porte di Damasco) dei suoi jihadisti si stanno stipando davanti ai loro occhi nei villaggi vicini. È da questi stessi villaggi dove vengono inviati, che gli abitanti di Mhardeh e Sqelbiye riceveranno nuovi attacchi!
La guerra è finita per Damasco ma non per quelli che vivono in prima linea, non per Simon, non per Nabel!
Nonostante tutto, essi rimangono fiduciosi, pieni di speranza, sempre sorridenti! Ci ripetono spesso con orgoglio che  "le campane continueranno a suonare a Mhardeh e Sqelbiye!"
Possa Dio benedirvi e proteggervi, cari Simon e Nabel.
Dio benedica Mhardeh e Sqelbiye.
Dio benedica la Siria.
Alexandre, capo della missione in Siria.

domenica 17 settembre 2017

Siria SOS: i cuori da consolare, le case da ricostruire.

SOS Chrétiens d’Orient
"Perché venite in Siria? ". questa è una delle domande che spesso ritornano nel corso delle conversazioni tra volontari e Siriani, perché i cantieri di Homs sono solo la parte visibile di un lavoro di ricostruzione molto più profondo, molto più importante: quello dei cuori da consolare.
"Perché venite?" è la domanda di Abu Elias, un vecchio che ha sempre vissuto nel quartiere cristiano di Hamadyié, proprio accanto alla chiesa di st. Maroun. E' che lui ha visto le atrocità; e i suoi occhi azzurri, teneri e un po' stanchi, hanno difficoltà a capire oggi questo slancio di carità che spinge i volontari ad impegnarsi e rimboccarsi le maniche per ricostruire la sua chiesa e il suo paese. Di fatto, le richieste affluiscono e i progetti non mancano a Homs: qui si tratta di una chiesa dove i "ribelli" hanno saccheggiato l'interno e danneggiato la Via Crucis, là c'è uno che ha bisogno di aiuto per rimettere in piedi la sua casa, altrove è un commerciante che vorrebbe rilanciare la sua attività. Non ci sono priorità particolari tra le richieste: partecipare alla ricostruzione della cattedrale di Nostra Signora della Pace, usata dall'esercito ribelle come ospedale e gravemente danneggiata dai bombardamenti al momento della liberazione, è essenziale perché è simbolicamente forte, ma i piccoli servizi resi a destra e a manca lo sono altrettanto. Otto case ricostruite nel quartiere di Hamadyié significano otto famiglie che hanno ritrovato un po' di conforto. E molta speranza!
Perché si tratta, pietra dopo pietra, di ridare ai Siriani nuove prospettive per il futuro. Proprio per questo, la gioventù di Homs costituisce l'altro grande cantiere di ricostruzione. Ora, i bambini e i giovani si divertono a ridere e a giocare per strada come se nulla fosse, ma una parte della loro spensieratezza è stata rubata e la loro istruzione è stata spesso messa da parte a causa della guerra. Quindi, ancora una volta, ci si rimbocca le maniche: sia che si tratti di rendere agibili le aule o organizzare campi estivi con i giovani, la ricostruzione è in corso.
"Il vostro progetto di asilo è il migliore!" dice entusiasta Giuseppe, giovane siriano (e non è l'unico!) che aiuta l'associazione come volontario. "Perché i bambini qui hanno conosciuto solo la guerra, la morte e la distruzione. Quindi è necessario dare loro la possibilità di divertirsi e di sognare un po' ". Muri per accogliere bambini e giocattoli per divertirsi: e se fosse anche questo, lottare contro la guerra?


 E di seguito, il racconto delle squadre dei volontari nell'incantevole villaggio di Maaloula.

" Ogni mattina è uno stupore perpetuo di fronte a queste colline desertiche, l'aria è pura, gli odori deliziosi, le stradine ripide dei sentieri di terra cosparsi di frammenti in pietra.

  Stiamo lavorando alla ricostruzione della casa di Lawandios, un siriano con la faccia sorridente e l'umorismo burlone. Impariamo a conoscerci reciprocamente, a lavorare insieme. Ogni pietra, ogni pezzo di legno fissato, ogni betoniera svuotata ci rende orgogliosi.
  I bambini del villaggio vengono a trovarci: "tea-time" gridano, per dirci che gli abitanti ci aspettano per prendere il tè. Una tazza, poi una seconda che non si può rifiutare tanto la loro gioia di averci tra di loro si percepisce sulle loro facce.
  Il sole continua a battere, ma ci rimettiamo al lavoro. Restano delle pietre da posare e delle case da ricostruire. Come tutti i giorni, Lawandios lavora con noi. Questo affiatamento e l'assistenza reciproca tra Siriano e Francese non fanno che sostenere la nostra motivazione quotidiana e la nostra voglia di portare la nostra pietra alla ricostruzione della Siria. "

