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lunedì 9 febbraio 2015

9 febbraio: memoria di San Marone, monaco di Siria

foto: le rovine della basilica maronita (561 D.C.) a Barad - Nord Siria


San Marone ("piccolo Signore" in aramaico) è nato intorno al 350 d.C. a Cirro, una cittadina nei pressi di Antiochia.
Fu ordinato sacerdote e successivamente si ritirò come eremita per una montagna di Taurus, vicino ad Antiochia, sopra le rive del fiume Oronte. Trascorse il suo tempo pregando in solitudine, digiuno e lavorando.
Il grande arcivescovo di Costantinopoli, S. Giovanni Chrysostomo era suo amico. 

San Marone ha attratto molti discepoli: Giacomo di Cirro, Limnaeus, Domnina, Cyra, Marana, Abraham l'eremita, l'apostolo del Monte Libano e molti altri.
San Marone morì nel 410, dopo la sua morte sopra la sua tomba fu edificata una chiesa. 




All'intercessione di San Marone affidiamo oggi la pace di tutta la regione siro-libanese e la sorte dei due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti il 9 febbraio 2013 ad Aleppo

BREVE STORIA DELLA CHIESA E DELLA COMUNITA’ MARONITA




domenica 8 febbraio 2015

Roma: ​una mostra sulle devastazioni in Siria


nella splendida cornice romana della Basilica di Santa Maria in Cosmedin ("Bocca della verità"), l’esposizione 
sul patrimonio archeologico siriano, aperta tutti i giorni dalle ore 12.00 alle 18.00  fino al 14 febbraio. 
Chiusura domenica 15 febbraio quando alle ore 10.30 ci sarà la Messa per la Pace



OSSERVATORE ROMANO, 06 febbraio 2015
di Rossella Fabiani -

 La Siria è unica nel Vicino Oriente per l’abbondanza e la varietà delle testimonianze storiche e archeologiche. Dalle tombe monumentali di età sumerica ai possenti castelli dei crociati, dalle austere cattedrali bizantine alle moschee degli Omayyadi, dai templi ittiti in basalto nero ai marmi biancheggianti delle vie colonnate romane, la Siria conserva vaste e chiarissime tracce di quel caleidoscopio di culture che si sviluppò sul suo territorio dall’età della pietra all’evo moderno. Da qui emersero condottieri e dinastie che segnarono la storia, come i re di Ebla, Seleuco il grande, Diocleziano, Saladino.
Ma soprattutto la Siria da ben quattordici secoli significa un modello di convivenza pacifica tra le diverse confessioni religiose che abitano nel Paese. Un dialogo interreligioso, ma anche ecumenico che non si è mai interrotto sin dalle origini. Perché se la Palestina è la terra dove è nato Gesù, la Siria è stata la culla del primo cristianesimo con san Paolo sulla via di Damasco, la culla della vita monastica con san Simeone Stilita, sant’Ignazio, san Efrem, san Romano il Melode. Nella stessa Maaloula si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Una accanto all’altra stanno la moschea con la chiesa, o meglio, le chiese: da quella melchita a quella ortodossa, da quella siriaca a quella armena. E tutto questo rischia di scomparire per sempre.

Oggi dopo quattro terribili anni di un conflitto che sta martoriando la Siria, più di un terzo dei cristiani — discendenti degli apostoli e dei Padri della Chiesa d’Oriente — hanno lasciato il Paese. Se spariscono, spariranno le radici della Chiesa e della civiltà occidentale. Ma la violenza della guerra sta costringendo anche a una riscrittura dei manuali di storia. Sono quasi trecento infatti i siti del patrimonio culturale siriano che sono stati toccati da un conflitto in cui lo scorso anno si sono inseriti i jihadisti dell’Is.

La devastazione è stata fotografata dai satelliti e monitorata dall’Unitar (United Nations Institute for Training and Research): le rovine greco-romane di Palmira, Dura-Europos sull’Eufrate e di Bosra, le città bizantine nella Siria del nord, la moschea Umayyad e la cittadella fortificata di Aleppo, il Krac des Cavaliers sono alcuni dei monumenti che le prossime generazioni potranno conoscere com’erano fino a quattro anni fa soltanto in fotografia.
La mostra fotografica promossa a Roma dalla comunità siriana in Italia in collaborazione con l’Associazione di volontariato europeo Sol.Id. e con il patrocinio del ministero del Turismo siriano, presso la basilica di Santa Maria in Cosmedin, la Chiesa cattolica greco-melchita retta dall’archimandrita Mtanious Haddad, documenta la distruzione che la furia del terrorismo ha inferto senza distinzione a luoghi storici e patrimoni dell’umanità.

