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domenica 8 settembre 2013

La giornata di preghiera per la Siria e l'attacco a Maalula

"E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là - perché dappertutto ci sono guerre - è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune. ..." (Angelus di Papa Francesco - 8 settembre '13)




Il sette settembre, il Santo Padre ha voluto chiamare i Cristiani alla preghiera ed al digiuno per la Pace in Medio Oriente e nel mondo. Anche i guerriglieri “salafiti” hanno voluto partecipare, al modo loro, all'iniziativa ....


Dalle “colonne” di questo sito avevamo già parlato di Maalula, la bellissima cittadina siriana dove, unico luogo al mondo, si parla ancora l'aramaico antico, vale a dire la stessa lingua usata da Gesù durante il suo passaggio su questa terra. Maalula deve essere considerata dai Cristiani molto più di un simbolo; in realtà si tratta di una vera e propria memoria vivente della vita del Salvatore, un luogo, per certi versi, ancora più sacro della basilica di San Pietro a Roma. Tre giorni fa Maalula è stata attaccata da bande di querriglieri islamisti. Un camion bomba è stato fatto esplodere contro il posto di blocco dei militari che proteggevano la città neutralizzandolo, poi diverse centinaia di guerriglieri armati hanno preso posizione nei punti strategici iniziando a sparare, anche con armi pesanti, verso gli edifici del centro città. 
Secondo alcune testimonianze, giunte direttamente da Maalula e riportate dal sito “Ora pro Siria”, vi sarebbero state vittime tra la popolazione civile e danni alle storiche chiese della cittadina. Le informazioni che arrivano sono poche e confuse, ma sembrerebbe che ieri i guerriglieri siano stati costretti ad arretrare, probabilmente da una controffensiva delle truppe regolari, almeno secondo quanto comunicato dall'Osservatorio per i diritti umani in Siria di Londra, sulla cui attendibilità è peraltro lecito nutrire seri dubbi vista la sua vicinanza ad alcuni ambienti dell'opposizione armata siriana.


  Sono convinto che l'attacco a Maalula, centro privo di importanza strategica e dove sicuramente i guerriglieri islamisti/salafiti non potevano contare di trovare seguaci (Maalula è quasi integralmente cristiana), non sia stato sferrato per caso. Si tratta, a mio avviso, della risposta all'iniziativa del Santo Padre di indire una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Siria. La decisione di Papa Francesco ha una importanza spirituale e politica che a molti probabilmente è sfuggita.

Spirituale perchè vuole promuovere un vero e proprio appello corale a Dio a cui sono chiamati non solo i Cattolici, ma persino atei e musulmani. Il mondo intero, in ginocchio di fronte all'Altissimo.

Politica perchè denota aperto dissenso con la folle decisione americana e francese di attaccare il paese medio-orientale, infischiandosene del pericolo di provocare in questo modo una gigantesca conflagrazione regionale o addirittura mondiale.

Attaccando Maalula i guerriglieri salafiti (ispirati da chi?) hanno deciso di rispondere al Papa. Si tratta in primo luogo di un vero e proprio avvertimento di stile mafioso. La Chiesa di Roma se ne stia alla larga da quanto avviene in Siria oppure noi colpiremo le sue radici più profonde. Ma si tratta anche di una risposta spirituale. A fronte del massimo gesto di rispetto a Dio promosso dal Santo Padre si replica con il massimo gesto di disprezzo: attaccare l'unico luogo al mondo dove si parla ancora la lingua del Dio fatto Uomo. Così, secondo una mentalità contorta, è stato ristabilito l'equilibrio. Il Dio dei Cristiani non ha più ragione di aiutare l'Umanità evitandogli il flagello della guerra in quanto al gesto di omaggio e di preghiera promosso dal Papa si è contrapposto il gesto di disprezzo dell'attacco a Maalula.

Anche per questa ragione e in un momento in cui i tamburi di guerra rullano sempre più forte, i Cristiani devono rispondere positivamente all'appello del Santo Padre. Oggi, cari amici, è una giornata di preghiera, di riflessione e anche di penitenza. Ampia libertà di scelta sul come praticamente viverla, ma una raccomandazione: non snobbatela perchè la posta in gioco è alta. 
Un modesto consiglio: oltre che la Pace in Siria e nel mondo chiediamo a Dio la capacità e la forza di riprendere il mano il nostro destino perchè, a forza di lasciar fare ad altri, siamo arrivati ad un passo dalla catastrofe.


"Noi cristiani di Maloula cacciati dai ribelli: volevano convertirci"

I racconti terrorizzati degli abitanti dello storico villaggio: "Erano jihadisti ceceni, minacciavano di ucciderci tutti"

   leggi suhttp://www.ilgiornale.it/news/esteri/noi-cristiani-maloula-cacciati-dai-ribelli-volevano-948584.html

martedì 12 marzo 2013

Maaloula non si tocca!

Maaloula, dove si parla ancora la lingua di Gesù: il piccolo villaggio siriano di appena seimila abitanti è un patrimonio per tutta la Cristianità


I primi di marzo le notizie di agenzia hanno riferito di un attacco di bande armate contro un posto di blocco militare all'ingresso del villaggio di Maalula. Fortunatamente gli aggressori sono stati respinti e né le case né gli abitanti del villaggio hanno riportato danni. Una vera fortuna perchè se Maalula avesse subito la sorte che è stata riservata ad altri villaggi cristiani posti sulle montagne a cavallo tra Siria e Libano sarebbe stata una sciagura per l'intera Umanità, in quanto non sarebbe stato distrutto solo un paese, ma una testimonianza storica e religiosa di straordinaria importanza.

Le case di Maalula sono arroccate su una montagna chiamata Al Qalamoun ad un'altezza di circa 1500 metri a pochi chilometri dal confine libanese e sono abitate da una popolazione interamente e fieramente cristiana. Le abitazioni del villaggio hanno delicati colori pastello, ma alcune sono dipinte in azzurro, è il segno che chi vi abita è stato in pellegrinaggio a Gerusalemme.

