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domenica 5 gennaio 2020

La pace del mondo in bilico dopo l'uccisione di Soleimani


Il nunzio apostolico in Iran, arcivescovo Leo Boccardi, dopo l’uccisione del generale Soleimani ha dichiarato in un’intervista a «VaticanNews» :
Tutto questo crea preoccupazione e ci dimostra quanto è difficile costruire e credere nella pace. La buona politica è al servizio della pace, tutta la comunità internazionale deve mettersi al servizio della pace, non soltanto nella regione ma nel mondo intero. Certamente, in queste ore, si respira una forte tensione in Iran. Ci sono state manifestazioni dove, dopo l’incredulità, si sono registrati violenza, dolore e protesta.
L’appello è quello di abbassare la tensione, chiamare tutti al negoziato e credere al dialogo sapendo, come la storia ci ha sempre insegnato, che la guerra e le armi non sono le soluzioni ai problemi che affliggono il mondo di oggi. Bisogna credere nel negoziato. Si deve credere nel dialogo. Bisogna rinunciare al conflitto e si deve “armarsi” con le altre armi che sono quelle della giustizia e della buona volontà.
Occorre continuare a prodigarsi e a portare all’attenzione della comunità internazionale la situazione del Medio Oriente. Una situazione che deve essere risolta e si devono chiamare tutti alla responsabilità diretta che abbiamo. Pacta sunt servanda, dice una regola importante della diplomazia. E le regole del diritto devono essere rispettate da tutti.”
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America contro tutti con l’uccisione del generale Soleimani

  di Gianandrea Gaiani

L’uccisione a Baghdad del comandante della divisione al-Quds dei pasdaran iraniani, il generale Qassem Soleimani, non costituisce solo l’ennesima esecuzione mirata effettuata dagli Stati Uniti ormai in ogni angolo del mondo, ma rappresenta un vero e proprio spartiacque tra Washington e il resto del mondo, alleati inclusi.
Poco importa se, sul piano tecnico-militare i due veicoli Suv polverizzati all’aeroporto di Baghdad siano stati colpiti dai missili Hellfire lanciati da un elicottero AH-64E o da un velivolo teleguidato MQ-9 Reaper.
Quel che conta in termini politico-strategici è che gli Stati Uniti hanno ucciso Soleimani e Abu Mahdi al-Muhandis (vice comandante delle Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie scite irachene filo-iraniane protagoniste della campagna vittoriosa contro lo Stato Islamico) come se si trattasse di capi talebani o di leader di milizie e gruppi terroristici qaedisti o dell’Isis.

Soleimani era un generale comandante di una forza governativa, cioè un’alta personalità dello Stato iraniano mentre al-Muhandis era un alto ufficiale di una milizia integrata nell’apparato militare dello Stato iracheno, lo stesso Stato che ha un accordo con Washington per ospitare forze statunitensi che certo non prevede vengano impiegate per colpire figure istituzionali oppure ospiti e amici dell’Iraq.
Non si tratta solo di ingerenza arbitraria ma di un raid effettuato dagli USA con velivoli decollati probabilmente dall’Iraq che hanno colpito a Baghdad personalità dello Stato iracheno e iraniano ritenute ostili da Washington che, come fa Ankara con i curdi, definisce “terroristi” tutti i suoi avversari inclusi gli iraniani.
Definizione improbabile tenuto conto del ruolo fondamentale ricoperto da pasdaran e milizie scite nello sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq e Siria.

L’enormità di quanto è accaduto a Baghdad non può essere sottovalutata anche in termini di rispetto della sovranità di uno Stato amico degli stati Uniti. Come reagiremmo se aerei statunitensi decollati da Aviano o Sigonella colpissero alti ufficiali italiani e di un paese amico di Roma bombardando i loro veicoli all’aeroporto di Fiumicino? Come definiremmo il raid di un drone iraniano che uccidesse con un missile a Baghdad un generale dei marines o delle special forces statunitensi? Senza dubbio lo definiremmo un atto di terrorismo.
E’ vero che gli iraniani erano presenti alla violenta manifestazione tenutasi davanti all’ambasciata americana a Baghdad ma quell’evento è stata una risposta non molto pacifica a un atto di guerra quale i raid aerei statunitensi su una base delle milizie scite irachene.

Certo, le tensioni tra statunitensi e milizie filo-iraniane in Iraq avevano messo da tempo a dura prova i rapporti tra Baghdad e Washington ma le pesanti ripercussioni dell’uccisione di Soleimani non sfuggono neppure ai vertici dell’Amministrazione Trump.
Il Pentagono ha subito tenuto a precisare che “per ordine del Presidente le forze armate hanno adottato misure difensive decisive per proteggere il personale americano all’estero uccidendo Qassem Soleimani”. Una dichiarazione che cerca di giustificare l’omicidio come un’azione difensiva attribuendo al tempo stesso la responsabilità a Trump.

Il segretario di Stato, Mike Pompeo, si è impegnato a spiegare ad amici e alleati le ragioni degli USA ma ha incassato un plauso solo da Gerusalemme (peraltro scontato) mentre ovunque dilagano scetticismo, sconcerto e condanne più o meno manifeste. Intanto i presidenti russo e francese discutono ormai sempre più apertamente su come contrastare la politica muscolare degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Di fronte agli scarsi risultati ottenuti dalla sua campagna in cerca di consenso e comprensione, Pompeo, ha pensato bene di bacchettare gli alleati europei (ancora !!) che, a suo giudizio, non sono stati “così disponibili” nel comprendere le ragioni che hanno spinto gli americani a uccidere Soleimani. “Ho parlato con i nostri partner nella regione del Medio Oriente per spiegare loro cosa stessimo facendo, perchè lo stessimo facendo, e per chiedere loro assistenza. Tutti sono stati fantastici. Ma le mie conversazioni con i nostri partner in altri luoghi non sono state altrettanto positive. Francamente, gli europei non sono stati così disponibili come avrei voluto che fossero. Gli inglesi, i francesi, i tedeschi, tutti devono capire ciò che hanno fatto gli americani, hanno salvato vite umane anche in Europa”.
Valutazione che ben spiega quale sia il concetto di alleanza con l’Europa della leadership statunitense, già peraltro ben evidenziato in passato.

Di fatto Washington (fin da prima dell’attuale amministrazione) ci dice da anni che dobbiamo accettare che i russi siano di nuovo “cattivi”, che dobbiamo spendere di più per la Difesa (ma comprando prodotti “made in USA”), che l’accordo sul nucleare con l’Iran andava abrogato (cin sanzioni economiche annesse) pur in assenza di violazioni da parte di Teheran e ora pretende di convincerci che se gli americani ammazzano chiunque desiderino e bombardano ovunque ritengano necessario in barba a ogni norma del diritto, lo fanno per il nostro bene.
Meglio metterlo in conto: con visioni così semplicistiche e supponenti i rapporti con gli USA saranno per tutti sempre più ardui e complicati mentre la pretesa di averci come vassalli plaudenti rende agli europei sempre più difficile essere amici e alleati degli Stati Uniti.

Difficile scongiurare l’escalation che l’uccisione di Soleimani con ogni probabilità finirà per generare, soprattutto in un Iraq già da tempo in preda a una profonda crisi interna che mina la residua credibilità delle istituzioni in mano agli sciti e rilancia, per l’ennesima volta dalla rimozione del regime di Saddam Hussein, il confronto tra sciti e sunniti.
L’Iran potrebbe rispondere presto all’uccisione di Soleimani in termini militari mentre Baghdad sarà con ogni probabilità costretta da pressioni da parte di molti partiti sciti e di Teheran a chiedere agli Stati Uniti di ritirare i circa 5mila militari presenti nel paese nell’ambito della Coalizione anti-Isis di cui fanno parte anche i contingenti alleati inclusi 900 militari italiani.
Soldati barricati nelle basi nel timore di trovarsi coinvolti in qualche rappresaglia, scambiati per americani, dopo il raid all’aeroporto di Baghdad circa il quale gli USA non avevano neppure informato gli alleati della coalizione.

L’aperta ostilità con l’Iran e il mondo scita, ufficializzata platealmente con l’uccisione di Soleimani, preoccupa Roma (che schiera soldati a Baghdad e Irbil ma anche in mezzo agli Hezbollah nel libano del Sud) ma anche le stesse monarchie del Golfo che vedono oggi ancor più concreto il rischio di una guerra con Teheran ma soprattutto devono oggi guardare con crescente diffidenza le forze militari statunitensi presenti sul loro territorio.
Forze che evidentemente Washington considera di poter impiegare senza limitazioni nonostante gli accordi sottoscritti. Un aspetto su cui necessariamente rifletteranno da oggi in tanti, in Medio Oriente come in Europa.
E’ ancora tollerabile per Baghdad e il mondo arabo che in queste ore i caccia statunitensi basati in Giordania, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti sorvolino liberamente l’Iraq per proteggere le proprie basi e, qualora lo ritenessero necessario, bombardino installazioni e milizie in territorio iracheno?
Queste forze statunitensi costituiscono ancora un elemento di stabilizzazione regionale o non sono al contrario strumenti per accentuarne una destabilizzazione? Una destabilizzazione che colpirebbe anche in termini petroliferi i paesi produttori e i principali consumatori, eccetto quelli già autosufficienti come gli Stati Uniti.
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Milioni di iraniani si uniscono per  la cerimonia di addio per il generale Soleimani e i suoi compagni

Secondo alcuni analisti l’uccisione così plateale di Soleimani ha l’obiettivo di ripristinare la deterrenza statunitense nel Golfo, per ammonire Teheran che gli USA sono sempre pronti a mordere le forze iraniane e dei suoi alleati quali Hezbollah o le milizie scite in Iraq. L’impressione è invece che l’attacco contro il leader dei pasdaran punti a far saltare i precari equilibri che tengono malamente insieme l’Iraq facendolo sprofondare nella guerra civile. Soleimani era un “obiettivo pagante” ma la sua eliminazione non costituisce nessun vantaggio: al suo posto è già stato nominato il suo vice, il generale Esmael Ghaani (nella foto sotto), che continuerà a guidare i pasdaran per garantire gli interessi dell’Iran oltre i confini nazionali.
Anzi, in un Iran diviso al suo interno dalla crescente insofferenza nei confronti del regime, la morte di un eroe nazionale così popolare come Suleimani aiuterà a cementare il patriottismo intorno al governo.

Ancora Mike Pompeo, subito dopo il raid ha annunciato su Twitter che si vedono iracheni in festa per strada dopo l’annuncio della morte del generale iraniano. “Gli iracheni danzano nelle strade per la libertà, grati che il generale Soleimani non c’è più”.
A esprimere tanta gioia erano però gli abitanti dei quartieri sunniti di Baghdad e del resto Soleimani ha guidato gran parte delle operazioni contro l’insorgenza sunnita accentrata intorno al Califfato: dalla difesa di Baghdad nell’estate del 2014 (gestita dai pasdaran) fino alla riconquista di tutto il nord e l’ovest dell’Iraq nonché di parte dell’Est siriano.
Difficile immaginare che il tweet di Pompeo fosse inconsapevole, tenuto conto che l’attuale segretario di Stato è stato al vertice della CIA, ma se dopo aver istituito la Coalizione anti Isis ora Washington punta ad alimentare il revanchismo sunnita (specie ora che l’Isis sta rialzando la testa) è evidente che l’obiettivo ultimo è la definitiva destabilizzazione dell’Iraq.
Un obiettivo funzionale, nella visione strategica degli USA, a interrompere la continuità geografica e strategica della “Mezzaluna scita” che si estende dall’Iran bagnato dall’Oceano Indiano e dalle acque del Golfo Persico fino alle coste del Libano meridionale sulle rive del Mediterraneo attraverso Iraq e Siria.
Un obiettivo certo non nuovo per gli USA che fino a ieri lo hanno perseguito cercando di interrompere questa continuità geografica con il controllo dei territori orientali siriani (in mano ai curdi sostenuti da militari statunitensi, francesi e britannici) ad altri ribelli appoggiati dalle forze USA in Giordania, nel settore di al-Tanf.