Per misurare la devastazione, la mostra presenta foto di siti prima e dopo l’inizio della guerra. Immagini da Aleppo mostrano crateri grigi e montagne di macerie attorno alla celebre cittadella. Pesanti danni anche alla moschea Umayyad che ha perso il minareto dell’undicesimo secolo. Foto da Palmira e Dura-Europos mostrano i segni di vasti saccheggi, con il terreno punteggiato da scavi clandestini. La moschea al-Omari a Bosra risalente al vii secolo era la più antica moschea al mondo con il più antico minareto islamico che oggi non esiste più.

http://www.osservatoreromano.va/it/news/inventario-delle-macerie

Altre documentazioni: Directorate-General of Antiquities & Museums, DGAM Syria

giovedì 5 febbraio 2015

"Oggi gli angeli della morte volavano sopra il cielo di Damasco".

Una telefonata da Damasco,  5 febbraio 2015



"Ciao...eccoci qui vivi... 
Alle 7:30 di stamattina, ci siamo svegliati per grossi rimbombi. .. sono colpi di mortaio e missile lanciati da parte dei gruppi Jihadisti che si trovano nella zona di AlGuta est.Subito ho detto ai miei figli di non uscire da casa, perchè stavano uscendo per andare a scuola. Siccome abito non tanto lontano dalla zona di Jobar ho sentito la partenza dei missili ed i colpi di mortaio, la prima scarica era più di 25 tra missile e mortaio. 
Questi gruppi radicali hanno scelto l'ora più critica, infatti è l'ora dell'entrata nelle scuole e di andare al lavoro.

Il risultato di questo attacco che è durato fino alle ore 17:00 è di 9 martiri, e più di 35 civili feriti. Sono stati lanciati più di 130 missili, razzi Katyusha e colpi di mortaio su tutta Damasco. 
L'università di Damasco e' stata colpita... fortunatamente mio nipote che era lì è stato salvato. 
Uno di questi colpi ha preso il tetto della scuola di mio figlio maggiore. 
Una bimba di 9 anni (Gazal  Jaburi) è stata colpita mentre era dentro casa sua ed ha perso le sue gambe. 
I colpi hanno toccato il centro storico di Damasco (moschea degli Umayadi), il centro Cristiano (Bab Tuma) e tanti quartieri poveri (Mezeh 86), alcuni colpi hanno colpito la zona di Al-Mazraa e la zona intorno all'ospedale Italiano…L'oratorio dei Salesiani sarà chiuso (è vicino all'ospedale italiano) per oggi e domani. 

Oggi è stata una giornata di grande paura, Damasco era quasi vuota.

Non sappiamo cosa fare... abbiamo tanta paura di mandare i nostri figli a scuola…
Oggi gli angeli della morte volavano sopra il cielo di Damasco". 

INTEGRAZIONE notizia:  Agenzia Fides 6/2/2015

Giornata di bombardamenti a Damasco, colpito il convento francescano nel quartiere di Bab Touma

Damasco (Agenzia Fides)
........ 
Tra gli edifici colpiti c'è anche il convento francescano collegato alla parrocchia cattolica latina dedicata alla Conversione di San Paolo, nel quartiere di Bab Touma, la parte della città vecchia di Damasco, dove sono concentrate molte chiese cristiane. 

“Fin dalle prime ore del giorno - riferisce all'Agenzia Fides il parroco Raimondo Girgis, OFM - era iniziato lo scambio di razzi e di colpi di mortaio. Verso le 7,30 un colpo proveniente dai ribelli ha centrato e devastato il soffitto della stanza dove dorme p. Simon Pietro Herro (attuale ministro della Regione San Paolo della Custodia di Terra Santa, ndr).  In quel momento - fa notare il parroco siriano - ci trovavamo nell'ufficio parrocchiale, al piano di sotto, e p. Simone stava per salire nella sua stanza a prendere il breviario, come fa tutti i giorni dopo la messa e la colazione, per recitare la preghiera del mattino”. Il colpo di mortaio non ha causato danni alla chiesa. 
“E' stata una giornata pesante - commenta p. Raimondo - ma in quasi quattro anni di conflitto, abbiamo vissuto tante volte momenti del genere. La paura e la tensione fanno parte della quotidianità. E tutti continuano a pregare per chiedere di tornare presto a una vita normale”.