   Emmy e Jean-Remi, volontari in Siria.
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Dall'inizio della nostra azione, grazie alle vostre donazioni, 800 famiglie sono tornate a vivere a Maaloula.  26 case sono state completamente ricostruite per trasferire queste famiglie esiliate. Molte altre sono state restaurate. 
" Grazie a voi, noi ricostruiremo questo villaggio, come la Siria, con la fede, la speranza e la carità”, dice Padre Toufic, parroco della Parrocchia Melkita Greco-cattolica di San Giorgio.
Ma ricostruire ha anche costi notevoli: rimettere porte e finestre su una casa in ricostruzione costa mediamente 500 €..... Se volete aiutarci a guarire le ferite della guerra, qui potete fare una donazione a SOS Cristiani d' Oriente:   http://www.soschretiensdorient.fr/donner/

lunedì 22 maggio 2017

Liberazione completa dell'ultimo quartiere di Homs


A Homs, il 20 maggio 2017, gli ultimi 500 terroristi jihadisti e le loro famiglie del quartiere di al-Waer sono stati esfiltrati verso la regione di Idlib. Una speranza per i cristiani, che da sei anni vivevano sotto la minaccia crescente della bandiera nera [di al-Nusra]. Un nostro gruppo sul posto racconta quello che ha visto.

"A centinaia, nelle strade dei quartieri cristiani di Homs urlavano: «Allah Akbar» (Allah è grande). Siamo partiti in fretta", mi racconta padre Boutros, prete greco ortodosso della Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di al-Waer. Era in occasione della Domenica delle Palme di aprile del 2011.
"Dei nostri quartieri hanno fatto delle linee del fronte! Noi perciò abbiamo abbandonato le nostre case per rifugiarci in zone più protette, come al-Arman o al-Waer. Quando nel 2014 l'esercito arabo siriano (SAA) riprese il controllo dei quartieri occupati, i terroristi jihadisti si barricarono in casa nostra, ad al-Waer. Tenuto conto della convivenza difficile, la maggior parte dei cristiani è fuggita. Un giorno, il sagrestano della parrocchia è stato selvaggiamente ucciso senza spiegazione alcuna. Questo evento ci ha fatto prendere coscienza dell'urgenza della nostra partenza."

Con la ripresa dei combattimenti nel dicembre 2016, il governo preferisce calmare il "gioco" e opta per un accordo con i terroristi presenti a Homs: in cambio della loro resa totale, il governo garantisce loro l'evacuazione in autobus in massima sicurezza, per la provincia di Idlib. A causa di dissensi tra le fazioni dei jihadisti, i negoziati si protraggono nel tempo. Le prime partenze sono seguite da attentati sanguinosi e assassini a Homs verso obbiettivi sia militari che civili, rivendicati da Jabhat al-Nusra, allo scopo di voler far fallire i negoziati.

Il 20 maggio 2017 a mezzanotte è iniziata l'ultima evacuazione dei jihadisti da Homs. Centinaia di combattenti hanno marciato armi alla mano, insieme alle loro famiglie (donne e bambini), per salire sugli autobus con destinazione Idlib. Un'operazione controllata dall'esercito siriano e dall'esercito russo, che dovrebbe concludersi entro poche ore.

Preoccupati per il futuro dei cristiani di questo quartiere, a cui l'Associazione è vicina, la nostra squadra si è recata sul posto e ci ha fatto parte di quello che ha visto:

"Siamo arrivati verso le 10 di mattina ad Al-Waer. Dopo vari posti di controllo, ci aspettava una lunga fila di autobus monitorati da decine di poliziotti. Abbiamo visto i Jihadisti che caricavano i bagagli su un camion prima di dirigersi verso gli autobus. Spesso con le armi alla mano, questi uomini gettano sguardi di sfida ai militari presenti. Alcuni fanno il segno V della vittoria, e/o insultano poliziotti e giornalisti. La tensione è palpabile."

François, incaricato della comunicazione per l'Associazione da ottobre 2016: 
 " Volevo osservare l'evacuazione dei 'ribelli': sono incappato su dei jihadisti con in mostra le loro armi (Kalashnikov) che sfidando i poliziotti siriani e i giornalisti, stendendo il dito verso il cielo, li apostrofavano: "Non muovetevi, presto saremo di ritorno. Partiamo, per occuparci dei vostri bambini."
 Sono stato particolarmente impressionato da una bambina recante un kalashnikov e da una seconda di 12 anni che indossa con orgoglio la bandana nera di al-Nusra."
[François-Xavier, direttore delle operazioni per l'Associazione].