Nel villaggio sorgono due antichissimi conventi fortificati (segno di quali prove debbano aver subito in passato gli abitanti di Maalula per poter difendere la propria Fede): il primo è il convento di Santa Tecla dove alcune suore greco-ortodosse si occupano dell'assistenza agli orfani e dove custodiscono una grotta reliquiario della santa, il secondo è quello di San Sergio, retto invece da monaci greco-cattolici (i Basiliani del Santissimo Salvatore) ed è un vero e proprio nido d'aquila posto sulla cima di un monte dove anticamente sorgeva un tempio pagano. I due conventi sono collegati tra di loro da una lunga e spettacolare fenditura nella roccia, chiamata Faij Takla, che la tradizione racconta sia stata aperta dal Signore per permettere la fuga dai suoi persecutori a Santa Tecla. Entrambi i conventi sono ricchissimi di icone antiche ed il Convento di san Sergio ha l'Altare principale con una strana forma semicircolare. La spiegazione sta nel fatto che i Cristiani che lo costruirono cercarono di utilizzare alcune strutture dell'antico tempio pagano ( i portali in legno, per esempio, hanno oltre duemila anni) e di conservare l'antica forma anche dell'altare solo eliminando il foro che serviva a far defluire il sangue degli animali sacrificati e levandone le immagini dai bordi.

Tutto intorno ai due conventi le apre rocce della montagna sono traforate da centinaia di grotte di ogni dimensione che per secoli sono servite da abitazione e rifugio ai monaci ed agli abitanti.




Nella notte tra il 13 e il 14 settembre di ogni anno le cime che attorniano Maalula sembrano prendere fuoco. E' l'effetto prodotto da centinaia di falò accesi per celebrare la festa dell'Esaltazione della Croce, considerata la festa del paese. Si tratta di una tradizione antichissima, la cui origine merita di essere ricordata: quando Sant'Elena (la madre dell'Imperatore Costantino) trovò a Gerusalemme una reliquia della Croce di Gesù fece pervenire la notizia a Costantinopoli attraverso una ininterrotta catena di fuochi accesi sulle cime dei monti, dalla Palestina fino al Bosforo. La catena passava anche dai monti del Qalamoun, posti ai piedi dell'Antilibano, e questo ha spinto, nel corso dei secoli, gli abitanti di Maalula a mantenere viva la tradizione ed il ricordo di quel fatto straordinario incoronando di luci i monti che la circondano in occasione della festa dell'Esaltazione della Croce.

Questo ammirevole attaccamento alle tradizioni è peraltro comune a molte altre comunità cristiane della regione mediorentale. Quello che fa di Maalula ( e dei vicini villaggi di Jabadin e Bakhah) un “unicum” è la lingua parlata dalla maggior parte dei suoi abitanti. Maalula infatti è l'unico posto al mondo dove, ancora oggi, è usato l'aramaico occidentale, vale a dire la stessa lingua parlata da Gesù. Nelle Chiese di Maalula quindi si può vivere l'emozionante esperienza di ascoltare il Padre Nostro recitato con le stesse parole con cui Nostro Signore lo ha insegnato agli Apostoli.

Dobbiamo pregare e sperare perchè la guerra che oggi sta sconvolgendo la Siria non tocchi Maalula. La fierezza dei suoi abitanti è leggendaria e possiamo essere certi che preferirebbero farsi uccidere piuttosto che lasciare le loro case e soprattutto le loro Chiese nelle mani di chi, spinto da ideologie fanatiche ed estremiste, sta dimostrando di non aver alcuno scrupolo a distruggere le stesse radici storiche e religiose della Siria. I Cristiani di tutto il mondo dovrebbero, una volta tanto, far sentire la loro voce in modo chiaro e deciso pronunciando una parola d'ordine: “Maalula non si tocca!”

Mario Villani


martedì 15 gennaio 2013

PROFUGHI PERCHE'


Si susseguono in questi giorni le struggenti notizie relative alle miserevoli condizioni dei rifugiati siriani nei campi profughi in Giordania, in Turchia e in Libano. Ci provoca ad una riflessione il titolo dato da "Il Sussidiario.net" ad una bella testimonianza del volontario della ONG Italiana AVSI che opera in un campo profughi siriano in Libano: "I bimbi che fuggono da Assad vanno a scuola nel Sud del Libano" ...

 


PROFUGHI
Durante la guerra nella ex Jugoslavia mi sono recato diverse volte nelle regioni orientali della Croazia per portare a destinazione aiuti umanitari (medicinali, viveri, generatori elettrici...) che consegnavamo ai parroci di alcuni villaggi posti lungo il fiume Sava, fiume che segna il confine con la Bosnia Erzegovina. Uno dei ricordi più vivi di quei giorni è quello dell'arrivo dei profughi dalla Bosnia che attraversavano il fiume su grossi barconi e sbarcavano in terra croata per fuggire dagli orrori della guerra che, in quei giorni drammatici, infuriava in molte città bosniache.
Due particolari mi avevano allora colpito più di tutto. Il primo: il silenzio. Malgrado sui campi a fianco della sponda del fiume si ammassassero centinaia e talvolta migliaia di persone non si sentivano né grida né rumori. Per ore l'unico suono percepibile era lo sciabordio dell'acqua che sbatteva contro il legno dei grossi barconi. Il secondo: lo sguardo dei vecchi. Non vi era odio, come nei giovani, né disperazione come in molte donne, direi che vi era solo stupore. Si intuiva una domanda che però nessuno poneva: “perchè? Perchè mi avete costretto a lasciare la mia casa, i miei campi, le mie abitudini, i ricordi di sessanta, settanta anni di vita? Non sapete che troncando così le mie radici mi avete condannato ad una sorte peggiore della morte?”.
A me, legatissimo come sono ai luoghi dove sono nato, alla mia casa, ai miei animali ed al mio orticello, quegli sguardi, quelle interrogazioni mute, ma di una eloquenza impressionante, provocavano un'angoscia che ancora adesso non è svanita. Questa è la ragione per cui mi sento particolarmente coinvolto, anche emotivamente, ogni volta che sento parlare di profughi. Perchè so quale spaventosa tragedia umana si nasconde dietro questa parola che noi pronunciamo con troppa facilità. Per questo mi sento particolarmente indignato quando vedo qualcuno letteralmente sfruttare a scopi politici e propagandistici la tragedia di chi è stato costretto a  fuggire dalle proprie case per cercare rifugio in un'altra città o, peggio, in un Paese straniero.
Purtroppo è quello che invece sta succedendo in Siria.
Centinaia di migliaia di persone sono fuggite dai loro villaggi e sono ospitate in approssimativi centri di accoglienza all'interno del Paese o nella nazioni confinanti, in particolare Turchia e Giordania. Le ragioni per cui sono fuggite sono le più diverse: molti sono famigliari dei rivoltosi che temono le vendette delle forze di sicurezza, altri sono Cristiani e Alauiti cacciati dalle loro case dalle bande di integralisti e di salafiti, altri ancora semplicemente fuggono le violenze della guerra. Per i mass media occidentali però tutti sono utilizzati esclusivamente come argomento di polemica contro il Presidente Assad, come se fosse stato lui a volere la guerra che sta distruggendo la Siria e che forse alla fine segnerà anche la sua sorte. Questo è il solo aspetto che viene colto da molti organi di informazione, compresi, ma non è una sorpresa, quelli cosiddetti cattolici. Invece di preoccuparsi a come lenire (e soprattutto abbreviare) le sofferenze dei profughi sono invece impegnatissimi a studiare come utilizzarli nella guerra di propaganda scatenata a sostegno di una delle parti in guerra.
Mi ricordo un episodio della guerra in Kossovo. Allora i cattivi per definizione erano i Serbi ed i buoni gli Albanesi, in difesa dei quali gli aerei Nato stavano sganciando tonnellate di bombe su tutto il territorio della Repubblica di Serbia. Un giornalista (mi pare, ma non ci giurerei, di RAI 1) chiese ad alcuni profughi cosa stavano facendo di così tremendo i Serbi per provocare la fuga di tante persone. “Ma quali Serbi” fu la risposta “ noi stiamo scappando perchè gli aerei della Nato bombardano le nostre case”.
Bisognerebbe imparare, davanti a tragedie come quelle dei profughi, a mettere da parte polemiche e propaganda, ed a pensare ad una sola cosa: aiutarli.
Mario Villani



GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO
 Angelus del Santo Padre:
 "Cari fratelli e sorelle! Celebriamo oggi la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Nel Messaggio di quest’anno ho paragonato le migrazioni ad un «pellegrinaggio di fede e di speranza». Chi lascia la propria terra lo fa perché spera in un futuro migliore, ma lo fa anche perché si fida di Dio che guida i passi dell’uomo, come Abramo. E così i migranti sono portatori di fede e di speranza..."

 



Migliaia di bambini profughi siriani costretti a vivere al freddo in accampamenti precari


4/1/2013 Agenzia Fides

A Dalhamieh, un piccolo villaggio della Valle della Bekaa, circa 30 chilometri ad est di Beirut, i rifugiati siriani sono sparsi in un accampamento informale dove le tende si moltiplicano di giorno in giorno. Fino a qualche giorno c’erano 698 persone, tra queste 86 bambini con meno di 2 anni, giunti dalla Siria senza niente e che ora si trovano a dover far fronte alle rigide temperature invernali. Le tende sono fatte di cartone, plastica e sassi e non sono sufficienti per il clima rigido della zona. Quando piove l’acqua filtra all’interno, i piccoli per proteggere le gambe dal fango quando camminano mettono ai piedi buste di plastica. Secondo le ultime statistiche dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, i profughi registrati o in attesa di registrazione in Libano sono oltre 160 mila. Tuttavia, il numero reale è notevolmente superiore visto che molti per timore preferiscono non registrarsi. Nelle regioni libanesi del Nord e Bekaa si calcolano circa 35 mila bambini siriani con meno di 14 anni che vivono in condizioni meterologiche estreme. La priorità è mantenere i piccoli al caldo, al sicuro e sani. La scorsa settimana circa 270 rifugiati sono stati ricoverati in ospedale. C’è anche il pericolo di epidemie di epatite e colera. Le latrine sono inondate e non ci sono i mezzi per mantenere strutture igieniche adeguate. Nel piccolo villaggio di Adous stanno aumentando i ricoveri negli ospedali. ...

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40684&lan=ita









I Vescovi maroniti: l'afflusso dei profughi dalla Siria rischia di destabilizzare il Libano 

Agenzia Fides 10/1/2013

Beirut . L'ospitalità verso i profughi che fuggono dalla Siria dilaniata dalla guerra è un atto meritorio che va incentivato. Ma con l'aumento inarrestabile del numero dei rifugiati crescono anche le insidie alla stabilità politica e all'ordine sociale “che il Libano non è in grado di sostenere”. Così ieri, nella consueta riunione mensile convocata preso la sede patriarcale a Bkerké, il Sinodo dei Vescovi maroniti ha preso atto dell'inquietudine che attraversa il Paese, i cui fragili equilibri sono messi a dura prova dalla crisi economica e dagli effetti della guerra civile nella vicina Siria. I Vescovi maroniti hanno anche auspicato che le forze politiche trovino un accordo proficuo e ampiamente condiviso per varare una nuova legge elettorale, denunciando nel contempo il rischio di paralisi e di collasso a cui porterebbe inevitabilmente il perdurante accaparramento in chiave privata o settaria delle istituzioni nazionali.
Nel comunicato finale, pervenuto all'Agenzia Fides, l'Episcopato maronita affronta con avveduto discernimento pastorale i nodi politici e istituzionali della crisi libanese, richiamando tutti a servire la pace in quella parte del mondo - il Medio Oriente - “che Dio ha scelto per rivelare il mistero della salvezza e della redenzione”. I Vescovi della più rilevante comunità cristiana libanese esaltano le iniziative caritatevoli messe in campo a favore dei profughi provenienti dalla Siria. Ma esprimono anche inquietudine “per l'aumento quotidiano del numero dei rifugiati, e tra loro per la presenza dei palestinesi. I soccorsi umanitari, che esigono la convergenza di tutti gli sforzi – osserva il sinodo maronita - esigono anche, accanto all'empatia, che l'autorità libanese prenda le misure necessarie affinché l'ospitalità offerta ai profughi tenga conto delle minacce politiche, sociali e connesse con la sicurezza che il Libano non è in grado di sostenere”.

