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mercoledì 6 novembre 2013

Aleppo: il dramma della popolazione e la gioia dei cristiani per il nuovo Vescovo Giorgio


Il cibo nei cassonetti, le minacce ai cristiani, l’imposizione della sharia. Drammatica testimonianza da Aleppo   


TEMPI- 1 novembre 2013
intervista di Leone Grotti

«La situazione ad Aleppo è ancora critica: non abbiamo la corrente elettrica da dieci giorni, manca il cibo, ribelli ed esercito continuano a darsi battaglia e i terroristi islamici hanno imposto la sharia nella parte della città che controllano». La testimonianza drammatica di come si vive oggi nella seconda città più importante della Siria, divisa a metà tra esercito e ribelli, è di C., cristiano di Aleppo che ha accettato di parlare a Tempi.it in condizione di parziale anonimato.

Quali sono i principali problemi della popolazione?
La guerra continua, ci sono scontri sia tra l’Esercito siriano libero e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) sia tra i ribelli e l’esercito siriano. I ribelli lanciano spesso razzi contro i quartieri controllati dall’esercito e malgrado la riapertura della strada verso Khanasser, la città vive una penuria di carburante, elettricità, pane, cibo e soprattutto medicine. Tutti i giorni ci sono nuovi martiri che cadono tra l’esercito e i civili. Nelle regioni controllati dai takfiri, cioè coloro che rifiutano ogni presenza non musulmana sul loro territorio, vige la legge islamica wahabita e i rapimenti non accennano a finire.

Fino a pochi mesi fa, ad Aleppo si rischiava di morire di fame. Ora la situazione è migliorata?
Le famiglie non possono più comprare cibo e non si vede carne nelle cucine delle famiglie aleppine da mesi ormai. L’unica cosa che mangiano le famiglie è grano macinato, il Bourghoul, e pane. Un fenomeno nuovo, che prima non c’era e che è disumano, investe sempre più gente povera: la notte rovistano nei cassonetti per cercare qualcosa da mettere in bocca.

Gli estremisti islamici minacciano i cristiani?
Sì, siamo molto spaventati, soprattutto dopo l’occupazione da parte dell’ISIL del convento di san Vartan, che si trova nel quartiere cristiano armeno di Al Midane. I cristiani di Aleppo sono anche stati minacciati dopo l’applicazione della sharia di convertirsi all’islam o di pagare il tributo umiliante (gizya) o di morire. I cristiani ricchi sono scappati in Europa o in Libano, la classe media è diventata povera dopo il sequestro e la distruzione delle imprese da parte delle bande armate. Infine, la classe povera è diventata misera, tanto che non ha più da mangiare nonostante gli sforzi delle organizzazioni locali che distribuiscono generi alimentari una volta al mese. I nostri giovani rischiano la vita per emigrare in Svizzera o Germania passando dalla Turchia ma spesso vengono arrestati dalla polizia turca o muoiono in mare tra la Grecia e la Turchia. Ad aggravare la crisi c’è il caro vita con i prezzi che sono aumentati di oltre 20 volte.

La guerra tra governo e ribelli è sempre in stallo?
Noi speriamo che finisca presto, ma la realtà è un’altra: finché i sauditi e l’Occidente armano e finanziano i ribelli e finché l’esercito siriano resta forte, la guerra non finirà e a pagare il prezzo più alto in termini di vittime è il popolo. Il conto dei morti, infatti, è 150 mila, non 115 mila, e noi speriamo che la conferenza di pace Ginevra II porti a una road map per porre fine a questo conflitto.

Cosa ha comportato l’introduzione della sharia?
Ha spaventato molto i cristiani, ma non solo. Anche i musulmani moderati hanno paura degli estremisti, soprattutto per la condizione delle donne. Pochi giorni fa lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante ha diffuso una nota in arabo dove si precisa che «è vietato alle ragazze e alle donne portare i jeans e i pantaloni. Sono obbligate a vestire l’abito islamico», «è vietato truccarsi», «è vietato fumare sigarette o il narghilè a partire dal 15 novembre» e «tutte le persone che nomineranno il nome “Esercito islamico dell’Iraq e del Levante” riceveranno 70 frustate». Dopo aver letto queste cose, è possibile che l’Occidente non prenda coscienza dei misfatti della sua politica anticristiana? Se non la finisce di voltarci le spalle, che speranze ci saranno per il nostro mondo?

