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lunedì 5 agosto 2019

Quindicina dell’Assunta: preparare 'la festa delle feste' della Madre del Signore

"Porto e difesa, baluardo e riparo sii per chi in te si rifugia, Signora: sii protezione e sorgente di gioia.
O Vergine Madre di Dio, salvaci!"

da Radio Vaticana 

Nella suggestiva basilica romana di Santa Maria in Via Lata è in corso la tradizionale Quindicina dell’Assunta, una pratica di devozione in preparazione alla Solennità dell’Assunzione di Maria del prossimo 15 agosto: nei quindici giorni, i fedeli digiunano e cantano l’ufficio orientale chiamato Paraclisis, composto da inni di supplica per ottenere conforto e coraggio. La celebrazione, che nelle Chiese cattoliche ed orientali di rito bizantino prende il nome di ‘Piccola Quaresima della Madre di Dio’ ed è stata in parte adattata alla nostra tradizione liturgica occidentale ormai più di quarant’anni fa, si concluderà il 14 agosto alle ore 20.00 nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore con la solenne veglia dell’Assunta presieduta dal cardinale Stanisław Ryłko, arciprete della basilica.

Una pratica dal grande valore ecumenico

Il mariologo Antonino Grasso, docente all’Istituto di Scienze Religiose ‘San Luca’ di Catania, spiega che “la Quindicina dell’Assunta assume un grande valore ecumenico visto che unisce i cristiani di Oriente ed Occidente nell'unanime venerazione di Maria. Con questa pia pratica i fedeli chiedono alla Madre di Dio anche di intercedere per la pace sulla terra, l’unità delle Chiese, la benedizione divina sulle famiglie e su ogni creatura umana”. Anche per noi occidentali, aggiunge il prof. Grasso, lo scopo della Quindicina dell’Assunta è quello di alzare lo sguardo verso la Vergine glorificata “per sentirla sempre vicina e per rivolgerle fiduciosi la struggente invocazione di aiutarci a risolvere i grandi problemi personali, familiari, nazionali ed internazionali”.

Maria ci invita a combattere contro il male per la salvezza

Ma cosa ci insegna il guardare incessantemente all’Assunta? “Ci insegna - risponde il mariologo Grasso - che nulla di noi andrà perduto; che tutto di noi sarà salvato per sempre solo se sapremo vincere la nostra battaglia contro il male e se sapremo superare la paura della morte, animati dalla speranza certa e concreta della resurrezione”. In sostanza, Maria ci sollecita ad essere forti e decisi contro il demonio che “con le sue subdole ed affascinanti insidie ci circonda invisibile ma potente, con l’intento di strapparci a quella realizzazione gloriosa e splendente in Dio di cui l’Assunta è l’icona, distruggendo così la nostra esistenza”.

domenica 26 maggio 2019

Padre Firas Lufti, francescano: “Si torna a parlare dell’uso di armi chimiche per creare un falso pretesto che giustifichi al mondo un nuovo attacco internazionale alla Siria”


di Luca Collodi

Le autorità siriane e russe intendono aprire dei corridoi umanitari per consentire ai civili del nord-ovest del Paese di mettersi in salvo dall'offensiva militare in corso nella regione di Idlib contro le milizie jihadiste. Lo riferisce la tv al-Mayadin, vicina al governo di Damasco. Nell'area sono ammassati circa tre milioni di civili. Raggiunto telefonicamente ad Aleppo il padre Firas Lufti, francescano della Custodia di Terra Santa e superiore del Collegio francescano di Aleppo, della situazione nella città siriana racconta ai microfoni di Radio Vaticana Italia: 
R. - A due anni dalla liberazione, Aleppo, città nella quale i jihadisti si erano installati nella parte storica, è stata riunificata. Non si parla più di Aleppo Est e di Aleppo Ovest. Una parte di questi jihadisti si trovano però nelle vicinanze di Aleppo, verso la provincia di Idlib, roccaforte intorno alla quale ancora infuriano battaglie per la riconquista. Ad Idlib, infatti, si sono rifugiati centinaia di migliaia di jihadisti. 
Da 15 giorni sono stati registrati lanci di missili e di razzi dalla parte occupata dai jihadisti proprio sul cuore della città, abitato dai civili dove non ci sono centri militari o soldati. Risulta che ci sono sempre vittime, bambini e donne innocenti. Quindi i jihadisti lanciano i loro missili per dire che sono lì e vogliono esprimere una sorta di solidarietà con quella parte della Siria.

Gli Stati Uniti hanno il sospetto che la Siria abbia usato armi chimiche, ma è un sospetto che viene smentito un po’ da tutti 
R. – Questa è un’antifona purtroppo suonata fin dall’inizio del conflitto. I media sono stati sempre usati come arma, più efficace e più distruttivi dell’arma della guerra nel senso vero della parola. La disinformazione e soprattutto le agenzie dei caschi blu – o caschi bianchi – hanno detto molte bugie. Si ritorna al discorso delle armi chimiche per creare un pretesto per attaccare ancora di più la Siria e cercare di coinvolgere il mondo per ottenere un’opinione internazionale che giustifichi – tra virgolette – un intervento militare. Magari americano o altro, per legalizzare una manovra che andrebbe soltanto a peggiorare la situazione. Invece di trovare soluzioni concrete, politiche di dialogo, di incontri, si ricorre purtroppo subito alla violenza massiccia come se ci fosse una resistenza, una non volontà di fare la pace e di farla finita. La gente è veramente stanca di questa guerra. Questa antifona non è un buon segno e non è un buon segnale.

