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mercoledì 26 novembre 2014

Béchara Boutros Raї: «L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo»

«La guerra mette in fuga i cristiani. L'Occidente smetta di alimentarla»


Terrasanta.net, 24 novembre 2014

di Carlo Giorgi |

«Penso che Papa Francesco a Istanbul farà un appello chiaro per la pace in Medio Oriente. In particolare penso che inviterà la Turchia a collaborare per mettere fine alla guerra in Siria. In questo momento, infatti, la Turchia permette il passaggio a mercenari e fondamentalisti islamici dal suo territorio verso la Siria. Sono quasi due anni che il vescovo  greco ortodosso e quello siro ortodosso di Aleppo sono stati rapiti al confine tra Turchia e Siria … Bisogna invece che la Turchia collabori e inizi a svolgere un altro ruolo».
Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca dei maroniti, guarda con speranza al viaggio che Papa Francesco svolgerà in Turchia dal 28 al 30 novembre. Il patriarca ha inaugurato il 23 novembre la parrocchia di Santa Maria della Sanità di Milano, come luogo di culto per i cattolici maroniti e di rito orientale che vivono nella diocesi ambrosiana. In l’occasione della visita milanese, ha rilasciato questa intervista a Terrasanta.net.

La presenza di una parrocchia maronita a Milano, è un arricchimento per i cattolici locali. D’altra parte, l’emigrazione è anche il segno della crisi in cui si trova oggi il Libano …
Il Paese sta attraversando una crisi gravissima. Una volta il Libano era considerato la Svizzera del Medio Oriente. Nel 1975, all’inizio della guerra civile, un dollaro si cambiava con due lire libanesi. Oggi ce ne vogliono 1500 … Dal ’48 abbiamo sulle spalle il peso di mezzo milione di profughi palestinesi; la guerra in Siria ci ha portato un milione e mezzo di siriani; per non parlare delle migliaia di cristiani iracheni … il totale dei profughi oggi equivale alla metà della popolazione libanese. Per fare un esempio: solo il numero degli studenti siriani, 600 mila, supera quello degli studenti libanesi. Dove li mettiamo? Mancano le strutture. Tutto questo si trasforma in un problema sociale, economico, politico e di sicurezza. Secondo le stime dell’Onu, un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà …

Una situazione che incoraggia l’emigrazione.
È così. Io visito abitualmente le diocesi libanesi all’estero. L’anno scorso, ad esempio, mi sono recato in sette Paesi dell’America Latina. Ho trovato così tanti giovani libanesi. Mi chiedevo: ma chi è rimasto in Libano?  Sono tutti qui! … Abbiamo paesi che si stanno svuotando, un flusso migratorio enorme. È tremendo! E non possono tornare perché ormai hanno lì il loro lavoro, i figli. E chi parte vede che i problemi in Medio Oriente non si risolvono. Anche perché nessuno vuole risolvere il primo dei problemi, quello che teologicamente potremmo definire il «peccato originale» della crisi mediorientale.

Cioè?
Mi riferisco al conflitto israelo-palestinese, che è come una grande fornace da cui dilaga il fuoco della guerra. Fino a quando non si vorrà risolvere il problema palestinese, permettendo ad esempio ai profughi di tornare, il Medio Oriente sarà in guerra. Adesso tocca all’Iraq e alla Siria; domani sarà un altro Paese… e poi un quarto Paese… il problema è che ci sono interessi economici superiori: il petrolio, il gas, il commercio delle armi.

Cosa può fare l’Europa per fermare la guerra?
Deve aiutare alla riconciliazione in particolare tra sunniti e sciiti, perché oggi la guerra è soprattutto all’interno del mondo islamico. E poi deve aiutare l’islam - ma anche l’ebraismo – a separare religione e Stato. Finché non ci sarà separazione tra religione e Stato in Medio Oriente, la pace è molto lontana. E poi deve smettere di vendere armi in Medio Oriente e di finanziare i fondamentalisti. Papa Francesco, che parla in modo diretto, ha detto - riferendosi alla della guerra in Siria-: «Basta commercio di armi!»
Noi cristiani del Medio Oriente, in 1400 anni di vita comune con i musulmani, abbiamo trasmesso dei valori, facendo crescere la moderazione. L’Occidente, mandando armi e soldi, ha distrutto quello che avevamo costruito noi cristiani in quattordici secoli di storia. In questo modo però sta alimentando il fondamentalismo: ma quando il terrorismo si scatena, chi può arrestarlo?