Avete ancora speranza?
Malgrado tutto noi crediamo che Dio, che ci ha fatti nascere su questa terra, voglia che noi continuiamo a testimoniare la fede dei nostri antenati, che risale ai primi cristiani. Le radici del cristianesimo sono casa nostra: la conversione di san Paolo sulla via di Damasco, l’inizio della vita monastica con Simeone Stilita il Vecchio, il villaggio cristiano di Maloula dove gli abitanti parlano ancora l’aramaico e pregano il Padre Nostro come l’ha pregato Gesù. Non si può nascondere che l’origine della cultura occidentale è cominciata in Oriente. Vorrei fare ancora un appello.

Prego.
Noi speriamo che i cristiani d’Italia siano solidali con i loro fratelli d’Oriente attraverso la preghiera, l’aiuto finanziario e soprattutto spingendo la politica italiana a sopprimere le sanzioni che colpiscono il popolo siriano e non toccano il regime. L’unico risultato è che il popolo diventa sempre più misero nel suo stesso paese.

http://www.tempi.it/il-cibo-che-manca-le-minacce-ai-cristiani-l-imposizione-della-sharia-drammatica-testimonianza-da-aleppo-siria


VICARIATO APOSTOLICO IN FESTA!



Tutta la Chiesa Latina del Vicariato Apostolico di Aleppo dei Latini è in festa per il dono che il Santo Padre, Papa Francesco, le ha fatto con la nomina del Rev.mo Padre Giorgio ABOU KAZEN, ofm, come Suo Vicario ad Aleppo e nuovo Vescovo.
Padre Giorgio e' stato chiamato dal Santo Padre a reggere il Vicariato Apostolico di Aleppo come Amministratore Apostolico, fin dal giorno 15 aprile di quest'anno, quando il Santo Padre accettò la rinuncia di Mons. Giuseppe  Nazzaro, ofm, che aveva chiesto di essere sollevato dall'incarico per motivi di salute e per sopraggiungenti limiti di età.
"Noi facciamo i nostri più fervidi auguri al neo Vescovo augurandogli, nonostante la situazione in cui vive la Siria oggi, un apostolato sempre più fecondo. Conosciamo tutti le sue qualità di Pastore prudente e saggio fin da  quando era Parroco della Comunità Latina di Aleppo e Vicario Delegato Generale di Mons. Nazzaro. Si è sempre distinto per la sua prudenza ed oculatezza nel valutare i problemi. E' sempre stato vicino a chi soffre fisicamente, moralmente e materialmente. Tutta la Chiesa di Aleppo ha accolto la sua nomina con entusiasmo e stima.
Chiediamo al Santo Padre che sia Egli ad ordinarlo Vescovo e Mons. Giuseppe Nazzaro sia uno dei due Vescovi con-consacranti. 
Santità, grazie per il dono che ci ha fatto dandoci Padre Giorgio per Vescovo; ci faccia questo dono che Le abbiamo appena espresso.  Grazie Santità, sappiamo che Lei sa accogliere l'umile richiesta dei Suoi figli". 