Sul piano umanitario, la vita ad Aleppo e in Siria sta tornando alla normalità? Le famiglie stanno ritornando a casa?
R. – Come Chiesa aleppina, abbiamo subito una perdita passando da 160 mila cristiani che eravamo prima del conflitto a 30 mila – quasi 30 mila – cristiani rimasti oggi. Questo calo drammatico e drastico è significativo per i cristiani, per il loro presente e per il loro futuro, per il peso che il loro ruolo potrà avere come cittadini della Siria. E questo fenomeno si può estendere a tutte le aree e a tutte le città siriane. Per quanto riguarda il lato umanitario, forse si sta passando dall’emergenza vera e propria, con la mancanza di acqua, elettricità e cibo, ad una fase che comunque non è meno difficile della prima. 
Non siamo passati, cioè, allo sviluppo e ad un salto qualitativo nella società perché l’embargo ha ancora conseguenze sulla società siriana. Se, per esempio, lei volesse mandarmi 50 euro per aiutarmi, non potrà farlo tramite le banche perché quando si scrive “Siria – Aleppo”, i denari vengono bloccati.

mercoledì 7 giugno 2017

Una preghiera per il Medio Oriente!

Papa: c’è tanto bisogno di pregare per la pace in Medio Oriente

Radio Vaticana:  All’udienza generale, il pensiero di Papa Francesco va ancora una volta ai popoli del Medio Oriente, affinché vivano in pace liberi dalla violenza. Il Pontefice prende spunto dall’iniziativa “Un minuto per la pace” per esortare tutti i credenti a pregare per la riconciliazione nella regione mediorientale: “Domani, alle ore 13, si rinnova in diversi Paesi l’iniziativa Un minuto per la pace, cioè un piccolo momento di preghiera nella ricorrenza dell’incontro in Vaticano tra me, il compianto presidente israeliano Peres e il presidente palestinese Abbas. Nel nostro tempo c’è tanto bisogno di pregare – cristiani, ebrei e musulmani – per la pace”.
MEDIO ORIENTE IN FIAMME 
Piccole Note, 7 giugno 2017
L’attentato in Iran poteva avere conseguenze devastanti per la regione. Non è andato come preventivato dagli strateghi del Terrore e gli agenti del Male, come definiti da media filo-iraniani, non sono riusciti a fare strage nel Parlamento. Anche l’attentato al sacrario di Khomeini non è andato come volevano e i danni, tutto sommato, sono stati contenuti (anche se l’Iran piange dodici vittime).

Ciò ha permesso una reazione misurata di Theran. I guardiani della rivoluzione hanno accusato l’Arabia Saudita di aver sponsorizzato l’azione (d’altronde è notorio il legame tra Ryad e il Terrore), ma non si è ancora registrata una escalation dei toni.

L’Agenzia di stampa iraniana Fars ha riportato le notizie sul duplice attentato senza soffermarsi in accuse contro Ryad. Anche se pubblica un intervento del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman, che è anche ministro della Difesa, alquanto inquietante: «Non aspetteremo che la battaglia divampi in Arabia Saudita. Piuttosto faremo in modo che la battaglia abbia luogo in Iran».

Insomma, ad oggi la reazione è stata contenuta. Un bene, perché si voleva innescare proprio una risposta iraniana a Ryad. Oltre a fornire alla destra iraniana argomenti per incalzare l’attuale governo moderato, rivitalizzando uno scontro interno vinto proprio di recente dai fautori dell’apertura al mondo.
Se l’Iran virasse a destra e andasse allo scontro con i sauditi e l’Occidente sarebbe facile preda della propaganda bellica dei neocon, che da tempo spingono per un attacco contro Teheran.

Momento pericoloso per il Medio oriente, data anche la crisi del Qatar: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto hanno rotto con Doha, che è completamente isolata. Eppure non pare voler cedere: ha affermato di avere alimenti per un anno, rassicurando così sul tema che sembrava risultare la maggiore arma di pressione dei suoi avversari.

Questi ultimi accusano il Qatar di fiancheggiare il terrorismo. Accusa più che ridicola, come spiega in altro articolo di Piccolenote uno dei più noti giornalisti americani, ma che ne sottende un’altra: Doha intrattiene indebiti rapporti con l’Iran, cosa imperdonabile per l’asse sunnita.

È in atto una mediazione per porre fine alla crisi, di cui si è fatto tramite l’emiro del Kuwait, per evitare che la situazione precipiti e destabilizzi ancora di più la regione del Golfo, già straziata dalla guerra in Yemen e dalla feroce repressione contro la comunità sciita da parte delle autorità del Bahrein.

Anche perché Doha non cederà facilmente, avendo incassato il sostegno dell’Iran come anche anche quello della Turchia, alla quale il Qatar è legato a doppio filo: in particolare il parlamento di Ankara ha accelerato le discussioni per la creazione di una base militare turca in Qatar. Particolare che fa intravedere quanto sia grave la situazione.

Forze oscure vogliono appiccare un incendio in Medio Oriente, come dimostra l’attentato a Teheran, Un rogo che brucerebbe l’intera regione e oltre. Val la pena registrare tale spinta, come anche il primo scacco a tale strategia.