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40735&lan=ita


L'Arcivescovo Maroun Lahham: apriamo le nostre chiese ai profughi siriani del campo di Zaatari


Amman (Agenzia Fides) 12/1/2013

 Davanti alla catastrofe umanitaria che incombe sul campo profughi di Zaatari – dove le tempeste di neve e la pioggia gelida negli ultimi giorni hanno spazzato via centinaia di tende – l'Arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, apre le porte delle chiese e dei complessi parrocchiali per accogliere i rifugiati siriani. “Tutte le nostre chiese e le sale parrocchiali, a partire dai locali del centro Notre Dame de la Paix di Amman – dichiara all'Agenzia Fides – sono pronte a accogliere i nostri fratelli siriani cristiani e musulmani, finora tenuti nel campo di Zaatari. Ci prenderemo cura di tutti quelli che riusciremo a ospitare”.
Proprio ieri, alcuni rappresentanti della comunità assira legati all'Assyrian Human Rights Network avevano chiesto di aprire le porte delle chiese presenti in Giordania per accogliere i profughi di Zaatari, dove le piogge torrenziali e il gelo di questi giorni – riferisce l'appello – avrebbero già causato alcune vittime tra i bambini, gli anziani e le donne. L'appello era stato sottoscritto anche da esponenti dell'opposizione siriana, come l'attivista curdo Abdul Basit Sida e il businessman siriano Adib Shishakly, residente in Arabia saudita.
Nei giorni scorsi, il direttore di Caritas Giordania Wael Suleiman, contattato dall'Agenzia Fides, aveva auspicato la chiusura del campo profughi di Zaatari, dove le tormente hanno reso insostenibili le già precarie condizioni di vita, provocando rivolte tra i 60mila profughi che vi si trovano ammassati. I profughi siriani che hanno trovato rifugio in Giordania sono già oltre 280mila. L'Arabia Saudita ha annunciato ieri di aver stanziato 10 milioni di dollari in loro favore, per finanziare iniziative d'emergenza davanti alle ulteriori difficoltà provocate dal maltempo.
I profughi siriani registrati dall'Onu nei Paesi del Medio Oriente sono più di 600mila. Secondo le proiezioni fornite dall'Onu, se il conflitto continuerà, da qui a giugno diventeranno oltre un milione.  

http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40752&lan=ita


mercoledì 12 dicembre 2012

SE CADE ASSAD: gli scenari futuri per le comunità cristiane

Non vi abbandoneremo!

Il futuro delle antichissime comunità cristiane che abitano in Siria e Libano potrebbe essere tragico. Non possiamo fare finta di niente.


 

Mario Villani cerca di rispondere ad una domanda: cosa succederà alle comunità cristiane in Siria e Libano se, come prima o poi è possibile succeda, il regime baathista al potere a Damasco dovesse cadere? E lancia un' iniziativa.

 
Forse può aiutarci ad abbozzare una risposta il conoscere cosa sta accadendo nei tre quartieri di Aleppo dove le decine di diversi gruppi ribelli che vi operano sono riusciti a consolidare il loro controllo fino al punto da costituire una parvenza di autorità pubblica. La prima decisione che hanno preso è stata la creazione di una polizia “per la promozione del bene e la repressione degli atti empi” con il compito di controllare che i pii cittadini non omettano le preghiere quotidiane. Successivamente hanno emesso un editto con il quale hanno proibito alle donne di condurre autovetture. Anche il controllo dell'osservanza di questa norma è stata demandata alla suddetta polizia, autorizzata ad usare la forza fino a quando il gentil sesso non rinuncerà a tale empia abitudine. La parte più significativa dell'editto – riportato in versione originale araba sull'informatissimo sito Reseau Voltaire - è però quella di apertura, nella quale si elencano i teologi islamici a cui i ribelli si ispirano. Vale la pena di conoscerli: Abd al Aziz ibn Baaz (1910 – 1999) già Gran Muftì dell'Arabia Saudita divenuto celebre per aver proibito la guida alle donne (ecco da dove viene l'idea) e per aver sostenuto che è il sole a girare attorno alla terra e non il contrario. Su questo punto però cambiò idea quando il principe Bandar Bin Sultan acquistò un biglietto per un viaggio spaziale. Abdul Azeez ibn Abdullaah Aal Shaik è l'attuale Gran Muftì dell'Arabia Saudita dove ha ordinato la distruzione di tutte le vestigia di antichi luoghi di culto non islamici. Muhammad ibn Uthaymeen (1925 – 2001) che fu uno dei principali ispiratori delle correnti di pensiero salafite. Abdullah ibn Jibreen (1933 – 2009), un teologo saudita che considerava gli sciiti come eretici da espellere da tutte le terre dell'Islam. Saleh al Fawzan e Bakr abu Zayd, rispettivamente Presidente e Procuratore della Corte Suprema di Giustizia dell'Arabia Saudita. Con simili maestri come meravigliarsi della caccia ai non sunniti o della proibizione alle donne di guidare?

 
Qualcosa del genere era avvenuto alcune settimane prima anche nella città di Idlib, dove però il controllo dei gruppi armati non è ancora sufficientemente solido da poter permettere la costituzione di strutture pubbliche come una polizia religiosa del tipo di quella di Aleppo.

 
Qualcuno potrebbe obiettare che i vari Consigli di Transizione costituiti all'estero non vedono al loro vertice personaggi palesemente legati al mondo islamista, anzi, in alcuni casi ne fanno parte persino degli appartenenti a minoranze non islamiche. Non mi stancherò di ripetere che nessuno ha mai dimostrato la benchè minima capacità di controllo da parte di queste organizzazioni sui gruppi armati che operano attualmente in Siria. Chi ha le armi e paga quotidianamente un pesante tributo di sangue alla sua lotta non va poi a consegnare l'eventuale frutto di una vittoria nelle mani di chi ha seguito gli avvenimenti standosene comodamente al sicuro all'estero. Le sole realtà che possono influire sui gruppi armati sono rappresentate da quegli stati che li riforniscono di mercenari, armi, attrezzature e denaro, vale a dire Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Attendersi un'azione moderatrice da parte di questi ultimi (in particolare Arabia Saudita e Qatar) è assolutamente illusorio.

 
E' doveroso peraltro riconoscere che non tutti i gruppi armati che operano in Siria sono riconducibili a posizioni salafite o islamiste. Vi sono, è vero, anche altri gruppi, alcuni costituiti da banditi che vogliono approfittare della situazione di caos per fare facile bottino, altri nati per iniziativa di comitati locali (come a Qara) sicuramente ostili al Presidente Assad, ma preoccupati più che altro di colmare il vuoto di potere che si è venuto a creare con il ritiro delle forze dell'ordine dalle aree più periferiche del paese. Questi gruppi però, male organizzati e privi di reali appoggi esterni, ben poco potrebbero fare per contrastare l'attività delle organizzazioni islamiste e salafite nel caso di crollo del potere centrale.

