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giovedì 10 maggio 2012

ATTENTATI: LE VOCI DA DAMASCO

da MISNA - 10 maggio 2012

“CIVILI BERSAGLIO DI UNA VIOLENZA CIECA”, UNA VOCE DA DAMASCO
“Mi dica lei che ragioni e che giustizia si possono invocare quando si uccidono brave persone che vanno a lavorare, donne inermi e persino bambini, che entravano a scuola. Questa è una guerra contro il buon senso, contro la pace, contro tutto il popolo siriano. E noi, la gente normale, siamo le vittime”: grida, la voce rotta dall’emozione, una religiosa francescana raggiunta dalla MISNA a Kfar Sousseh, il quartiere a sud di Damasco teatro, questa mattina, di un duplice attentato.
Secondo la televisione di stato, le esplosioni avvenute poco dopo le otto di mattina, avrebbero provocato almeno 50 morti e 170 feriti. Le immagini mostrano veicoli in fiamme, detriti e due enormi crateri nel punto in cui si sono verificate le detonazioni. Immancabile, subito dopo il diffondersi della notizia, il botta e risposta tra il governo siriano e i movimenti di opposizione, che si accusano a vicenda dell’attentato.
“Ormai non ci chiediamo più da che parte stia la ragione o il torto. Non c’è più ragione, per nessuna delle fazioni in lotta. Un regime che pretende di sopravvivere a qualsiasi costo e un movimento di banditi, criminali, che nasconde dietro gli slogan per la democrazia i soldi e le armi provenienti da alcuni dei regimi più illiberali del Golfo” dice ancora l’interlocutrice della MISNA, la cui voce è sovrastata dalle sirene delle autoambulanze
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http://www.misna.org/altro/civili-bersaglio-di-una-violenza-cieca-una-voce-da-damasco-10-05-2012-813.html


PATRIARCA MELKITA LAHAM, “BARBARIE SENZA PRECEDENTI, IL MONDO DICA BASTA”
“Eravamo in preghiera nella cappella della cattedrale quando un forte boato ha mandato in frantumi tutti i vetri. Le mura della sala sono state come scosse da uno spostamento d’aria improvviso, abbiamo pensato a un terremoto”: è ancora incredulo monsigonr Gregorios Laham III, patriarca dei greco-melkiti di Antiochia e di tutto l’Oriente mentre descrive alla MISNA gli attimi di terrore che hanno accompagnato questa mattina il duplice attentato nella capitale siriana.
La cattedrale di Bab Sharqi, alla fine della ‘via Recta’, che conduce alla cappella di Anania (il martire cristiano che fece recuperare la vista a San Paolo, ndr) si trova a due forse tre chilometri dal luogo dell’esplosione che ha causato finora, secondo un bilancio provvisorio, almeno 55 morti e oltre 300 feriti.
“Alla televisione hanno mostrato le immagini di un immenso cratere, automobili e palazzi divelti, sangue dappertutto. Il pullmino dei bambini che vengono a scuola da noi era passato per quella strada appena 10 minuti prima. È un miracolo che non siano rimasti coinvolti” racconta il religioso, presidente dell’assemblea della gerarchia cattolica in Siria, condannando “un atto di barbarie senza precedenti in Siria, che ha mostrato il vero volto delle forze che si agitano dietro quest’assurda guerra di propaganda”.
La voce del patriarca, scossa dall’emozione nel giorno del peggior attentato della storia recente del paese si leva anche contro il mondo che “non ascolta le grida di angoscia del popolo siriano”.
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http://www.misna.org/altro/patriarca-melkita-laham-barbarie-senza-precedenti-il-mondo-dica-basta-10-05-2012-813.html


CARICHI DI ARMI SOSPETTI, LIBANO CROCEVIA DI TRAFFICI VERSO SIRIA
Prima la Lutfallah II bloccata alla fine di aprile in un porto vicino la città libanese di Batroun con tre container di armi, probabilmente destinate all’opposizione siriana in conflitto con il regime di Bashar Al Assad; ora un’auto intercettata a Tripoli, sempre nel nord del Libano, con migliaia di caricatori.
Per la prima vicenda le autorità libanesi hanno fermato i componenti dell’equipaggio, di varia nazionalità, e hanno alla fine accusato 21 persone di traffico internazionale di armi. Tra gli accusati ci sono libici, siriani, libanesi, egiziani e indiani riferiscono i media libanesi. L’accusa, da dimostrare, riguarda in particolare il trasferimento illegale di un grosso quantitativo di armi dalle coste libiche a quelle libanesi.
Secondo il quotidiano libico in lingua inglese ‘Libya Herald’, un numero imprecisato di combattenti libici è effettivamente impegnato attualmente all’interno dei confini siriani contro le truppe regolari di Damasco. “E ci sono anche notizie da verificare – scrive lo stesso giornale – di armi trasferite attraverso pescherecci libici in Libano e da qui in Siria a disposizione dei ribelli”.
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mercoledì 9 maggio 2012

Il cristianesimo ad un bivio in Medio Oriente

Intervista con padre Samir Khalil Samir, S.I., islamologo ed esperto di cultura araba
lunedì, 7 maggio 2012 (ZENIT.org)
In collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), Mark Riedemann ha intervistato per Where God Weeps (Dove Dio Piange) padre Samir Khalil Samir, S.I., professore di Storia della Cultura araba e di Islamologia a Roma e a Beirut, ed esperto nel dialogo interreligioso.
Vorrei delineare un panorama della situazione dei cristiani in Medio Oriente. Di che cifre stiamo parlando? E quali sono le diverse esperienze che vivono i cristiani nei vari Paesi del Medio Oriente?
Padre Samir Khalil Samir. È difficile dare delle cifre esatte. Direi all’incirca 16 milioni. Il numero più alto è in Egitto, dagli 8 ai 10 milioni circa. Il patriarcato dice che sono molti di più, mentre il governo afferma che sono molto di meno. In Libano si registra la più grande percentuale di cristiani sul totale della popolazione, anche se è un numero ridotto, circa 2 milioni. Poi ci sono cristiani in Siria, Giordania, Palestina e Iraq: è la regione dove ci sono i cristiani nativi. Al di fuori dell’Egitto, la presenza più numerosa di cristiani è nella penisola arabica: si tratta di filippini, srilankesi ed indiani...
Possiamo dire che questa situazione rispecchia quella presente in molti Paesi del Medio Oriente?
Padre Samir Khalil Samir: No, non tanto, ma senz’altro è così nella penisola arabica. Mi riferisco a questi Paesi dove il cristianesimo era presente già prima dell’Islam, come Egitto, Siria, Libano, Giordania e Palestina; in Egitto la situazione è la peggiore. Dall’altro lato c’è il Libano, che non è un Paese islamico. È un Paese arabo. È l’unico Paese, che non è musulmano ma un Paese religioso, dove cristiani e musulmani sono uguali. Questo significa che riconosciamo che la religione è una parte essenziale della società, del sistema e dello Stato. Nel Parlamento libanese ci sono 64 cristiani e 64 musulmani, cristiani di varie denominazioni e musulmani di tre o più denominazioni.
Sarebbe dunque un modello di convivenza...
Padre Samir Khalil Samir: …e fra questi estremi ci sono Paesi come la Siria e l’Iraq del passato, che pretendono di essere Paesi laici e governati da un partito politico, il Partito Baath, come ancora è il caso in Siria. Lo Stato è consapevole della tua religione ma sei libero e la politica non cambia. Il presidente della Siria è certamente un musulmano, ma il sistema è laico.
Tuttavia non c’è libertà di religione ma solo libertà di culto.
Padre Samir Khalil Samir: Sì, ma non è così grave. Un musulmano può convertirsi ma non è facile a causa della pressione familiare e sociale e non perché c’è una legge o così è previsto nella Costituzione: questa è la differenza. In Egitto sarai punito perché la shari’a è la base della Costituzione egiziana. La stessa situazione della Siria si riscontra in Giordania. Il re e il regno sono aperti di mente specialmente verso i cristiani e infatti accolgono i cristiani con grande stima. I cristiani, per la maggior parte latini, appartengono alle tribù arabe. Significa che non si può dire che sono occidentali. Parlano come i beduini, sono d’altronde arabi.
   lettura completa della prima parte dell'intervista : http://www.zenit.org/article-30545?l=italian