Nell’ottobre scorso l’intervento turco nel nord della Siria e il successivo accordo tra Ankara e Mosca hanno cambiato tutto mettendo fuori gioco gli statunitensi e permettendo a Damasco di riprendere il controllo dell’est del paese.
L’anello debole della “mezzaluna scita” su cui oggi Washington potrebbe far leva è quindi l’Iraq, sostenendo e alimentando l’insofferenza dei sunniti nei confronti del governo scita di Baghdad sostenuto dall’Iran e afflitto da sempre dai mali del settarismo e della corruzione.

giovedì 2 gennaio 2020

Viaggio ad Aleppo: la situazione attuale vista da Claude Zerez


Ho trascorso 18 giorni ad Aleppo a novembre. Ho incontrato vescovi, sacerdoti, famiglie e leader religiosi e umanitari.
Posso descrivere la situazione come l'ho vista:
  • La situazione delle nostre famiglie cristiane è drammatica: si soffre la mancanza di gas tanto che per avere una bombola di gas si resta ad aspettare in strada dalla sera alle 18:00 fino alle 10 del mattino seguente. Carenza di olio combustibile: ogni famiglia ha diritto a 100 litri e molti non l'hanno ricevuto. Carenza di pane: certi giorni devi rimanere in coda 5 ore per comprare il pane. Caduta della sterlina siriana a causa della crisi in Libano: prima della guerra 1 € era equivalente a 60 sterline siriane oggi ha superato le 1025 sterline siriane. Gli stipendi finora non sono cambiati troppo: lo stipendio medio di un dipendente è di 35.000 sterline siriane. Il chilo di carne costa 8.000 Lire Siriane. per vivere ogni famiglia ha bisogno di oltre 250.000 L.S. al mese. La maggior parte delle organizzazioni benefiche (Caritas, Oeuvre d'Orient ...) non possono più aiutare perché i loro soldi sono bloccati nelle banche libanesi. E senza dimenticare le sanzioni.
  • Un grosso problema collettivo colpisce la società siriana a causa della fuga dei giovani soprattutto per sottrarsi al servizio militare che dura più di 9 anni e inoltre tutti gli uomini anche sposati dai 18 ai 42 anni devono tornare al servizio come riservisti. Questo ha creato un altro problema sociale perchè abbiamo troppe ragazze e matrimoni molto rari, senza dimenticare i tristi casi in cui le nostre ragazze si prostituiscono per sopravvivere. Non possiamo tacere la grande corruzione di certi funzionari, commercianti …
  • Gran parte dei vescovi ha interrotto gli aiuti mensili alle famiglie. Le famiglie cristiane e musulmane si interrogano sul fatto che si stanno spendendo ingenti somme per ripristinare i luoghi di culto quando le famiglie non sanno come sopravvivere. La chiesa delle anime non è più importante della chiesa di pietra?
  • Ma bisogna altresì riconoscere che ci sono associazioni come i Maristi Blu e i Vescovi che coprono i costi di operazioni e medicine. Allo stesso modo sono fioriti gemellaggi tra le parrocchie italiane e francesi con le parrocchie di Aleppo, tra cui Padre Alessandro italiano e Padre Bruno francese, che inviano aiuti alle parrocchie armene e melkite; e giungono aiuti da russi e armeni agli ortodossi … 
  • La situazione politica è molto cupa e complicata soprattutto nel nord, dove turchi, iraniani, russi, americani, francesi si affrontano per il petrolio, senza dimenticare il ruolo dei paesi del Golfo che ancora finanziano le armi. E come dimenticare le 420.000 vittime e lo sfollamento di 14 milioni di siriani?
  • Considerando tutto questo, temo che un giorno i cristiani avranno lo stesso destino degli ebrei siriani, vale a dire che spariranno. Prima della guerra Aleppo aveva più di 150.000 fedeli cristiani, oggi non supera i 28.000 cristiani. Ciò farà scomparire questa peculiare convivenza islamo-cristiana. I cristiani d'Oriente sono rimasti per secoli un ponte di convivialità e dialogo con le varie comunità confessionali ed etniche ... Questa esperienza può essere un modello da applicare in Europa nei conflitti sociali e culturali con i musulmani in Europa. 
  • Ciò che mi ha profondamente toccato è stata la fede dei nostri cristiani che è cresciuta molto e si vede dal fatto che le chiese sono piene. Grande povertà e grande spiritualità. Così i sacerdoti lavorano intensamente con i loro parrocchiani: ne ho visto un esempio commovente nella creazione nella parrocchia di San Dimitri di un laboratorio per paramenti sacerdotali dove lavorano donne vedove. Allo stesso modo ho incontrato giovani volontari che collaborano con i sacerdoti in tutte le aree. Sono stato commosso nel vedere incontri cristiani e musulmani per celebrare insieme il Natale ovunque ad Aleppo e in Siria, con le corali di Damasco, Aleppo, Homs, la Valle dei Cristiani e dei siriaci nel Nord a Qamichli e Hassakè …
  • Sono stato anche commosso nel rivedere i miei vecchi amici musulmani che mi hanno implorato di tornare in Siria perché ribadivano che noi siamo il vero volto della Siria di tolleranza e storia vissuta per millenni.
Prima di finire invito tutti i nostri cristiani in Europa a pregare per i loro confratelli cristiani in Oriente e a non dimenticare le loro radici cristiane; vi chiedo di non scordare le parole di Papa Giovanni Paolo II: "la Chiesa ha un cuore con due polmoni: la Chiesa orientale e la Chiesa occidentale ". Se un polmone muore la Chiesa diventa menomata.

Buon Natale e Felice Anno Nuovo 2020
Claude Zerez  
    cristiano siriano di Aleppo rifugiato in Francia con la moglie e i due figli

domenica 29 dicembre 2019

La ballerina: telefonata a un rifugiato siriano

La danza della nipote tredicenne di Majd Abboud.
Per otto anni, una guerra per un cambio di regime promossa dall'Occidente e dagli alleati regionali ha imperversato in Siria. Ma la cultura della nazione non è dominata solo dalla violenza... alcuni siriani addirittura danzano il balletto, come la nipote di Majd Abboud.
Alla fine del 2015, il dentista siriano Majd Abboud è fuggito in Germania. All'inizio di quest'anno, ha destato attenzione una sua lettera aperta al cancelliere Angela Merkel. Abboud in precedenza si era distinto per le sue critiche alla politica tedesca sui rifugiati, la cui pretesa di integrazione spesso falliva a causa del fatto che molti rifugiati siriani non erano disposti a integrarsi. Nel commovente dialogo che segue, Majd Abboud riporta i suoi pensieri durante una telefonata con sua nipote, che vive ancora in Siria dove lei danza.
      di Majd Abboud
La tua voce arriva sul mio telefono da un mondo familiare; mi ridesta dal mio letargo come un raggio di luce; una mano tesa, come le notizie dalla Siria in questi giorni, promettente e piena di speranza. Il mio Paese diventa di nuovo uno, vivere insieme è di nuovo possibile.
"Zio, quando sarà finita la guerra?"
Penso: quando le persone smetteranno di odiarsi. Se fossero meno egoiste, meno sature di ideologie. Se si fossero riconciliate con la loro umanità.
Cos'è questo per un mondo in cui i nostri figli devono crescere? Quando ero bambino, l'anno finiva dopo le solenni festività in cui ricevevo regali. Ho festeggiato il Natale con una parte della mia famiglia, mentre la "festa dello zucchero e del sacrificio" con l'altra parte.
Non vedo l'ora che arrivi San Silvestro, quando celebreremo il nuovo anno con tutta la famiglia. Un giorno speciale, anche per mio padre. Con una faccia ridente e una lunga barba bianca, lui e la sua grande borsa piena di doni uscivano dal suo negozio, attraversava i vecchi vicoli, diffondendo gioia in tutta l'area. Anni prima della guerra chiuse gli occhi e si addormentò in pace. Gli fu risparmiata la sofferenza della guerra.
Le dico: "Presto, amore mio, presto."
Le sto dicendo questo da anni. Mi crede ancora ?!
"Oh, l'inverno è tornato, qui si è fatto piuttosto freddo e l'elettricità è sempre interrotta. Per questo, raramente riesco ad ascoltare musica. Perché gli altri ci odiano così tanto?"
Tuttavia, l'elettricità non viene a mancare solo nelle aree distrutte, ma anche in alcuni cervelli. La mente è annerita dall'odio, il cuore è divorato dall'ostilità.
"Conosci la mia migliore amica Hiba? È sempre triste, le manca suo padre. Anche a Sahra mancano i suoi cugini. Ma torneranno quando la guerra sarà finita."
Il padre di Hiba fu rapito dai ribelli a Homs all'inizio della guerra. Per la sua liberazione fu richiesta una grande somma. E in effetti la famiglia lo ha riavuto indietro, ma solo a pezzi, e il video della sua decapitazione è stato pubblicato su Internet. Quando i ribelli hanno catturato la città operaia di Adra, lo zio di Sahra ha sparato alla sua famiglia e poi si è ucciso per salvare la famiglia dalla schiavitù e dallo stupro. A Sahra non è mai stata detta la verità perché era troppo piccola, così sta ancora aspettando che i suoi cugini tornino.
Le persone che sono andate via con la guerra non torneranno mai più. Hanno lasciato vuoti dolorosi nelle famiglie e nella coscienza di questo mondo. Khaled, l'archeologo; Samir, il postino; Nidal, l'agricoltore la cui moglie era da poco incinta; Mohammed Ramadan, l'Imam assassinato nella moschea. Tutto ciò che rimane di loro sono i murales e i loro posti vuoti a tavola. I loro nomi saranno le campane del lutto nei nostri ricordi per gli anni a venire.
Improvvisamente ho immagini di bambini, bambini a Idlib, reclutati da terroristi, bambini che fuggono dal terrore in Siria, bambini che muoiono di fame nella guerra nello Yemen.
Se solo potessi cambiare qualcosa al riguardo! Darei qualsiasi cosa per questo! Ma ho perso quasi tutto con la guerra.

Affondo nell'impotenza.

La sua voce mi riporta indietro: "Ci sei?"

Le dico solo: "Nessuno può odiarti, piccola mia."

Ride e il mio cuore palpita più velocemente.