 
Cosa potrebbe succedere, quindi, se realtà come quelle che operano ad Aleppo e Idlib dovessero prendere il potere in tutta la Siria?

 
Sicuramente non finirebbe la guerra. In primo luogo perchè nascerebbero contrasti tra le varie anime della ribellione, in secondo luogo perchè già oggi molte comunità si sono armate ed hanno costituito delle milizie per difendere i loro quartieri ed i loro villaggi. E' il caso, solo per fare un esempio, dei Curdi che già da settimane combattono contro i salafiti lungo il confine turco o degli Armeni che difendono in armi il loro quartiere di Aleppo. La guerra non sarebbe più tra un potere centrale autoritario e delle bande di ribelli, ma tra milizie che controllerebbero ciascuna una piccola porzione del Paese, mentre il potere centrale -dominato dagli islamisti- sarebbe in grosse difficoltà ad estendere la propria autorità persino in Damasco e dovrebbe pertanto ricorrere a metodi che farebbero ben presto rimpiangere gli anni più bui di Hafez Assad (l'autoritario padre dell'attuale Presidente). In un simile quadro le millenarie comunità cristiane giocherebbero la parte del classico vaso di coccio tra vasi di ferro. Infatti, mentre le altre comunità potrebbero contare su appoggi esterni (gli sciiti e gli alauiti l'Iran, i sunniti la Turchia e l'Arabia Saudita, i Curdi le altre comunità curde dei paesi confinanti) i Cristiani sarebbero completamente soli. In particolare sarebbero soli i Cattolici, perchè gli Ortodossi potrebbero forse contare su un sostegno, almeno diplomatico, da parte della Russia. Inutile sperare nel Vaticano, ridotto ad un ruolo diplomatico marginale dalla conventio ad escludendum messo in atto da tutte le potenze occidentali e dall'oggettiva incapacità dell'attuale Segretario di Stato di contrastarla. Anzi, su questo versante ci sarebbe persino il rischio di sentire qualche voce (magari di un gesuita) proclamare che in fondo i Cristiani di Siria se la sono andata a cercare perchè potevano andarsene fin che erano in tempo.

 
L'incendio che potrebbe infiammare la Siria non risparmierebbe il Libano. Il fragile equilibrio tra le comunità religiose che compongono quello che è stato definito il “mosaico libanese” non potrebbe reggere ad una guerra confessionale ai propri confini. Gli scontri tra Alauiti e Sunniti in corso da mesi nei quartieri di Tripoli e quelli tra Sciiti e Sunniti avvenuti in novembre a Sidone sono solo un tragico preludio. Inevitabilmente lo sprofondare della Siria nella guerra civile a sfondo confessionale trascinerebbe anche il Libano nell'abisso di una guerra tra milizie sciite (Hezbollah e Amal) contro milizie sunnite imbaldanzite dai successi ottenuti nel Paese vicino. Anche in questo caso i Cristiani sarebbero la parte più debole: divisi, privi di reali appoggi esterni e senza una organizzazione armata, sarebbero inevitabilmente costretti a rimettersi alla non scontata benevolenza del vincitore.

 
Non è un caso che persone del calibro di padre Gheddo e padre Samir Kalil abbiano in questi giorni lanciato un disperato allarme sul futuro delle antichissime comunità cristiane del Medio Oriente. Entrambi hanno richiamato quanto già avvenuto in Iraq. Dopo la caduta di Saddam Hussein, la già fiorente comunità cristiana è stata costretta ad un doloroso esodo ed è oggi ridotta al lumicino. Non è possibile escludere che questa possa essere la sorte anche delle gloriose Chiese di Siria e Libano.

 
Queste sono le ragioni che ci impongono una attenzione particolare per i fratelli che vivono in quelle tormentate regioni. Vi è la necessità di creare un osservatorio permanente o comunque una organizzazione che si occupi di comprendere le realtà cristiane mediorientali e farle conoscere alle nostre torpide opinioni pubbliche, in particolare, ammesso che esista ancora, a quella cattolica. E' un atto di giustizia, ma è anche nel nostro interesse. Chissà mai che conoscendo le tragiche vicende di Cristiani seri anche la nostra Fede non ne venga rinvigorita.
 
Mario Villani

  
Comunicato: tutti gli amici che sono interessati a collaborare alla nascita di una organizzazione permanente che si occupi di sostenere le ragioni delle comunità cristiane di Siria e Libano sono pregati di segnalare il proprio nominativo con una e-mail all'indirizzo del sito: info@appunti.ru
 
 
 

martedì 20 novembre 2012

Le comunità cristiane in Siria e Libano sono una ricchezza troppo preziosa perchè il mondo possa farne a meno

Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le violenze contro Chiese, Sacerdoti e Fedeli

di Mario Villani e tutti i collaboratori di "Appunti" e del Circolo Beato Carlo d'Asburgo

Notizie sempre più drammatiche –e sistematicamente censurate dai media- giungono ormai quotidianamente dalle città siriane sconvolte dal conflitto armato. Come hanno sfrontatamente dichiarato alcuni salafiti ad un gruppo di greci-cattolici (melchiti) ora è arrivato il turno dei Cristiani. Non che le violenze nei loro confronti siano mancate nei mesi precedenti, ma oggi non è più esagerato dire che i nostri fratelli della Siria stanno fronteggiando una vera e propria persecuzione dovuta alla loro fede.

Vediamo brevemente i fatti dell'ultimo mese, o meglio i fatti di cui ci è giunta, in qualche maniera, notizia.

Il 21 ottobre due autobombe. Una nel quartiere cristiano di Bab Touma a Damasco, l'altra nel quartiere cristiano di Shaar ad Aleppo. Decine di vittime.

Il 22 ottobre vengono rapiti i passeggeri cristiani che viaggiano su tre minibus da Yacoybieh verso Aleppo, ancora oggi non se ne sa nulla.

Il 25 ottobre è rapito, orrendamente torturato, mutilato e ucciso Padre Fadi Haddad, sacerdote ortodosso che stava recandosi ad un appuntamento con i rapitori di un giovane della sua parrocchia per trattarne la liberazione. Ai suoi funerali una bomba uccide due civili ed alcuni militari.