Resta che gli sviluppi sono imprevedibili, stante che tali Forze sono determinate a portare a compimento il progetto di destabilizzare l’Iran. Un vecchio progetto dei neocon che Obama era riuscito a mandare all’aria grazie all’accordo sul nucleare iraniano. Da capire quanto Trump e i generali di cui si è attorniato siano preda dei neocon sul punto. Variabile più che importante di questo rebus.

giovedì 23 febbraio 2017

Padre Ibrahim: nel cuore della popolazione siriana la speranza della pace non si affievolisce

Padre Ibrahim Alsabagh, parroco latino di Aleppo, commenta l’odierna fase di colloqui in Svizzera:

Radio Vaticana, 23/02/2017
R. – Sicuramente, ogni tentativo di dialogo e ogni appuntamento tra le diverse parti per noi è un grande segno di speranza. Siamo realisti, sappiamo quante sfide ci sono… abbiamo saputo che le rappresentanze di alcune parti sono composte solo di poche persone ma, dall’altra parte, rimane un segno di speranza per un futuro migliore.
D. – Padre Ibrahim, tra due settimane sarà il sesto anniversario dello scoppio prima delle proteste e poi di tutta una serie di eventi che hanno poi portato alla catastrofe della guerra. Lei che risultati vede, oggi?  R. – Sicuramente, vediamo la gente più sofferente, più appesantita, più povera. Ad esempio, ad Aleppo abbiamo grande difficoltà con l’acqua, perché l’Is ha tagliato le condutture verso la città; l’elettricità non esiste e per tutti, significa mancanza di lavoro. E tutto questo sempre con i prezzi alle stelle. E’ una situazione diciamo “post-guerra”, anche se non è finita per Aleppo, ma questo post-guerra significa sempre sofferenza e tante attese.
D. – Uno dei posti dove ancora si lotta, ad esempio, è Idlib: c’è stato un allarme dell’Unicef per i bambini, che torna a farci pensare quanto siano stati protagonisti in questi sei anni. Ecco, l’infanzia ad Aleppo: come stanno i bambini? Hanno ripreso la scuola? Sono rimasti, i bambini?  R. – Sì, ci sono i bambini sempre con i segni della sofferenza, di tanti shock psicologici, ma non solo i bambini. Vediamo anche tantissime donne con disturbi, tantissimi uomini anche mutilati; vediamo questo ogni giorno e sappiamo che se ad Aleppo è così, allora anche in ogni luogo della Siria.
D. – Prima, la Siria era il luogo del dialogo; ora a Ginevra si combatte per ricostruirlo, questo dialogo. Secondo lei, c’è spazio, oggi, con quello che è accaduto, per tornare a stare insieme?  R. – Sicuramente, per noi c’è sempre la possibilità di un dialogo, di ricucire questa bellissima società-mosaico che è stata lesa nella sua unità. Quello che cerchiamo di fare noi è di andare incontro all’altro: non importa cosa l’altro abbia fatto ieri, noi gli andiamo incontro con tutto quello che possiamo fare, nonostante le nostre ferite, i nostri limiti come Chiesa locale. Per me è molto facile ricucire o aprire un dialogo: basta uscire in strada, basta dire buongiorno a una persona, soffermarsi ad ascoltare la sofferenza, basta bussare alla porta di un capo religioso e fare una visita.
D. – Si può tradurre in politica, questo?   R. – Le cose grandi iniziano dalle cose piccole, dalle cose più semplici: da una stretta di mano, da un sorriso, da un saluto dal cuore… Abbiamo tanta speranza che questi semi facciano veramente grandi miracoli. E noi riusciamo a vederli, specialmente quando si tratta delle Chiese: noi possiamo oggi fare molto, molto di più di quello che i canali istituzionali possono fare.
D. – Lei dice quindi anche a livello di dialogo interreligioso?   R. – Certo. Come concittadini, come persone, come responsabili di un cammino possiamo fare tanto. La Chiesa qua, per esempio, ha una grande influenza, un grande potere morale che può, spesso, cambiare anche il camino di un popolo. Noi sentiamo questa forza, oggi, e cerchiamo di approfittare proprio di questa nostra autorità morale per riprendere in mano il timone e cercare di guidare il Paese verso il dialogo, verso la pace.

lunedì 30 gennaio 2017

Papa Francesco esorta alla memoria dei martiri e delle piccole Chiese perseguitate


Il Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Cuore dell’omelia di Francesco: i martiri. 
“Oggi ce ne sono più dei primi secoli” , “i media non lo dicono” perché non fa notizia, nota il Papa che invita a fare memoria di quanti soffrono il martirio.




Noi non li dimentichiamo





Radio Vaticana, 30/01/17

Senza memoria non c’è speranza”. Lo ricorda Francesco nell’omelia che ruota attorno alla Lettera agli Ebrei nella quale si esorta a richiamare alla memoria tutta la storia del popolo del Signore. Proprio nel capitolo undicesimo, che la Liturgia propone in questi giorni, si parla della memoria. Prima di tutto una “memoria di docilità”, la memoria della docilità di tanta gente, a cominciare da Abramo che, obbediente, uscì dalla sua terra senza sapere dove andava. In particolare poi, nella Prima Lettura odierna tratta sempre dal capitolo undicesimo della Lettera agli Ebrei, si parla di altre due memorie. La memoria delle grandi gesta del Signore, compiute da Gedeone, Barac, Sansone, Davide , “tanta gente – dice il Papa – che ha fatto grandi gesta nella storia di Israele”.

Oggi ci sono più martiri che nei primi secoli: i media non lo dicono perché non fa notizia
E poi c’è un terzo gruppo di cui fare memoria, la “memoria dei martiri”: “quelli che hanno sofferto e dato la vita come Gesù”, che “furono lapidati, torturati", "uccisi di spada”. La Chiesa è infatti “questo popolo di Dio”, “peccatore ma docile”, “che fa grandi cose e anche dà testimonianza di Gesù Cristo fino al martirio”:

I martiri sono quelli che portano avanti la Chiesa, sono quelli che sostengono la Chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli. I media non lo dicono perché non fa notizia, ma tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati. Ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo! Questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione: noi che abbiamo tutto, tutto sembra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo… Ma pensiamo a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio!”.
Non posso dimenticare”, prosegue Francesco, “la testimonianza di quel sacerdote e quella suora nella cattedrale di Tirana: anni e anni di carcere, lavori forzati, umiliazioni”, per i quali non esistevano i diritti umani.