Il 21 maggio, quasi sei mesi dopo la liberazione di Aleppo, è il turno di Homs di essere liberata da tutti i terroristi!


SOS Chrétiens d'Orient

domenica 23 aprile 2017

Maaloula piange i suoi cinque nuovi martiri

Papa Francesco si è recato sabato nella basilica di san Bartolomeo all’Isola Tiberina, divenuta, dopo il Giubileo del 2000, 'Memoriale dei testimoni della fede del XX e del XXI secolo'.  Durante  la liturgia ha dichiarato:
 “Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione. Nel Vangelo Gesù usa una parola forte e spaventosa: la parola ‘odio’. Lui, che è il maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, parla di odio. Ma Lui voleva sempre chiamare le cose con il loro nome. E ci dice: ‘Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me’. Gesù ci ha scelti e ci ha riscattati, per un dono gratuito del suo amore. Con la sua morte e risurrezione ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che dai tempi di Gesù e della Chiesa nascente continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione! Perché? A causa dell’odio dello spirito del mondo”.
Da venerdì 21 aprile, l'annuncio è ufficiale: i cinque Cristiani rapiti dal villaggio di Maloula sono stati ritrovati uccisi [I loro resti rinvenuti in una grotta a Arsal, cittadina libanese al confine siriano]. Erano ostaggi di Al-Nusra dal settembre 2013.
Il giorno in cui la notte si abbattè su Maaloula è il 7 settembre 2013: il villaggio è circondato, i colpi risuonano e gli obici colpiscono ovunque. I combattimenti sono di una violenza inaudita! Il gruppo terroristico al-Nusra (branca siriana di Al Qaeda) penetra in Maaloula. Sono Siriani, Tunisini, Marocchini, Giordani ma anche qualche abitante di Maalula e si infiltrano come una scia di polvere tra le abitazioni.
Mikhail, Antoun e Sarkis, tre abitanti cristiani, vengono giustiziati sommariamente con una pallottola in testa, traditi dai loro vicini abituali. Questo è il prezzo da pagare per chi vuole restare fedele alla propria patria e a Cristo. Nella stessa giornata Ghassan, Jihad, 'Taef, Shadi, Daoud e Moussa vengono prelevati.
Con la liberazione di Maaloula da parte dell'esercito arabo siriano, il Fronte al-Nusra si ritira sulle montagne libanesi con gli ostaggi. Agli abitanti viene poi ingiunto di permettere che i musulmani tornino nel villaggio. Senza condizione, accettano. Ma le richieste di Al Nusra non finiscono qui: 100 milioni di sterline siriane, l'equivalente di 200.000 dollari, sono da versare come riscatto. Ancora una volta, accettano e pagano. Poi, per due anni, dei rapiti non si ha più alcuna notizia.
Tutti i volontari di  SOS Chrétiens d’Orient  , in Siria conoscono questa storia. I ritratti dei tre martiri da tempo campeggiano sulla piazza del paese. Ma gli altri, i sei ostaggi, che fine hanno fatto? Una questione rimasta in sospeso da oltre 3 anni e mezzo, per le famiglie ferite, in attesa di un possibile ritorno, che non arriverà mai!
Infine, su sei, cinque corpi sono stati trovati... sgozzati. La loro morte risalirebbe a più di un anno fa. Questi eroi cristiani avevano un nome e un volto, una storia, un futuro. Per tutti, erano dei padri, dei fratelli, degli amici e sono andati via per sempre.
Ghassan 48 anni, lavorava nella fabbrica di Debess che stiamo aiutando a ricostruire, aveva tre figli. Suo fratello Moussa 43 anni il cui corpo non è stato ritrovato, possedeva un negozio di spezie. Jihad, 48 anni, era un muratore, suo nipote Shadi (il cui padre è uno dei tre martiri) era uno studente all'università di Damasco. Taef, 43 anni, era pasticciere. Daoud, 31 anni, era l'autista del taxi.
Vi invitiamo a unire le vostre preghiere alle nostre, soprattutto martedì in occasione del ritorno dei corpi nel villaggio per i funerali.
 SOS Chrétiens d’Orient en Syrie

venerdì 17 marzo 2017

A colloquio con Benjamin Blanchard, direttore dell’associazione francese ‘SOS Chrétiens d’Orient’