Il 27 ottobre viene lanciata una bomba contro la chiesa siro-ortodossa di Deir Ezzor. Cinque vittime. Lo stesso giorno un'autobomba esplode nel quartiere cristiano di Jarama a Damasco, facendo una tremenda strage. Si parla di 47 morti.

Il 30 ottobre viene incendiata e distrutta ad Aleppo la chiesa Armena di Sant Kravory. Nel medesimo giorno vengono rapito 10 cristiani vicino ad Aleppo. Ad oggi sarebbero circa 1700 i sequestrati prevalentemente Cristiani) nelle mani di bande di terroristi. Quelli che vengono liberati dall'esercito raccontano di sevizie ed esecuzioni sommarie. Qualcuno viene rilasciato dietro pagamento di un riscatto da parte delle famiglie o delle parrocchie, ma chi non può pagare non ritorna vivo.


 
Il 31 ottobre viene assassinato a Homs Elia Mansour di 84 anni. Era l'ultimo cristiano che viveva nel centro storico della città. Non aveva voluto abbandonare la sua casa perchè doveva assistere un figlio gravemente handicappato. Una sua intervista televisiva aveva commosso la Siria, ma gli è costata la vita. Il figlio è scomparso.


Il 9 novembre circa 1500 salafiti invadono i villaggi cristiani di Ras Ain e Ghassanieh, vicono al confine con la Turchia. La chiesa siro-ortodossa viene distrutta, mentre gli abitanti sono costretti a fuggire verso zone più sicure (come già era successo a Qusayr ed in molti altri piccoli centri da dove i Cristiani hanno dovuto andarsene, cacciati dalle loro case manu militari).

Il 10 novembre viene distrutta con l'esplosivo l'antica chiesa evangelica araba di Aleppo. Lo stesso giorno colpi di mortaio cadono sul quartiere cristiano di Kassaa a Damasco. Il pronto intervento dell'esercito impedisce che il bombardamento si prolunghi e si registrano solo danni materiali.

Il 13 novembre un'autobomba esplode davanti alla chiesa ortodossa di Raqqah che subisce gravissimi danni.



L'autobomba esplosa di fronte alla chiesa greco-cattolica  a Raqqa ha gravemente ferito l'Archimandrita Padre Naaman Rawik





Chi attacca i Cristiani? Talvolta, come purtroppo succede a molti civili senza distinzione di confessione, finiscono presi in mezzo tra il fuoco incrociato dell'esercito e dei cosiddetti “ribelli”.

Più spesso però ad agire sono le bande di islamisti salafiti, in buona parte composte da non siriani, che sognano una Siria esclusivamente sunnita e che seminano il terrore al grido di “Cristiani a Beirut (cioè via dalla Siria), Alauiti nella tomba”. Queste bande sono una componente essenziale della rivolta, ma i media occidentali fanno finta di non accorgersene e vorrebbero far credere che il nuovo organismo unitario dell'opposizione creato a Doha sarà in grado di tenerle sotto controllo. Una pia illusione. Sul terreno conta chi ha le armi ed è deciso ad usarle. Degli oltre duemila gruppi e gruppuscoli che combattono il governo di Damasco, oltre la metà sono composti da salafiti, armati e finanziati da Qatar e Arabia Saudita. Sono loro che stanno sostenendo gli scontri più sanguinosi con l'esercito siriano. Pensare che un domani possano rientrare buoni buoni nei ranghi e mettersi agli ordini di quei quattro tromboni che compongono l'opposizione siriana all'estero vuole dire essere in malafede o completamente disinformati.



Qualcuno, purtroppo anche in ambiente cattolico, si è permesso di sostenere che i Cristiani in Siria sono attaccati perchè sostengono Assad. Verrebbe da rispondere che la verità è esattamente l'opposto: sostengono Assad perchè sono attaccati, perchè devono scegliere tra chi, in qualche modo, garantisce una pacifica convivenza tra le varie confessioni e chi progetta una drammatica pulizia etnica su base religiosa. In realtà però i Cristiani in Siria non sostengono un uomo o un regime ma, come ha ben precisato il Patriarca Maronita Bechara Rai (prossimo Cardinale di Santa Romana Chiesa), semplicemente sostengono lo Stato. Metterle sotto accusa per questo significa farsi complici dei loro persecutori.

Le comunità cristiane in Medio Oriente e segnatamente in Siria e Libano sono una ricchezza troppo preziosa perchè il mondo possa farne a meno. Sono comunità portatrici di un messaggio che hanno ascoltato per la prima volta, duemila anni fa, proprio direttamente da Cristo. Un messaggio di Amore, di Pace, di Giustizia, diffuso in una regione che sembra sempre più aver dimenticato il significato di tutte e tre queste parole.

Come Cristiani di questa Europa sempre meno cristiana abbiamo dei doveri morali nei confronti dei fratelli in Siria. Abbiamo l'imperativo di raccogliere il loro grido: “non abbandonateci”. Quindi di adoperarci per loro. Facile dire: cosa possiamo fare noi che non contiamo nulla, mica abbiamo le leve del potere. Verissimo, però possiamo pregare, possiamo testimoniare la verità, possiamo costruire legami con le comunità di religiosi e laici in Siria (sto pensando alle splendide suorine (italianissime) del convento di Azer. Solo il fatto di sapere di non essere stati dimenticati può costituire un sostegno morale poderoso. Infine potremmo inviare anche un aiuto economico che possa servire ad assistere chi non ha più una casa o a riscattare, salvandogli la vita, un rapito.

Per chi volesse ecco alcuni recapiti.

Per far pervenire un aiuto alle suore trappiste (sarà interamente utilizzato per assistere bisognosi, non solo Cristiani) di Azeir: c.c. postale 12421541 o bancario IBAN IT08Q0335901600100000002047

Per donazioni ai Padri Maristi di Aleppo: contattare mail fmsi@fmsi-onus.org

Infine per sostenere SOS Cristiani in Siria: andare al sito http://soscristianiinsiria.wordpress.com









sabato 8 settembre 2012

Grande attesa della visita del Papa in Libano. UNA SCHEDA PER COMPRENDERE LA SITUAZIONE DI QUESTO FRAGILE PAESE

di Mario Villani
Il Libano è un Paese letteralmente “schiacciato” tra Siria, Israele e Mar Mediterraneo. Ha una caratteristica che lo rende unico, ma anche particolarmente fragile.