“L'escalation di attacchi indiscriminati registrati ad Aleppo e a Damasco nei giorni scorsi – scrive il Jesuit Refugee Service in un comunicato pervenuto all'Agenzia Fides - ha preso di mira intenzionalmente aree civili in cui moltissimi sfollati interni vivono fianco a fianco con i residenti. Non solo gli attacchi hanno creato panico e paura, causando danni alle infrastrutture e perdite di vite umane, ma contribuiscono anche ad alimentare le tensioni tra i gruppi" e “ostacolano l'assistenza umanitaria, costringendo le Ong a evacuare il proprio personale e a sospendere o interrompere le attività”.

martedì 3 febbraio 2015

Prosegue l'epurazione dei cristiani dai territori presi dallo Stato Islamico


Agenzia Fides 2/2/2015

Hassakè 
Le bande armate jihadiste dello Stato Islamico (IS) hanno fatto irruzione nel villaggio cristiano di Tel Hormuz, hanno saccheggiato la chiesa e imposto agli abitanti di rimuovere la croce dall'edificio sacro. Lo conferma all'Agenzia Fides Jacques Behnan Hindo, Arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi.
 “Venerdì scorso” racconta l'Arcivescovo ”due gruppi di miliziani armati dello Stato islamico sono scesi dalle montagne dove sono appostati e sono entrati nel villaggio, dove vivono ancora alcune dozzine di famiglie cristiane. I jihadisti hanno portato via oggetti preziosi dalla chiesa, e hanno intimato ai cristiani di rimuovere o nascondere le croci”.
L'episodio allunga la serie di attacchi e intimidazioni subiti dai villaggi cristiani situati nella regione attraversata dal fiume Khabur. “In quell'area” riferisce a Fides l'Arcivescovo Hindo “c'erano più di 30 villaggi cristiani, fondati negli anni Trenta del secolo scorso, che avevano accolto soprattutto i cristiani assiri e caldei provenienti dal nord dell'Iraq, che cercavano salvezza dai massacri perpetrati allora dall'esercito iracheno. Erano villaggi fiorenti, abitati ognuno da migliaia di persone, con chiese e comunità molto attive, che gestivano anche scuole e iniziative sociali. Ma dall'inizio della guerra si sono quasi tutti svuotati e alcuni di essi ormai appaiono come città fantasma. In uno di essi è rimasto un solo cristiano. In altri, gli abitanti sono ridotti a qualche decina. A Tel Hormuz rimane una delle comunità assire più consistenti. Ma adesso anche lì non superano i trecento, mentre un tempo erano più di quattromila. Gli altri sono tutti scappati all'estero. E molti di loro non torneranno più”. 


http://www.aina.org/news/20150131183427.htm


A Raqqa ancora 25 famiglie cristiane. Ribadito per loro l'obbligo di pagare la “tassa di protezione”

Raqqa (Agenzia Fides) – A Raqqa, la città della Siria settentrionale divenuta roccaforte dei jihadisti dello Stato Islamico (IS) dal 2014, risiedono soltanto 23 famiglie cristiane delle 1500 che vi abitavano prima che iniziasse il conflitto siriano. Su questo piccola comunità costituita da cristiani armeni, che non hanno potuto lasciare la città per mancanza di risorse o per motivi di età e di salute, la violenza del fanatismo islamista si abbatte anche con l'aspetto metodico delle prassi amministrativo- burocratiche: a loro sono stati recentemente comunicati i parametri della jizya, la “tassa di protezione” che dovranno pagare a partire dal 16 novembre se non vogliono essere espulsi e espropriati delle loro case e che ammonta all'equivalente di 535 dollari. L'informazione, proveniente dagli stessi cristiani di Raqqa, è stata diffusa dal sito arabo ankawa.com. Con tutta probabilità le famiglie cristiane, impoverite dalla guerra, non troveranno modo di pagare la tassa e dovranno abbandonare le proprie case.