SECONDA PARTE: ....
L’esodo viene ulteriormente incentivato dalla realtà di violenza, dalla guerra in Iraq, dalla situazione in Palestina, che sta provocando una ulteriore radicalizzazione tra i musulmani e di conseguenza una ulteriore pressione sui cristiani?
Padre Samir Khalil Samir: Sì ma darò un esempio per mostrare che è possibile fermarlo. Prenderò come esempio il Libano. Mi ricordo che circa 10-15 anni fa l’Hezbollah (Il partito di Dio, degli sciiti libanesi, ndr) voleva una società islamica secondo modello iraniano. Dicevano persino di dipendere più dall’Iran che dal Libano. La grande figura dell’islam sciita in Libano era in quel momento l’Imam Chamseddine (Imam Shaykh Muhammad Mahdi Shams ad Din), morto tre anni fa. Chamseddine, nella biografia che ha dettato durante l’ultima settimana di vita, ha dichiarato: “Ero convinto che una società islamica era ideale ma adesso, dopo 10-15 anni, devo ammettere che la società come è oggi, in Libano, è migliore, perché i cristiani danno un contributo, un altro approccio al nostro modo di convivere”. L’Hezbollah, per qualche altro motivo, ha detto la stessa cosa, cioè che non vogliono una società islamica. Questo è dunque è il mio punto di vista: è possibile fermare questa tendenza nel mondo arabo e mostrare ai musulmani, che noi cristiani siamo un’opportunità per loro per crescere in una società più aperta. Se vogliono, possiamo lavorare insieme a loro.
La domanda è proprio questa: lo vogliono? In seno alla società musulmana è emerso un nuovo termine, che è “islamista”. Quale è la differenza tra un musulmano ed un “islamista”?
Padre Samir Khalil Samir: Questa parola vent’anni fa era sconosciuta. In arabo distinguiamo chiaramente tra muslim, che significa musulmano, e islami, che è un neologismo, perché si tratta di una nuova realtà. Islami, plurale islamiun, indica coloro che hanno l’intenzione di islamizzare la società, che è legato al salafismo. Il termine deriva da salaf, cioè gli antenati: vogliono tornare agli antenati, cioè al primo islam, che nessuno sa come era... ma lo possiamo immaginare.
  lettura completa dela seconda parte: http://www.zenit.org/article-30555?l=italian

venerdì 4 maggio 2012

Messaggio dei Vescovi siriani. Parte 2, documentazioni

1-L’assemblea dei Vescovi (con 7 assenti) rilancia la riconciliazione e invita al voto
Aleppo (Agenzia Fides) – Il conflitto e la violenza in corso in Siria hanno avuto un forte impatto anche sull’Assemblea dei Vescovi cattolici della Siria, conclusasi nei giorni scorsi ad Aleppo. Come riferito all’Agenzia Fides, su 17 Presuli della Conferenza (che riunisce i Vescovi cattolici di tutte le confessioni e riti) ben 7 erano assenti e non hanno potuto raggiungere Aleppo per motivi di sicurezza. Mancavano i Vescovi di Homs, città martoriata dal conflitto, che si sono rifugiati in piccoli paesi sulle montagne, e alcuni Vescovi del litorale. Le strade infatti, nonostante il cessate il fuoco dichiarato, sono infestate da bande di miliziani e gli spostamenti restano molto pericolosi.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39015&lan=ita

2- La Chiesa: speranza per una “missione Onu credibile”
Aleppo (Agenzia Fides) – “La nostra speranza è che la missione degli Osservatori Onu sia credibile, equa, indipendente e agisca da calmiere sulla situazione. Invitiamo tutte le parti in lotta ad accettare gli Osservatori Onu, che vengono senza interessi particolari, e a facilitare il loro lavoro. Speriamo che nessuno ‘abbia timore’ del loro lavoro”. È l’appello lanciato attraverso l’Agenzia Fides da Mons. Giuseppe Nazzaro, OFM, Vicario Apostolico di Aleppo, che esprime gli auspici della Chiesa siriana sulla missione degli Osservatori Onu.
 http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39016&lan=ita

3-Vicario Apostolico di Aleppo: massacro degli studenti provocato da infiltrati libici e turchi
Aleppo (AsiaNews)-  Mons. Giuseppe Nazaro racconta i retroscena dell'assalto dell'esercito contro l'università, costato quattro vittime. Da mesi i militanti stranieri tentato di influenzare gli universitari dell'Ateneo. Lo scopo è portare la violenza anche ad Aleppo, unica città rimasta al di fuori delle violenze fra ribelli e regime. Le manipolazioni dei media.
  "L'università di Aleppo è piena di infiltrati libici e turchi che da mesi tentano di portare dalla loro parte i giovani siriani. Questa gente è armata e ha provocato l'esercito che ha risposto con la forza ". È quanto afferma ad AsiaNews, mons. Giuseppe Nazaro, Vicario apostolico di Aleppo sull'assalto delle forze di sicurezza al dormitorio universitario, costato la vita a quattro studenti. Il prelato francescano vive a soli 150 metri dall'università e ha vissuto in diretta l'attacco avvenuto il 2 maggio nel corso di una manifestazione di oltre 1500 universitari contro il regime. Secondo il racconto di alcuni testimoni, i militari hanno inseguito i giovani dentro le loro camere e arrestato oltre 200 persone. Per evitare nuove tensioni le autorità hanno chiuso l'Ateneo fino alla fine dell'anno accademico.
"Aleppo è l'unica città che non si è rivoltata contro Assad - spiega il vescovo - in questi mesi vi sono state solo manifestazioni sporadiche, la popolazione non vuole la violenza". Mons. Nazaro sottolinea che "per portare anche nella nostra città un clima di violenza e caos i militanti islamici tentano di influenzare i giovani a compiere atti sconsiderati e pericolosi, che mettono in pericolo tutta la popolazione".
Dopo i fatti del 2 maggio anche ad Aleppo si vive un clima di tensione e violenza. Nell'università studiano oltre 40mila studenti provenienti da tutto il Paese. Molti di loro non possono tornare a casa a causa della guerra. Mons. Nazaro racconta che i conventi e le parrocchie hanno aperto le loro porte a centinaia di ragazzi. "Nella nostra residenza - afferma - si sono rifugiate circa 20 ragazze, cristiane e musulmane, fuggite dai loro dormitori dopo il blitz dell'esercito. Esse si aggiungono alle altre 40 giovani studentesse ospitate nel nostro studentato".
Il Vicario apostolico afferma che la situazione sta precipitando: Turchia, Libia e altri Paesi musulmani stanno inviando militanti e armi per sostenere la guerra contro Assad. Ciò ha creato una situazione che rende impossibile qualsiasi iniziativa di cessate il fuoco e riconciliazione. "Chi ne fa le spese - afferma - è la popolazione, che non potrà sopportare a lungo questo clima di violenza e crisi economica".
Secondo il prelato la maggior parte delle informazioni diffuse dai media occidentali sono false o manipolate. "Giornali e organi di stampa - spiega - utilizzano solo le notizie pubblicate da al - Jazeera e da altri media arabi finanziati da Qatar e Arabia Saudita. Essi sono fra i principali sostenitori dei ribelli siriani e il loro unico interesse è creare il caos per far cadere il regime di Assad".
http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-Apostolico-di-Aleppo:-massacro-degli-studenti-provocato-da-infiltrati-libici-e-turchi-24665.html

4- Cristiani sotto assalto: colpita l'antica Chiesa di Santa Maria della Sacra Cintura di Homs
Titolo originale: “Christianity Under Assault in Syria: Saint Mary Church of the Holy Belt Damaged”
Homs, Siria (MECN) – La Siria è la patria di antiche civiltà, contenente reliquie antiche e rovine risalenti alle prime civiltà umane conosciute. Insieme ad avere queste caratteristiche, la Siria è anche parte della Terra Santa, o come direbbe qualcuno, la Terra Santa fa parte della Siria. Gesù Cristo parlò un linguaggio antico siriano – aramaico, da Aram, un antico nome per la Siria. I siriani parlano ancora l’aramaico in alcuni villaggi e nelle chiese, e il vocabolario aramaico ha influenzato il loro dialetto arabo, la lingua nazionale del post-indipendenza della Siria. Tra i tanti tesori storici c’è la Chiesa di Santa Maria della Sacra Cintola (in arabo: كنيسة أم الزنار; Um az-Zinnar), chiamata per la sua preziosa reliquia – la ‘cintura di Maria’, la madre di Gesù. La Chiesa è una vecchia chiesa siro-ortodosso, situata nel cuore della città di Homs. La chiesa fu costruita su una chiesa sotterranea risalente al 50 d.C., che la rende tra le più antiche al mondo. E ‘anche la sede dell’arcivescovado siro-ortodossa.
Tra il 24-25 febbraio 2012, l’antica chiesa è stata danneggiata da milizie armate che combattono il governo di Homs. Secondo Issam Bishara, il Catholic Near East Welfare Association (CNEWA) direttore regionale per il Libano, Siria ed Egitto, in dichiarazioni rese al National Catholic Reporter , le milizie usano deliberatamente i cristiani e le luoghi sacri cristiani come scudi e stanno deliberatamente provocando danni sia a persone che a cose:
La Chiesa di ‘Santa Maria della Sacra Cintola’ (St. Mary Church of the Holy Belt) è situata nel centro di Homs, quella che è chiamata la cosiddetta “Città Vecchia”, ed è la sede dell’Arcidiocesi siro-ortodosso di Homs. La maggior parte delle chiese e arcivescovadi di altre confessioni sono concentrate nella stessa zona circostante (Hamidiya, Boustan el Diwan, ecc), e in questo ultimo trimestre è stato oggetto di scontri militari tra le milizie e le forze governative. I miliziani per la maggior parte di questo periodo di tempo hanno usato le chiese e i cristiani come scudi per proteggersi dai bombardamenti. E ‘inoltre importante ricordare che alcune icone all’interno delle chiese sono state danneggiate appositamente dalle milizie.
Questi fatti suggeriscono che i cristiani sono stati usati come scudi umani e le loro case, chiese e quartieri vengono utilizzati dai militanti in quello che alcuni suggeriscono una strategia di guerriglia deliberata, dove i militanti riescono a guadagnare sia copertura per attaccare le forze governative impunemente o riescono ad aizzare i cristiani contro il governo per la loro rappresaglia e la intimidazione diretta verso di loro. Tuttavia, Bishara ci rivela una terza cosa , e cioè che i cristiani sono in fuga e sono invitati dal loro clero ad astenersi dal prendere posizione, sia contro il governo o contro i gli insorti e stanno sostenendo una soluzione pacifica tra tutte le parti. Un anno fa, la popolazione cristiana in Homs era 160.000, ma come risultato della violenza, quel numero si è ridotto a soli 1.000 cristiani.
(…) Proprio nella città di Homs, 200 cristiani sono stati uccisi e molte famiglie cristiane sono già state martirizzate per la loro fede, per la loro fedeltà al loro paese, e non per essersi schierate con gli estremisti.
http://www.vietatoparlare.it/2012/05/03/le-milizie-anti-assad-usano-quarteri-cristiani-campi-di-battaglia/


giovedì 3 maggio 2012

Messaggio dei Vescovi siriani sulla situazione del Paese

Relazione finale dell'Assemblea della Gerarchia Cattolica in Siria
Arcidiocesi maronita di Aleppo - 25 aprile 2012