Chi paga le conseguenze di questa situazione?
I cristiani del Medio Oriente. In Iraq abbiamo perso un milione di cristiani, prezzo di una democrazia che non è mai venuta… la loro fuga significa la scomparsa di tutta la cultura cristiana, la storia della salvezza.
Non si possono sacrificare i cristiani del Medio Oriente! Noi vogliamo rimanere nella nostra terra, vogliamo portare i valori cristiani a questo mondo arabo. Adesso più che mai il Medio Oriente ha bisogno dei cristiani, che parlano un altro linguaggio rispetto a quello di oggi. Oggi nei nostri Paesi si parla di guerra, terrorismo, uccidere, distruggere; il nostro linguaggio è Vangelo di Pace, fratellanza, dignità umana, sacralità della vita.
A me pare che l’Europa non abbia coscienza di questo, anzi sembra quasi che si vergogni…

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7044&wi_codseq= &language=it

 «Il fondamentalismo è foraggiato con armi e i soldi dell'Occidente» 


Vaticaninsider, 22/11/2014

di Andrea Tornielli

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. È triste constatare che il fondamentalismo è foraggiato con le armi e i soldi occidentali, e che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri». Il cardinale Béchara Boutros Raї, Patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente dei Maroniti, è a Milano per inaugurare la missione per i fedeli di rito maronita: l'arcivescovo Angelo Scola ha infatti affidato la parrocchia di S. Maria della Sanità per questo scopo. L'intervista con Vatican Insider è l'occasione per un'analisi a tutto campo sulla situazione mediorientale da parte di uno dei più lucidi protagonisti della vita delle Chiese di quella martoriata regione.

L'Isis con il suo auto-proclamato Califfato vuole la guerra di religione: siamo allo scontro finale tra islam e cristianesimo?


«Non bisogna cadere nelle semplificazioni. I fondamentalisti dell'Isis combattono contro tutti quelli che non sono come loro: a Mosul e Ninive hanno perseguitato anche musulmani sunniti e sciiti, e la minoranza degli yazidi. La loro è un'ideologia o chissà che cosa. Sono un movimento ultrafondamentalista, quelli che vengono chiamati "takfiri" cioè quei musulmani che accusano altri musulmani di infedeltà. Ma il Gran mufti libanese mi ha detto: "Non possiamo chiamarli takfiri, perché non hanno fede e combattono tutti!". È vero che anche i cristiani sono stati vittime, ma il numero maggiore di morti è stato tra i musulmani sunniti e sciiti, e tra gli yazidi».

Papa Francesco sta per arrivare in Turchia, molto vicino all'area più calda del conflitto. Che cosa si aspetta dalla visita?

«Spero che sia un'occasione per chiedere alla Turchia di collaborare a mettere fine alla guerra in Siria. Purtroppo i mercenari fondamentalisti di Al Nusra, Al Qaeda e dell'Isis entrano in Siria attraverso il confine turco. Papa Francesco sa parlare con chiarezza e penso che farà un appello per la pace in Medio Oriente».

Come giudica l'atteggiamento dell'Occidente di fronte alla crisi mediorientale?

«Mi aspettavo un altro ruolo dall'Europa, che è stata trascinata alla cieca prima nella guerra in Irak e poi ora in Siria. Alla comunità internazionale chiediamo: basta guerra in Siria e in Irak, basta con la tragedia dei palestinesi. Sono convinto che il conflitto israelo-palestinese sia il grande focolaio da risolvere se si vuole la pace nella regione. E la soluzione non può essere che quella dei due Stati: perché non si fa? Senza Stato palestinese la guerra non avrà fine. Poi c'è il conflitto arabo-israeliano, con le zone occupate in Siria e Libano. Finché non si applicano le risoluzioni dell'Onu non ci sarà la pace. Bisogna mettere fine alla guerra in Siria: il Papa ha parlato chiaramente del commercio di armi. L'Europa deve aiutare la riconciliazione, deve favorire la ricomposizione del conflitto tra musulmani sunniti e sciiti, e aiutare l'islam a separare la religione dallo Stato».