Nei poco più di diecimila chilometri quadrati che compongono il suo territorio convivono in un equilibro, maturato nei secoli eppure ancora non di rado precario, ben diciassette diverse comunità religiose. Musulmani sciiti e sunniti, drusi, cattolici di rito orientale (principalmente maroniti) e latino, cristiani ortodossi di varie liturgie, armeni, ebrei e piccole realtà protestanti. A differenza degli altri paesi arabi i cristiani non sono una piccola minoranza, ma rappresentano circa il 50% della popolazione (e oltre se si considera la diaspora libanese all'estero). Le due città principali sono Beirut, la capitale, e Tripoli del Libano che fu un importante porto nel nord del Paese, ma che oggi vive un periodo di seria decadenza.

Il Libano è stato travagliato dal 1975 al 1990 da una guerra che ha fatto quasi duecentomila morti (su meno di quattro milioni di abitanti), ha messo le comunità religiose l'una contro l'altra, ha diviso i Maroniti in due fronti che hanno finito, nel 1990, addirittura per combattersi tra di loro ed ha provocato una duplice invasione straniera: quella israeliana e quella siriana. Da alcuni anni, e malgrado gravissimi ed irrisolti problemi, il “Paese dei Cedri” ha cercato di ritrovare una sua normalità, sanando le ferite della guerra e ritrovando, dopo il duplice ritiro degli eserciti di Israele e Siria, un certo grado di reale indipendenza. Attualmente nel Paese si fronteggiano due schieramenti politici: l'alleanza definita del “14 marzo” composta dai sunniti di Hariri (un miliardario legato all'Arabia saudita, di cui ha persino la cittadinanza) e dai Cristiani delle Forze Libanesi e di altri piccoli partiti. Contro, ed attualmente al governo, vi è l'alleanza del “23 marzo” composta invece dagli sciiti di Hezbollah, dai Cristiani che fanno capo al Movimento Patriottico Libero del generale Michel Aoun, dagli Armeni e da altre formazioni minori tra le quali il Partito Nazionale Socialista pro-siriano. In mezzo tra i due schieramenti ondeggiano i Drusi di Walid Joumblatt.

Nel nord del Paese la comunità religiosa prevalente è quella sunnita, con una presenza cristiana che si è notevolmente ridotta nel corso della guerra 1975-1990. Solo per fare un esempio, a Tripoli del Libano prima del 1975 le comunità cristiane erano complessivamente circa il 30% della popolazione, mentre oggi non arrivano neppure al 5%. Rimane invece, sempre al nord, una consistente presenza cristiana -quasi integralmente maronita- nella regione dell'Akkar e nelle valli più impervie del Monte Libano.

Tripoli è oggi considerata in assoluto la città più povera del Libano, con percentuali di disoccupati superiori al 50% della forza lavoro e la stragrande maggioranza della popolazione che vive con un reddito di meno di seicento dollari all'anno. Questa drammatica situazione sociale, unitamente alla massiccia presenza sunnita, rendono questa città del nord Libano il terreno ideale per la diffusione di quell'ideologia islamista conosciuta come salafismo (che letteralmente significa i pii antetati) che trova appoggio e comprensione nei regimi della penisola arabica ed in particolare nell'Arabia Saudita wahabita. Ricordiamo che i salafiti sono la componente principale e più sanguinaria del movimento di rivolta in corso in Siria ed è quindi facilmente comprensibile la ragione per cui la tensione nel nord Libano stia rapidamente crescendo.

Le avvisaglie si erano, per la verità, percepite ben prima che si aprisse la crisi siriana.

sabato 28 luglio 2012

La battaglia di Damasco

La capitale siriana è stata il teatro di scontri violenti, parte di un piano che avrebbe dovuto portare alla caduta del governo Assad

di Mario Villani

Ore drammatiche quelle vissute a Damasco e in altre città siriane nelle ultime due settimane. Qualcuno (l'opposizione armata?, l'Arabia saudita?, la Turchia ed i paesi occidentali?) ha ritenuto che il regime baathista al potere da oltre cinquant'anni fosse ormai sufficentemente indebolito, molti reparti dell'esercito pronti alla defezione e lo stesso Presidente Bashar Assad sul procinto di cercarsi un esilio dorato in un paese estero ospitale. Questo “qualcuno” ha quindi ha dato il via libera ad una operazione che avrebbe dovuto far precipitare gli avvenimenti e che è stata denominata: “Vulcano a Damasco e terremoto sulla Siria”.
L'operazione si è articolata in tre momenti principali.
In primo luogo gli organizzatori si sono assicurati l'appoggio mediatico. Non solo tutti i media occidentali e delle petro-monarchie hanno cominciato a ripetere il mantra secondo cui Assad aveva i giorni contati ed il regime stava per crollare, ma si è anche cercato di impedire che si levassero voci contrarie. Sono stati infatti bloccati i server dell'agenzia ufficiale SANA e spento il segnale satellitare della televisione di Damasco. Sono addirittura stati lanciati falsi programmi sulle frequenze utilizzate da quest'ultima. E' un aspetto della guerra in Siria che diventerà sempre più importante nel futuro. Qualcosa del genere è già avvenuto durante la guerra in Libia ed ha contribuito non poco a demoralizzare i simpatizzanti di Gheddafi. Una psico-guerra che sarà una componente essenziale di tutti i conflitti del futuro anche al di fuori dello scenario mediorientale.
Sul terreno poi l'operazione è stata preparata con cura. Appoggiandosi a simpatizzanti locali e facendo filtrare in Damasco centinaia di combattenti i capi dell'ELS (la principale formazione armata anti-regime)) hanno creato una fitta rete di rifugi e basi nei principali quartieri della capitale sirana. Damasco, lo dico per coloro che non l'hanno mai vista, ha un'estensione enorme in quanto le abitazioni sono prevalentemente a due o massimo tre piani e vi sono pochissimi grossi edifici. Non è quindi impossibile sfuggire al controllo delle Forze dell'Ordine e creare numerose piccole aree di fatto controllate da gruppi armati. L'operazione ha sicuramente richiesto alcuni mesi e forse per questo la città aveva goduto, nelle settimane precedenti, di una relativa calma. Il 18 luglio colonne di guerriglieri – molti dei quali non siriani – hanno attraversato i confini provenienti da Libano, Giordania e Iraq e si sono diretti verso Damasco dove le formazioni già presenti avevano in quelle ore scatenato una violenta offensiva che coinvolgeva praticamente tutti i quartieri della città con attacchi a posti di polizia, edifici governativi e caserme. Nelle stesse ore i movimenti di opposizione armata lanciavano un appello alla popolazione perchè scendesse in strada ovunque ad appoggiare l'insurrezione, circondando le caserme e impedendo i movimenti delle truppe con sit in e blocchi stradali.
Durante le ore convulse dei combattimenti strada per strada nella capitale siriana avveniva poi l'episodio che, secondo le previsioni di qualcuno, avrebbe dovuto avviare il definitivo disfacimento del regime di Assad. Una bomba è stata fatta esplodere nella sede nel Quartier Generale delle Forze di Sicurezza uccidendo il Ministro della Difesa il cristiano Generale Dawjiah ed il suo vice Affez Shawkat cognato dello stesso Presidente Assad. Nell'attentato trovavano la morte anche altri esponenti del regime e secondo alcune voci, poi smentite, veniva ferito lo stesso Assad. La perfezione tecnica dell'operazione ha subito indotto molti osservatori - soprattutto russi - a ritenere che l'attentato non fosse stato opera dei rivoltosi, da sempre piuttosto approssimativi dal punto di vista tecnico, ma di servizi segreti stranieri, probabilmente sauditi e qatarioti, forse con l'appoggio della CIA.