"L'Europa è bella, zio?"
"Sì, lo è, ma non è bella come te, piccola."
Ride di nuovo e rende il mondo più bello.
"Zio, gli europei ci odiano? Ho sentito papà dire che sostengono i terroristi, che ci perseguitano."
Penso che dovresti sempre distinguere tra la politica e le persone.
Gli Europei sono intrappolati nella loro ruota da criceto. Alcuni sono troppo impegnati con se stessi per preoccuparsi di noi. Alcuni sono ossessionati dalla ricerca di denaro, quindi non hanno tempo di preoccuparsi di nient'altro. Alcune persone pensano di essere superiori a noi e vogliono fare regole per noi. Alcuni sono troppo oppressi dalla loro storia. Alcuni pensano: la Siria! Oh, è molto lontano...
Abbiamo commesso l'errore quando è scoppiata la guerra in Afghanistan e successivamente ai nostri confini in Iraq. Pensavamo di essere al sicuro. La guerra è come una brutta malattia. Pensi che possa accadere solo agli altri.
Le dico: "Non ci odiano: semplicemente non ci conoscono così bene".
"Beh, ci conosceranno tramite te, zio. Raccontagli di noi."
"Questo è quello che sto cercando di fare, piccola. Ho anche incontrato molte persone meravigliose qui."
"Un giorno voglio venire in Europa e conoscerli."
L'Europa è stata a lungo apprezzata da noi in Siria. Ma oggi l'Europa delle operazioni militari non è più quella degli anni '70. Fai un grosso errore quando idealizzi gli europei, perché ti aspetti troppo da loro. Possono anche essere manipolati e innomorarsi della propaganda. In Europa, in particolare, l'inganno è grande, perché gli Europei sono un importante gruppo bersaglio della macchina da guerra.
Quattro anni fa, ho percorso una strada faticosa per lasciare il male alle spalle e purtroppo ho scoperto quanto siano diffusi i suoi amici e sostenitori. Ora sono seduto da solo nella mia stanza e non ho la forza di lottare contro di esso. Sono stanco, mi sdraio.
La sua voce interrompe di nuovo i miei pensieri:
"Adesso devo andare a ballare! Abbi cura di te! La mamma è preoccupata per te, dice: Il mondo non è sicuro."
La piccola, balla in punta di piedi mentre il mondo balla su una pista rovente.
Le notizie riportano: "Ci sono ancora 50 bombe atomiche statunitensi conservate da Erdoğan."
Attenta a te piccola, il pianeta è costellato da esplosivi.
Una brezza fredda e piacevole passa attraverso la finestra semiaperta; smaltisce lentamente il calore dal mio corpo sfinito, mi induce a dormire e promette pace alla mia anima. Ma prima di chiudere gli occhi, mi raccolgo e penso a qualcosa. Risolverò tutto per te.
Ho una macchina del tempo, l'ho rimessa indietro di otto anni. Abbiamo appena ricevuto un pacchetto splendidamente decorato che contiene la terza guerra mondiale.
Mi dico: no grazie, non ci lasciamo prendere per stupidi. Vi dipingo una faccia ridente e lo rispedisco dove era stato confezionato: a Londra , a Washington , a Riyad , ad Ankara e Tel Aviv .
Chiudo la porta e li guardo da lontano mentre esplodono di rabbia.
Ora andrà tutto bene.
Buona notte, piccola.
 Traduzione Gb.P.  Fonte:  https://de.rt.com/21ut

mercoledì 25 dicembre 2019

Aleppo, un altro Natale con la guerra alle porte

Con che animo celebreranno il Natale quest'anno i cattolici rimasti ad Aleppo e in Siria nonostante tutto? Ce lo spiega il vescovo cattolico di rito latino, monsignor Georges Abou Khazen, (francescano della Custodia di Terra Santa nato in Libano 72 anni fa) che svolge da Aleppo il suo ministero di vicario apostolico per i cattolici di rito latino che vivono in Siria.
    Intervista di Terrasanta.net

Monsignor Abou Khazen che Natale sarà quello che Aleppo si appresta a vivere?  Che Natale sarà… Noi speriamo sempre bene. Il Natale ci ispira moltissimo. È la festa della speranza, innanzitutto, e della pace. Della pace interiore, ma anche della pace in tutta la Siria. Speriamo che la situazione migliori, perché nel corso dell’ultimo mese è andata peggiorando. Ad Aleppo, nelle settimane scorse, sono ripresi i bombardamenti alla cieca su alcuni quartieri, a spese della popolazione civile. Gli ordigni partono dalla zona di Idlib e dalla periferia occidentale di Aleppo. In quell’area i militari turchi hanno messo un punto di osservazione e l’esercito siriano esita a contrattaccare, per non innescare uno scontro diretto con le forze turche. D’altronde molti gruppi jihadisti hanno agganci con la Turchia. Questa nuova fase ha provocato varie vittime in città: settimane fa abbiamo contato 7 morti in un solo giorno. Un altro giorno sono morti una madre e i suoi due bimbi; l’indomani i bambini uccisi sono stati 5…

Aleppo ha risentito dell’avanzata delle truppe turche nel nord est della Siria?  Certamente. Molte fabbriche stavano riprendendo le attività, ma ora è tutto si è fermato di nuovo e ciò influisce sulla disoccupazione e su tanti altri aspetti. Noi con i turchi ottomani abbiamo una lunga storia, che non è stata sempre felice. Nell’area di Afrin (a nord ovest di Aleppo – ndr), che hanno occupato (nel gennaio 2018 – ndr), hanno allontanato i curdi rimpiazzandoli con gruppi più omogenei alle loro prospettive. Nel nord-est della Siria, nella Mesopotamia, non ci sono solo curdi, ma anche, nella grande maggioranza, cristiani assiri, caldei, armeni e così via. Quei cristiani sono figli e nipoti di gente massacrata dagli ottomani tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del secolo scorso. Potete immaginare la paura di queste persone quando vedono i turchi avvicinarsi. Sono migliaia e migliaia le persone in fuga, molte volte senza portare nulla con sé, solo per sfuggire alla morte. Nelle case questa gente conservava ancora le fotografie dei genitori, nonni e bisnonni che furono ammazzati dai turchi. Purtroppo, sta succedendo una sorta di pulizia etnica: allontanato i curdi, stanno sostituendoli con altri gruppi, tra i quali turcomanni o i musulmani uiguri della Cina.
Gli sfollati che avevano parenti ad Aleppo sono arrivati in città, altri sono finite in campi profughi. A noi dispiace, perché gli americani hanno montato la testa a questi poveri curdi e poi li hanno venduti. Gli americani hanno occupato tutti i campi di petrolio e di gas. Prima il governo otteneva qualcosa tramite i curdi (petrolio e gas); ora qualsiasi autocisterna si avvicini viene bombardata dagli americani.

Quali notizie avete dall’area di Idlib?  Anche lì la situazione è molto confusa. L’area è ancora assediata. Vi si accede solo dalla Turchia. C’è sì un transito ancora accessibile ai civili, ma da lì servono 28 ore per arrivare ad Aleppo e non sempre il passaggio è aperto. I bombardamenti aerei continuano. Nella sacca restano molti profughi, sospinti lì da altre zone.

Ad Aleppo, negli ultimi anni, lei ha dato impulso al progetto Un nome, un futuro per sostenere i minori rimasti orfani e in difficoltà a causa della guerra. Come procede l’esperienza?  Il progetto sta andando avanti. Devo ringraziare Dio e anche i nostri benefattori. Sono grato anche al muftì Mahmoud Akkam che, con la sua collaborazione, ci dà una copertura morale. I ragazzi vivono in quartieri poverissimi, tutti distrutti. Non c’è nessun cristiano tra di loro. L’avallo del mufti è importante per noi, e ci mette al riparo dalle accuse di proselitismo. L’abbiamo portato a vedere il nostro lavoro e si è molto commosso.
Di che fascia d’età sono i ragazzi che accompagnate?  Parliamo di bambini piccoli, dai 3-4 anni, su su fino ai 17enni. I più grandi, quando è cominciata la guerra, avevano già 6-7 anni e i loro genitori sono morti. Abbiamo avviato anche un programma di alfabetizzazione, soprattutto per le mamme. Stiamo anche aiutando le mamme di alcuni di questi bambini ad imparare un mestiere perché possano guadagnare qualcosa. L’équipe è mista, ne fanno parte cristiani e musulmani. Lavorare fianco a fianco è un’esperienza positiva per la convivenza civile, è un mattone per costruire la Siria del futuro. Ringraziamo Dio.
Dove vivono questi minori?  Alcuni di loro continuano a vivere negli appartamenti distrutti; altri abitano con lontani parenti. L’islam non ammette l’adozione, ed io ho chiesto con insistenza al muftì di trovare una via d’uscita. Lui ha studiato la sharia e ha visto che è praticabile una forma di semi-adozione: i parenti dichiarano che il figlio non è loro; non potrà ereditare, anche se potrà usare il cognome di famiglia che dovrà lasciare al compimento dei 18 anni. Già così è una bellissima cosa. Molte famiglie si rendono disponibili.

Lei è vescovo di tutti i cattolici di rito latino in Siria. Oltre ai francescani, quali altre espressioni di solidarietà sono messe in campo da parte della Chiesa in Siria?  I Maristi Blu stanno facendo un ottimo lavoro, nel loro centro e nei campi profughi. C’è poi l’azione del Jesuit Refugee Service e della Caritas. La Chiesa è molto presente. Mostriamo quello che c’è di più bello nel cristianesimo: l’amore, la carità verso tutti i bisognosi. Cerchiamo di essere un riflesso del volto di Dio amore; di Dio che ama tutti i suoi figli, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa. I nostri concittadini musulmani stanno scoprendo questo e ci dicono: «Ci state insegnando la carità». Per i musulmani è, in qualche misura, una scoperta nuova, benché anch’essi conoscano l’elemosina verso chi è povero, soprattutto nel mese di Ramadan. All’inizio ci guardavano con un po’ di sospetto, ma da quando hanno compreso che agiamo così perché gli vogliamo bene, le cose stanno cambiando. Tanto è vero che ci dicono: «Non ci lasciate», perché hanno scoperto il nostro modo di vivere e la possibilità di vivere in pace fra tutti quanti. La volontà di non escludere nessuno crea un ambiente molto confortevole.
Non voglio dimenticare la presenza di molte congregazioni religiose che fanno riferimento al vicariato apostolico, in quanto congregazioni di rito latino. Stanno facendo un bel lavoro di assistenza e, soprattutto, di sostegno psicologico. Aiutano anche le parrocchie di altre Chiese e non solo le nostre. Alcuni di questi istituti ricevono e trasmettono la solidarietà concreta dei cristiani del resto del mondo. Altri restano tra la gente e fanno quello che possono con la loro presenza. Credo che sia molto. Ringraziamo Dio perché in Siria la Chiesa è stata sempre presente. Nessuno ha lasciato, nonostante il pericolo: né vescovi, né parroci, né religiosi o religiose. Sei dei nostri sacerdoti sono stati uccisi, altri sei (inclusi due vescovi ortodossi di Aleppo) sono stati rapiti e non ne abbiamo più notizie. Nonostante tutto siamo rimasti, e per la gente questo è stato un grande segno di incoraggiamento e di speranza.

La Chiesa ha sempre sostenuto quanto sia importante che i cristiani restino in Medio Oriente e in Siria. Chi era fuggito dalla guerra sta tornando o è ancora presto?  Alcuni degli sfollati interni stanno tornando alle loro case e alle loro terre, ma chi è espatriato ancora non rientra. A riguardo ho qualche punto interrogativo: ad esempio, chi è stato assistito dalle Nazioni Unite non può rientrare prima di cinque anni. L’ho fatto osservare a qualche funzionario dell’Onu: bisogna aiutare i profughi a rientrare nel loro Paese, non a restarne lontano. È chiaro che, dopo cinque anni, se uno ha trovato lavoro, non è invogliato a lasciarlo [per tornare nell’incertezza]. In cinque anni, i figli crescono e vanno a scuola… Anche questo rende meno agevole il ritorno.