La più grande forza della Chiesa è nelle piccole Chiese perseguitate
Quindi il Papa ricorda che la più grande forza della Chiesa oggi è nelle “piccole Chiese” perseguitate:

E anche noi, è vero e giusto anche, siamo soddisfatti quando vediamo un atto ecclesiale grande, che ha avuto un gran successo, i cristiani che si manifestano… E questo è bello! Questa è forza? Sì, è forza. Ma la più grande forza della Chiesa oggi è nelle piccole Chiese, piccoline, con poca gente, perseguitati, con i loro vescovi in carcere. Questa è la nostra gloria oggi, questa è la nostra gloria e la nostra forza oggi”.

Il sangue dei martiri è seme di cristiani
“Una Chiesa senza martiri - oserei dire -  è una chiesa senza Gesù”, afferma in conclusione il Papa che invita dunque a pregare “per i nostri martiri che soffrono tanto”, “per quelle Chiese che non sono libere di esprimersi”: “loro sono la nostra speranza”. E il Papa ricorda che nei primi secoli della Chiesa un antico scrittore diceva: “Il sangue dei cristiani, il sangue dei martiri, è seme dei cristiani”.

Loro con il loro martirio, la loro testimonianza, con la loro sofferenza, anche dando la vita, offrendo la vita, seminano cristiani per il futuro e nelle altre Chiese. Offriamo questa Messa per i nostri martiri, per quelli che adesso soffrono, per le Chiese che soffrono, che non hanno libertà. E ringraziamo il Signore di essere presenti con la fortezza del Suo Spirito in questi fratelli e sorelle nostri che oggi danno testimonianza di Lui”.

http://it.radiovaticana.va/news/2017/01/30/papa_esorta_alla_memoria_dei_martiri_nella_messa_a_s_marta/1289119

Non fuori tema, interessante riflessione sul film "Silence" di Scorsese dal blog di Costanza Miriano :
https://costanzamiriano.com/2017/01/30/silence-il-veleno-dellapostasia-come-atto-damore/

domenica 16 ottobre 2016

La stragrande maggioranza degli abitanti di Aleppo plaude vivamente all’offensiva dell’Esercito siriano. Mons Audo: "A poco a poco sarà la fine di questa bella comunità cristiana di Aleppo"

ancora una volta colpito dai jihadisti il quartiere armeno 

Aleppo città martire


di Nabil Antaki
Pubblicato nella rivista Témoignage Chrétien il 6 ottobre 2016

Nonostante la guerra fosse iniziata in Siria nel marzo del 2011, essa effettivamente si propagò in Aleppo nel luglio 2012, quando i «ribelli» armati occuparono alcuni quartieri della zona est, provocando lo sfollamento di cinquecentomila abitanti che non volevano vivere sotto il controllo degli islamisti. Da quel momento, la città è divisa in due parti: la zona est, con il 25% della superficie totale, dove vivono oggi duecentomila abitanti, mentre il resto ha cercato rifugio nella zona occidentale, sotto la protezione dello Stato siriano, che comprende il 75% del territorio complessivo ed è abitata da un milione e mezzo di abitanti.

Dal 2012, i ribelli islamisti lanciano quotidianamente proiettili di mortaio e bombole di gas, riempite di chiodi ed esplosivo, sui quartieri ovest di Aleppo, causando morti e feriti gravi. Due anni fa, hanno anche interrotto l’approvvigionamento idrico (le autorità cittadine hanno fatto scavare trecento pozzi in pieno centro per sostituire l’acqua corrente.) e l’alimentazione elettrica, e più volte hanno imposto blocchi per impedire il rifornimento di derrate alimentari, oli combustibili e altri generi di prima necessità, con conseguenze gravissime.

L’Esercito siriano, con l’appoggio dei suoi alleati, lotta da quattro anni per liberare Aleppo est dai ribelli armati e restituirla all’amministrazione dello Stato, ma senza esito positivo. Da una parte e dall’altra, bombardamenti e cecchini hanno causato migliaia di vittime e, da quattro anni, la vita in città è un inferno.
Un mese fa, i ribelli armati hanno preso il controllo dell’unica strada che collega Aleppo ovest al resto del mondo, impedendo, come molte volte negli anni scorsi, agli abitanti di lasciare la città o di rientrarvi e causando gravi penurie. Dopo tre settimane di combattimenti, le truppe governative sono riuscite a riconquistarla ed hanno messo sotto assedio i quartieri est. Da due settimane, i ribelli sono quindi bloccati insieme agli abitanti che hanno scelto di non allontanarsi.

Lo Stato siriano è ormai fermamente deciso a liberare una volta per tutte Aleppo dalle grinfie dei terroristi di al-Nusra, che occupano i quartieri est (al-Nusra è considerato unanimemente dalla comunità internazionale un gruppo terroristico al pari di Daesh).
Dato che l’Esercito siriano è riuscito ad assediare la parte ribelle di Aleppo, impiega bombardamenti aerei e combattimenti terrestri per raggiungere il suo obiettivo, ma prima di iniziare l’attacco ha lanciato volantini ed inviato messaggi SMS, chiedendo alla popolazione civile rimasta – la maggioranza ha abbandonato Aleppo est nel corso degli anni – di allontanarsi e rifugiarsi nella zona ovest. Ha aperto sette posti di passaggio e molti ne hanno approfittato rischiando la vita, poiché i gruppi armati li ostacolavano, per utilizzarli come scudi umani. Questi atti di guerra fanno naturalmente numerose vittime tra i terroristi, ma anche tra la popolazione civile.