 
L'Osservatore di Aleppo    



AGGIORNAMENTO - 6 NOVEMBRE 13- POMERIGGIO: PANICO AD ALEPPO
Centrale termoelettrica ad Aleppo in grave pericolo


Un' altra catastrofe climatica e chimica  minaccia Aleppo. I militanti dello "Stato di Iraq e Levante" hanno occupato la Stazione d'elettricità a Harrarieh 
 (25 Km est di Aleppo), hanno dinamitato la centrale che produce gas di cloro per farla saltare et propagare  cloro e gas, allo scopo di colpire i civili e tagliare completamente l'acqua et l'elettricità. Nella Stazione vi è un grande serbatoio di idrogeno in raffreddamento.
 Grande panico regna ad Aleppo. 


lunedì 4 novembre 2013

Rischia di naufragare ancora la Conferenza di pace 'Ginevra 2' sulla Siria


Preparazione alla conferenza di pace 'Ginevra 2' a forza di bombe


La Perfetta Letizia - 26/10/13

di Patrizio Ricci

Gli incontri preparatori della Conferenza di Pace ‘Ginevra 2’ sono finalmente iniziati, ma non con buoni auspici. Il terreno dove ci si muove è contraddistinto dall’ambiguità e la trattativa nasce malata: non è stata preparata da paesi neutrali ma dagli ‘amici della Siria’, rappresentati principalmente da USA, Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita, cioè gli acerrimi nemici di Assad. Sono proprio gli stessi paesi che hanno espulso gli ambasciatori siriani dal loro territorio e messo fuori gioco la diplomazia. Sono gli stessi che hanno messo in atto un rigido embargo (che ha colpito soprattutto la popolazione civile) e che solo il mese scorso erano concordi nello sferrare una campagna di bombardamenti contro Damasco. Ma tant’è, è ‘il miracolo senza miracolo’ del machiavellismo: la Conferenza non era prevista ed è stata decisa solo dopo che USA e Russia (principali attori di questo conflitto) hanno trovato un accordo sulle armi chimiche e più in generale sul destino della Siria.

E’ così che l’eterogenea opposizione armata si è sentita presa in giro: nessuno ha gradito la mancata spallata finale ad Assad e dopo più di 2 anni di guerra c’è da scommettere che ognuno si aspetta la sua fetta di potere (e per questo è necessario che la pace naufraghi). Ma in che modo realizzare un simile obiettivo? Il Consiglio Nazionale Siriano ha subordinato la sua partecipazione all’accettazione di condizioni insostenibili: la prima è essere riconosciuto come l’unico vero rappresentante del popolo siriano e la seconda l’ immediata dimissione di Assad. Entrambe le condizioni di fatto bloccano la trattativa: con chi si dovrebbe dialogare se Assad si dimette e come pretendere di essere l’unico interlocutore rappresentativo del popolo siriano? E’ evidente che solo la minaccia concreta di interruzione del flusso di armi possa far recedere il CNS dal porre simili precondizioni. Però questo non è possibile, attualmente americani e sauditi sono in forte disaccordo: dopo il ridimensionamento dell’aiuto americano ai ribelli, Riyadh ha riempito il vuoto e si è impegnata più che mai ad appoggiare soprattutto la componente jihadista.

Non sappiamo come andrà a finire: gli interessi reciproci si fondono con le bombe e i morti sul terreno e frenano l’attività diplomatica. Comunque i ministri degli esteri del gruppo ‘London 11’, ovvero i membri del gruppo ‘amici della Siria (compreso il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino), stanno facendo pressione sull’opposizione armata perché accetti la Conferenza. E considerando da che posizioni si era partiti, è un mezzo successo che il Consiglio Nazionale Siriano abbia rimandato ai primi di novembre ogni decisione in merito ad una sua partecipazione.

Quindi, il maggior ostacolo alla pace (dopo la frenata della Turchia preoccupata per le proteste interne ed il dilagare di al-Qaeda lungo i propri confini) è oggi l’attivismo dell’Arabia Saudita. Riyadh ha mal digerito il dietro-front americano e l’accordo con la Russia (ricorderete che era pronta a pagare tutte le spese dei bombardamenti e che ha cercato di lusingarla con tutti i mezzi), perciò anche dopo la svolta prudenziale americana sembra aver deciso di procedere da sola. Grazie all’appoggio saudita gli jadisti hanno preso ormai il sopravvento sulle altre formazioni moderate e sono frequenti gli scontri per contendersi il territorio. I movimenti islamisti si sono unificati sotto un’unica bandiera, quella dell’Esercito Islamico. Per l’esperto statunitense Philipe Graver “questa formazione è il più grande export dell’Arabia Saudita”.