La jizya è l'imposta che fino al XIX secolo ogni suddito non-musulmano era tenuto a pagare alle autorità islamiche come clausola del “patto” che garantiva loro protezione dalle aggressioni esterne e libertà di culto. A Raqqa i jihadisti dell'IS – che hanno assunto totale controllo della città nei primi mesi del 2014, dopo essersi scontrati con altre fazioni islamiste anti-Assad - hanno trasformato proprio la principale chiesa armena in ufficio per la gestione degli affari islamici e per la promozione della sharia. Nella città-roccaforte i miliziani dello Stato Islamico hanno già espropriato le proprietà dei cristiani fuggiti e hanno anche organizzato azioni simboliche, come il rogo di Bibbie e libri cristiani. Ad affiliati della fazione jihadista dell'IS viene attribuito il rapimento del gesuita romano Paolo Dall'Oglio, scomparso proprio a Raqqa alla fine di luglio del 2013. (Agenzia Fides 15/11/2014).

domenica 1 febbraio 2015

“AIUTATECI A RIMANERE A CASA NOSTRA”

WP: in Siria una guerra con combattenti di 80 nazioni

Testimonianza di Samaan Daoud, cristiano di Damasco:


Il Nuovo Giornale di Piacenza,
23 gennaio 2015

"Immaginate la Chiesa senza le sue radici. Senza San Paolo, che è diventato cristiano sulla via di Damasco. Senza Sant’Ignazio. Senza i Padri del deserto. Senza i monaci della Siria. Fra cinquant’anni potreste fare dei viaggi a Damasco e dire: qui una volta c’era la chiesa di Sant’Anania e una comunità cristiana molto forte. Pensare questo è per noi una grossa angoscia. Allora aiutateci a rimanere a casa nostra.
Non accusateci di essere pro Assad o pro governo. Noi siamo pro Siria. Se Assad se ne va, il vuoto da chi sarà riempito? Dai fondamentalisti. Lo abbiamo già visto in Libia, in Iraq, in Egitto, anche se qui per fortuna si sono svegliati”.

Samaan Daoud, cristiano di rito siro-cattolico, fino al 2011 a Damasco faceva la guida ai pellegrini. Classe 1970, sposato e padre di due figli di 16 e 12 anni, da ragazzo si è messo a studiare l’italiano perché innamorato del nostro Paese. Per due anni ha anche vissuto a Valdocco, paese natale di San Giovanni Bosco. Con lo scoppio della guerra, ha dovuto reinventarsi il lavoro. Rientra in quel 50% di siriani che ancora riesce a portare a casa uno stipendio. La guida adesso la fa ai giornalisti occidentali “che vogliono vedere cosa succede davvero”.
Collabora con i salesiani nella traduzione in arabo dei libri di don Bosco – “ne ho fatti sei, l’ultimo, le «Memorie dell’Oratorio », è in stampa” – e ha aperto a Damasco un ufficio della ong “Avsi”, che porta avanti progetti sanitari ed educativi. Nella serata del 16 gennaio – a poche ore dalla notizia della liberazione delle due cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo e mentre in piazza Cavalli si radunava il corteo contro il terrorismo – è stato ospite a Piacenza di un incontro organizzato dall’Ordine della Santa Croce di Gerusalemme all’oratorio della Santissima Trinità. Un’amicizia nata negli anni dei pellegrinaggi in Siria guidati da mons. Riccardo Alessandrini e mai interrotta ...

Sei moderato se hai un kalashnikov?

— Dopo l’attentato di Parigi milioni di persone sono scese in piazza, in tutta Europa. Perché una mobilitazione simile non si è vista per le vittime del fondamentalismo in Medio Oriente e in Africa? È solo una questione di cattiva informazione?
La nostra sofferenza è cominciata nel 2011 e nessuno ha detto «Io sono i 200mila civili siriani morti» o fatto lo stesso con le 5mila donne siriane vendute al mercato. Già dall’inizio della “primavera araba” tantissimi sono stati ingannati. I capi politici dei Paesi di grande influenza, potendo controllare i media che godono di una certa credibilità, come Cnn, Bbc, Al Jazeera, El Arabia, hanno ingannato i loro e i nostri popoli. Ma le bugie hanno le gambe corte. Dopo un paio d’anni si è cominciato a capire che in Siria o Medio Oriente non è più questione di un uomo cattivo che sta ammazzando tutta la brava gente. Ci sono grossi giocatori, che prima stavano dietro le quinte e che adesso si fanno vedere: America, Russia, Iran, Arabia Saudita, Turchia..
Nel 2013, quando sono venuto in Italia – e ho parlato anche a Piacenza – dicevo: state attenti ai fondamentalisti, perché verranno pure a casa vostra. Il fanatismo non ha confini. Adesso siamo nella stessa barca: il popolo siriano, gli occidentali, i cristiani yazidi in Iraq e quelli in Nigeria.
Chi ci sta attaccando è stesso nemico. E il fanatismo attacca anche i musulmani. 