Come vanno le cose nella capitale Damasco?   Lì la situazione è molto più tranquilla, ma purtroppo bisogna fare i conti con l’inflazione. Il cambio con il dollaro prima della guerra era 48 lire siriane, più o meno. Ora supera le 900. L’euro che era a 50 lire ora è a 1.000. Gli stipendi sono rimasti invariati e quindi non bastano a fronteggiare il caro-vita. La ricostruzione è stata avviata – qua e là – ma purtroppo, come dicevo, abbiamo le sanzioni che colpiscono la povera gente. Molti beni sono razionati. Faccio qualche esempio: ogni famiglia può avere una bombola di gas da cucina ogni 23 giorni; di benzina se ne possono ottenere 100 litri al mese. Procurarsi il gasolio è ancora più difficile. Chiediamo che le sanzioni internazionali contro la Siria siano rimosse. Dal nostro punto di vista sono un crimine.

domenica 22 dicembre 2019

"La felicità a portata di mani che la possono abbracciare..." Ecco il paradiso

Nel cuore della basilica di Santa Maria Maggiore, conservate in un reliquiario di fine Settecento, ci sono cinque fragili assicelle di legno d’acero rosso. Si trovano lì da circa millequattrocento anni, cioè dall’epoca in cui si fa risalire il loro arrivo a Roma, durante il pontificato di Teodoro I (642-649), nativo di Gerusalemme. Duemila anni fa le piccole travi, davanti alle quali ogni giorno si inginocchiano a recitare una preghiera fedeli di tutto il mondo, erano incrociate e inchiodate fra di loro in modo che potessero sostenere il lieve peso di una culla di terracotta in uso in quei tempi in Palestina: secondo la tradizione esse sono proprio le reliquie della mangiatoia di Betlemme in cui Maria depose Gesù bambino dopo averlo avvolto nelle fasce (cfr. Lc 2, 7). 
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Ebbene, una particella di quegli antichi legni d’acero è appena tornata a Betlemme, in Palestina, dopo secoli di soggiorno a Santa Maria Maggiore, la “Betlemme di Roma” fatta edificare da Sisto III sul colle Esquilino. Il frammento della Sacra Culla donato da Papa Francesco alla Custodia di Terra Santa, è arrivato a Gerusalemme lo scorso 29 novembre e ha raggiunto il paese natale di Gesù nella prima domenica di Avvento. Il cardinale Stanisław Ryłko, arciprete di Santa Maria Maggiore, in un messaggio riportato pubblicamente dal nunzio apostolico in Gerusalemme e Palestina, l'arcivescovo Leopoldo Girelli, ha sottolineato come Papa Francesco accompagni questo dono «con la sua benedizione e con il fervido augurio» che la venerazione permetta ai fedeli di «accogliere con rinnovato fervore di fede e di amore il mistero che ha cambiato il corso della storia». 
Così, i pellegrini e i francescani della Custodia di Terra Santa — che sull’Altare della Mangiatoia della basilica betlemita della Natività celebrano la Messa due volte al giorno — potranno pregare di fronte al frammento della culla in cui, per usare le parole di san Tommaso nella Summa Theologiae, trovò dimora terrena la felicità degli uomini: «Ad hunc finem beatitudinis homines reducuntur per humanitatem Christi», gli uomini sono ricondotti al loro destino di felicità attraverso l’umanità di Cristo. In fondo, si può dire che proprio all’umanità di Cristo sia dedicata Santa Maria Maggiore, costruita a conclusione del concilio di Efeso, che nel 431 riconobbe Maria “madre di Dio” (Theotókos). Papa Sisto III fece realizzare all’interno della basilica una riproduzione della Grotta della Natività, facendola adornare con i frammenti provenienti dal paesino di nascita di Gesù portati a Roma dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa. 
Poi, a partire dal VII secolo, cioè da quando diede alloggio alle memorie più importanti dell’infanzia del Signore, la basilica incominciò a essere chiamata Sancta Maria ad Praesepe. Qui è sotto gli occhi di tutti l’umiltà di «Colui che», come scriveva Henri De Lubac, «infinito nel seno del Padre, si racchiude nel seno della Vergine o si riduce alle proporzioni di un bambino nella stalla di Betlemme». Umiltà testimoniata da quei poveri pezzi di legno in cui vagì per la prima volta la felicità dell’uomo: «Duemila anni fa», osservava il sacerdote ambrosiano don Giacomo Tantardini, «la felicità è venuta: ecco il paradiso. La felicità è venuta: non più promessa, non più indicata come termine del cammino umano. La felicità è venuta, il paradiso è venuto. È venuto nella carne così che fosse visto, così che fosse toccato, così che fosse abbracciato. Così che Agostino potesse dire: “Io sapevo che la felicità era Dio, ma non godevo di Te” — perché non si gode del sapere, si gode quando si è abbracciati. “Non godevo di Te finché umile non abbracciai il mio umile Dio Gesù” (Confessiones VII, 18, 24) […] Non Dio destino lontano, ma Dio fatto bambino, piccolissimo bambino: così il paradiso, la felicità è venuta incontro, si è fatta vicina, si è fatta a portata di occhi, a portata di cuore, a portata delle mani che la possono abbracciare. Il paradiso in terra è Lui» (G. Tantardini, L’umanità di Cristo è la nostra felicità, Roma 2011). 
Le reliquie della sacra culla si trovano nella Confessione della basilica, sotto l’altare maggiore, e sotto lo sguardo di Maria e Gesù, raffigurati nello stupendo mosaico dell’abside. 
Carlo Ossola ha spiegato come Dante abbia visto, restandone abbacinato, «il più grande trionfo di Maria che l’ultimo Medioevo le abbia consacrato: proprio poco prima dell’anno del Giubileo del 1300 (e del pellegrinaggio di Dante in Roma nell’anno ch’egli dichiara incipitario della sua Commedia) vennero ultimati i mosaici absidali di Jacopo Torriti in Santa Maria Maggiore con quel trionfale elogio dell’umano che è l’Incoronazione di Maria, sotto la quale, in asse, è raffigurato Gesù che porta teneramente tra le braccia l’animula di Maria, che confidente si posa come un’infante sul petto del Figlio». 
Così, anche da quell’immagine, scaturirono i versi iniziali del XXXIII canto della terza cantica dantesca: «Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d'etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo Fattore / non disdegnò di farsi sua fattura». Insomma: ecco il Paradiso.
                                                                             di Paolo Mattei

Auguri di Santo Natale 
nella gratitudine al Dio che ha voluto partecipare nella sua carne alla storia dell'umanità 
Ora pro Siria 

venerdì 20 dicembre 2019

La Germania sta diventando il centro del jihadismo


di Sonja van den Ende, giornalista indipendente
15 Dicembre 2019
[traduzione in italiano di Gb.P.]
Dal 2015, dopo la cosiddetta "crisi dei rifugiati", la quantità di jihadisti o islamisti in Germania è in aumento. Vorrei sottolineare che questa non è la mia opinione, né il mio punto di vista. Non sto parlando per le cosiddette sinistra o destra, ma semplicemente per offrire dei fatti, secondo le mie ricerche qui in Germania e le statistiche di diverse agenzie tedesche "Bundes Kriminal Ambt (BKA)". Le cifre e gli attacchi terroristici e le minacce dal 2015 sono aumentate, la dottrina salafita ha influenzato il pensiero dei migranti di origine musulmana in Germania, come i gruppi turchi, siriani e palestinesi.
Alcuni gruppi islamisti in Germania
Ansar al-Asir (Sostenitori dei Prigionieri): un gruppo di difesa dei diritti dei prigionieri, è un'organizzazione salafita che agisce per conto dei prigionieri musulmani , la maggior parte dei quali sono jihadisti e terroristi, detenuti in Germania e all'estero. Il gruppo è attivo tra gli stessi detenuti, che propagandano la loro versione dell'Islam. Il sito web del gruppo fornisce informazioni sui prigionieri e sui modi in cui i lettori possono sostenere la loro causa mettendo sotto pressione lo Stato e così via.
Die Wahre Religion (DWR) : Ibrahim Abu Naji , uno dei suoi leader più importanti con sede a Colonia, è stato accusato di incitamento all'odio e incitamento alla violenza. Un certo numero di persone all'interno e intorno al gruppo sono finite nelle fila dell'ISIS. Nel novembre 2016 l' organizzazione è stata proibita dalla legge, ma esiste ancora, presumo, sotterranea in tutta la Germania e ancora attiva.
Rete Abu Waala: guidata da un iracheno di trentaquattro anni chiamato Abu-Walaa , il cui vero nome è Ahmed Abdulaziz Abdullah Abdullah, questa rete salafita ha sede a Dortmund, Hildesheim e Salzgitter nel Niedersachsen ed è forse la principale fonte di reclutamento dell'ISIS e la divisione operativa in Germania. Secondo le informazioni (BKA), il figlio maggiore della famiglia (fratello di Abu Walaa), che vive a Hildesheim, aveva anche contatti con il "Circolo Islamico Tedesco", ora vietato, intorno al predicatore di odio (suo fratello) Abu Walaa. Il predicatore, che viene dall'Iraq (con la sua famiglia), è ancora sotto processo a Celle con altri quattro presunti islamisti. Si dice che abbiano reclutato giovani come combattenti per l'ISIS. La famiglia è stata estradata lo scorso novembre (2019), composta da genitori, due figli, due figlie e un nipote, quindi non sono più a Berlino secondo il BKA. Il BKA non ha però fornito informazioni sulla sua nuova posizione.
La Turchia ha annunciato a novembre che diversi tedeschi, sospetti sostenitori della organizzazione terroristica "Stato islamico" (IS), erano stati espulsi a novembre. Tuttavia, l'arrivo di due donne è stato annunciato alle autorità tedesche a novembre. Secondo le informazioni della BKA, una di queste è una donna nata nel 1998 che è riuscita a fuggire dal campo di prigionia di Al-Hol in Siria, che era sorvegliato dai Curdi. L'ultima volta che è stata segnalata era nella città turca di Gaziantep sotto custodia, in attesa dell'espulsione. Inoltre, una nativa di Hannover dovrebbe essere stata messa sull'aereo. Si dice che sia fuggita verso la Turchia dal campo di prigionia siriano Ain-Issa, che da allora è stato sciolto. Queste due donne appartengono alla rete di Abu Walaa.
Dal 2015, un milione di richiedenti asilo è arrivato in Germania. Già allora, le autorità tedesche avevano avvertito il governo e la cancelliera Angela Merkel che i richiedenti asilo sono a rischio di radicalizzazione, in particolare dai già esistenti gruppi jihadisti nazionali, come menzionato sopra. Attualmente, le stime indicano che ci sono circa 12.000 jihadisti residenti, ma il numero è ovviamente molto più grande a causa dell'afflusso di richiedenti asilo, che proviene principalmente dalla Siria.
Tuttavia, nel 2015, l'ISIS ha rubato molti passaporti e documenti siriani "vuoti" razziando edifici governativi in Siria, ma anche in Iraq. I documenti sono stati poi venduti ai cosiddetti ribelli "addestrati" nei campi profughi in Giordania e Turchia, quindi tutte le "nazionalità" avrebbero potuto acquistare questi documenti e dire alle autorità tedesche che erano rifugiati siriani "in fuga dal dittatore Assad".
Inoltre, l'ISIS ha riferito molte volte (sul propri siti Web) di aver utilizzato rotte migratorie per contrabbandare combattenti in Germania reclutati come richiedenti asilo (provenienti da tutto il Medio Oriente e dall'Africa). Il loro viaggio è in parte sponsorizzato dall'ISIS.
Al giorno d'oggi, quando cammini per la strada in Germania, senti l'atmosfera del Medio Oriente e dell'Africa. Il sentimento tedesco è sparito, il "Mercatino di Natale" viene chiamato "Mercatino d'inverno". La maggior parte dei tedeschi indigeni vive nelle città in propri quartieri sicuri, con le proprie scuole private e crede ancora alla fiaba dei rifugiati in cui i cosiddetti dittatori e regimi perseguitano la propria gente. In aggiunta, un problema sono gli islamisti del Caucaso , uno dei quali è stato ucciso e ha causato il conflitto con la Russia. L'omicidio del terrorista ceceno ha provocato l'espulsione di funzionari dell'ambasciata russa da Berlino e la Russia ha fatto lo stesso con alcuni funzionari dell'ambasciata tedesca.
http://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=1214&

mercoledì 18 dicembre 2019

Continuare a testimoniare l’amore pietoso di Cristo alla Siria: Frati francescani che rimangono nella guerra