Oltre ad alimentare la guerriglia con armi pesanti e con sistemi d’arma altamente tecnologici, l’Arabia Saudita ha utilizzato i mesi estivi per organizzare una forza di 40.000 uomini appartenenti ad al-Qaeda nella località siro-libanese di Arasal, città di confine nella regione Qalamoun. La battaglia, imminente, sarà decisiva per il controllo della zona costiera e delle principali vie di comunicazione.

Sotto questa regia, non stupisce che quando un nuovo tentativo di pace sta per essere messo in atto è riscontrabile dalla cronaca il moltiplicarsi di azioni terroristiche indiscriminate. Si tratta di azioni realmente criminali che colpiscono soprattutto la popolazione civile, colpevole di non ribellarsi ad Assad, perciò, secondo i ribelli, responsabile di sostenerlo. Ne consegue che qualunque opera, fabbrica o infrastruttura civile fuori dalla linea di demarcazione delle zone conquistate diventa automaticamente obiettivo ‘legittimo’. Per punire la popolazione civile ogni giorno inoltre i colpi di mortaio mietono vittime nei quartieri di Damasco: sono ordigni buttati alla cieca, con il solo scopo di uccidere. Solo ieri i lanci di mortaio dei ribelli sul quartiere Kassaa a Damasco hanno causato 5 morti e 20 feriti; tra le vittime il formatore del coro parrocchiale Farah Shadi Shahoub, colpito mentre si recava alla chiesa parrocchiale per addestrare i bambini del coro.

Gli attentati non avvengono solo a Damasco, ma in tutto il paese: ad Hama un attentatore suicida si è lanciato in mezzo al traffico cittadino nell’ora di punta uccidendo 37 persone e provocando decine di feriti. Nelle località conquistate le formazioni jihadiste di Jabhat al-Nusrah impongono la Sharia a gente che non aveva mai conosciuto prima il fondamentalismo religioso. Il villaggio cristiano di Maloula ed i villaggi limitrofi sono stati attaccati e le chiese devastate nonostante non esistano presidi militari. Nel villaggio numerosi civili sono stati uccisi perché non hanno accettato di rinnegare la propria fede e non hanno abbracciato l’islam. Quest’attacco è stato eseguito dall’esercito libero siriano (che si definisce laico e moderato) congiuntamente ai qaedisti di Jabhat al- Nusra. Frequenti anche i sabotaggi senza alcuna valenza strategica: ieri è stata fatta saltare la centrale del gas di Damasco indispensabile per la vita della popolazione.

I rapimenti a scopo di estorsione, gli omicidi settari verso le minoranze, la rivendita dei macchinari sottratti nelle fabbriche in Turchia sono la consuetudine. Questi atti terroristici sono compiuti da coloro che si candidano a succedere ad Assad: nonostante gli organi d’informazione inopinatamente usino questo termine ancora virgolettato, tali azioni sono sanzionate dalla Convenzione di Ginevra come atti terroristici.

E’ una situazione complessa, sintomo di una prassi consolidata che non tiene conto più delle aspirazioni dei popoli ma solo degli interessi dei paesi ricchi. Far affari commerciali e impantanarsi in rapporti poco chiari che prima o poi impediranno di agire correttamente sembra aver sostituito ogni altra considerazione etica. I ‘valori’ che diciamo di avere e sostenere possono conciliarsi con questa prassi? Sono domande che occorre farsi: che tipo di benessere stiamo perseguendo e a che prezzo? Sembra proprio che ci sia un solo elemento unificatore e un solo valore in cui l’occidente crede: il danaro e gli affari. Come altrimenti fingere di credere che l’Arabia Saudita, uno dei regimi più dispotici del mondo, si faccia portatore delle istanze di libertà dei popoli?

http://www.laperfettaletizia.com/2013/10/incontri-preparativi-alla-conferenza-di.html


L'opposizione vuole l'eliminazione politica di Assad, ma è divisa al suo interno. Le condizioni poste dalla Santa Sede per un'efficace Conferenza di pace.