Rossoporpora.org, 3 marzo 2017
di Giuseppe Rusconi

Nel corso del 2013 ci eravamo incontrati in occasione delle grandi Manif pour tous che allora scuotevano la Francia per protestare contro l’imposizione del matrimonio ‘egualitario’, una vera rivoluzione antropologica che noi non abbiamo mai accettato. A ottobre dello stesso anno ci siamo chiesti se non sarebbe stato utile, da giovani cattolici parigini, impegnarsi anche su un terreno di quotidianità concreta. Erano giorni quelli in cui la Francia minacciava di bombardare la Siria di Assad, mentre nel contempo erano centinaia i giovani che dalla Francia si arruolavano tra le file dell’Isis. Abbiamo riflettuto e ci siamo detti che l’immagine della Francia non poteva essere solo quella connotata da bombe e terrorismo. Erano anche i giorni in cui cadeva in mano terrorista il villaggio di Maalula, gioiello aramaico con due monasteri molto cari ai siriani. Allora ci siamo detti: forse siamo un po’ pazzi… ma perché non andare a festeggiare Natale a Damasco con i profughi che hanno perso tutto e sono stati cacciati dalle loro case? Così io, Charles de Meyer (presidente della nostra associazione) e altri 17 giovani  ci siamo ritrovati a Natale  nella capitale siriana. E’ lì che ‘SOS Chrétiens d’Orient’ è nata de facto, con un’esperienza concreta e toccante nel contempo.... 

IN SIRIA …
In Siria SOS Chrétiens d’Orient ha oggi un ufficio centrale a Damasco e una presenza permanente tra l’altro a Aleppo, Homs, Maalula, Sadad, Tartus (secondo porto della Siria). Quattro gli elementi caratterizzanti di ogni presenza: le donazioni alimentari e di igiene (distribuzione di cibo, acqua, prodotti per l’igiene intima, ecc…), l’aiuto sanitario (distribuzione di medicamenti, finanziamenti di presidi sanitari, costruzione o ristrutturazione di ospedali), l’educazione (sostegno scolastico, aiuto all’infanzia, finanziamenti per corsi professionali, attività educative e ludiche, colonie estive, ecc…), la cura del patrimonio e della cultura ( ricostruzione di case e chiese, attività culturali come ad esempio pellegrinaggi). Qui sono concentrati i grandi progetti. In Siria si è sul cantiere della cattedrale greco-cattolica di Homs e di quella di Aleppo. Si partecipa alla ricostruzione di case, in particolare a Homs, Aleppo, Maalula, Sadat. Ad Aleppo l’associazione dona quotidianamente acqua agli abitanti e fornisce casse di medicamenti agli ospedali, a Damasco sta ricostruendo una scuola di formazione professionale. Molto particolare è il sostegno dato alla squadra nazionale siriana dei disabili che partecipa alle olimpiadi invernali in Austria. SOS Chrétiens d’Orient non discrimina tra le diverse chiese cristiane (ottimi tra l’altro i rapporti con il nunzio apostolico, l’odierno cardinale Mario Zenari e il presidente di ‘Caritas Siria’, il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo) e trova una collaborazione intensa anche da parte musulmana, secondo una buona tradizione consolidata nei secoli.
… E IN LIBANO
In Libano tale collaborazione è un po’ diversa, nel senso che non c’è quella ‘trasversalità’ tipica siriana. Lì l’associazione lavora in primo luogo a beneficio dei libanesi di alcuni villaggi cristiani alla frontiera con Siria e Israele, immersi in un contesto musulmano generalmente diffidente, se non ostile. In secondo luogo per i tanti profughi siriani, iracheni, palestinesi rifugiati nel Paese dei Cedri. SOS Chrétiens d’Orient lavora in particolare con l’associazione Al Nawrai, presieduta dal medico Fouad Abou Nader, nipote di Pierre Gemayel (fondatore della ‘Falange’) e famoso comandante delle ‘Forze libanesi’ nella guerra che il Paese ha sofferto negli Anni Settanta e Ottanta. L’obiettivo da perseguire è da una parte di contribuire alla sicurezza dei villaggi in partenariato con l’esercito libanese, dall’altra di riuscire a stimolare la permanenza dei cristiani in loco promuovendo soprattutto lo sviluppo di agricoltura e artigianato. Ottima la collaborazione pure in Libano con tutte le Chiese cristiane e con i loro patriarchi, tra i quali il cardinale Béchara Raï, a capo della Chiesa più importante, quella maronita, incontrato anche recentemente (il 10 gennaio) da Benjamin Blanchard.
I VOLONTARI
Il nostro interlocutore ci parla poi dei volontari (sono solo due i salariati, i capi-missione che fanno la spola tra Parigi e l’area interessata), che fin qui hanno raggiunto quota ottocento, partiti dalla Francia e dal resto d’Europa per vivere l’esperienza mediorientale di aiuto per un periodo minimo di un mese. La maggioranza di loro è francese, ma hanno aderito ad esempio anche alcuni italiani, belgi, olandesi, svizzeri, polacchi, canadesi, venezuelani. Oggi sul terreno i volontari sono una sessantina, di cui venti in Libano. Ogni giorno incomincia con una preghiera in comune e ogni domenica e festa comandata si partecipa a una messa in una delle diverse chiese in cui si articola il cattolicesimo orientale. Un’occasione per tutti, anche per i ‘tiepidi’, di scoprire la bellezza e la profondità delle liturgie che vengono dalle terre dei primi cristiani.
I RAPPORTI CON I MUSULMANI
Per quanto riguarda i rapporti in genere con i musulmani, il direttore generale di SOS Chrétiens d’Orient evidenzia che l’associazione vuole vivere in mezzo alla popolazione e quindi non intende creare problemi ai cristiani che condividono la loro quotidianità con loro. Anzi, siccome uno egli obiettivi principali è di fare in modo che i cristiani restino là dove risiedono, la collaborazione con i musulmani è benvenuta: Alcuni dei nostri impiegati sono musulmani – rileva Blanchard – come pure qualche volontario”.
DIFFICOLTA’ E SODDISFAZIONI
Tra le maggiori difficoltà incontrate, Benjamin Blanchard cita il problema della sicurezza in Paesi in guerra come Siria e Iraq. Anche l’incertezza delle vie di comunicazione. E la necessità, a volte dolorosa, di scegliere chi aiutare: I bisogni sono tali che non riusciamo a dare a tutti un sostegno. E’ comunque molto difficile scegliere”. 
E le soddisfazioni più grandi? Soprattutto quelle di essere invitati a pranzo da persone aiutate nella ricostruzione della casa e di vedere la popolazione che torna nelle chiese per festeggiare il Natale.