Padre Firas Lutfi è siriano, francescano di Terra Santa, ministro della Regione San Paolo che comprende oltre la Siria, il Libano e la Giordania. Nonostante la guerra, è rimasto in Siria, con la sua gente. A Vatican News, racconta nove anni di violenze, di distruzione e di morte. E come oggi aiuta i bambini a ritrovare il sorriso
di Silvonei Protz
   A guardare le televisioni, ascoltare la radio o leggere i giornali, sembra che la guerra sia finita in Siria. I media non ne parlano più, o quasi. Questo rimpiange padre Firas Lutfi, francescano di Terra Santa, ma soprattutto siriano in Siria. Ci tiene molto, perché nel suo paese è rimasto per tutti gli anni della guerra. “E’ vero che in alcune zone sono cessati i combattimenti - dice - però dobbiamo tenere conto di una realtà: la guerra è durata nove anni. C’è stata una massiccia distruzione, case demolite, quartieri interamente in rovina, chiese che necessitano di un intervento per la ricostruzione... Metà della popolazione, parliamo di 23 milioni prima della guerra, non c’è più, tra morti, profughi e sfollati”.
Così padre Firas descrive l’attuale situazione del suo paese, dove la vita è molto difficile. Demografia e economia in ginocchio. I giovani sono andati via. Bambini e donne, che siano quelli rimasti o quelli che oggi vivono nei campi profughi, soffrono di profondi traumi psicologici. Le sanzioni economiche, l’embargo “che l’Occidente purtroppo continua a rinnovare contro la Siria, pensando di colpire i responsabili della guerra” colpiscono in realtà la gente normale, gli innocenti, i bambini e i più poveri. Quindi attualmente è una lotta per la sopravvivenza, contro la povertà. Padre Firas vede intorno a sé una grande desolazione anche se gran parte del territorio è stato liberato dai jihadisti “venuti da tutte le parti del mondo, da più di 60 nazioni”. Gli ultimi fondamentalisti si sono raggruppati nella zona di idlib, l’ultima roccaforte. “Sono stranieri indesiderati nei loro Paesi di origine che non vogliono più farli rientrare”. L’analisi del francescano gela: “La guerra in Siria purtroppo è diventata oggetto di troppi interessi internazionali. Non è più una lotta contro un regime, non è più una lotta per una democrazia, per la libertà di parola, di coscienza, ma è una guerra internazionale che vede coinvolti i russi, gli americani, gli europei e anche l’Iran, la Turchia e i Paesi del Golfo, ciascuno con i suoi alleati”. Questa guerra, padre Firas, la chiama anche “tsunami”, perché ha spazzolato tutto. “La Siria continua ancora a sanguinare”, dichiara con gli occhi lucidi. Aspetta la salvezza, ovvero, l’intervento di persone sagge che si mettono a programmare la pace. Recentemente, un giovane gli diceva di non più avere la forza per combattere, per lottare. Che non viveva, ma sopravviveva senza nemmeno osare alzare lo sguardo verso l’orizzonte.

Alla ricerca di soluzioni

Come chiesa, come francescano, Padre Firas non si è mai rassegnato. Certo, in alcuni momenti sembrava che tutto crollasse e che non ci fosse nulla da fare. Ma non può un cuore francescano, abbandonare. Allora si è messo a cercare possibili soluzioni. “Come fare par aiutare la mia gente?” si è chiesto tante volte. Già faceva tanto la comunità francescana mondiale. Grazie alla solidarietà, grazie anche a tanti benefattori, si sono potuto distribuire pacchi alimentari e dell’acqua potabile, perché in guerra spesso, è la prima cosa che viene crudelmente a mancare. Ma sono anche stati distribuiti soldi per finanziare micro progetti, per aiutare giovani sposini a fare i primi passi e costruire una famiglia. “Questi progetti sono testimonianze che il Signore dà e continua a dare”.

Accanto a questo dramma, a questa tragedia, padre Firas ha toccato con mano la presenza di Dio in maniera magnifica, e la Chiesa è stata sempre accanto al popolo sofferente. Alcuni pastori, sotto la pressione continua della guerra hanno dovuto andarsene, però, la maggioranza, i vescovi, sacerdoti e tanti ordini religiosi hanno deciso di restare in Siria. E cita come esempio due dei suoi compagni francescani che oggi vivono nel nord, nella zona vicina al confine con la Turchia, a pochi passi da Antiochia, la famosa e storica Antiochia: “Loro vivono sotto il controllo non del regime di Assad ma dei jihadisti. E cosa fanno lì? Stanno a custodire il piccolo gregge dei cristiani rimasti”. Con i due religiosi, ci sono circa 200 cristiani che portano non solo nel loro DNA il cristianesimo, ma che anche sopportano le sofferenze per portare avanti una presenza concreta, storica, di tutto il patrimonio cristiano di 2000 anni ad Antiochia dove, per la prima volta, i cristiani hanno preso il nome dignitoso di “seguaci di Cristo”.
Oggi ancora, nonostante le mille difficoltà, stanno lì, accanto a questi due frati francescani della Custodia di Terra Santa, per continuare a testimoniare l’amore di Cristo, tenero, misericordioso, pietoso verso questo piccolo gregge.
 Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica
Padre Firas Lutfi e i bambini del progetto Arte terapeutica

Rivedere un sorriso sul viso dei bambini

Sono in corso due progetti per i bambini della Siria. Uno, nella città di Aleppo, dove padre Firas ha vissuto durante la guerra. Il progetto si chiama «arte terapeutica». Dietro questa denominazione c’è una intera squadra di persone e specialisti che fa il possibile per aiutare i bambini a riprendersi dal quel trauma psicologico che li ha toccati profondamente. Così ne parla il francescano: «Si tratta di un grande centro dove c’è la musica, lo sport, il nuoto. Abbiamo provveduto a una bella piscina perché durante la guerra non potevano giocare, uscire di casa, studiare, per la paura di essere uccisi».  
Nel corso dell’estate in mille hanno frequentato il centro: il personale e gli psicologi hanno cercato di aiutare questi bambini a trovare un senso profondo per la loro vita e la loro esistenza.
Esiste anche un altro progetto molto interessante. «Ad Aleppo est vivono e vivevano solo musulmani.» Inizia così la descrizione di padre Firas. «Durante la guerra la loro terra è stata occupata dai jihadisti, quindi li hanno maltrattati, le donne sono state violentate, i bambini massacrati... I bambini hanno visto tutte le scene drammatiche delle gole tagliate e dei maltrattamenti ad opera dei fanatici». Successivamente, racconta dei matrimoni più o meno forzati di jihadisti con donne siriane e dei bambini nati da queste unioni, la cui esistenza non è ufficiale. Non esiste una registrazione all’anagrafe. Sono lì, fisicamente in vita, ma giuridicamente inesistenti. Quando, nel 2017 i jihadisti hanno lasciato Aleppo, la situazione trovata da padre Firas era terrificante: «Bambini di 4 o 5 anni che vivono con la mamma o a volte con la nonna perché i genitori non ci sono più. Alcuni sono abbandonati a loro stessi e alla sorte. Non hanno mai frequentato la scuola. Per non parlare del dramma psicologico e dell’accumulo di paure, di terrore, che hanno subito durante i combattimenti».
  Sono stati creati due centri che ospitano ciascuno 500 bambini e bambine dai 3,4 anni fino a 16 anni. Ed è stato esteso il programma che già era in atto nel suo convento, il collegio Terre Sainte ad Aleppo. Il sacerdote francescano tiene a sottolineare che i due centri nascono da un’amicizia con il mondo musulmano: «Il mufti di Aleppo è un nostro carissimo amico – spiega - e con il vescovo vicario apostolico della comunità latina della Siria, è nata una grande amicizia prima e, soprattutto, durante la guerra. Quindi un primo frutto è stato una stretta collaborazione per salvare l’innocenza di questi bambini».
  Questo progetto, questa collaborazione con i musulmani, ha un forte significato per padre Firas. Dimostra la possibilità di dare un senso alla vita, un senso profondo, un senso all’esistenza e dimostra che non è mai troppo tardi per agire e fare del bene. E aggiunge: «Il dialogo non si fa solo intorno a un tavolo ma si fa lavorando insieme, mano nella mano, cuore a cuore. E lì nasce la vera ricostruzione della Siria che verrà nel tempo. Può darsi che ci vogliano 30, 50 anni, ma la vera ricostruzione non nasce dai mattoni ma dalla ricostruzione dell’uomo, dell’umano dentro di noi».

La Siria come missione

Quando si chiede a padre Firas perché è rimasto in Siria, risponde in questo modo: «Perché sì, perché sono francescano, credente e quando il Signore mi ha creato lì, è stato per una missione, per essere il Suo volto, le Sue braccia, le Sue gambe che portano l’annuncio, la tenerezza e la misericordia di Dio».
E’ stato «chiamato», padre Firas, chiamato da Dio per vivere la realtà, anche drammatica, della «sua» Siria. Il suo «sì» all’esistenza è un «sì» motivato e convinto che lo sostiene nel superamento delle difficoltà. In Siria, ogni giorno si soffre e si muore. E così conclude: «E’ esattamente come il chicco di grano: se non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto, come dice Gesù nel Vangelo».

lunedì 16 dicembre 2019

A 3 anni dalla liberazione di Aleppo, testimonianze per non dimenticare.