— Sta dicendo che l’Occidente ha spalleggiato i gruppi fondamentalisti e adesso se li trova davanti come nemici? 
La Francia nel 2013 l’ha detto chiaro e tondo: noi appoggiamo i cosiddetti “ribelli moderati”. La domanda che sempre faccio è: se hai un kalashnikov in mano sei moderato? L’Europa finanzia i ribelli, con milioni e milioni di euro, per far cadere il governo di Assad. Ma chi paga le conseguenze? Con le sanzioni contro la Siria, dal 2012, l’Europa è complice dello stato di miseria in cui oggi vive il Paese. Per venire qui ho dovuto attraversare una strada sotto la neve da Damasco a Beirut, in Libano, e da lì ho preso l’aereo per l’Italia. 

Uno Stato distrutto

— Isolamento totale?
Totale. Gli ospedali non riescono a procurarsi certe medicine. Gli apparecchi sanitari danneggiati sono fermi perché non ci sono pezzi di ricambio. Questa situazione alimenta il mercato nero e l’aggressività del fratello che mangia suo fratello. Far impoverire un popolo è la stessa cosa che se ci avessi lanciato delle bombe.

— Come si vive oggi in Siria?
Rispondo con alcuni numeri ufficiali: 3,8 milioni di siriani rifugiati, 7,6 milioni di sfollati, 12,1 di persone in stato di bisogno su una popolazione di circa 21 milioni, 3 milioni di case distrutte, 1200 scuole rovinate, esportazione zero.
È uno tsunami che ha colpito la Siria e purtroppo si tratta di uno tsunami provocato artificialmente. In Siria nelle loro file Isis e il fronte Al-Nusra filiale di Al Qaeda, hanno combattenti di 80 nazionalità. Il vostro Ministro dell’Interno ha detto in Parlamento che ci sono 50 italiani che sono andati a combattere in Siria? Per qualcuno non è un numero alto. Se di questi ne torna anche il 20-30%, basta poco. Quelli dell’attentato di Parigi erano tre.
Notate il loro modo di combattere: corrono con il kalashnikov in mano, sparano e si guardano attorno. È gente che per due anni ha fatto la guerra. L’Europa adesso si trova ad affrontare gente addestrata ad alto livello.

— Si torna a parlare di intervento armato in Siria.
L’America dopo l’11 settembre ha attaccato l’Afghanistan per eliminare Bin Laden. Ma quanti Bin Laden abbiamo adesso? Il terrorismo è come un albero. L’albero per crescere ha bisogno di acqua; il terrorismo per crescere ha bisogno del sangue. Più guerre fai, più ingiustizia c’è, più sangue viene versato, più il terrorismo si rafforza.
Guardiamo cosa sta succedendo: la Nigeria si sta scannando, il Sudan è tagliato in due, in Yemen c’è una guerra interna, in Iraq non esiste più uno Stato. Basta usare la motivazione del terrorismo per attaccare. Non si può portare la democrazia con i carri armati e gli aerei. 

— La strada allora qual è?
Dire ai turchi: chiudete la frontiera, così non aiutate più Isis e Al Nusrah. Ai giordani: basta fare campi di addestramento dalle vostre parti. A Israele: impegnati seriamente a non irrompere in Siria. All’Arabia Saudita: smetti di fornire soldi e armi da Al Nusrah. Al Qatar: basta fornire armi e terreno a Isis. E poi c’è l’Iran che fornisce armi al governo siriano. C’è la Russia. E l’America, la Francia… Quando i leader politici si metteranno attorno a un tavolo con grande buona volontà, si trova la soluzione.
La Siria che ha 21 milioni di abitanti e ha fatto arrivare al potere Assad è capace di far arrivare un altro siriano (e con il tono di voce sottolinea l’aggettivo “siriano”), che crede in uno Stato laico nel quale c’è rispetto per tutte le religioni. Lo ripeto: come cristiani non siamo legati ad Assad, ma siamo legati alla Siria. Se però Assad adesso se ne va, il vuoto chi lo riempie?

 Gemellaggi tra oratori 


— Questo per i politici. Ma noi gente comune, cosa possiamo fare?
Aiutate le ong.  Con “Avsi”, che lavora in modo serio, aiutiamo i siriani poveri, anche in Giordania e in Libano. Abbiamo progetti sanitari, di distribuzione del cibo, per pagare gli affitti. Le idee in testa ci sono; le realizziamo in base ai fondi che abbiamo. Dall’anno scorso con il Coordinamento nazionale per la pace in Siria e il gruppo di italo-siriani lavoriamo per creare un ponte tra i nostri Paesi.