mercoledì 16 maggio 2012

Una risposta a Padre Samir Khalil

Sul numero di domenica del quotidiano cattolico Avvenire è apparso un articolo sulla cosiddetta “primavera araba” a firma del celebre studioso Padre Samir Khalil S.J.
Mario Villani risponde all'intervento, per quanto riguarda la Siria.

Egregio Direttore,
mi permetto di scrivere al Suo giornale dopo aver letto l'articolo sulle Primavere arabe a firma del Padre Samir Khalil. Non ho sufficienti elementi per valutare quanto affermato dal noto studioso a proposito di paesi come l'Egitto o la Tunisia, ma quanto ho letto sulla situazione siriana mi ha lasciato a dir poco sconcertato. Padre Samir pare accettare in maniera del tutto acritica lo stereotipo offerto dai media occidentali (nonché dalla qatariota Al Jazeera): un popolo intero che reclama il suo diritto alla libertà viene represso con inaudita violenza (fucilazioni e torture) da un regime che non vuole cedere perchè questo significherebbe la fine del clan oggi al potere. E' un'immagine sicuramente fedele al politically correct, ma molto, molto meno alla realtà dei fatti. Intendiamoci bene, il regime siriano è sicuramente autoritario e non particolarmente attento ai diritti umani (dettaglio che non ha scandalizzato la più grande potenza Occidentale quando ha ritenuto utile inviarvi alcuni veri o presunti integralisti islamici per farli interrogare senza tanti complimenti). Aggiungerò che vi è anche una diffusa corruzione e che la minoranza alauita riserva per sè molte delle più importanti cariche pubbliche (peraltro meno che in passato). Un merito però al regime siriano deve essere riconosciuto, in particolare da quando alla sua testa vi è l'attuale Presidente Bashar Al Assad. In Siria non vi sono mai state persecuzioni per motivi religiosi ed ogni attenzione è stata sempre usata per proteggere le minoranze, in particolare i Cristiani, e favorire corretti e pacifici rapporti tra le comunità.

Sono stato in Siria nel novembre 2011 ed il clima che vi ho trovato è completamente diverso da quello che lascerebbe intravedere Padre Samir. La popolazione, in particolare la comunità cristiana, è sicuramente terrorizzata, ma non dalla repressione del regime. E' terrorizzata da bande criminali e terroristiche che uccidono, rapiscono, mutilano, incendiano e saccheggiano case, si abbandonano ad ogni forma di violenza con il deliberato scopo di spingere il Paese vero uno scontro confessionale. Questo quadro mi è stato descritto da persone di ogni confessione religiosa e di ogni ceto sociale: “i servizi segreti fanno paura, ma i terroristi fanno ancora più paura” è stato il concetto che mi sono sentito ripetere un numero infinito di volte. Sono bande composte da integralisti islamici di fede salafita e wahabita, armate e supportate da paesi esteri e robustamente rinforzate da mercenari stranieri (molti sono stati arrestati o uccisi dalle autorità siriane) nonchè da elementi della criminalità organizzata. Non che non esista un'opposizione pacifica e contraria alla lotta armata, ma oggi la sua voce è soffocata dal fragore delle autobombe e delle raffiche di kalashnikov. Gli oppositori che ho incontrato io, benchè tutt'altro che teneri verso il regime baathista, erano anch'essi convinti che la prima cosa da fare fosse quella di porre termine alle attività delle bande armate. Subito, prima che il paese possa scivolare verso la pericolosa china di uno scontro confessionale.

Sono stato forse plagiato da Madre Maria Agnese Della Croce, una delle persone che ho incontrato nel mio viaggio e definita dai media occidentali come “vicina” al regime di Assad? Tutto al contrario. E' doveroso riferire come Madre Agnese non faccia altro che ripetere ad alta voce quanto altri esponenti delle chiese cristiane in Siria e Libano dichiarano, magari con toni più sommessi. E quando parlo di esponenti mi riferisco ad ogni livello gerarchico delle comunità cristiane, dal semplice fedele ai Patriarchi. Pochi sanno però che, a differenza di altri, la religiosa di Qara ha usato gli stessi toni durissimi anche quando ha attaccato il regime baathista, condannando le irruzioni della polizia negli ospedali o quando ha protestato con i militari per i maltrattamenti subiti da alcune persone arrestate dall'esercito proprio nel villaggio dove sorge il suo convento. Comunque, al di là di queste valutazioni sulla persona di Madre Agnese, posso tranquillamente affermare che è stato tanto vasto e variegato il campionario delle persone con cui ho potuto parlare (religiosi, taxisti, militari, oppositori, giornalisti, funzionari pubblici, famigliari di rapiti...) da non avere oggi alcun dubbio su quale sia la reale situazione in Siria. E, vi posso assicurare, non è quella descritta da Padre Samir Khalil.

Mario Villani