VERGOGNA OCCIDENTALE: LA GRANDE MENZOGNA SU ALEPPO
Chiediamo a Benjamin Blanchard di darci una valutazione di quello che è successo ad Aleppo: Aleppo è una città che è stata martirizzata per quattro anni da gruppi terroristi guidati da Al Qaeda-Al NusraGli aleppini hanno dovuto subire quotidianamente per anni i bombardamenti dei terroristi, che hanno colpito scuole, ospedali, mercati, oltre a tagliare l’acqua, l’elettricità, lo stesso vettovagliamento di Aleppo come per cinque mesi nel 2013-14”. 
Gravi le responsabilità dell’Occidente, Stati Uniti di Obama-Hillary Clinton, Gran Bretagna,  Francia, oltre a quelle di Paesi arabi come l’Arabia Saudita…: “Per tutti questi anni in Occidente non si è quasi mai parlato di quello che accadeva ad Aleppo, salvo per quanto succedeva nei quartieri est, in mano ai terroristi, peraltro definiti con mistificazione colossale dei ‘ribelli’. Un atteggiamento, quello di gran parte dei media occidentali, che gli aleppini non hanno mai né capito né digerito. Ancora oggi mi si fa notare che, secondo gli occidentali, se Al Qaeda compie un attentato in Francia viene giustamente condannata, ma se bombarda i civili ad Aleppo fa un buon lavoro. Non si riesce a capire questo comportamento, specialmente da parte dei cristiani della città. 
Ora Aleppo è stata liberata…: Nell’autunno del 2016 l’esercito siriano, aiutato da truppe russe, ha sferrato un’offensiva finale per liberare Aleppo est dai terroristi. L’attacco ha provocato anche vittime civili - come purtroppo è normale in guerra - e questo dispiace molto. Però la vittoria ha permesso il ritorno della pace ad Aleppo e la felicità della popolazione di essere stata liberata si è manifestata intensamente nelle feste di Natale, quando tutte le sere c’erano centinaia di aleppini attorno al grande albero di Natale che abbiamo innalzato in una delle piazze simbolo, tutti insieme: cristiani e musulmani. Nei media occidentali la liberazione di Aleppo è stata chiamata ‘caduta’ di Aleppo, si è parlato anche di ‘genocidio’: choccante leggere ed ascoltare simili giudizi, che capovolgevano la realtà. In effetti i 30mila simpatizzanti dei terroristi hanno potuto andarsene indisturbati su appositi bus da Aleppo est! Si sono poi ascoltate e lette tante menzogne colossali, ad esempio che il Governo continuava a tagliare l’elettricità nei quartieri est: la verità invece è che fino a questo momento di elettricità non ce n’è ad Aleppo est come ad Aleppo ovest, così come l’acqua, poiché i terroristi hanno ancora (forse per qualche giorno) il controllo della stazione di pompaggio a circa 80 chilometri a est della città. 