L'Assemblea della Gerarchia Cattolica in Siria ha tenuto la sua riunione ordinaria primaverile ad Aleppo presso la sede dell'Arcivescovo maronita il 25 aprile 2012, presieduta dal suo Presidente, patriarca greco-cattolico melchita Gregorios III. Inoltre vi hanno preso parte il patriarca siro-cattolico Ignatius Joseph III (Younan), l'arcivescovo Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria e Vescovi cattolici in Siria.

I Padri hanno esaminato la situazione in Siria alla luce degli attuali eventi dolorosi. Hanno discusso dei problemi pastorali riguardanti la vita e la missione sociale della Chiesa nelle difficili condizioni in cui versano alcune regioni del paese. Hanno rilasciato la seguente dichiarazione:
1-    Noi siamo a fianco del nostro popolo siriano, nella ricerca di una vita dignitosa, dell' unità nazionale, della solidarietà fra tutti i diversi gruppi che costituiscono le realtà sociali, religiose e nazionali, nel perseguire un diffuso, efficace processo di riforma che deve essere effettuato sul campo, nei servizi e nella sfera politica, sociale e culturale, coordinando gli sforzi di tutti i siriani - governo, partiti, opposizione costruttiva, specialisti - nel quadro di unità nazionale e partecipazione attiva al dialogo nazionale (assolutamente indispensabile per qualsiasi riforma e senza il quale essa rimarrebbe una speranza vana), riconoscendo che questo è il modo migliore per sfuggire al ciclo della violenza e della repressione. Lo Stato ha chiamato al dialogo e noi invitiamo tutti i partiti nazionali, in patria e all'estero, a costruire una nuova multi-partitica democratica Siria.  Noi incoraggiamo inoltre tutti a partecipare pienamente alle elezioni libere ed eque per l'Assemblea Nazionale il 7 maggio prossimo, per esprimere la volontà popolare.
2-    Il Signore Dio stesso ha iniziato il dialogo con l'umanità attraverso la rivelazione divina nella Sacra Scrittura, chiamandola a partecipare alla vita. Gesù Cristo è venuto su questa terra "perchè essi (uomini e donne) abbiano la vita, e possano averla in abbondanza." Perciò la Chiesa parimenti chiede la riconciliazione e il dialogo tra lo Stato e tutti gli elementi del paese,  per ricostruire la fiducia, l’ apertura agli altri e il rispetto per le diverse  opinioni di carattere politico, religioso e intellettuale.
3-    La violenza ha superato ogni limite. Possiamo solo fare un appello forte e con enfasi a tutte le persone di coscienza di tornare alla propria ragionevolezza e abiurare tutto ciò che è distruttivo della vita umana e nazionale. Condanniamo fermamente ogni tipo di violenza da qualunque parte provenga. Chiediamo ai civili pacifici di non essere coinvolti in conflitti politici, che il popolo non sia intimidito e terrorizzato da sequestri di persona, stragi, estorsioni e demolizione di case, il sequestro dei beni e l'imposizione di autorità con la forza e l'oppressione. Noi sosteniamo la missione dell'inviato delle Nazioni Unite Kofi Annan, in particolare nel suo aspetto umanitario per ritiro delle armi pesanti dai centri abitati. Ci battiamo per accelerare il ritorno dei rifugiati e degli sfollati alle loro case e il risarcimento delle vittime; ristabilire lo stato di diritto ed impiegare ogni sforzo per risolvere la crisi; l'impegno a intraprendere concrete riforme di governo e combattere la corruzione, in modo da garantire la partecipazione e la parità di diritti e doveri per tutti i cittadini.
4-    Siamo solidali con il dolore e la sofferenza di tutti i cittadini, siano essi civili o militari, colpiti dagli eventi e dal ciclo doloroso della violenza in diverse parti del paese nei tredici mesi passati. E 'naturale per noi avere in mente soprattutto i nostri fedeli Cristiani, che sono stati costretti a lasciare le loro case e le città o villaggi. A volte essi sono stati usati come scudi umani e i loro quartieri come campi di battaglia. Siamo al loro fianco nella loro situazione e assicuriamo loro che faremo del nostro meglio per tendere loro una mano soccorritrice, in particolare attraverso Caritas Siria e tutte le nostre istituzioni, per cercare di soddisfare i loro bisogni materiali, pastorali, sanitari e sociali. In realtà le Chiese hanno già avviato i loro programmi di soccorso. Vogliamo ringraziare in modo particolare il Santo Padre, Benedetto XVI per il suo gesto paterno nel contribuire attraverso Cor Unum alle necessità delle vittime degli eventi sanguinosi nel nostro paese. Ringraziamo anche gli individui e le istituzioni locali che hanno sostenuto questo servizio umanitario della Chiesa.
5-    Chiediamo la trasparenza delle informazioni a livello locale, così come abbiamo bisogno che i media internazionali siano obiettivi e fedeli nel riportare eventi e non distorcere i fatti. Facciamo anche appello alla comunità internazionale ed Araba a sostenere gli sforzi intrapresi per il processo di pace in Siria e nella regione nel suo complesso.
6-    Infine ci rivolgiamo ai nostri amati concittadini in Siria e soprattutto ai nostri fedeli Cristiani, esortandoli alla solidarietà, alla mutua assistenza e alla forza spirituale, per superare la crisi, sostenuti da sentimenti di speranza e di fiducia nella capacità  del nostro popolo di trovare soluzioni adeguate per la costruzione di una rinnovata Siria: volgendo in amore e fratellanza e facendo sentire il discorso della ragione al di sopra dello scontro e del tintinnio delle armi. Auguriamo loro, nella gioia della celebrazione della Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, di essere rafforzati dalla resurrezione nel loro cuore e attraverso di loro di essere testimoni di questa risurrezione.
Assemblea della Gerarchia Cattolica in Siria, 25 aprile 2012
http://www.pgc-lb.org/english/News3_final-repport-25april2012.html

mercoledì 2 maggio 2012

La Francia "aiuta" i fondamentalisti contro i cristiani

Da "Il Sussidiario", mercoledì 2 maggio 2012  
Haytham Manna

“Invece di appoggiare i laici e i moderati nello schieramento dei ribelli siriani, la Francia e i Paesi arabi sostengono le fazioni più fondamentaliste. Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, è malato di ‘sindrome libica’: è convinto di avere liberato la popolazione da Gheddafi, quando invece il suo intervento militare ha provocato 50mila morti, e ora pretende di fare lo stesso anche in Siria”.
Ad affermarlo è Haytham Manna, portavoce del National Coordination Committee (NCC), un movimento politico di ispirazione laica che si oppone tanto ad Assad quanto al Consiglio Nazionale Siriano nel quale spadroneggiano i Fratelli musulmani. Figura di spicco dell’opposizione siriana, Manna sottolinea che “gli estremisti in Siria si annidano sia nel regime sia tra i ribelli, e il nostro obiettivo è difendere i cristiani da entrambi. Per farlo abbiamo preparato una ‘Dichiarazione sopra-costituzionale’, su cui si fonderà la Seconda Repubblica Siriana e che non potrà essere modificata da nessuna maggioranza parlamentare, con cui tutelare i diritti di tutte le minoranze religiose inclusi i cristiani”.
http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2012/5/2/SIRIA-Haytham-Manna-la-Francia-aiuta-i-fondamentalisti-contro-i-cristiani/273618/

lunedì 30 aprile 2012

Il Papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba: ancora un contributo

Continuiamo il confronto sulla Primavera Araba attraverso questo articolo ripreso da "La Bussola Quotidiana" , dopo gli articoli pubblicati su questo Blog il 24 e il 16 aprile

Ma quale primavera araba
Nicola Scopelliti
Dal numero in uscita del mensile "Studi Cattolici" pubblichiamo questa intervista a mons. Paul Dahad, vicario apostolico dei Latini in Libano

Beirut (Libano): nonostante i campi profughi siano pieni di rifugiati siriani, provenienti dalla vicina cittadina di Tall Kalakh e dalla regione di Homs, una delle roccaforti dei manifestanti e dei sempre più numerosi disertori dell’esercito, l’ormai inesistente regime di Bashâr al-Assad ha deciso di far minare il confine con il Libano. L’obiettivo principale è quello di fermare il traffico d’armi. Ma l’iniziativa di Damasco sancisce un riconoscimento, de facto, della divisione della Siria dal Libano, considerato da sempre, da parte siriana, il «giardino di Damasco». La zona, ora minata, Wadi Khaled, è situata tra i villaggi di Kneisse e Hnaider, ed è stata scelta dai disertori per trovare rifugio nel Paese dei cedri. La situazione, purtroppo, con il trascorrere dei giorni diventa, come riferiscono le cronache dei media internazionali, sempre più difficile. Ma qual è la reale situazione in Libano? Ne parliamo con l’Arcivescovo mons. Paul Dahdad OCD, vicario apostolico dei Latini di Beirut, il cui territorio è suddiviso in otto parrocchie.