D’altra parte, i terroristi di Aleppo est hanno intensificato i bombardamenti dei quartieri residenziali di Aleppo ovest, con decine di vittime quotidiane. Mercoledì 28 settembre, un diluvio di bombe e bombole è precipitato sul quartiere cristiano di Azizie, causando dieci morti e un numero doppio di feriti. Venerdì 30 settembre, tutti i quartieri di Aleppo sono stati sotto tiro dei ribelli con un bilancio gravissimo: trentasei morti e numerosi feriti gravi.

I media occidentali mostrano, però, soltanto immagini con le distruzioni, la sofferenza degli abitanti di Aleppo est e l’indignazione della comunità internazionale. Nessuna notizia, invece, sulla sofferenza degli abitanti di Aleppo ovest, sui morti e feriti causati dai bombardamenti dei ribelli.
I cristiani di Aleppo hanno vissuto da sempre nei quartieri del centro città e della zona occidentale. In quattro anni di guerra, tre quarti di loro hanno preso il cammino dell’esodo. Attualmente ne restano circa quarantamila, e i bombardamenti degli ultimi giorni li hanno colpiti deliberatamente.

La stragrande maggioranza dei cittadini di Aleppo ovest plaude vivamente all’offensiva dell’Esercito siriano. Durante quattro anni, hanno troppo sofferto per i tagli dell’acqua e dell’elettricità, per i numerosi blocchi e per i proiettili di mortaio che, ogni giorno, hanno falcidiato le loro donne, i loro mariti, i loro figli i loro amici ed hanno spinto all’esodo metà della popolazione. Essi pensano che è dovere dello Stato proteggere la popolazione e liberare le città.

Noi ripudiamo le inumane azioni di guerra, noi denunciamo i crimini di guerra, siamo atterriti per tutte le sofferenze patite, ma siamo anche indignati per la lettura parziale e distorta che i media fanno della guerra di Aleppo.
Tutti i Siriani, e particolarmente gli Aleppini, aspirano alla pace. Hanno nostalgia del loro bel Paese stabile, sicuro, prospero e laico dell’anteguerra. Nessuno desidera vivere sotto un regime islamista, e tutti vogliono che questa guerra – che ha generato trecentomila vittime, il doppio di feriti e mutilati, otto milioni di sfollati, tre milioni di rifugiati su una popolazione di ventitré milioni [quasi nove milioni di Siriani si sono riparati nelle zone controllate dal governo, n.d.r] – cessi mediante un processo politico e negoziato.

Nabil Antaki (Maristi blu)
Aleppo, 30 settembre 2016

P.S. Dal 30 settembre, il bilancio delle vittime di Aleppo ovest non cessa di aggravarsi e piangiamo ogni giorno numerose vittime.
Nabil Antaki

Traduzione : Maria Antonietta Carta


13 ottobre 2016, Sulaymaniyeh (quartiere cristiano di Aleppo ovest) missili ribelli colpiscono la scuola  elementare al-Ta'ai Grammar School : uccidono 4 bambini e moltissimi feriti


Radio Vaticana, 15 ottobre 

Ieri ha fatto il giro del mondo il disperato appello delle Carmelitane di Aleppo alla comunità internazionale affinché ponga fine a questa guerra. Per una testimonianza dalla martoriata città, Mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria e vescovo caldeo di Aleppo:
  R. – Quella delle Carmelitane è una testimonianza seria, degna di fiducia. Si tratta di tre suore carmelitane francesi di grande qualità che sono qui da anni con altre religiose siriane. Io le conosco bene: ogni mercoledì mi reco da loro per celebrare la Messa e passare un po’ di tempo con loro. 
Per noi è importante far sapere che nella parte Ovest, dove ci sono due milioni di abitanti, ci sono molti cristiani che abitano nel loro quartiere, ma anche tanti che sono partiti. Nessuno parla di tutte queste bombe che cadono ovunque, anche sui cristiani.

D. - Fino a poco tempo fa le organizzazioni umanitarie operavano solo nella parte della città controllata dai miliziani…
R. - Noi come Caritas ci troviamo sul posto. Ci sono tanti gruppi che lavorano, come la Croce Rossa, si fa un lavoro organizzato ma il problema è che da noi questi bombardamenti ci sono ogni giorno dappertutto e nessuno ne parla. Ad esempio, ieri mattina hanno bombardato una scuola nel quartiere cristiano, hanno ucciso quattro o cinque bambini, una cinquantina di feriti. Una scuola!

D. - Perché secondo lei i mezzi di comunicazione non parlano di Aleppo Ovest?
R. - Penso che quelli che hanno il controllo delle informazioni dell’Occidente hanno un’agenda politica. Dobbiamo come cristiani, come gente onesta, chiedere chi c’è dietro questa manipolazione, questa strumentalizzazione dei media. Questo è molto chiaro per noi.

D. - Secondo le stime più aggiornate i cristiani rimasti ad Aleppo sono appena 35mila. Che futuro per queste persone? Quali speranze?
R. - Penso che se la guerra va avanti nessuno rimarrà ad Aleppo. Questa è la mia convinzione. Chi può parte. Solo quelli che non possono, quindi i poveri e gli anziani rimangono qui. A poco a poco sarà la fine di questa bella comunità cristiana di Aleppo. Questo è il nostro dramma e questa è la nostra sofferenza. Cerchiamo di fare tutto quello che possiamo. Diciamo: “Pace! Pace! Pace”, ma dall’altra parte non c’è pace, bensì “ Guerra! Guerra! Guerra”. Fino alla distruzione. 

lunedì 11 luglio 2016

Padre Ibrahim Alsabbagh: la guerra in Siria è per il potere in Medio Oriente

La situazione di Aleppo e della Siria nelle parole di fra ibrahim a R. Vaticana:
"Siamo proprio nel mirino del caos, perché non si trova una via d’uscita diplomatica e neanche militare."