ASIA NEWS 22/10/2013 

  I destini della Ginevra 2, la Conferenza di pace sulla Siria che dovrebbe tenersi verso la fine di novembre, rischiano di naufragare per le resistenze che pongono i ribelli e lo stesso Assad.
Diversi gruppi di oppositori vogliono boicottare i dialoghi perché esigono che le conclusioni prevedano l'uscita di Bashar Assad dalla scena del potere.
Da parte sua Damasco non accetta tale precondizione e lo stesso Assad, in un'intervista alla televisione  libanese Al-Mayadeen ha detto che non vede "nessuna ragione" per non presentarsi alle prossime elezioni e magari essere rieletto.
Egli ha anche accusato l'opposizione di essere estranea agli interessi del popolo siriano.
"Quali forze vi prendono parte - si è domandato - quale relazione queste forze hanno con il popolo siriano? Rappresentano il popolo siriano o rappresentano gli Stati che li hanno inventati?".
In effetti l'opposizione è formata da tanti gruppi, solo in parte costituita da siriani. Oltre al Free Syrian Army, formato da soldati disertori dell'esercito di Assad, vi sono gruppi di jihadisti prevenienti da decine di nazioni islamiche (Cecenia, Tunisia, Libia, Egitto, Arabia saudita, Malaysia, Indonesia, Sudan...). A questi si aggiunge il Consiglio nazionale siriano formato da esuli siriani, sostenuti da potenze europee e medio-orientali. Tutti loro sono in lotta fra loro per chi deve rappresentare l'opposizione ai dialoghi. In più, sul terreno siriano, vi sono combattimenti fra l'opposizione "laica" del Free Syrian Army e quella radicale islamica costituita da gruppi legati ad Al Qaeda. Questi, nelle zone sotto il loro controllo impongono leggi islamiche e duri trattamenti per le minoranze cristiane e sciite (o alauite). I gruppi radicali preferiscono la guerra santa alla Conferenza di pace. Nei giorni scorsi anche il Consiglio nazionale siriano si è mostrato perplesso sulla propria partecipazione.
In questi giorni, ministri di 11 nazioni degli "Amici della Siria" (Stati Uniti, Gran Bretagna, Egitto, Francia, Germania, Italia, Giordania, Qatar, Arabia saudita, Turchia, Emirati arabi) si stanno incontrando a Londra  per convincere gli oppositori di Assad a partecipare uniti alla conferenza che essi vedono come una transizione politica oltre il regime di Assad.

Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon è fra i più forti sostenitori della Conferenza di pace. Anche la Santa Sede desidera un incontro che raduni tutti gli interlocutori  locali, regionali e internazionali implicati nel conflitto siriano, senza alcun veto o esclusione. Lo scorso 6 settembre, mons. Dominique Mamberti, segretario per i rapporti con gli Stati, incontrando il corpo diplomatico presso la Santa Sede ha precisato alcune condizioni previe per il futuro della Siria: garantire l'unità del Paese; il rispetto delle minoranze (anche cristiane); piena cittadinanza a tutti i siriani, di qualunque religione; libertà di religione garantita; separazione dell'opposizione dall'estremismo islamico.

http://www.asianews.it/notizie-it/Rischia-di-naufragare-ancora-la-Conferenza-di-pace-sulla-Siria-29337.html

sabato 2 novembre 2013

Così l’Islam ha invaso l’Europa


Gli eventi drammatici della Siria, dopo quelli dell’Egitto e della Libia, offrono l’occasione per alcune considerazioni che vanno al di là dell’aspetto geo-politico del conflitto. 

RC n. 88 - Ottobre 2013
di Roberto de Mattei

Gli eventi drammatici della Siria, dopo quelli dell’Egitto e della Libia, offrono l’occasione per alcune considerazioni che vanno al di là dell’aspetto geo-politico del conflitto. Ciò che sullo sfondo soggiace è, viva e bruciante più che mai, la questione islamica. Una questione che riguarda non solo l’Asia e l’Africa, ma soprattutto l’Europa.