Eccellenza, che cosa vuol dire essere vescovo in Libano, in una terra così martoriata?
Mi presento: ho sempre svolto il mio ministero sacerdotale ed episcopale in terre martoriate. Sono rientrato in Libano come sacerdote novello nel 1967. Nel 1983 sono stato nominato arcivescovo di Baghdad dei Latini. Successivamente, ho vissuto la guerra civile libanese e le sue conseguenze. In piena guerra iracheno-iraniana sono arrivato come vescovo in Iraq. I primi cinque anni sono stati di guerra. Ci fu un intervallo di pace, per due anni, dal 1988 al 1990. Ma con l’invasione del Kuwait scoppiò un altro conflitto, che ricordiamo col nome di «Tempesta del deserto», con tutte le conseguenze sociali ed economiche che si possono immaginare. Sono stati tempi drammatici e tragici. Sono poi ritornato in Libano come vicario apostolico di Beirut dei Latini nel 1999, rimanendo Amministratore apostolico di Baghdad «sede vacante».

Ma in Libano non ci sono, per fortuna, gravi conflitti
.
No, ma si vive nell’instabilità, nella mancanza di sicurezza e nell’incertezza per il futuro. Essere vescovo in questa situazione vuol dire essere presente per incoraggiare, consolare, aiutare moralmente e materialmente nella misura del possibile. A volte non si può fare un granché, ma essere presenti, tra la gente, è molto importante per dare a essa un senso di sicurezza. Nel frattempo aspettiamo tempi migliori.

Quale la sua opinione sulla cosiddetta «primavera araba»? «Primavera araba» è uno dei tanti slogan inventati dai governanti e dai media occidentali come: «scontro di civiltà», «asse del bene e asse del male», «caos creativo»… Uno slogan inventato e non frutto di realtà. Non mi pare che si tratti di una primavera, ma di un inverno cupo. Con la primavera la natura si risveglia, rifiorisce. Sinora i bei fiori profumati non si son visti. Se son rose fioriranno, ma non so quando.

Le popolazioni che si sono ribellate reclamano maggiore libertà e una via araba alla democrazia. Sarà possibile?

Mi permetto di dire che la democrazia non è una merce che si compra o si vende, che si importa o si esporta. La democrazia è un valore umano e cristiano a cui bisogna educare i popoli. Imporre la democrazia con la forza delle armi è una contraddizione. Ci vuole molto tempo per familiarizzare col sistema democratico. Ad alcuni non conviene e non fa comodo. E non si può avere la democrazia con la bacchetta magica. Le popolazioni si ribellano, ma sono altri che colgono i frutti di questa ribellione. I popoli, come dice Cristo, sono pecore senza pastore, destinate al macello.
leggi tutto l'articolo su:
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-ma-quale-primavera-araba-5178.htm



Minoranze religiose capro espiatorio in Medio Oriente, se le rivoluzioni arabe “si inacidiscono”
Londra (Agenzia Fides) – Se le rivoluzioni avviate dalla Primavera Araba “vanno a male”, vi saranno forti rischi per le minoranze etniche e religiose in Medio Oriente: è quanto emerge dal nuovo rapporto “Popoli in pericolo”, (“Peoples under threat”), appena pubblicato dall'Ong “Minority Rights Group” (MRG) e inviato all’Agenzia Fides, focalizzato sulla situazione delle minoranze in Medio Oriente. “Se il 2011 sarà ricordato come l'anno della Primavera araba, il 2012 potrebbe diventare l'anno delle rivoluzioni inacidite” dice in una nota inviata all'Agenzia Fides Mark Lattimer, Direttore esecutivo di MRG. “I grandi cambiamenti in Medio Oriente e Nord Africa, se da un lato aumentano le speranze per la democratizzazione, rappresentano per le minoranze etniche e religiose un evento pericoloso quanto la violenta disgregazione dell'Unione Sovietica e della ex Jugoslavia”, ammonisce.
Il Rapporto nota che Siria, Libia, Egitto, Yemen, Sud Sudan sono tra gli stati dove le comunità di minoranza sono più a rischio di omicidi di massa. Appena si apre uno spazio politico e uno spiraglio di libertà, rivendicazioni etniche e settarie vengono esacerbate e, in tali dinamiche, “le minoranze costituiscono spesso un capro espiatorio” spiega MRG.
In Siria, dove il governo è dominato dagli alawiti, le comunità di sciiti e alawiti sono in pericolo se il conflitto si intensificherà, mentre anche i cristiani sono profondamente preoccupati per la possibilità di attacchi dei militanti sunniti.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=39169&lan=ita

domenica 29 aprile 2012

Chi ha a cuore la vita del popolo sirano?


Abbiamo paura di pronunciare la parola ‘guerra civile’, ma si sta andando in quella direzione, i segnali portano in quel senso” dice padre Pizzaballa intervistato da Radio Vaticana sulla situazione in Siria, ed aggiunge “Non c’è una guerra generalizzata, non c’è un fronte aperto su tutto il Paese” e conclude: “però, purtroppo tutto fa pensare a questo”.

Il paese è allo stremo, la gente ne paga le conseguenze, intere città assediate, rapimenti, violenze diffuse. Quella degli oppositori non è più la pacifica richiesta di maggiore democrazia.  Complice la repressione violenta del regime,  le richieste iniziali sono state sostituite da quelle di azzeramento di  tutto l’establishment attualmente al potere. Così  le legittime richieste popolari hanno lasciato il campo alla violenza settaria, ad una guerra senza quartiere, dilagata ‘a macchia di leopardo’ in tutto il paese.

Naturalmente si è levata l’indignazione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che più volte hanno richiesto una risoluzione Onu che aprisse la strada per un intervento, anche militare.  L’impressione che se ne ricava è che si stia buttando benzina sul fuoco anziché calmare la situazione.  E’ paradossale che nell’area i governi più attivi nel richiedere ad Assad  le libertà democratiche e il rispetto dei diritti umani  siano le monarchie del Qatar e dell’ Arabia Saudita, monarchie assolutistiche che non concedono ai loro popoli ciò che chiedono a terzi. A  sostenere il regime siriano ci sono invece Cina, Russia e Iran che interpretano la situazione esplosiva del paese come il risultato dell’ennesima ingerenza ‘umanitaria’ occidentale.
Essa è giudicata come un tentativo -giocato in campo mediatico, finanziario e militare- messo in atto unicamente al fine di perseguire i propri obiettivi:  cambiare globalmente la mappa geopolitica della regione mediorientale a proprio favore.

Assad se ne deve andare” questo è sinteticamente il ‘dialogo’ intavolato dalla comunità internazionale. Ma se Assad lasciasse né lui né tutte le istituzioni che reggono il paese  avrebbero scampo. Il motivo è semplice: ogni ruolo chiave istituzionale, soprattutto i vertici dell’esercito, sono ricoperti dagli alawiti, la minoranza religiosa che rappresenta  solo il 20% della popolazione, mentre la maggioranza è sunnita. Se gli alawiti non gradivano la perdita dello ‘status quo’ nella fase iniziale delle proteste,  ora in un contesto di guerra civile e di violenza diffusa (non controllabile nemmeno dall’opposizione), con vari agenti sul campo, sanno bene che l’epilogo sarebbe quello di essere frettolosamente giudicati da una delle tante formazioni armate della ribellione, ed essere uccisi. Perciò non  hanno nulla da perdere.
D’altra parte sanno di avere tutti contro: “inutile” è stata  giudicata dalla Lega Araba e dall’ONU la missione degli Osservatori in Siria iniziata nel dicembre scorso e cessata dopo soli 23 giorni, nonostante avesse ristabilito un clima costruttivo, ottenuto il ritiro dei militari in varie città, la liberazione dei prigionieri, la distribuzione di aiuti alla popolazione.

La situazione in Siria è complessa: padre Paolo dell’Oglio (da 30 anni in Siria) racconta che “a prescindere dalle appartenenze religiose, è ancora massiccia, anche se scossa, l’adesione popolare al potere costituito” e aggiunge “alcune aree sono ormai in mano all’ ‘esercito libero’ “ e “In generale il clima politico è confuso, la sicurezza carente. Si registrano episodi di furto, teppismo, sabotaggio, attentati, rapimenti, rese di conti, vendette e uccisioni. La violenza non fa che aumentare”. Non sono parole di un filo-governativo ma quelle di un frate espulso dal Paese perché giudicato troppo sbilanciato a favore dei “ribelli”. E’ evidente che comunque si voglia chiamare, una speranza che per vivere  ha bisogno dell’annientamento dell’avversario in qualunque modo si chiami è tirannia: il rischio in assenza di un negoziato e un accordo è che il potere semplicemente passi solo di mano.
Non cambia nulla se non si guarda con simpatia all’uomo in quanto tale ed al suo destino, se non si parte  dalla dignità insopprimibile di ognuno.