Pesantissimo bilancio dei bombardamenti in corso sui quartieri di Aleppo nella zona governativa. Da tre giorni alNusra e altri gruppi jihadisti lanciano senza sosta missili di ogni tipo, causando morti , feriti e distruzioni immani nei quartieri siriaci.


D. – Cosa blocca la pace?
R. – La mancanza di un accordo internazionale. Come diceva il Papa, è una guerra mondiale a pezzi in Medio Oriente, è più che una guerra civile. Quindi, per arrivare a una pace bisogna arrivare a un accordo ed è quello che ci manca oggi.

D. – Che interessi si confrontano, in Siria?
R. – Prima di tutto, l’interesse economico, che è molto importante, perché ci sono questi grandissimi pozzi di petrolio e di gas. Ma oltre a questo e legato all’elemento economico c’è la posizione geografica della Siria e il passaggio del gas: è la fonte di quel passaggio del gas che è argomento di discussione tra diversi Paesi. Poi, c’è l’elemento religioso: dal mio personale punto di vista è soltanto secondario. Il primo è l’elemento economico e legato a questo c’è un altro elemento imponente, che è quello del dominio, del potere: chi dovrà controllare tutto il Medio Oriente …

D. – Qual è la situazione sul campo?
R. – Sempre secondo il mio punto di vista, la Siria si trova divisa, oggi; divisa in diverse grandi parti. C’è a ovest la forza dell’esercito regolare, ma poi anche la parte della Russia, mentre nel nordest c’è la presenza di curdi e la presenza, anche, dell’Isis. Noi ad Aleppo, con la nostra posizione siamo al centro, nell’occhio del ciclone, a una distanza di 70 km dalla frontiera turca, lunga oltre 240 km, da dove passa oggi il 55% di questi gruppi militari.

D. – La Turchia, quindi, lascia passare questi gruppi paramilitari?
R. – Non sappiamo se con intenzione o se ha la difficoltà che ha dichiarato in passato di controllare tutta questa lunga frontiera. Ma il dato di fatto è che il 95% di questi gruppi militari organizzati, armati fino ai denti passano di là ogni volta che l’esercito regolare vuole fare qualche mossa.

D. – Chi sono questi gruppi paramilitiari? Chi li arma?
R. – E’ quella la domanda fa, oggi, a tutto il mondo e insiste molto su questo elemento. Perché un “mostro” – o diversi “mostri” di decine di migliaia di persone addestrate e organizzata e armate – un mostro simile non può essere creato senza un padre e una madre. E la domanda dell’origine è proprio questa. Oggi tantissimi Paesi fanno la guerra in delega: alcuni di questi Paesi fanno la delega a questi gruppi armati.

D. – Aleppo  in che situazione è, in questo momento?
R. – La città è divisa: da una parte, nella parte est, ci sono questi gruppi militari e dall’altra parte noi, come comunità cristiane, viviamo nella parte ovest con le diverse altre comunità, sia quella sunnita sia quella sciita, sia quella dei curdi, come abbiamo vissuto una volta. E questa parte ovest è controllata dall’esercito regolare, però è praticamente circondata da questi gruppi di militari che di continuo lanciano i missili sulla popolazione: sulle chiese, sulle moschee, sugli ospedali, sulle scuole e sulle abitazioni della povera gente e sulle strade.

D. – Chi ha interesse a cancellare la Siria?
R. – Direi che ci sono tante parti che hanno interesse. Posso dire soltanto che chi ha interesse di continuare questa guerra è in numero maggiore di chi ha interesse a fare la pace. Sono stati spesi miliardi e miliardi per far avanzare questa guerra. E quelli che hanno interesse in questa guerra, sono in numero maggiore di quelli che hanno interesse a far pace.

D. – Colpisce tutto il popolo siriano, non soltanto la popolazione cristiana…
R. – Certamente. Tante volte ci sentiamo bersaglio per esempio dei colpi di missili come popolo. Qualche volta, però, sentiamo un odio mirato contro i cristiani.

martedì 5 luglio 2016

“La pace in Siria è possibile”: videomessaggio di Papa Francesco #peacepossible4syria



Cari fratelli e sorelle,
oggi desidero parlarvi di qualcosa che rattrista molto il mio cuore: la guerra in Siria, oramai entrata nel suo quinto anno. E’ una situazione di indicibile sofferenza di cui è vittima il popolo siriano, costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri paesi o zone della Siria meno dilaniate dalla guerra: lasciare le loro case, tutto... 

Penso anche alle comunità cristiane, a cui va tutto il mio sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare.
Ecco, desidero rivolgermi a tutti i fedeli e a coloro i quali sono impegnati, con Caritas, nella costruzione di una società più giusta. 

Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?
Incoraggio tutti, adulti e giovani, a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia per vincere l’indifferenza e proclamare con forza che la pace in Siria è possibile! La pace in Siria è possibile!
Per questo, siamo chiamati a incarnare questa Parola di Dio: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto al vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Geremia 29,11).
L’invito è di pregare per la pace in Siria e per il suo popolo in occasione di veglie di preghiera, di iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio di pace, un messaggio di unità e di speranza.
Alla preghiera, poi, seguano le opere di pace. Vi invito a rivolgervi a coloro i quali sono coinvolti nei negoziati di pace affinché prendano sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti umanitari.
Tutti devono riconoscere che non c’è una soluzione militare per la Siria, ma solo una politica. La comunità internazionale deve pertanto sostenere i colloqui di pace verso la costruzione dì un governo di unità nazionale.
Uniamo le forze, a tutti i livelli, per far sì che la pace nell’amata Siria sia possibile.
Questo sì che sarà un grandioso esempio di misericordia e di amore vissuto per il bene di tutta la comunità internazionale!
Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.
Grazie.