Nell'anniversario dell'uscita dei miliziani jihadisti da Aleppo Est, proponiamo un articolo di Eva Bartlett, del 29 novembre 2016, che documenta la realtà toccata direttamente durante il suo viaggio e raccoglie le toccanti voci degli abitanti della città: 'Vivevamo in sicurezza e in pace. Queste aree vengono prese di mira, vogliono costringerci ad andarcene. Ogni siriano viene preso di mira", racconta un leader religioso siriano alla delegazione di giornalisti che aveva visitato Aleppo all'inizio di quel mese. 
Per comprendere cosa ha vissuto la popolazione di Aleppo per anni sotto la minaccia dei "ribelli moderati combattenti per la libertà dal regime", come qui si usa chiamarli...    OraproSiria 

Ad Aleppo, ribelli appoggiati dagli USA e dai sauditi hanno preso di mira "ogni siriano"

di Eva Bartlett, 29 novembre 2016
traduzione di Gb.P. , OraproSiria
ALEPPO- All'inizio di novembre, Fares Shehabi, un membro del parlamento siriano di Aleppo, ha organizzato un viaggio ad Aleppo per 13 giornalisti occidentali, inclusa me stessa, con la sicurezza fornita dalle forze dell'Esercito Arabo Siriano. Mentre io avevo fatto un viaggio indipendente ad Aleppo nei mesi di luglio e agosto scorsi, per molti altri membri della delegazione questa era la loro prima visita alla città o la loro prima visita dall'inizio della guerra in Siria nel 2011.
Nelle precedenti visite ad Aleppo, ho incontrato la "Aleppo Medical Association" e ho visto un ospedale di maternità colpito due volte da attacchi di razzi e mortai da parte di militanti di Jaysh al-Fatah (l'Armata della Conquista), un coacervo di gruppi terroristici antigovernativi. Ho incontrato membri di un ramo della Difesa Civile Siriana e leader religiosi cristiani e musulmani. Appena a nord della città, ho visitato Nubl e Zahraa, città assediate per più di tre anni dall'Esercito Libero (FSA o ESL), dal fronte Al Nusra e da altre fazioni terroristiche ad esse affiliate, prima che l'Esercito Arabo Siriano (SAA) le cacciasse nel febbraio di quest'anno. Ho visto la regione liberata di Bani Zaid e il distretto industriale di al-Layramoun. Ho interagito con civili in parchi pubblici, strade e mercati.
Prima del mio viaggio all'inizio di questo mese, ero interessata a vedere cosa avesse potuto cambiare in seguito alla liberazione di ancora più aree da parte del SAA. Speravo anche di parlare con i civili che erano fuggiti dalle aree terroristiche dei distretti orientali di Aleppo dall'ultima volta che li avevo visitati, quando erano stati istituiti otto corridoi umanitari per civili e membri di fazioni terroristiche disposti a rinunciare alle loro armi o ad accettare di passare in sicurezza verso le aree di Idlib e zone riprese dal governo di Aleppo Ovest. Tuttavia, il 4 novembre, nessuno era fuggito dalle aree controllate dai terroristi ad Aleppo. I familiari di civili che sono ancora lì affermano che i loro cari vengono usati come scudi umani da gruppi come il Fronte Al Nusra, Ahrar al-Sham o Nour al-Din al-Zenki - i cosiddetti "ribelli moderati" e "forze dell'opposizione" sostenuti da Stati Uniti, NATO, Israele e alleati del Golfo come l'Arabia Saudita e il Qatar.
Ritorno ad Aleppo
Syrian citizens gather at the scene where two blasts exploded in the pro-government neighborhood of Zahraa, in Homs province, Syria, Sunday, Feb. 21, 2016. Two blasts in the central Syrian city of Homs killed more than a dozen people and injured many others in a wave of violence. (SANA via AP)
Cittadini siriani si radunano sulla scena in cui sono avvenute due esplosioni nel quartiere filo-governativo di Zahraa, nella provincia di Homs, in Siria, domenica 21 febbraio 2016. Due esplosioni nella città siriana centrale di Homs hanno ucciso più di una dozzina di persone e feriti molti altri in un'ondata di violenza. (SANA tramite AP)
Da Damasco, l'autobus ha viaggiato lungo strade lisce e asfaltate fino a Homs, dove abbiamo superato l'ingresso di Zahraa, un quartiere colpito più volte da autobombe terroristiche e suicide . Uscendo da Homs, abbiamo proseguito verso est lungo una strada stretta per circa un'ora, fino a raggiungere la strada Ithriya-Khanasser e l'ultima tappa del viaggio verso Aleppo.
Sebbene la strada Ithriya-Khanasser fosse fiancheggiata da molte carcasse di autobus e automobili, attaccati principalmente da Da'esh (acronimo equivalente di ISIS, ISIL o Stato Islamico per gli occidentali) negli ultimi anni, e sebbene Da'esh continui a insinuarsi di notte in molti tratti della strada per piazzarvi mine, il nostro viaggio è stato senza incidenti.
Quando avevo raggiunto il sobborgo sud-orientale di Ramouseh a luglio, ero in taxi. L'autista accellerava attraversando il sobborgo, temendo i cecchini di Al Nusra presenti a meno di un chilometro di distanza. Lo aveva percorso per almeno 500 metri accelerando attraverso punti rischiosi e facendo "slalom" dentro e fuori da una valle obiettivo preferito dai bombardamenti terroristici, raggiungendo infine un checkpoint dell' Esercito Arabo Siriano (SAA) prima di entrare nella Grande Aleppo. La 'Castello Road' era il solo mezzo per entrare ad Aleppo in agosto. La strada, che corre nella parte settentrionale della città, era stata recentemente messa in sicurezza ma ancora minacciata dai bombardamenti terroristici.
Ramouseh è stata nuovamente resa sicura prima della nostra visita di novembre e divenuta di nuovo la via principale per entrare ad Aleppo. A novembre abbiamo viaggiato in autobus, scortati dalla sicurezza, e la minaccia dei cecchini era stata indebolita dai progressi del SAA negli ultimi mesi. Sopra le barriere dal cecchino fatte di barili e sacchi di sabbia, avevo una visione più chiara verso il distretto di Sheikh Saeed - aree che le fazioni terroristiche avevano occupato a lungo e da cui tenevano sotto tiro e bombardavano Ramouseh.
Una delle nostre prime tappe è stata la sede della Camera dell'Industria di Aleppo, dove il deputato Shehabi ha documentato il sistematico saccheggio delle fabbriche di Aleppo. Secondo Shehabi, delle 70.000 piccole e grandi imprese e fabbriche che una volta prosperavano ad Aleppo, solo circa la metà è sopravvissuta a quella sistematica distruzione e sventramento delle officine. Delle circa 35.000 attività che ora operano ad Aleppo, ha stimato che solo circa 7000 sono fabbriche e che operano con una capacità del 15%.
Shehabi ha detto che la Camera ha prove fotografiche e video dei furti nelle fabbriche. Ha poi continuato: “Abbiamo documentato il trasferimento delle nostre attrezzature pesanti, apparecchiature di produzione, come generatori di energia, come macchine tessili. Queste sono pesanti, non qualcosa che puoi contrabbandare facilmente. Queste hanno viaggiato in autostrada, sotto il controllo della polizia turca. Linee di produzione rubate... come puoi consentire a delle linee di produzione rubate di entrare nel tuo paese senza documenti? ".
La Camera, insieme ad altre associazioni industriali siriane, nel 2013 ha intentato un'azione legale contro il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan presso i tribunali europei, chiedendo i danni. Quella causa ed altre avviate dalle autorità siriane accusano Erdoğan non solo di ospitare i terroristi, ma di consentire e persino facilitare loro di entrare in Siria per distruggere o disassemblare le fabbriche e tornare in Turchia con macchinari e hardware rubati.
Nessuno di questi procedimenti giudiziari è stato risolto e Shehabi descrive la causa della Camera come "a ostacoli". Shehabi è stato tra i quattro uomini d'affari più importanti di Aleppo ad essere stato colpito dalle sanzioni dell'UE nel 2011 . Queste sanzioni, ha affermato il parlamentare, rappresentano un ostacolo che impedisce una risoluzione equa.
La Camera ora sta funzionando in una villa in affitto, poiché l'edificio storico che ospitava la Camera dell'Industria nella Città Vecchia è stato distrutto il 27 aprile 2014, quando le cariche esplosive sono stati fatti esplodere in un tunnel sotterraneo. Shehabi ha dichiarato di essere andato in onda sulla televisione nazionale siriana, chiedendo ai governi di imporre un boicottaggio commerciale della Turchia, circa due settimane prima dell'attacco. "Non hanno bombardato l'edificio accanto, c'era solo una guardia di sicurezza all'interno [nessun personale militare], e non era in prima linea, quindi perché bombardarlo?" chiede, esternando il suo sospetto che la Camera fosse stata deliberatamente presa di mira a causa dell'azione legale che stava intraprendendo contro Erdoğan.
La prigione sotterranea del FSA ad al-Layramoun
Passiamo attraverso l'ingresso riccamente intagliato di un edificio nel distretto industriale di al-Layramoun che un tempo ospitava una fabbrica di tinture. Più recentemente, tuttavia, è stato utilizzato come base dalla 16a divisione dell'Esercito Siriano Libero (ESL o FSA). In una stanza interna, ho notato una scheda per cellulare 4G di Turkcell, il principale operatore di telefonia mobile in Turchia. Negli edifici vicini si vedono sacchi di materiali utilizzati per far detonare gli esplosivi inseriti nelle bombole di gas e dello scaldabagno, comunemente chiamati Inferno 1 e Inferno 2, dei quali il secondo può causare danni significativamente maggiori, come distruggere l'intero piano di una casa. C'erano anche frammenti di metallo, che venivano aggiunti agli esplosivi per infliggere il massimo danno. Un'altra stanza conteneva una catasta di trucioli che uno dei soldati siriani che ci accompagnava diceva che veniva usato per comprimere gli esplosivi delle bombe fatte con le bombole di gas che l'Esercito Siriano Libero e altri gruppi terroristici sparano sui quartieri della grande Aleppo.
Quando ci avviciniamo alla strada occupata dal Fronte Al Nusra che porta verso Daher Abed Rabbo, i soldati del SAA ci consigliano di correre, non di camminare.
Appena oltre quella strada, bunkerato tre piani sottoterra, la prigione da incubo improvvisata dell'Esercito Siriano Libero per i prigionieri del SAA, non è stata toccata dalle bombe che infliggono i danni in superficie. Questi attacchi [governativi] colpiscono i terroristi che sparano contro i civili di Aleppo e si ritirano sottoterra subito dopo. Al-Layramoun e Bani Zaid mostrano lo stesso paesaggio di edifici in rovina che si trovano in aree in cui i militanti si sono rifugiati in profondità. Vedendo la distruzione, alcuni degli altri giornalisti della nostra delegazione menzionano solo i danni fisici agli edifici. "Gli edifici sono stati distrutti da attacchi aerei", ha scritto uno, puntando un dito incriminante contro il Governo siriano, senza dar conto dei motivi sul perché queste aree siano state martellate.