E’ invalsa invece l’aspettativa che le rivoluzioni da sole, ad agni costo e con qualsiasi mezzo possano risolvere ogni cosa. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che la soluzione che vediamo adottata da un po’ di tempo per migliorare la vita dei popoli è falsa.
Se in Siria non si torna al dialogo e le voci delle armi non cessano, non rimarranno che rovine a contendersi.

venerdì 27 aprile 2012

LETTERA DALLA SIRIA

 Pubblicata sul Bollettino di aprile 2012 della Parrocchia “Sant'Ambrogio” di Merate


Nell'ottobre 2010 un gruppo della Parrocchia ha compiuto un viaggio in Siria vivendo un'esperienza davvero indimenticabile, da un punto di vista umano, culturale e spirituale... Non sono trascorsi neanche due anni da allora, ma la situazione di quel paese è radicalmente cambiata,  Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto un messaggio via e-mail dalla guida siriana che ci aveva condotto - con grande competenza e capacità - alla scoperta della Siria..
San Simeone lo stilita

Cari signori, amici e tutti quelli che mi ricordano o forse non mi ricordano più, è quasi un anno da quando la crisi nel mio paese  è cominciata. Vi scrivo perché credo che c'è qualcosa che devo informarvi e scusatemi se faccio errori linguistici.

Sono sicuro che se voi non sarete d'accordo con quello che dico, almeno dopo questa e-mail sarete consapevoli che tanta gente come me esiste. Noi esistiamo e siamo tanti, anche se i media internazionali non vogliono riconoscerci. Ecco perché vi scrivo: perché conosco tutti voi e ho fiducia grande di voi e so che mi considerate una persona seria e onesta. Voglio far arrivare la mia voce!

Noi siamo CONTRO la rivolta che sta succedendo nel nostro paese! E vi dico ancora che siamo una parte grande della popolazione siriana. È una sorpresa, vero?

Vi spiego cosa è successo  dal nostro punto di vista. Potete sentirmi come un testimone che vive vicino e dentro quello che succede: dall'inizio c'era parte della gente che ha chiesto la riforma pacifica e loro avevano ragione. Perché tante cose non andavano bene. Lo Stato ha promesso di fare quello che la gente aveva chiesto. Ma nello stesso tempo c'erano gruppi armati che hanno usato le richieste pacifiche e giuste per creare i problemi più grandi e per dire che l'esercito siriano uccide la gente, ma in realtà loro uccidevano i soldati siriani...

Questa era una bugia grande che l'opposizione siriana ad Istanbul ha creato e dato al mondo come verità. Però, la verità è che gli islamisti ( come partiti politici ) nel mondo islamico appoggiano la rivolta in Siria.

Loro usano la rivolta per arrivare al potere. Purtroppo tanta gente religiosa in maniera semplice crede a tutto quello che gli imam dei paesi del Golfo Arabo dicono, specialmente la promessa di andare in cielo se sopportano la rivolta.

Loro dicono che questa rivolta a parte del Jihad, la guerra santa. Immaginate!

Non solo i gruppi armati hanno attaccato dei soldati e ufficiali dell'esercito ma anche gli impiegati al governo, ingegneri e tecnici. .. Hanno attaccato anche la gente che non voleva partecipare alla rivolta!! E hanno bruciato le loro macchine!

La parte a cui appartengo è la gente siriana laica che contiene cristiani e musulmani e altri che vogliono un paese laico che rispetti tutti. Il nostro presidente ha promesso di fare un referendum per cambiare la Costituzione come la gente aveva chiesto all'inizio. La gente che vuole la riforma- come noi-ha votato (sì o no non importa) e l'opposizione (armata e non armata) non ha votato.  8,5 milioni hanno votato! Ma i media dicono che noi non esistiamo forse? O che siamo stati obbligati a partecipare?? Che strano!

Secondo noi, la riforma viene gradualmente e senza distruggere il paese. Nella nuova Costituzione non ci sarà più un  partito solo al potere come era in precedenza. Ci sarà il pluralismo vero siccome altri partiti potranno ugualmente partecipare alla vita politica. Un presidente può essere eletto due volte al massimo. Non è questo che abbiamo chiesto un anno fa? Si!

Allora perché ci deve essere una rivolta aggressiva e soprattutto piena di propaganda falsa. Perché perdiamo lo scopo: la riforma? Chi vuoli i fanatici con le loro barbe e il loro discorso medioevale?

La situazione sociale a causa della rivolta armata: tanta gente ha perso il lavoro per mancanza di stabilità. I prezzi sono raddoppiati! Le sanzioni imposte su di noi ci soffocano e non cambiano nulla sul livello politico. Il latte per i nostri bambini, ad esempio, è l'80% più caro... I ribelli hanno attaccato le infrastrutture, oleodotti, centrali di elettricità... E quindi hanno lasciato tanta gente senza elettricità e senza diesel in questo inverno freddissimo...

Se non mi credete, va bene, ma almeno credete che noi esistiamo e che siamo tanti. E che noi non siamo parte del governo o l'esercito o il partito che governa. Siamo gente siriana che non ha avuto la possibilità di dire al mondo che la rivolta ha un altro viso cattivo che non sapete....

Vi chiedo, se volete bene alla gente siriana, di non appoggiare la rivolta ma il DIALOGO. L'unica soluzione è il dialogo tra il governo e l'opposizione. Basta sangue! Basta rivolta! Vogliamo il dialogo perché i nostri bambini abbiano un futuro.

Grazie per avermi dato il vostro tempo e la vostra attenzione. Un caro saluto G. E.


PER LE STRADE DI DAMASCO E ALEPPO ... IL FANTASMA IRACHENO

Alla MISNA, a cui chiede di mantenere l’anonimato per motivi di sicurezza, una fonte ben informata raggiunta in Siria racconta le vicende del paese mediorientale dove la comunità internazionale sta cercando di far rispettare un fragile cessate-il-fuoco, passo iniziale per una possibile soluzione politica della crisi. E parla “della strana sensazione di trovarsi in un paese in guerra dove i combattimenti sono circoscritti, appaiono a volte lontani, e dove la gente a fatica affronta un argomento che pure la riguarda”.
Crack des Chevaliers

“La tregua è rotta da entrambe le parti in quelli che sono ormai i tradizionali luoghi di confronto armato – prosegue la fonte della MISNA – ma a Damasco e Aleppo sembra quasi che il conflitto non arrivi. Almeno in apparenza. Poi però bisogna fare i conti con le decine di migliaia di sfollati interni (stime correnti indicano almeno 500.000 persone tra sfollati e profughi riparati oltreconfine, ndr) che in Siria si sono trasferiti in particolare nelle prime due città del paese, Damasco e Aleppo appunto, dove vivono in appartamenti presi in affitto o ospiti di parenti”.
Sono famiglie numerose quelle in fuga, e spesso costrette in due stanze possono vivere anche 15 persone. “Dai loro racconti – aggiunge la fonte – emerge la paura di quanto visto, il timore che il conflitto possa estendersi. Racconti a volte drammatici, di parenti uccisi da cecchini, di bombardamenti, di vendette, di minacce a intere comunità come quella che ha costretto alla fuga 5000 cristiani della città di Qusayr. La Siria è stata un esempio di tolleranza religiosa e Qusayr è un caso isolato, il conflitto rischia però di trasformarsi in aperta guerra civile e di travolgere questo antico equilibrio”.
“La parte di popolazione più impaurita, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è la comunità cristiana” dice la fonte della MISNA raggiunta in Siria. “Sono gli iracheni, centinaia di migliaia di persone, fuggiti dal conflitto nel loro paese e che in Siria avevano trovato un rifugio ideale, migliore di quello che avrebbero trovato in Turchia o in altri paesi della regione”.
Gli iracheni in Siria vivono soprattutto nelle grandi città e si erano ben integrati con la popolazione locale: “Adesso sono loro per primi che si sentono in trappola – prosegue l’interlocutore della MISNA – che rivedono i fantasmi del passato, che temono una recrudescenza dei combattimenti. Pur in un contesto diverso, loro hanno esperienza di cosa significhi una guerra e delle devastazioni che arreca. Ma sono pur sempre stranieri in un paese che li ha accolti e che ora vedono crollare anche sotto i colpi di una massiccia campagna mediatica”.
Rileggendo le notizie diffuse dalla stampa internazionale, le ricostruzioni di noti canali satellitari finanziati dai paesi del Golfo, i bilanci di un conflitto dati da una parte e poi ‘ufficializzati’ dall’Onu, la fonte della MISNA si interroga sulla verità dei fatti che arrivano all’opinione pubblica internazionale. “In Siria non c’è democrazia – sottolinea – ma non c’è nemmeno una situazione in cui l’intera popolazione è contro il regime. C’è, è vero, un generale desiderio di maggiore libertà in tutti i campi della vita sociale e politica, il bisogno di una crescita economica e di una più equa redistribuzione della ricchezza e delle risorse. Ma tutto questo non sta portando a un sostegno unanime dell’iniziativa armata e d’altra parte il regime ha dimostrato di essere in grado, almeno fino a questo punto, di resistere alle pressioni. Il flusso di armi diretto sia all’opposizione sia al regime non aiuterà però chi sta cercando di lavorare per la pace. E questo gli iracheni che in Siria avevano trovato una nuova casa lo sanno molto bene”.