La conquista demografica e territoriale del nostro Continente da parte dell’Islam non accenna infatti a diminuire. I numeri delle statistiche sono più eloquenti delle parole. Secondo l’ultimo rapporto del Pew Research Center, l’Islam conta oggi in Europa 43 milioni e 490.000 seguaci. Il tasso d’incremento della popolazione musulmana risulta abbondantemente superiore al resto della popolazione europea e mondiale. Secondo l’istituto di ricerca, se il livello di crescita resterà inalterato, i musulmani rappresenteranno il 26,4 per cento della popolazione mondiale nell’anno 2030 calcolata in 8,3 miliardi. 
Ma ciò che colpisce di più è il numero delle Moschee e dei minareti, che spesso rimpiazzano luoghi di culto cattolici. Il numero dei musulmani praticanti è certamente inferiore a quello di coloro che non seguono alla lettera la legge del Corano, ma è comunque, in proporzione, più alto di quello dei praticanti cattolici. Gli immigrati di seconda o terza generazione smettono spesso di praticare la loro religione, ma non rinunciano alle loro radici identitarie. Sul piano sociologico l’Islam resta per essi un richiamo ben più forte di quanto non sia il Cristianesimo per gli occidentali. D’altra parte, mentre i governanti occidentali hanno imboccato la strada di un laicismo che si oppone frontalmente alla tradizione cristiana delle nostre Nazioni, l’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, che raccoglie 57 Paesi di religione musulmana, uniti dalla consapevolezza di appartenere ad un’unica comunità di credenti, promuove con tutti i mezzi l’identità islamica in Occidente. 

Lo scorso anno Soeren Kern, senior fellow del Gruppo di Studi Strategici per le Relazioni Transatlantiche di Madrid, ha pubblicato cifre impressionanti, documentando la trasformazione di luoghi di culto cristiani abbandonati in tutto il centro e nord d’Europa. In Inghilterra diecimila chiese sono state chiuse dal 1960, fra cui 8.000 chiese metodiste e 1.700 anglicane. Nel 2020 se ne prevede la chiusura di altre 4.000, mentre dall’altra parte ci sono 1.700 moschee molte delle quali in ex-chiese, 2.000 sale di preghiera e innumerevoli garages o magazzini trasformati in moschea.  Secondo i dati del Religious Trends nel Regno Unito, il numero dei frequentatori di chiese sta diminuendo a tale velocità che entro una generazione sarà tre volte inferiore a quello dei musulmani che vanno in moschea.

 In Germania la popolazione musulmana è aumentata da 50mila persone nei primi anni Ottanta a 4 milioni ed esistono circa 2.600 tra moschee e sale di preghiera. Invece 400 chiese cattoliche e 100 protestanti sono state chiuse. Non contenta delle moschee che proliferano sul suo territorio, la Germania vorrebbe imporle in Grecia, dove spinge per la costruzione di una mega-moschea ad Atene, a spese dello Stato. Finora però sono già andati a vuoto i tentativi di trovare una compagnia edilizia che si assuma l’incarico di costruire il tempio islamico, per il timore di minacce e intimidazioni da parte di gruppi identitari o di semplici cittadini residenti del quartiere ateniese di Votanikos, dove la moschea dovrebbe sorgere. 
Anche in Francia si costruisce un numero maggiore di moschee che di chiese cattoliche e ci sono più praticanti musulmani che cattolici. Il numero delle moschee e dei luoghi di culto è raddoppiato negli ultimi dieci anni superando le 2.000 unità, mentre la Chiesa cattolica continua a chiudere i suoi edifici sacri. 
Urfa (Turchia): la chiesa armena oggi

Intanto in Turchia prendono sempre più consistenza le voci sulla futura trasformazione della cattedrale di Santa Sofia di Istanbul, oggi museo, in moschea. Lo storico tempio della cristianità era stato già trasformato in moschea dopo la caduta di Costantinopoli (1453), ma con l’avvento della Repubblica Turca nel 1923 è divenuto un museo. Altre due ex-chiese, anch’esse dedicate a Santa Sofia, quella di Nicea (Iznik), sede del primo concilio ecumenico, e quella di Trabzon, sono già state di recente trasformate da musei in moschee.