La vera vergogna non è in realtà la distruzione fisica degli edifici, ma l'incursione in questi distretti da parte di terroristi sostenuti dall'Occidente, tra cui l'Esercito Siriano Libero, il fronte Al Nusra e Da'esh, tra gli altri. Quasi sei anni dopo l'inutile spargimento di sangue, i loro atti criminali e selvaggi contro civili e soldati siriani sono ben documentati. Ed è risaputo che si rannicchiano nei bunker sotterranei per evitare attacchi aerei. Le soffocanti nove celle di isolamento improvvisate in metallo dell' ESL e le tre stanze usate come normali celle nel bunker sotterraneo della prigione di al-Layramoun sono tutte intatte nonostante i bombardamenti aerei. Gli edifici sono devastati sulla superficie a causa della presenza di militanti nelle profondità sotterranee, dove gli attacchi aerei infliggono danni considerevolmente minori.
18 morti il 3 novembre per attacchi terroristici
Nel pomeriggio del 3 novembre, dopo l'incontro con il Dr. Mohammed Batikh, direttore dell'ospedale Al-Razi, le vittime di attacchi terroristici di poche ore prima hanno iniziato ad arrivare uno dopo l'altro, mutilati e gravemente feriti. I bombardamenti di veicoli e il bombardamento con missili Grad, tra gli altri attacchi, hanno causato la morte di 18 persone e oltre 200 feriti, ci ha detto il dott. Zaher Hajo, capo del reparto di medicina legale dell'ospedale Al-Razi.
I corridoi e il reparto di emergenza dell'ospedale Al-Razi, uno dei due ospedali statali di Aleppo, si sono rapidamente intasati con i feriti e i familiari costernati. In un affollato corridoio interno, uno dei feriti urlava di dolore: “Ya, Allah! Ya, Allah!". In un altro corridoio, un ragazzo di 15 anni con una protesi a una gamba e bende in testa, ha detto che l'attacco con mortaio che lo ha ferito ha ucciso un suo cugino di 4 anni e causato gravi lesioni a un altro cugino di 6 anni.
In una stanza di fronte, una madre gemeva per suo figlio che aveva subito gravi ferite. Urlava e supplicava che qualcuno lo salvasse, il suo unico figlio! Non molto tempo dopo, però, è arrivata la notizia funesta: il 26enne era morto. Suo figlio, un medico, non è stato il primo medico a morire nei bombardamenti di routine dei terroristi sui quartieri di Aleppo. Il dott. Nabil Antaki, gastroenterologo di Aleppo, che ho incontrato durante i miei viaggi ad Aleppo in luglio e agosto, mi ha mandato un messaggio a ottobre riguardo al suo amico e collega, il dottor Omar, che è stato ferito il 6 ottobre quando le fazioni terroristiche hanno scatenato un attacco su Jamiliye Street, uccidendo 10 persone. Pochi giorni dopo l'attacco, anche il dottor Omar è morto.
All'obitorio dietro l'ospedale Al-Razi il 3 novembre, inconsolabili membri delle famiglie stavano appoggiati al muro o seduti sul marciapiede, dopo aver appreso della morte dei propri cari.
Un ragazzo di 14 anni era stato lì il 2 novembre, quando suo padre era stato ucciso. Il 3 novembre è tornato quando sua madre è stata uccisa. Entrambi i genitori di questo ragazzo sono morti, entrambi uccisi in attacchi terroristici nel quartiere New Aleppo della città. Un uomo ha parlato di un nipote di 10 anni che è stato colpito alla testa da un cecchino terrorista mentre il ragazzo era sul tetto. Una donna e i suoi figli stavano appoggiati a una ringhiera di ferro vicino alla porta dell'obitorio, piangendo per la morte del marito, del loro padre, che era stato ucciso mentre parcheggiava l'auto. Quando è arrivata la madre dell'uomo, questa ha avuto un collasso, urlando di dolore.
E nel mezzo di tutto ciò, di tutte queste donne e bambini, un'auto è arrivata all'obitorio con il corpo di un'altra vittima degli attacchi terroristici di quel giorno: Mohammed Majd Darwish, 74 anni. La parte superiore del suo corpo era così insanguinata che non era chiaro se fosse stato decapitato.
Vicino all'obitorio, Bashir Shehadeh, un uomo sulla quarantina, ha detto che la sua famiglia era già stata spostata da Jisr al-Shughour, una città nella provincia di Idlib. Ora sua madre, alcuni dei suoi amici e suo cugino sono stati uccisi dai bombardamenti delle fazioni terroristiche. Ha detto che ne aveva abbastanza e ha chiesto al SAA di eliminare la minaccia terroristica.
Il dott. Batikh di Al-Razi ha detto che un ospedale privato, Al-Rajaa, è stato colpito da un attacco di mortaio. "Ora non possono eseguire operazioni, la sala operatoria è fuori servizio."
Uno degli attacchi più importanti agli ospedali è stato il bombardamento con doppio camion del dicembre 2013 dell'ospedale Al-Kindi , il più grande e miglior ospedale per la cura del cancro in Medio Oriente. In precedenza ho riferito di altri attacchi agli ospedali di Aleppo, incluso l'attacco missilistico del 3 maggio che ha sventrato Al-Dabeet, un ospedale di maternità, uccidendo tre donne. Il 10 settembre, il dottor Antaki mi ha inviato un messaggio: “Ieri un missile, tirato dai terroristi, ha colpito un'ospedale di maternità ad Aleppo in Muhafazat Street. Due persone che lavorano in ospedale sono rimaste ferite. Nessun morto, ma il punto è che è un ospedale ed è stato colpito da un razzo."
Il dott. Batikh e il dott. Mazen Rahmoun, vicedirettore di Al-Razi, hanno detto che l'ospedale una volta aveva 68 ambulanze, ma ora ne sono rimaste solo sei. Il resto, dicono, sono state o rubate dalle fazioni terroristiche o distrutte.
I medici di Aleppo continuano a curare l'afflusso quotidiano di pazienti feriti e malati nonostante la carenza di ambulanze e gli effetti delle sanzioni occidentali che comportano una mancanza di attrezzature mediche, parti di ricambio e medicine per malattie critiche come il cancro.
Secondo il capo della medicina legale dell'ospedale, il dottor Hajo, negli ultimi cinque anni, 10.750 civili sono stati uccisi ad Aleppo, il 40% dei quali erano donne e bambini. Solo nell'ultimo anno, 328 bambini sono stati uccisi dai bombardamenti terroristici ad Aleppo e 45 bambini sono stati uccisi da cecchini islamisti.
Incroci umanitari: bombardamento di Castello Road
Less than 100 metres away, the second of two mortars fired by terrorist factions less than 1 km from Castello Road on Nov. 4. The road and humanitarian corridor were targeted at least six times that day by terrorist factions. Nov. 4, 2016. (Photo: Eva Bartlett)
A meno di 100 metri di distanza, il secondo dei due mortai sparati da fazioni terroristiche a meno di 1 km da Castello Road il 4 novembre. La strada e il corridoio umanitario sono stati colpiti almeno sei volte quel giorno da fazioni terroristiche. 4 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
Il 4 novembre, prima del nostro arrivo alle 9:30 all'incrocio di Bustan al-Qasr e fino alla nostra partenza, un'ora dopo, nessuno era stato in grado di attraversare l'area appena oltre l'incrocio, che è occupato dai militanti di Jaysh al-Fatah.
Due settimane prima del nostro arrivo, i giornalisti avevano riferito che fazioni terroristiche avevano bombardato pesantemente l'incrocio e le aree circostanti a partire dal mattino presto. Un generale siriano all'incrocio ha confermato che i bombardamenti erano avvenuti il 20 ottobre, aggiungendo che tre agenti di polizia erano stati feriti. Un giornalista della delegazione ha chiesto al generale cosa avrebbe risposto ai civili siriani come Bashir Shehadeh, il quale ha richiesto che il SAA eliminasse le fazioni terroristiche. "Dobbiamo essere pazienti, perché i civili non sono in grado di andarsene, non sono colpevoli", ha risposto il generale. "Non ci comportiamo come fanno i terroristi."
Per quanto riguarda il decreto di amnistia emesso dal presidente Bashar Assad alla fine di luglio, il generale ha spiegato che i terroristi che vogliono ottenere l'amnistia potrebbero deporre le armi. Coloro che scelgono di andare a Idlib otterrebbero un passaggio sicuro dal governo e dall'esercito siriani, in coordinamento con la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa.
Secondo il generale, quando due militanti arrivarono all'incrocio di Bustan al-Qasr circa due mesi fa, si arresero e furono amnistiati. Cinque mesi fa, ha detto, 12 civili feriti hanno attraversato lì, sono stati curati negli ospedali di Aleppo e poi sono tornati alle loro case nella parte orientale controllata dai terroristi.
All'attraversamento umanitario di Castello Road, i grandi autobus verdi che si diceva evacuassero i militanti dalle aree dell'est Aleppo nelle ultime settimane erano di nuovo lì, in attesa di imbarcarne altri. Dieci ambulanze, tre autobus e 14 minivan sono stati messi in fila in previsione dell'arrivo di civili o militanti che cercavano di lasciare aree occupate da terroristi, sia per un passaggio sicuro altrove o per stabilirsi in aree protette dal governo di Aleppo.
Ten ambulances wait at the Castello Road crossing to treat anyone exiting via the humanitarian corridors established by the Syrian government and Russia, including militants who lay down their arms. Nov. 4, 2016. (Photo: Eva Bartlett)
Dieci ambulanze aspettano all'incrocio di Castello Road per curare chiunque esca attraverso i corridoi umanitari istituiti dal governo siriano e dalla Russia, compresi i militanti che depongono le armi. 4 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
George Sire, 25 anni, anestesista presso il Salloum Hospital di Aleppo, era uno dei volontari che arrivarono all'incrocio con cinque delle ambulanze dell'ospedale privato, su richiesta del governo siriano.
Quando ho chiesto a un comandante siriano del perché permettere a uomini che avevano usato le armi contro civili e soldati siriani di deporre le armi e di riconciliarsi, ha risposto che sono figli del Paese e li ha esortati a riconciliarsi.
Intorno alle 13:30 il primo proiettile è caduto, colpendo vicino a Castello Road. Circa 10 minuti dopo, mentre stavo facendo l'intervista, un secondo colpo, questa volta considerevolmente più vicino, (entro 100 metri) è esploso vicino abbastanza, infatti, da creare una nuvola di fumo scuro sulla strada. Ciò ha spinto la sicurezza ad allontanarmi dalla strada e allontanare la nostra delegazione dall'incrocio. In seguito ho appreso che altri cinque proiettili hanno colpito l'attraversamento, ferendo un giornalista siriano e due soldati russi.
Nessuno ha passato questo e alcuno degli altri sette corridoi umanitari quel giorno.
Sfollati dai terroristi
Per circa quattro anni, semplici rifugi nella moschea Hafez al-Assad hanno ospitato circa 1.000 persone, tutte famiglie sunnite sfollate dalle aree occupate dai militanti.
La maggior parte di quelli con cui ho parlato ha elencato uguali ragioni per lasciare le proprie case e ha descritto di aver paura per la propria vita a causa della presenza terroristica.
Sono venuti e hanno distrutto case e ucciso civili, prima ancora di attaccare lo Stato. L'esercito ci sta proteggendo, mentre sono le bande quelle che stanno distruggendo il paese ", mi ha detto un uomo. Ha detto che i suoi due fratelli nelle aree controllate dal terrorismo ad Aleppo orientale "non sono autorizzati a partire". Ci hanno provato molte volte ma sono stati sempre intercettati. Se i gruppi armati vedono qualcuno che trasporta bagagli, lo arrestano immediatamente. "
Lui e altri al rifugio si sono lamentati del fatto che, secondo i loro familiari, le fazioni terroristiche detengono e controllano qualsiasi cibo all'interno delle aree che occupano.