martedì 24 aprile 2012

Il Papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba: continuiamo la riflessione

Il 16 aprile su questo Blog abbiamo ripreso la riflessione di Padre Samir Khalil Samir pubblicata su Asia News. Continuiamo il confronto sulla Primavera Araba attraverso questo interessante articolo

Primavera Araba: modelli, conseguenze, attualità
di Amer Al Sabaileh


T
utti ci chiediamo perché la rivolta popolare egiziana e tunisina sono state non violente, a differenza di quella libica e ora di quella siriana, così segnate da atti di violenza efferata e da distruzioni. In realtà, per poter rispondere a questa domanda, bisogna guardare ai modelli della “rivoluzione” dal punto di vista delle potenze internazionali, cioè il blocco dei Paesi amici degli USA (Egitto, Marocco, Giordania, Arabia Saudita e paesi del Golfo) e il blocco dei Paesi definiti dai primi come “poteri del male” (Iran, Siria, Hezballah libanese).

Dopo la rivolta egiziana, sembrava che gli USA si liberassero dei loro vecchi amici. I paesi alleati degli Stati Uniti, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar, hanno capito che poteva verificarsi anche il rovesciamento del loro regime. Si sono verificati, infatti, tentativi di rivolta nell’est dell’Arabia, soffocati immediatamente con la forza. Poi, davanti agli occhi di tutto il mondo, che assiste passivamente, i Sauditi hanno mandato le loro truppe in Bahrain per opprimere il grande movimento popolare del Paese. Come si può allora credere alla sincerità delle affermazioni di questi regimi che si ergono ora a sostenitori delle rivendicazioni del popolo siriano alla libertà e alla democrazia?

Oggi non si può parlare, nel caso della Siria, di una sollevazione popolare contro un regime dittatoriale corrotto, come è stato in Tunisia prima e in Egitto poi. L’impressione che si ricava dalle poche immagini che giungono dalla Siria è piuttosto di una situazione di caos e di violenza organizzata da bande armate che vogliono destabilizzare il Paese, confermata dal fatto che questa violenza si dirige soprattutto contro la popolazione civile. La rivolta siriana infatti non appare simile ai modelli precedenti, ma sembra piuttosto creata dall’esterno, così che non è possibile parlare di una rivoluzione popolare come quella che ci mostravano le immagini di piazza Tahrir in Egitto.

Non difendo sicuramente il regime siriano, tant’è vero che in Siria ci sarebbero stati tutti gli elementi per giustificare una rivolta popolare: tuttavia si ritiene che la crisi siriana attuale non presenti i caratteri di una lotta per i diritti umani e la libertà. Inoltre la pressione esercitata fin da subito sul regime siriano sarebbe stata sufficiente per permettere un transito verso una fase di maggiore democrazia nel Paese: in realtà non c’è la volontà di cogliere i segnali positivi che vengono dal regime siriano in vista di una soluzione, ma anzi si vuole spingere la Siria nel caos e nella violenza con il rischio di trascinare nella catastrofe anche i paesi confinanti (Libano, Giordania, Iraq e Turchia). Le forze usate per questo piano di destabilizzazione della Siria sono quelle dell’islam radicale, salafita, già utilizzate in Afganistan, al tempo della guerra contro i Russi, poi in Iraq e anche in Libia nella recente guerra fatta passare come guerra di liberazione dal regime di Gheddafi. L’utilizzo di queste forze è veramente rischioso perché si è già visto come poi siano difficilmente gestibili.

Chi utilizza queste forze per i propri interessi (storicamente l’Arabia Saudita e attualmente anche il Qatar), lo fa soprattutto per dare stabilità al proprio regime, in quanto gli elementi principali per fare scoppiare una rivoluzione esistono manifestamente anche nei Paesi “moderati” che hanno in comune tre fattori: (1) sono amici dichiarati di Israele e dell’America, (2) esiste al loro interno un legame molto stretto tra business e potere e (3) vi svolgono un ruolo particolare le mogli dei dittatori, implicate pesantemente nella corruzione nel campo della finanza.


“La rivoluzione”: dagli amici dell’America ai suoi nemici

Il regime siriano, pur destinato a finire perché basato sulla paura e sull’assenza di un vero dialogo politico, non presenta nessuna delle tre costanti dette prima: di conseguenza una rivolta avrebbe richiesto tempi lunghi di maturazione. Allora, per far precipitare la situazione, si è ideata la guerra libica, che non appartiene al modello della primavera araba ma che ha determinato subito l’intervento militare della NATO e dei paesi arabi alleati, quali Giordania e Qatar. Intervento facile, perché la Libia non ha importanza dal punto di vista geopolitico: è in gran parte deserto e procura vantaggi enormi (è un mare di petrolio). Mentre l’attenzione della gente è concentrata sulla Libia, viene creata la figura del cugino di Baschār El-Asad, l’uomo che coniuga business e autorità: è il cugino corrotto che ha in mano la finanza del Paese, prima sconosciuto al mondo arabo ora improvvisamente noto. Poi iniziano gli scontri armati nella località di Dara‘a, causati all’inizio da un fatto forse non rilevante: l’incapacità del governatore di risolvere un problema locale legato a una crisi momentanea.

In realtà la decisione di far cadere il regime siriano era già stata presa da tempo, negli anni novanta, ma l’astuzia politica di Asad padre era riuscita sempre a contrastare questo progetto. Anche la guerra nel sud del Libano e poi la guerra di Gaza avevano l’obiettivo di colpire la Siria.

Dopo la prima fase della crisi siriana, quando i media non avevano ancora attaccato Baschār, si comincia a fare il nome del fratello, Maher, descrivendolo come un pericoloso assassino. Mentre Baschar è riformista ma debole, il fratello è autoritario e sanguinario. Infine si fa comparire la figura di Asma, la moglie corrotta di Baschār El Asad. Progressivamente si creano cioè le tre costanti secondo il modello descritto sopra. D’altronde l’America sa di non potere intervenire militarmente in Siria per non mettere a rischio la sicurezza di Israele e allora cerca di indebolire il regime, come fece a suo tempo con Saddam in Iraq, creando punti di instabilità e di conflitto in varie direzioni. Gli integralisti islamici utilizzati come strumento di destabilizzazione della Siria sono gli stessi creati in Libia con l’avallo delle potenze occidentali.

Credo che nessuno possa immaginare le disastrose conseguenze che la caduta della Siria potrebbe originare, ben peggiori dello scenario iracheno. Il pericolo è legato agli strumenti utilizzati per rovesciare il regime, già introdotto in Libia: le forze radicali (salafite) sponsorizzate dal Qatar. Il Qatar ha manifestato di essere lo sponsor ufficiale di tutti i gruppi radicali inaugurando la moschea più grande della regione, sotto il nome del fondatore del wahabismo Mohammad Bin Abd al Wahab, e inoltre con l’istituzione di un ufficio di rappresentanza per i Taliban a Doha, la capitale del Qatar. Anche i fratelli musulmani ora dichiarano che con l’America si può trattare, con questa nuova America che difende i diritti degli stati alla libertà e alla democrazia. Gli americani, ad esempio, favoriscono il ritorno di Hamas in Giordania: ma di un Hamas nuovo, pragmatico, politico. Questo spiega perché certi Paesi debbano servirsi ora, per realizzare i loro piani, di forze islamiche estremiste, prima messe al bando e combattute con tutti i mezzi. E spiega il ruolo ambiguo giocato dal Qatar in Libia, e il suo sforzo attuale per avere lo stesso ruolo in Siria. L’esportazione di questi gruppi sarebbe controllabile dopo? Temo che la risposta sia assolutamente negativa: dunque dobbiamo temere già da ora le conseguenze catastrofiche di questa politica.

Il ruolo del Qatar nell’appoggio ai Fratelli musulmani dovunque in Medio Oriente ormai è chiaro. A dire il vero, pare che il progetto di islamizzare i paesi arabi abbia avuto il consenso americano con la supervisione del Qatar. Questo è ormai confermato dalla generosità del Qatar nell’offrire tutti i mezzi possibili per attuare il progetto dei “Fratelli musulmani”, dal sostegno economico a quello dei media (Al Jazeera). Anche Hamas ha abbandonato la Siria, preferendo l’alleanza con il Qatar, il quale l’ha accolto a braccia aperte trovando un’altra carta vincente da giocare. Recentemente, il Qatar è riuscito a far ritornare i leader di Hamas in Giordania da cui erano stati espulsi nel 1999. Ciò solleva molte domande riguardanti il futuro di questo movimento e il futuro della Giordania.