SOSTEGNO IN FRANCIA E NON SOLO…
Veniamo al sostegno che SOS Chrétiens d’Orient trova in Francia e in Europa. Blanchard ha tenuto, invitato dalla parrocchia locale che sostiene finanziariamente e con la preghiera l’associazione, una serie di conferenze a Rocky Mount nella Carolina del Nord. E’ andato a Budapest per incontri con le autorità ungheresi, il cui Governo – primo e unico fin qui – ha istituito un Segretariato per l’aiuto ai Cristiani perseguitati nel mondo: si spera in una possibilità di collaborazione. In Francia l’associazione gode di non pochi aiuti, ad esempio di alcuni vescovi come quelli di Vannes, Fréjus-Toulon (diocesi che si è anche gemellata con l’arci-eparchia greco-cattolica di Homs e organizza pellegrinaggi in terra siriana di sacerdoti diocesani, guidati dal vescovo), di Bayonne. E di diversi sindaci e parlamentari: “Il 6 gennaio eravamo ad Aleppo con gli armeni e con una delegazione parlamentare francese”.

UN CD COINVOLGENTE DELLA GRANDE CORALE DI DAMASCO “CHOEUR-JOIE”
Benjamin Blanchard ci mostra poi altri prodotti dell’attività di SOS Chrétien d’Orient. Per esempio un cd (l’abbiamo ascoltato, è veramente bello e coinvolgente!) del coro Coeur-Joie” di Damasco, fondato negli Anni Novanta e diretto da una grande figura della Chiesa siriana, padre Elias Zahlaoui: 130 cantori e musicisti che nel marzo 2016 (dopo 14 mesi di preparativi) sono riusciti a venire in Francia per una tournée di concerti in sette città da Parigi a Lourdes, passando da Lione, Bollène e Orange, Tolone, Béziers, Tolosa. Ottomila gli spettatori che hanno vissuto un’esperienza gioiosa proveniente dalla Siria, posta sotto il titolo ‘Chants d’espérance’. Quando i 130 sono partiti da Damasco qualcuno pensava che non sarebbero tornati. Invece sono tornati tutti e il loro concerto successivo, all’Opera della capitale, è stato un trionfo (Il nostro Paese, per ferito che sia, noi lo ricostruiremo, anche se siamo pochi! Pochi ma non rassegnati a piangere e a lamentarci sulle rovine!”, così dicono le parole della terz’ultima canzone del cd).

L’ATTIVITA’ EDITORIALE 
Interessante anche l’attività editoriale: fin qui l’associazione ha sostenuto quattro pubblicazioni: un’agenda 2016, l’interessantissimo libro-intervista di Charlotte d’Ornellas  a colloquio con il patriarca Gregorio III Laham (ed. Artège) , il suggestivo e commovente volume fotografico (testi di Pierre-Alexandre Bouclay, foto di Katharine Cooper, ed. Rocher di Monaco) “Peuples persécutés d’Orient” (Siria, Iraq, Kossovo), una raccolta di poesie di Anne-Lise Blanchard (madre del nostro interlocutore).

C’E’ QUALCHE GIOVANE CHE VUOLE DIVENTARE VOLONTARIO?
In conclusione Benjamin Blanchard definisce i due grandi obiettivi dell’associazione per il 2017: la ricostruzione e il ritorno a casa, in particolare per gli sfollati della Piana di Ninive e il reinsediamento nei villaggi oggetto dell’attività di SOS Chrétiens d’Orient. Senza mai dimenticare il grande obiettivo di rafforzare i legami tra cristiani d’Oriente e d’Occidente. Un desiderio forte? Che l’intervista possa in qualche modo servire come stimolo per i giovani intenzionati a ‘fare qualcosa’ di utile sul terreno per i nostri fratelli del Medio Oriente In Iraq, Siria, Libano, Giordania ed Egitto (qui per il momento solo d'estate). Contatti? roma@soschretiensdorient.fr , www.soschretiendorient.fr , 0039 / 339 73 50 686 .   

martedì 17 febbraio 2015

Intervista a Padre Toufik Eid (Maaloula): "Questa chiaramente non è una rivoluzione interna."

"Contro la barbarie, non sento la voce dei musulmani innalzarsi ..."

Parroco di Maaloula, villaggio cristiano martire, il padre Toufik si trova in Francia fino al 12 febbraio. 
Per testimoniare la catastrofe attualmente in corso.