Il presidente della Caritas Internationalis, il cardinale Luis Antonio Tagle, che ha incontrato siriani in Libano e in Grecia, ha detto: “Non sono solo numeri, sono esseri umani. Dobbiamo dare loro speranza, dignità e pace. È necessario dare inizio ad un movimento mondiale per la pace. A nome di tutti coloro che sono colpiti da questo conflitto, lanciamo un appello a tutti per promuovere la pace in Siria”. #peacepossible4syria @iamCaritas


Sulla Campagna per la pace e il sostegno del Papa, R V. intervista il segretario generale di Caritas InternationalisMichel Roy:
R. – Sono più di cinque anni che la guerra continua a distruggere la Siria e il suo popolo. Abbiamo deciso allora di mettere un po’ più di voce, un po’ più di forza in questo impegno per la pace. Il primo punto è che di fronte ad una complessità così grande, crediamo che possa aiutarci il Signore: quindi il primo passo è pregare di più, in tutto il mondo! Non ci può essere indifferenza per ciò che succede in Medio Oriente! Il secondo punto: di fronte a tale sofferenza, manca molto aiuto: l’aiuto umanitario non arriva a tutta la gente che ha bisogno in Siria. Nei campi rifugiati c’è aiuto; ma all’interno della Siria gli sfollati sono molto numerosi – si parla di 7-8 milioni di persone – e c’è una crisi terribile. E  la Comunità internazionale non fa fronte a tutto questo. La terza tappa di questa Campagna, che è la più importante: domandare ai governi di tutto il mondo che si impegnino, in un modo o nell’altro, a facilitare, a pressare affinché ci sia la fine di questa guerra. Non si può lasciare tutto solamente ai grandi poteri – come la Russia, gli Stati Uniti o l’Unione Europea: ognuno deve impegnarsi!
D. – A sostegno di questa Campagna di Caritas Internationalis per la Siria c’è il Papa in prima persona, con un videomessaggio, forse anche per far sentire più forte la voce di Caritas Internationalis

R. – Sì, sicuramente. Siamo molto grati al Santo Padre e questo fa parte della sua visione, che abbiamo il dovere di rendere concreta. Lui ci invita a noi, a Caritas Internationalis, ma anche a tutti i cristiani, a tutta la gente di buona volontà, ad impegnarsi in questa Campagna. Non c’è mai troppo in questo campo! Sono sicuro che questo messaggio di Papa Francesco avrà un potere importante per far sì che qualcosa di nuovo venga fatto per porre fine alla guerra.

http://it.radiovaticana.va/news/2016/07/04/roy_francesco_sostiene_campagna_caritas_per_pace_in_siria/1241904

mercoledì 15 giugno 2016

Fra Ishak da Aleppo: siamo bersaglio dei missili ribelli


Radio Vaticana, 15 giugno 2016

In Siria, militari tedeschi, americani e francesi fiancheggiano le "forze democratiche siriane" (SDF) nella battaglia contro l'Is, sul fiume Eufrate. Lo affermano attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. Sempre secondo l'Osservatorio, le forze straniere non sarebbero coinvolte in azioni militari, ma forniscono supporto disinnescando le mine dell'Is. 
Per il Ministero degli esteri siriano, si tratta di “violazione della sovranità nazionale”. 

Intanto, la situazione umanitaria sta peggiorando in tutta la Siria, in particolare nella zona di Aleppo. ecco la testimonianza di Fra Samhar Ishak, vicario parrocchiale di Aleppo:
R. – Purtroppo, la situazione va male. Speriamo sempre che migliori ma invece peggiora. Aleppo è divisa a metà: una parte è sotto il controllo governativo e metà sotto il controllo dei ribelli. C’è una guerra intensa, soprattutto in questi giorni, missili e razzi non si sono fermati. I ribelli colpiscono la parte ovest della città dove si trova la nostra parrocchia, zona controllata dal governo siriano. C’è poi il problema dell’acqua e dell’elettricità, che mancano da giorni perché controllate dai ribelli. Ma, oltre a tutto ciò, ci sono tanti morti e feriti, ci sono tante case danneggiate e tante famiglie che stanno ancora fuggendo da Aleppo, perché non ce la fanno più a vivere questa situazione che va sempre più peggiorando rispetto a prima.
D. – Aleppo è divisa tra i soldati del governo siriano e i ribelli. Chi sono i ribelli?  R. – Sono composti in realtà da gruppi diversi. Non possiamo dire che si tratti di un gruppo ribelle compatto. Non possiamo dire che sia l’Is o al-Nusra. No, sono diversi e sono tanti gruppi. Non si tratta di un solo gruppo…
D. – Questi gruppi sono uniti tra loro?    R. – No, no. Sono anche in guerra tra di loro, soprattutto al-Nusra e l’Is.
D. – L’esercito siriano prova a prendere il controllo dell’intera Aleppo?     R. – Lo speriamo. Sta operando intorno ad Aleppo e sta riconquistando molte zone che erano sotto il controllo dell’Is o di al-Nusra o di altri gruppi. Sta riprendendo l’area attorno ad Aleppo, ma speriamo che pian piano riesca a entrare nella zona est di Aleppo, in modo che anche la zona di Aleppo ovest sia più sicura.
D. – I cristiani in Siria riescono a mantenere la loro fede?   R. – Ad Aleppo ma anche in tutto il resto della Siria, i cristiani si sentono perseguitati, anche se in modo indiretto: la guerra infatti non è contro i cristiani, ma contro tutto il Paese. Vediamo anche che certe volte sia l’Is che al-Nusra entrano nei villaggi cristiani e massacrano, uccidono o li obbligano a scappare. I cristiani sentono questa persecuzione, ma dicono anche che non sono soltanto loro a essere perseguitati. Lo sono anche tanti musulmani che sono moderati. Noi abbiamo sempre vissuto assieme a loro. Faccio un esempio, quello di una famiglia di Aleppo che ha perso un figlio unico, di 21 anni, per un missile che ha colpito la loro casa: quando sono andato a trovarli mi hanno dato testimonianza di una fede veramente forte, dicendomi: “Sappiamo che Dio non c’entra in questa cosa. Ringraziamo il Signore per tutto e chiediamo a Lui che ci dia la forza e la fede di andare avanti, perché senza di Lui non possiamo fare niente”.