La Nuova Hamas è definita una Hamas politicamente più matura, addomesticata, pronta ad adottare la resistenza popolare. In realtà il suo ritorno rappresenta l’inserimento degli interessi di molti giocatori. Per i “Fratelli Musulmani” sarebbe la forza necessaria per poter arrivare al potere. La presenza di Hamas come forza politica darà ai “Fratelli Musulmani” quello che ancora gli è necessario: la popolarità per ottenere un numero maggiore di consensi. La popolarità di Hamas è concentrata e fortemente presente nei campi profughi palestinesi in Giordania.

L’alleanza tra Qatar, Hamas e “Fratelli Musulmani” oggi corrisponde al desiderio americano-israeliano di mettere fine alla questione palestinese. In realtà, l’ingovernabilità siriana potrebbe portare a un caos regionale, con prezzi da pagare altissimi. Giocare alla trasformazione della regione è un fatto gravissimo: la Giordania è il paese cruciale della zona, è il garante della stabilità e una qualsiasi imprudenza volta a cambiare la sua faccia potrebbe generare risultati catastrofici.

È importante notare qui che molti di questi islamisti sono stati scarcerati recentemente. Anche in Giordania ne sono stati rilasciati recentemente 222. La Gran Bretagna ha appena deciso la liberazione di uno dei più pericolosi salafiti e pretende che la Giordania lo accolga e rispetti i suoi diritti. In poco tempo questi nemici di un tempo stanno diventando tutti ricchi. Molti di loro entrano in politica e hanno rapporti con Israele. La televisione israeliana, ad esempio, ha dato spazio su un suo canale al rappresentante dei salafiti egiziani (il partito An-Nur). In Egitto gli integralisti sono riusciti a emergere nelle elezioni, ottenendo i voti delle masse povere e ignoranti alle quali danno soldi forniti dall’Arabia Saudita. È noto che l’Arabia Saudita è storicamente quella che appoggia i salafiti mentre il Qatar, attraverso l’emittente Al Jazeera, finanzia e sostiene i fratelli musulmani. Se questi sono gli strumenti per attuare il piano, ci si deve chiedere da dove essi entrano in Siria.

Non può essere l’Iraq a farli entrare, dal momento che si è dichiarato contrario a una alleanza contro la Siria; la Turchia ha minacciato l’ingresso di truppe turche sul suolo siriano per la protezione dei civili ma poi ha desistito da questa sua intenzione, perché in Turchia ci sono 17 milioni di alawiti che hanno immediatamente attaccato il governo di Erdogan; tant’è vero che recentemente il ministro degli esteri turco, in una sua visita in Iran, ha dichiarato che non può essere la Turchia a tenere sotto controllo la Siria. In Libano ci sono stati scontri armati a Tripoli, per opera di milizie finanziate dall’uomo politico libanese, Hariri, con il denaro dell’Arabia Saudita ma l’esercito libanese ha bloccato queste truppe al confine con la Siria. Non resta che la Giordania, nella quale vi sono attualmente 43 mila libici con la scusa della necessità di ricevere le cure mediche; ma di essi solo 15 mila sono negli ospedali. Perché questi libici si trovano in Giordania? Probabilmente sono gli stessi che hanno fatto la guerra in Libia e che sappiamo essere stati finanziati dal Qatar.

Il regime siriano dunque si trova a combattere contro queste bande di salafiti, non contro il popolo siriano come si vuole fare credere. Come mai questi combattenti sono muniti di armi anti-missile di fabbricazione francese? Proprio questo modello di armi è stato acquistato recentemente dal Qatar dalla Francia.

Questo gioco è estremamente pericoloso. La lezione afgana dovrebbe avere insegnato che queste forze, una volta create, non sono altrettanto facilmente eliminabili. La posizione della Giordania poi è particolarmente delicata perché essa, non avendo risorse e ricchezze proprie, è costretta a dipendere dagli aiuti che le vengono dall’esterno, rendendosi così soggetta ai ricatti degli Stati più forti e ricchi.

Inoltre, sembra che la Giordania sia progressivamente sottoposta a una pressione pesante che la sta mettendo in ginocchio. Occorre essere molto attenti per non cadere nella trappola delle falsificazione mediatica, creata da canali satellitari quali Al Jazeera e El Arabiya e riprodotta fedelmente dai media occidentali che danno una visione falsata della crisi siriana.

Tutto questo rappresenta la contraddizione più forte oggi: i Paesi del Golfo, che non hanno mai conosciuto la democrazia, chiamano altri Paesi ad adottare un processo democratico volto a concedere più libertà ai popoli, mentre loro stessi non hanno mai sperimentato neppure le elezioni.

Tutti i sostenitori della pace devono almeno preoccuparsi per questo piano di islamizzazione della zona medio-orientale in senso radicale. Il timore è che questa regione venga frantumata in tanti staterelli confessionali, tanti piccoli Stati deboli che giustificherebbero la presenza di Israele come Stato ebraico e garantirebbero la sua sicurezza secondo un piano antico ma ancora attuale, che rischia ora di vedere la sua realizzazione. Questo porterebbe a far perdere al Medio Oriente quel carattere di incontro di civiltà, religioni e culture che rappresenta una ricchezza che ha caratterizzato l’Impero Ottomano.

Qui mi sento costretto a fare un appello ai tutti gli amici cristiani e alle Chiese perché siano lucide e presenti nel decidere il futuro di questi popoli. Bisogna, in tutti modi, salvare l’identità religiosa e il tessuto culturale dell’Oriente perche non è ragionevole che il destino dei Paesi che rappresentano la culla storica della civiltà come Giordania, Siria, Libano e Egitto venga deciso dall’enorme ricchezza economica posseduta da alcuni piccoli stati privi di qualsiasi cultura, storia, religione e umanità. Infine, è rilevante osservare l’ultima fatwa rilasciata recentemente dal Mufti dell’Arabia Saudita, in cui ha chiamato alla distruzione di tutte le chiese in Arabia.

da IL Margine, 32, (2012) n° 4

lunedì 23 aprile 2012

23 aprile: in Siria si fa memoria di San Giorgio

Indomito testimone, fortissimo difensore dei cristiani nella prova

Monastery of Saint George


  Siria, cristiani vessati dai ribelli

L’opposizione al regime impone la tassa islamica ai fedeli di Homs 

di Marco Tosatti  -  da Vatican Insider 21/04/2012

Da Homs, una delle città più travagliate dei mesi e nelle settimane passate dagli scontri fra l’esercito siriano e i ribelli giungono notizie che non fanno sperare in un futuro meno tragico per i cristiani di quel Paese, il giorno in cui la lunga dittatura del partito Baath, controllato dalla minoranza alawita del clan Assad dovesse finire. “L’esercito dell’opposizione impone la tassa islamica sui cristiani di Homs”; la notizia ha cominciato a circolare una settimana fa, e ha trovato conferma nei giorni scorsi.

continua la lettura su http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-homs-14488/



Allarme per i cristiani sotto tiro

“Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana"

21 -04-2012 da AGENZIA FIDES gravi notizie

Imperversano bande armate senza controllo: cristiani sotto tiro
Qusayr (Agenzia Fides) – Bande di miliziani islamici, senza controllo, imperversano nel conflitto in corso in Siria, uccidendo civili innocenti e prendendo di mira i cristiani. Lo confermano fonti dirette dell’Agenzia Fides in diverse località della Siria, che lanciano un allarme per il prosieguo della cosiddetta “rivoluzione siriana”.
La situazione è tragica nella città di Qusayr, nel Nord della Siria, nel distretto di Homs: bande di miliziani, nelle file dell’opposizione sirana, hanno completamente distrutto un'intera strada cristiana vicino alla chiesa cattolica. Il parroco è fuggito e “non c’è nemmeno la possibilità di seppellire i cadaveri” nota un fonte di Fides.
Si consumano terribili vendette contro chi prova a denunciare la situazione: il cristiano André Arbache, padre di famiglia di 30 anni, nel gennaio scorso è stato rapito perché suo fratello ha denunciato apertamente in tv le violenze delle bande armate. André è stato costretto ad arruolarsi nell’Esercito di Liberazione Siriano. Due giorni fa il suo cadavere è stato ritrovato a Qusayr, decapitato e abbandonato, straziato dai cani.
I cristiani sono vittime di sequestri: tre fedeli rapiti, Sate Semaan, Oussama Semaan e Assaad Nakhlé, sono stati lasciti dopo il pagamento di un pesante riscatto. Episodi simili sono registrati anche a Yabrud e Deir Atieh, nei pressi di Qara. “Nessuno sa bene chi sono questi miliziani: sappiamo solo che non hanno nessuno gerarchia e che sono divisi in bande armate, che cercano denaro e che non esitano compiere violenze e ruberie sui civili”, continua la fonte di Fides.
“Circolano notizie terribili di famiglie intere massacrate, e vi sono quanti istigano alla guerra confessionale”, prosegue. Il canale Tv salafita “Channel TV Safa Cheikh Arour” ha invitato l'Esercito di Liberazione siriano “ad attaccare i cristiani infedeli” a Saydnaya e Maaloula e a “perseguire i cristiani alleati con il regime”. In località come Qalamoun la coesistenza tra le diverse comunità, fino a ieri garantita, è fortemente minacciata e alcuni estremisti invitano a “tagliare qualsiasi rapporto con i cristiani”.