Bd Voltaire, SOS Chrétiens d'Orient

  
 Ci può raccontare il dramma che ha vissuto Maaloula?
Prima di Natale 2012, l'esercito siriano si è ritirato dal villaggio. Maaloula è diventata una sorta di terra di nessuno tra i terroristi islamici e le forze governative. Nel febbraio 2013, per la prima volta, alcuni individui di Maaloula hanno cominciato a manifestare contro il governo. Erano armati. Non erano ancora apertamente pro-islamisti, anche se si sentiva qual'era la loro motivazione. Hanno finito per prendere la parte superiore del villaggio dove si trovava il monastero in cui io sono anche un monaco. Non vi sono ritornato. E poi delle persone sono state rapite, si stava mutando in qualcosa d'altro. Tuttavia, io percepivo che, nel campo dei terroristi, non c'era un vero capo.

   Come ha reagito la popolazione?
Speravamo una mediazione, un ritorno alla calma. Il leader musulmano locale (1/3 della popolazione, ndr) ha cercato di dialogare con i terroristi, ma non lo hanno voluto ascoltare. Il 4 settembre, hanno attaccato con un kamikaze su un pick-up, un checkpoint dell'esercito all'ingresso di Maaloula. Diversi soldati sono stati uccisi. Il giorno dopo, ho preso la decisione di far evacuare la popolazione, ma la gente mi aveva preceduto. Durante l'attacco finale, tre dei nostri giovani parrocchiani, tra cui il mio sacrestano, sono stati uccisi in uno scontro con i ribelli ... E' stato necessario aspettare fino ad aprile perchè l'esercito riprendesse il villaggio. Si tratta di una lotta puramente ideologica perché Maaloula non ha un interesse strategico o militare. Gli islamisti hanno chiaramente voluto distruggere questo villaggio simbolo, dove si parla ancora l'aramaico, la lingua di Cristo!


  Cosa hai trovato quando è tornato al villaggio?
Sono tornato il 20 aprile. Era una città fantasma ... rovine, una tristezza immensa. Più di 300 case erano state distrutte, bruciate. Alcune persone si sono reinsediate negli edifici abitabili. Abbiamo dovuto aspettare diversi giorni prima di riprendere il culto. Ma esso è ricominciato!

  Alla luce di tutti questi massacri ripetuti, c'è un futuro per i cristiani in Oriente?
E' nostro dovere di rimanere, di vivere anche con coloro che ci stanno uccidendo. Il Signore deciderà. In Siria, è speciale, perché nonostante la nostra condizione di minoranza, non abbiamo mai vissuto con un senso di insicurezza. In Maaloula, non c'erano state rivolte anti-cristiane dal 1925, dal tempo della rivolta contro i francesi. Devo precisare che qui c'è una forma avanzata di cittadinanza. Ma dobbiamo ammettere che, negli ultimi anni, c'è un vero cambiamento, qualcosa di palpabile, che è difficile definire nel comportamento dei musulmani ... Essi hanno cominciato ad avere dei soldi, molto più di prima. Non sappiamo da dove arriva questo denaro. Hanno cambiato il loro atteggiamento. Era strano ...

  Pensa che la manipolazione viene da altrove?
Sì. Questa chiaramente non è una rivoluzione interna. I terroristi non propongono nient'altro che la loro sharia. Questa non è una scelta locale, una potenza manipola dall'esterno. C'è un comandante nell' ombra. È molto complesso. E non capisco la politica della Francia. Essa è completamente paradossale: in Mali, voi lottate contro gli islamisti, a casa nostra, voi li armate. I siriani sono profondamente delusi da questo atteggiamento. Ma voi iniziate a pagarne le conseguenze a casa vostra.

   Lei dice anche di essere deluso dell'atteggiamento dei musulmani.
Sì, lo sono. I buoni musulmani sono incapaci di dire a voce alta la loro opposizione a questa barbarie che si estende in tutto il mondo. Lasciano che si diffonda il caos. Da parte mia, come cristiano, credo che non possiamo vivere bene se non nell' ordine e nella disciplina. Senza questo, la cosiddetta "convivenza" non è che una chimera.

 (traduzione dal francese di FMG)

http://www.soschretiensdorient.fr/2015/02/bd-voltaire-entretien-avec-pere-toufic-eid-contre-la-barbarie-je-nentends-pas-la-voix-des-musulmans-selever/



Video di Samaan Daoud: testimonianze sul martirio di Antonio, Michail e Sarkis , uccisi per Cristo a Maaloula. Intervista a padre Toufik e al vescovo Kawak

lunedì 5 gennaio 2015

Aleppo : si manifesti, Signore, la tua salvezza!