Come altrove in città, il rifugio e l'area immediatamente circostante la moschea vengono abitualmente colpiti con mortai e proiettili esplosivi. Un uomo più anziano mi ha portato dietro un angolo, indicando un punto in cui ha detto che un uomo di 29 anni è stato ucciso da un proiettile esplosivo sparato dal terrorista. “Era in piedi qui. Aveva lo stomaco aperto ", mi racconta.
La città vecchia: la vita tra le rovine
Il piccolo autobus che trasporta una dozzina di giornalisti e un soldato molto attento delle forze speciali, Ali, ad un certo punto si inchioda improvvisamente davanti alla Città Vecchia. Un cecchino è appostato alla nostra sinistra, in un'area occupata da fazioni terroristiche a circa 500 metri di distanza, ci vien detto.
Dopo essere entrati nella Città Vecchia e aver attraversato una strada protetta dal fuoco del cecchino da un terrapieno di terra e uno schermo di metallo, a volte l'unico mezzo per proseguire nella Città Vecchia è passare dai buchi dei muri bombardati che collegavano gli edifici. Attraversando gli edifici, abbiamo evitato i cecchini che sono pronti a sparare a chiunque si muova per strada.
Dall'altra parte della stradina, uno shock di verde colpisce la vista per il netto contrasto con i toni grigi della distruzione creati da anni di combattimenti contro il peggior terrorismo che il mondo abbia mai conosciuto. Rami, un soldato siriano di Banias, spiega che aveva piantato erbe e cipolle verdi qui come faceva quando in passato era stato dislocato lungo la strada del deserto Ithriya-Khanasser. Il dolce sorriso e il comportamento gentile di Rami nascondono la sua perdita personale: un fratello ucciso mentre prestava servizio nel SAA.
Mentre camminiamo attraverso le aree della Città Vecchia di Aleppo protette dal governo, ci siamo imbattuti in un unico venditore, Mahmoud. Vendeva strumenti musicali arabi tradizionali, ma le circostanze lo hanno costretto ad abbandonare quell'attività a favore della vendita di beni di consumo basilari a circa 25 clienti al giorno. Rifiuta di lasciare la Città Vecchia, anche se si trova a circa 200 metri dal Fronte di Al Nusra e da altri militanti del Jaysh al-Fatah. "Sono una persona normale", dice Mahmoud. "Quelli hanno distrutto tutto."
Attraversando negozi devastati uno dopo l'altro e passando sotto gli aggraziati archi dei mercati coperti, tipici delle antiche città siriane, il deputato Fares Shehabi fa notare:
Vedete i soffitti anneriti? È da quando i terroristi si sono ritirati. Accesero il fuoco per bloccare l'avanzata dell'esercito siriano e anche per nascondere il loro saccheggio. Non possono accusare l'esercito di aver bombardato qui, il tetto è intatto. "
Uscendo da questa particolare area del mercato, arriviamo a un'area sabbiosa, parzialmente nascosta ai cecchini. Ci danno l'ordine severo di non andare avanti: la famosa cittadella di Aleppo è più avanti, e alla sinistra e alla destra della nostra posizione presso il distrutto Carlton Hotel, i cecchini terroristici stanno aspettando.
Quando i terroristi hanno fatto esplodere grandi quantità di esplosivi nei tunnel sotto il Carlton Hotel nel maggio 2014, il Col. Abu Majed ci ha detto che "tutto Aleppo lo ha sentito".
"Hanno bombardato oltre 20 edifici storici attraverso tunnel", ribadisce Shehabi. "Se fossero veri siriani, non bombarderebbero edifici storici".
Almeno 7.500 negozi nella Città Vecchia sono spariti, persi a causa di incendi, saccheggi e distruzione totale. "Sono 7.500 famiglie", ci ricorda Shehabi.
Visitando aree in prima linea prese di mira
La Chiesa Cattolica Siriana di Aleppo ha ancora un buco nel muro da quando è stata colpita dal bombardamento terroristico di circa due anni fa. Al momento dell'attacco, i fedeli erano dentro a celebrare, mentre il coro cantava.
The Syrian Catholic Church of Aleppo has been targeted with shelling five times by terrorist groups, including the Nusra Front, that occupy areas just 500 meters away. The shelling that left this hole occurred two years ago, while congregation members were worshipping, the choir singing. At least 10 people were injured. Nov. 2, 2016 (Photo: Eva Bartlett)
La Chiesa Cattolica Siriana di Aleppo è stata colpita da bombardamenti cinque volte da gruppi terroristici, incluso il Fronte Al Nusra, che occupavano aree a soli 500 metri di distanza. I bombardamenti che hanno lasciato questo buco sono avvenuti due anni fa, mentre i membri della parrocchia celebravano la messa, il coro cantava. Almeno 10 persone sono rimaste ferite. 2 novembre 2016 (foto: Eva Bartlett)
Un leader della Chiesa racconta che sono stati presi di mira cinque volte, l'ultimo incidente causato da un razzo poche settimane prima del nostro arrivo. Le fazioni terroristiche erano a circa 300-500 metri di distanza. Ha stimato che un terzo delle 1.350 famiglie che erano solite frequentare quella chiesa, è fuggito in altre zone della Siria o all'estero, principalmente a causa di problemi di sicurezza.
Vivevamo in sicurezza e pace. Queste aree vengono volutamente prese di mira, vogliono costringerci ad andarcene. Ogni siriano viene preso di mira ", ha detto alla delegazione.
Alcuni dei rimanenti membri della parrocchia hanno scelto di svolgere le funzioni religiose in uno stretto corridoio all'interno dell'edificio, negli ultimi due anni.
Più lontano in città, il vescovo Joseph Tobji della chiesa maronita di Aleppo racconta che circa i due terzi della sua comunità di circa 800 famiglie se ne sono andati, sperando di trovare condizioni più sicure altrove. All'interno di un edificio appartenente alla chiesa, il vescovo Tobji ci ha accolto e ci ha spiegato: “Non abbiamo più una chiesa ora. Avevamo due chiese, ma entrambe sono distrutte. Abbiamo solo questo posto, una cappella che può contenere circa 70 persone. ”
Camminando per le strade buie di Talal, un'area storicamente ricca di chiese ora distrutte o gravemente danneggiate, Shehabi ha raccomandato cautela: “Siamo a 50 metri da al-Nusra. Al di là di questi edifici, c'è la linea del fronte. ”
Il Rev. Ibrahim Nseir, pastore della Chiesa Evangelica Araba Presbiteriana di Aleppo, ci ha guidato attraverso le aree cristiane di Talal, ricordandoci di rimanere il più silenziosi possibile. “Niente voce, perché ciò farà sentire loro che siamo qui. Sarà molto pericoloso ", dice piano. "Presto, ya eini ... Per favore, tutti, in fretta ..."
Abbiamo poi preso un autobus per il distretto di Midan, dove abbiamo camminato lungo le strade buie. Il nostro accompagnatore militare siriano ha esortato il gruppo a stare insieme e ad ascoltare attentamente. Mentre camminavamo, il Rev. Nseir ha descritto gli attacchi contro le scuole e l'area, un distretto Armeno, che è stato pesantemente colpito. "Qui siamo in uno dei luoghi più mirati", ci informa, facendo notare solchi nel terreno da colpi di mortaio.
Un residente locale ci racconta: “Il 5 settembre, due bombe di quelle fatte con le bombole del gas (Hell1) sono esplose nella sua zona, abbiamo avuto tre martiri, giovani di circa 30 anni. Uno era sposato con un bambino di 1 anno. Un altro stava per sposarsi. Quattro giorni prima del suo matrimonio, è stato ucciso. In sei giorni a settembre, abbiamo ricevuto 85 proiettili ".
Mentre camminiamo, Shehabi avverte: "C'è un cecchino, ragazzi, c'è un cecchino. Spegnete le luci.” Il cecchino era a circa 1 km di distanza, secondo la gente del posto che camminava con noi, secondo i quali i cecchini a volte arrivano anche fino a 500 metri.
Con lo scendere della notte, era difficile accertare l'intensità dei danni, ma le case e le strade buie parlavano delle dimensioni di un quartiere abbandonato dai residenti per enormi problemi di sicurezza.
I leader religiosi di Aleppo sfidano la divisione
All'interno della sua chiesa, una nuova struttura costruita circa un anno fa per sostituire la storica chiesa distrutta dai terroristi negli anni precedenti, il Rev. Nseir presenta tre leader sunniti della città: il dottor Rami Obeid, il dottor Rabih Kukeh, lo sceicco Ahmed Ghazeli.
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"Questi leader Sunniti sono considerati degli 'infedeli' da al-Nusra e compagnia", riporta Nseir, spiegando che non seguono la distorta ideologia wahhabita che guida le fazioni terroristiche sostenute dall'Occidente come il Fronte di Al Nusra e altri che sono stati considerati "ribelli moderati" e "forze di opposizione".
Prima di dare la parola a questi capi religiosi, il Rev. Nseir ha ricordato: "Quando la chiesa fu distrutta, la prima persona che mi chiamò fu il Mufti Hassoun, che mi disse: 'Non preoccuparti, reverendo, ricostruiremo la chiesa' ”.
Il dottor Kukeh parla in generale del multi-culturalismo della Siria: “Il mosaico che viviamo in Siria è incomparabile con qualsiasi altro modo di vivere in tutto il mondo. Cristiani e musulmani, sunniti e sciiti. Non vi è alcuna discriminazione basata sulla religione o sulla setta. La propaganda diffusa in tutti i media non ha radici qui. "
Rev. Ibrahim Nseir, pastore della Chiesa Evangelica Presbiteriana Araba di Aleppo, con tre importanti studiosi e leader sunniti, il dottor Rami Obeid, Rabih Kukeh, lo sceicco Ahmed Ghazeli, che respingono il wahhabismo. Il dottor Kukeh ha detto delle fazioni terroristiche: "Coloro che stanno uccidendo i sunniti sono gli stessi che affermano di difendere i sunniti". 2 novembre 2016. (Foto: Eva Bartlett)
Riguardo ai terroristi che si autodefiniscono come jihadisti che combattono per la libertà, il Dr. Kukeh dichiara: “Coloro che stanno uccidendo i Sunniti sono gli stessi che affermano di difendere i Sunniti. Le bombe che ci colpiscono quotidianamente vengono inviate da loro.". Nomina sei sceicchi sunniti in Siria, la maggior parte ad Aleppo, che sono stati assassinati dai terroristi per non essersi uniti a loro. Uno di loro, lo sceicco Abdel Latif al-Shami, è stato torturato a morte nel luglio 2012.
Il dottor Kukeh, che ha affermato di aver chiamato suo figlio maggiore come l'ex leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, "perché amo quell'uomo", ha spiegato che nel 2012 viveva nella parte orientale di Aleppo quando i terroristi hanno iniziato ad occupare quei distretti. È stato preso di mira per assassinarlo perché non era d'accordo con le ideologie dei terroristi. Riporta di essere stato condannato per accuse relative a un suo articolo su una pubblicazione locale, per il nome di suo figlio e per la mancanza di manifestazioni antigovernative provenienti dalla sua moschea. “Quelle manifestazioni non si sono mai verificate, spiega, perché non le ha mai incoraggiate come invece altri sceicchi wahhabiti hanno fatto altrove.”
La conversazione si è poi spostata dalla fonte del terrorismo in Siria, il Wahhabismo e la sua natura distorta, non islamica, all'unità di cui avevo sentito parlare i Siriani in tutto il mondo. Uno degli sceicchi, del quale ho perso il nome a causa del nostro vociare, ripeteva quello che è diventato un sentimento familiare tra civili e soldati siriani:
Aleppo è una, la Siria è una. Respingiamo la divisione di Aleppo, rifiutiamo la divisione della Siria".