Si fa strada la militanza islamica nell’opposizione siriana
Dal “Giorno della dignità” al “Venerdì delle Armate dell’Islam”:sta tutto in questi due titoli, scelti per le manifestazioni dell’opposizione siriana, il sintomo di come la militanza islamica, wahabita e salafita, si sta facendo strada nelle file dei ribelli siriani. Come successo nelle esperienze della “Primavera araba” in Yemen, i dissidenti hanno scelto dare un titolo, ogni volta differente, alle manifestazioni di protesta di ogni venerdì. La prima giornata di protesta pubblica, nel marzo 2011, che inaugurò la rivolta, venne chiamata “Giorno della dignità” e indicava il desiderio di rinascita, di dignità, diritti e democrazia che c’è nei rivoluzionari.
A circa un anno dall’inizio delle sollevazioni popolari, come confermano fonti di Fides in Siria, la militanza islamica sta prendendo sempre più corpo: nella scelta del titolo per la manifestazione del 13 aprile scorso, operata tramite un sondaggio sul social network “Facebook”, nelle oltre 30mila risposte degli attivisti, il titolo più gettonato è stato a lungo “Venerdì delle armate dell’islam: salvezza della Siria”. Un chiaro segno di come, dalla base, stia crescendo una ideologia islamica che preoccupa tutte le minoranze religiose, inclusi i cristiani. Solo “sul filo di lana”, grazie all’intervento dei leader del “Consiglio della Rivoluzione Siriana”, la scelta è poi caduta sul nome “Una rivoluzione per tutti i siriani”.
“La vicenda e l’inneggiare alle armate dell’islam da parte di tanti attivisti è segno evidente che l’opposizione siriana è divisa e che l’anima islamica whahabita e salafita, incoraggiata da forze esterne, sta prendendo piede”, commenta allarmata un fonte di Fides nella comunità cristiana in Siria. “Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana: allora sarebbe la fine per le minoranze etniche e religiose, che già stanno soffrendo molto in Siria, nochè per il pluralismo culturale e religioso che caratterizza la nazione siriana”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38926&lan=ita

mercoledì 18 aprile 2012

La Chiesa ortodossa: a Homs nessuna celebrazione di Pasqua, chiediamo la fine della violenza

Agenzia Fides  18/4/2012
A Homs la Pasqua ortodossa, che cadeva il 15 aprile scorso, non è stata celebrata: come riferito all’Agenzia Fides, esponenti della Chiesa ortodossa in Homs hanno riferito che non si sono tenute liturgie pasquali.

 I pochi cristiani rimasti in città, infatti, (meno di un migliaio) sono intrappolati dai bombardamenti prolungati e non hanno avuto alcuna possibilità di raggiungere le chiese, molte delle quali, fra l’altro, sono state distrutte o danneggiate dai combattimenti. La mancata celebrazione della Pasqua ad Homs, nota una fonte di Fides, “è un fatto doloroso che dovrebbe sensibilizzare le parti in lotta e la comunità internazionale perché si ponga fine alla violenza”.
A Homs anche la Pasqua dei cristiani latini, l’8 aprile scorso, ha coinciso con un periodo di intensi bombardamenti ed è stata celebrata nel nascondimento. La comunità dei gesuiti ha tenuto una piccola celebrazione con pochi fedeli, mentre la chiesa di “Nostra Signora della Pace”, dei greco cattolici, gravemente danneggiata è rimasta e rimarrà chiusa.
Attualmente a Homs truppe e artiglieria pesante del governo siriano occupano il centro urbano e, nonostante l’accettazione del piano di pace Onu e del cessate il fuoco, nella città continuano gli scontri a fuoco con le forze di opposizione.
Le famiglie cristiane in città, strette dal fuoco incrociato, “pensano solo a rimanere in vita e pregano perché questo incubo finisca presto” nota la fonte di Fides. La popolazione siriana è frustrata dalla lunga crisi e l’esodo dei profughi verso Giordania, Libano e Turchia continua.
La condizione dei fedeli cristiani è a rischio, spiega la fonte di Fides, perché “sotto l'attuale regime essi sono stati protetti, e dunque alcuni li considerano allineati con il regime. Questo li rende vulnerabili agli attacchi dei rivoluzionari o di forze non ben identificate”. I cristiani in Siria sono anche preoccupati dalla situazione dei cristiani in paesi come Iraq e Egitto dove, all’indomani dei cambi di regime, i fedeli sono vittime di attacchi. In Siria il cristianesimo è presente da duemila anni. Nel paese, prima dell’inizio del conflitto, vivevano circa 1,2 milioni di cristiani, di diverse confessioni.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38899&lan=ita

martedì 17 aprile 2012

Nonostante il piano Annan sia stato presentato come un estremo tentativo fatto dalla comunità internazionale per trovare una soluzione pacifica, ora esso appare come una nuova tappa per giungere ad un intervento armato esterno in Siria

Damasco, ribelli e regime violano il cessate il fuoco.
17-04-2012

Fonti di AsiaNews descrivono la situazione caotica, instabile e pericolosa. Opposizione composta da gruppi estremisti giunti in Siria solo per uccidere. Al via la missione degli osservatori di Onu e Lega Araba.

Damasco (AsiaNews) - "Il cessate il fuoco di Kofi Annan è fallito. Nei primi due giorni vi è stata una diminuzione dei morti, ma ora si è iniziato di nuovo a sparare. Ieri oltre 50 persone sono morte negli scontri fra esercito e bande ribelli". È quanto affermano fonti di AsiaNews, che descrivono la situazione in Siria "caotica, instabile e pericolosa". "Un funzionario del governo di Assad - sottolineano - mi ha confessato che nessuna delle due parti vuole fermare le violenze. La guerra durerà a lungo".

Ieri, il primo gruppo di sei osservatori della missione Onu-Lega Araba è giunto in Sira per controllare il rispetto del cessate il fuoco, in vigore dal 12 aprile, e attuare il piano di Kofi Annan. Oggi, i funzionari hanno allestito la loro sede operativa e iniziato a contattare membri del regime e leader ribelli. In totale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite invierà in Siria un team di 250 osservatori.

Il piano di Kofi Annan prevede: la fine delle violenze, l'applicazione progressiva di un cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari, il rilascio delle persone detenute senza processo, la libera circolazione ai giornalisti, l'avvio di un dialogo politico fra governo e opposizione.

Nonostante l'impegno del delegato di Onu e Lega araba per un dialogo fra governo Assad e ribelli, le fonti sottolineano che la popolazione è pessimista sul futuro del Paese. Esplosioni, scontri e violenze si stanno verificando anche a Damasco. "L'opposizione di cui parlano i media non esiste - continuano - i ribelli sono formati da varie fazioni molto divise fra loro. Per il Paese circolano gruppi di semplici criminali e terroristi stranieri, giunti in Siria solo per uccidere". "A tutt'oggi - aggiungono le fonti - il Free Syrian Army (Fsa) è considerato il rappresentante ufficiale dell'opposizione, ma in realtà esso è uno dei tanti eserciti che combattono contro il regime. La violazione del cessate il fuoco è da entrambe le parti". (S.C.)
http://www.asianews.it/notizie-it/Damasco,-ribelli-e-regime-violano-il-cessate-il-fuoco.-Fallisce-il-piano-di-Kofi-Annan-24524.html

lunedì 16 aprile 2012

La verità non usa mai le autostrade, ma va ricercata e passa per "la pietra scartata dai costruttori"

Da :VIETATO PARLARE

Durante il programma di Rai 1 A SUA IMMAGINE che segue l’Angelus del Papa, un commentatore, ha detto che il Papa ha recentemente rimproverato i Vescovi della Siria perché troppo pro-Assad.
Che il Papa abbia rimproverato che i Vescovi fossero troppo pro Assad non mi risulta , ma il punto non è questo: il punto è essere o non essere a favore della guerriglia armata in atto (che rifiuta ogni mediazione e compromesso), che si serve della mistificazione dei mass media per distorcere ciò che sta succedendo. Qui in questo blog si dice solo questo e che invece la sola rivoluzione a cui credo come cattolico e come uomo, è un’altra.
Invece, il ragionamento che ci hanno messo dentro, la logica di cui siamo intrisi, la logica che sembrano seguire la maggior parte dei mezzi di comunicazione è anticristiana : Pro o contro. Riducono la realtà a essere PRO O CONTRO. E’ un modo semplicistico e anticristiano di giudicare. L’informazione è contrassegnata dalla partigianeria o dal livore per il mancato intervento dell’occidente stile-Libia. Forti di questi altissimi pensieri, questi illustri pensatori della REALTA’ PENSATA, poi mi vogliono insegnare che la realtà non si può capire perché è complicata…
La risposta è l’idea di bene a cui apparteniamo. Domandarmi cosa io cerco in ogni cosa. E’ l’apertura al reale e non il conformarmi a delle opinioni sulla realtà.
Invece “pro o contro” o il sogno di un paradiso in terra non è l’idea che ho della giustizia e del benessere, della libertà. E l’ha ricordato Gregorio III patriarca cattolico siriano, di non pensare come questo mondo. Come dice il Vangelo stesso.

continua a leggere qui: http://www.vietatoparlare.it/2012/04/15/la-verita-usa-mai-le-grandi-autostrade-ma-va-ricercata-passa-sentieri-la-pietra-scartata-dai-costruttori/