Dal Diario di viaggio ‘NoëlpourlaSyrie’ di SOS CHRETIENS D’ORIENT
Festa dell'Epifania

Partenza da Damasco alle 06.00 per raggiungere la città di Aleppo,  a nord-ovest della Siria.

 Il percorso è studiato bene prima della partenza: è impossibile collegare le due città attraverso l’ autostrada, alcuni tratti della quale  sono controllati  da gruppi armati.
 L’ingresso nella grande città di Aleppo (3 milioni di abitanti) si fa dalla piccola strada che è l'ultimo passaggio che collega la città al resto del Siria...
 La città è tagliata in due e la magnifica cittadella segna la linea del fronte: l’est della città è nelle mani dei "ribelli" ed è assolutamente impossibile raggiungere l'ovest senza fare tutto il giro della provincia...

Siamo accolti in Aleppo dal deputato Pierre Merjaneh che ci offre il ritratto di una città sfigurata dalla guerra: dal 23 dicembre, i residenti non ricevono né acqua né elettricità, le due essendo controllate dai gruppi armati di opposizione.
 Neppure si trova più carburante, a causa  in primo luogo delle sanzioni internazionali, che hanno significativamente ridotto il rifornimento nel Paese,  e per la difficoltà di raggiungere Aleppo, preda di combattimenti costanti  tra l'esercito siriano e i gruppi dell'opposizione .

Andiamo a incontrare le suore dell'ospedale Saint Louis, che opera da qualche tempo al rallentatore: il generatore che permette di bypassare la mancanza di elettricità è troppo potente e consuma un sacco di carburante. Non può continuare a lavorare permanentemente: ci vorrebbero 1000 litri di carburante al giorno, sapendo che esso costa  ormai 155 lire siriane per litro (era 20 lire siriane prima della guerra)... E non solo è costoso, ma soprattutto troppo raro a causa delle  sanzioni contro la Siria...


 Pierre Merjaneh commenta la situazione: "parlano di sanzioni economiche, ma sono in realtà sanzioni umanitarie "... 
In un ospedale pubblico della città, tre pazienti sotto assistenza respiratoria sono di fatto morti a causa dell'impossibilità di mettere il generatore in funzione a causa della scarsità di carburante...

 Questo è ciò che spossa e inquieta le suore dell'ospedale.
 Il laboratorio dell'ospedale è stato allo stesso modo chiuso. Il materiale c'è, ma gli specialisti hanno lasciato la città.
 "L’emigrazione è catastrofica per la città di Aleppo" commenta una suora, che precisa che i cristiani che hanno lasciato la città o anche il Paese sono molto numerosi . Se i gruppi armati riuscissero permanentemente a tagliare l'ultima strada che collega al resto della Siria Aleppo, i residenti non potrebbero più fuggire...  
Tutti sono preoccupati, i cristiani forse anche più degli altri.
 Una giovane aleppina, capo delle guide,  illustra drammaticamente questa preoccupazione: "Eravamo 150 guide prima della guerra, ora non ce ne sono più di 40...Tutti gli altri sono fuggiti da questa situazione.”

 Dall’altro lato dell'ospedale, è il blocco della chirurgia che è spento: le sorelle accendono solo in caso di emergenza a causa della mancanza di energia elettrica.

 Ma la situazione è ugualmente  difficile per i loro pazienti: alcuni che venivano  dai villaggi vicini, situati a pochi chilometri da Aleppo sono ora obbligati a fare tutto il giro della provincia per raggiungere l’ ovest della città.
 "Aleppo è la nuova Berlino e il mondo intero tace...", deplora una Sorella, che racconta una storia recente : "Dei pazienti ci hanno chiamati alle 3 del mattino e normalmente ci mettono una buona ora per arrivare all'ospedale... Sono arrivati alle 16, dopo aver fatto una deviazione enorme! Vi rendete conto? "

La cappella delle suore è divenuta impossibile da illuminare...   Essa pertanto è stata trasferita al centro dell'ospedale, più piccola e di più facile accesso, consente quindi alle suore a pregare.

 Sulle pareti: un Rosario e una croce fatta da una delle sorelle con le pallottole che hanno raggiunto  l’ ospedale...

 "Pregare e sperare! Non abbiamo di meglio da fare nè da proporre ", ci dice,  prima di incoraggiare  SOS Chrétiens d’Orient a fare lo stesso per la Siria...


 Aspettando impazienti la pace, come tutti i Siriani, le suore continuano a far funzionare pazientemente e nel modo più efficace possibile l'ospedale di cui si prendono cura...

(traduzione dal francese di FMG)