La proliferazione delle moschee si accompagna all’espansione della finanza islamica in Occidente. Non a caso i fondatori delle banche islamiche sono teorici della conquista musulmana dell’Europa: Abul A’la Mawdudi (1903-1979) e Sayyed Qutb (1906-1966), ideologi dei Fratelli Musulmani.  Un recente rapporto della Banca Centrale Europea calcola che il valore internazionale degli asset gestiti con criteri finanziari islamici è passato dai 150 miliardi di dollari della metà degli anni ’90, a oltre 1.600 miliardi di fine 2012, con previsione di superare i 2.000 quest’anno. Nell’Unione europea, secondo la Bce, «la finanza islamica è ancora allo stato embrionale, ma una serie di fattori ne fanno immaginare un ulteriore sviluppo».
 
Alla testa di questo sviluppo sono l’Inghilterra, il primo Paese che ha permesso l’attività delle banche islamiche sul proprio territorio, la Germania, che partecipa all’industria finanziaria islamica in mezzo mondo, la Francia che, secondo la BCE, ha “dato un forte supporto” al processo di espansione, ma anche l’Italia dove la finanza islamica ha conosciuto una rapida ascesa. Gli esperti prevedono che le banche islamiche residenti in Italia raggiungeranno presto depositi  per 5,8 miliardi a fronte di ricavi previsti per 218,6 milioni nel 2015.   

Ma ciò che è più grave, in questa situazione, è il fatto che i governanti occidentali continuino ad appoggiare l’Islam fondamentalista, malgrado l’esito disastroso delle politiche finora attuate in Medio Oriente, soprattutto in occasione della cosiddetta “Primavera araba”. In quell’occasione gli Stati Uniti e l’Europa erano convinti che si potesse passare in maniera indolore dai regimi dittatoriali alla democrazia, e che ciò potesse avvenire con l’appoggio dei Fratelli Musulmani. Il risultato è stato l’ascesa dell’Islam radicale e l’esplosione di sanguinose divisioni interne al mondo musulmano. Oggi l’illusione di servirsi dei gruppi fondamentalisti per instaurare la democrazia continua e il presidente americano Barack Hussein Obama rappresenta il campione di questa politica, fondata sulla misconoscenza dell’Islam e su una visione distorta della democrazia.

In Siria, Obama si è schierato dalla parte dei fondamentalisti islamici, che comprendono i militanti musulmani europei di Jabhat Al Nusra (Fronte della vittoria), lo stesso gruppo che tre mesi fa ha esibito davanti alle telecamere le teste mozzate di tre “nemici dell’islam”, al grido di «Allah è grande». Il presidente Bashar el Assad, ritenuto affidabile dall’Occidente quando minacciava i cristiani maroniti, oggi che combatte contro i qaedisti, viene presentato come un mostro. Allo stesso modo, le Forze armate egiziane sarebbero state dalla parte della «democrazia» quando costrinsero Mubarak a dimettersi, mentre quando hanno costretto alle dimissioni Morsi si sarebbero schierate con la «dittatura». 

La confusione regna ed è peggiore del sangue che scorre. Criticare l’uso delle armi non è sufficiente. Bisognerebbe che, sull’esempio di San Francesco, che partì per l’Oriente per convertire il Sultano alla vera Fede, si levasse anche oggi una parola chiara, per ricordare l’incompatibilità tra l’Islam e il Cristianesimo e la necessità di un autentico confronto tra le due religioni. Ma la parola “conversione” ha ancora un senso per i cristiani?

http://www.radicicristiane.it/fondo.php/id/1848/ref/1/Così-l-islam-ha-invaso-l-Europa