lunedì 11 aprile 2016

La visita di Papa Francesco sull’isola di Lesbo per interpellare il mondo e la coscienza globale, chiamandola a fare qualcosa per evitare tutto questo

E’ quanto sostiene il cardinale Peter Turkson, presidente del dicastero “Giustizia e Pace” :


La visita del Santo Padre sull’isola di Lesbo ricorda in un certo senso quella che fece sull’isola di Lampedusa. È un’altra isola che riceve persone costrette a fuggire dalla loro terra. Quindi, la visita sarà di nuovo un tentativo per mettere sullo schermo globale la situazione di queste persone e al tempo stesso le sue cause, per interpellare il mondo e la coscienza globale, chiamandola a fare qualcosa per evitare tutto questo. C’è una situazione di violenza, ora in questo caso da parte dell'Is, ma prima ancora con la guerra in Siria. È necessario invece che ci sia la pace, una pace che non deve essere soltanto il frutto della diplomazia ma che si basi in gran parte sull’amicizia, l’amore e la fraternità che si possono mostrare nei riguardi di queste persone.

D. – Questa visita di Papa Francesco sull’isola di Lesbo è anche per vincere quell’indifferenza che tante volte il Papa denuncia. Certe guerre, a volte, si ricordano solo quando bussano alla porta di casa nostra…
R. – Sì, l’indifferenza. Ma forse la domanda da porsi riguarda le cause di questa indifferenza! Ossia, perché questa indifferenza? La Grecia non può certamente essere indifferente, perché è il Paese dove ora si trovano queste persone. Ma le misure attuate dell’Europa... dare una grande somma di denaro alla Turchia affinché quest’ultima fermi l’arrivo di queste persone – non so – servono l’interesse di chi? Forse l’Europa ora sarà un po’ più tranquilla, ma quanto tempo durerà questa tranquillità? Perché se queste persone non riescono ad arrivare via mare, potranno trovare altre maniere. Per giungere ad una soluzione di lungo termine, invece, dobbiamo fare tutto quello che possiamo per creare una situazione di pace in questa zona. Sembra che l’Is sia potente, ma in realtà è sempre sostenuto dai soldi, ha accesso ancora al denaro, alle armi, ecc. Queste cose vengono sempre importate, comprate… Perché non chiudiamo tutto questo? Perché non poniamo fine all’interesse per comprare il petrolio ad un prezzo basso? Ci vuole un po’ di impegno, che poi è anche sacrificio. Credo che in questa visita a Lesbo tutte le telecamere del mondo seguiranno il Papa. E l’obiettivo non dovrebbe essere soltanto quello di riprendere le persone che soffrono, ma di farci pensare un po’ a quale potrebbe essere una soluzione a lungo termine, valida per porre fine a questa situazione.


Un gesto concreto di solidarietà e di vicinanza verso tanti disperati in fuga da guerra e miseria. È questo, per il cardinale Antonio Maria Vegliò, il significato della visita che Papa Francesco compirà sabato 16 aprile nell’isola di Lesbo.


Quali sono le condizioni dei profughi sull’isola? 
A Lesbo, come spesso accade nei luoghi di sbarco, le condizioni per un’accoglienza adeguata sono insufficienti e gli arrivi sono continui, soprattutto da Siria, Iraq, Afghanistan e Somalia. Proprio sul dovere di offrire accoglienza e sul rispetto e la tutela della dignità di chi è costretto a partire, Francesco vuole attirare l’attenzione del mondo intero. La visita del Pontefice, assieme al patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymos II, è un gesto ecumenico cristiano concreto; un cuor solo e un’anima sola per affrontare il dramma della migrazione forzata e per ribadire insieme, nel nome di Cristo, l’importanza della responsabilità fraterna, guardando negli occhi le persone in fuga per le quali la sorte viene spesso decisa con accordi cinici e ignorando le vere ragioni alla base della loro tragedia. 
La visita del Papa arriva in un momento critico per l’Unione europea. 
È un momento in cui l’Europa , con il recente accordo con la Turchia, continua ad alzare barriere, a chiudere i confini e a ledere i diritti fondamentali di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Siamo di fronte a un accordo miope che non consente una gestione dei flussi migratori nel rispetto della persona. La politica migratoria dei Governi ha bisogno di lungimiranza e coesione attraverso azioni mirate per porre fine alle cause dei “viaggi della speranza” di milioni di persone che troppo spesso si trasformano in “viaggi della morte”.  È necessario dare vita a canali umanitari sicuri per permettere un controllo dei flussi migratori e per vigilare sul rispetto dei diritti fondamentali della persona; questo il Papa lo dice chiaramente con il suo viaggio apostolico e con la volontà di incontrare personalmente chi è sbarcato sulle coste di Lesbo carico di dolore e di fiducia.