Io ho lanciato l’idea del gemellaggio tra parrocchie e scuole. Ho avuto risposta in Italia da una scuola elementare di Lecco, che ha fatto una raccolta per comprare pecore per il villaggio di Malula, che è stato distrutto come reazione all’appello del Papa di pregare per Siria nel settembre 2103 uccidendo tre giovani cristiani che si sono rifiutati di convertirsi all’islam.
Poi un asilo ha preparato dei disegnini da portare ai bimbi di un asilo di Damasco. Mi piacerebbe allacciare dei gemellaggi tra oratori.

Ad Aleppo, la città martire cristiana, frequentano l’oratorio 600 ragazzi. A Damasco dai salesiani ci sono 400 giovani. L’ideale è garantire almeno una volta al mese un contatto via Skype: per dirsi ciao, guardarsi in faccia, vedere che non siamo tanto diversi. Anche questo spezza la solitudine. 

A mio figlio dico: “il nostro esempio è Gesù”


I radicali seminano diffidenza. È come un bicchiere rotto: per rimetterlo insieme ci vuole il balsamo della riconciliazione

“Mio figlio maggiore è nell’età che comincia a farmi domande ‘politiche’, a parlare di giusto e non giusto. Ha visto morire i suoi amici per i colpi di mortaio, ne ha visti altri lasciare la Siria. Di fronte a questi fatti sempre gli dico: il nostro esempio è Gesù Cristo”.
foto Carla Boulos
Si è incrinato qualcosa, nella società siriana che dagli anni Cinquanta ha visto convivere in modo pacifico cristiani e musulmani. “Quando metti a bagno qualcosa, viene a galla lo sporco. Così nelle guerre: cosa emerge? Il male, chi vuol arricchirsi in fretta. Stiamo vedendo questi radicali che indossano l’abito dell’islam e portano certi versetti scritti nell’interpretazione del Corano, ma un’interpretazione che poteva andare mille anni fa. Bisogna che si scriva un’interpretazione del Corano adatta alla mente dell’uomo che vive nel 2015. Non basta dire: questi non rappresentano l’islam. Non basta piangere. C’è un detto siriaco che dice: mio servo aiutati così da poter aiutarti. Se non inizi ad aiutare te stesso, non posso far nulla.

Bisogna che gli intellettuali musulmani si impegnino fortemente a dire: l’islam non è questo, ti faccio vedere il vero insegnamento, bisogna rispettare tutti nella legge sociale, ciascuno nel suo ambito religioso. Io rispetto un musulmano credente che prega e chi prega per il Signore rispetta gli altri perché Dio dice: non uccidete”.
Per Samaan e per il milione di cristiani rimasti in Siria – prima della guerra erano il 10% della popolazione, ora nemmeno il 5% – oltre che con la difficoltà quotidiana dovuta alla miseria e alla mancanza di prospettive, c’è da combattere con il veleno della diffidenza instillato dal fondamentalismo. “Quando rompi un bicchiere – usa questa metafora – puoi provare a metterlo a posto, ma i segni restano. Allora devi rimetterlo a cuocere nel forno e applicare il balsamo per farlo tornare nuovo. Questo balsamo si chiama «riconciliazione ». 
Mio figlio mi ha chiesto: ma è possibile? Cristo sulla croce ha detto: padre perdonali perché non sanno quel che fanno. Gesù pure a noi ha detto: un giorno sarete perseguitati e diranno bene quando vi ammazzano. Questo giorno lo stiamo vedendo. Però o rimani nell’odio che vuol dire nel male – o perdoni”. 

Samaan crede nell’educazione, “a partire dai genitori”. Porta l’esempio di un progetto del governo rivolto a studenti delle Elementari di varie confessioni religiose. “È andato molto bene, alla conclusione del percorso è nata un’amicizia tra un bimbo cristiano e musulmano.
Quel musulmano che non sapeva niente di cristianesimo ha visto al collo dell’amico una catena con la croce e gli chiesto cos’era. Il bimbo cristiano gliel’ha voluta regalare. Tutto contento, torna a casa e la fa vedere alla mamma. Sono bastate due parole per farlo tornare indietro e buttarla in faccia al bimbo cristiano. Per questo dico che bisogna lavorare con gli adulti. Se tu calpesti qualcosa, tuo figlio farà altrettanto”.