Che cosa chiedono i cristiani?

«Innanzitutto che cosa non chiedono. Non chiedono alcun protettorato! Non chiediamo di essere protetti dall'Occidente. I fondamentalisti ci accusano di essere discendenti dei crociati, ma noi viviamo lì da secoli prima dell'arrivo dell'islam. I cristiani del Medio Oriente in 1400 di vita comune con i musulmani hanno trasmesso valori e cultura. L'Occidente, inondando di armi e di soldi, distrugge quello che abbiamo creato e di fatto fa aumentare il fondamentalismo. È triste constatare, guardando a ciò che è accaduto negli ultimi decenni, che i nemici di oggi erano gli alleati di ieri. Ai cristiani non servono appelli perché lascino il Medio Oriente, servono politiche di investimento per lo sviluppo, per poter dare lavoro».

Ci sono voci musulmane che si levano contro l'Isis?

«Molti musulmani sono contro, ma non osano dichiararsi. Ma ci sono anche voci di condanna. Il 2 e il 4 dicembre, ad all'università di Al Azhar al Cairo, si terrà un vertice tra musulmani al quale sono stati invitati anche i cristiani, per denunciare il fondamentalismo del Califfato».

Quali conseguenze hanno questi conflitti nella situazione del suo Paese?

«Un terzo della popolazione libanese secondo l'Onu è sotto la soglia di povertà. In Libano vivono mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e mezzo di profughi siriani. Ormai la metà degli abitanti sono profughi. Molti di loro per sopravvivere accettano di essere pagati di meno per lavorare. Un paese di soli 10mila chilometri quadrati ha possibilità limitate. Ma il Libano, nonostante le difficoltà - siamo uno Stato al momento senza presidente, a motivo dei conflitti tra sunniti e sciiti che riflette quanto sta accadendo nella regione - rimane un modello di convivenza per il Medio Oriente ma anche per l'Occidente. Un modello nel quale i musulmani hanno rinunciato alla sovrapposizione tra religione e politica, e i cristiani hanno rinunciato a quella laicità che finisce per mettere Dio e la religione da parte».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/37679/

martedì 30 settembre 2014

Il Patriarca caldeo: dietro la guerra, giochi politici sporchi

«Se non ci aiuta il Signore, per noi non c’è futuro». Si avverte anche sofferenza e apprensione nel Patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I. L'apprensione del pastore che vede il gregge in pericolo. La sofferenza del figlio della Chiesa caldea che vede correre verso la dissipazione una lunga storia cristiana, quella che ha irrigato per millenni le terre tra i due fiumi della Mesopotamia. E a angustiarlo non sono soltanto i sanguinari jihadisti dello  Stato Islamico. 



Vaticaninsider - 29/09/2014
Intervista di Gianni Valente

Davanti alle sofferenze del suo popolo, cosa si può fare fare? Qual è, adesso, il vostro compito?

La prima cosa è consolare chi soffre e ha paura, aiutare tutti, e soprattutto incoraggiare la gente a perseverare e restare saldi nella loro fede e nella loro terra. A non andar via. A rimanere. Quelli che vogliono, certo. Senza forzare nessuno. Ma è nostro dovere orientare le persone con lo sguardo che ci suggerisce il Vangelo. Quelli che vanno via devono sapere che l'Occidente non è la terra promessa, tantomeno il Paradiso.

Ma tanti vogliono solo scappare.

Il momento che stiamo vivendo è anche una prova. Ognuno di noi è chiamato a guardare nel suo cuore, e può scoprire anche che la consolazione del Signore è l'unica forza e l'unico tesoro. Quello che abbiamo di più caro. Ma molti sono vittime di questa frenesia di fuggire. Non riescono nemmeno a pensare a quello che sta succedendo davvero alle loro vite. Cercano un futuro. Ma la speranza di un futuro migliore, per chi ha il dono della fede, non può ridursi solo alla ricerca di una vita più agevole.

Eppure un vescovo, negli Stati Uniti, sta trattando anche con la Casa Bianca per organizzare il trasferimento negli Usa di decine di migliaia di caldei.

Quel vescovo pensa sicuramente “all'americana”, ma non sembra pensare e agire secondo il Vangelo. E poi è fuori dalla situazione concreta in cui viviamo. In America hanno messo i cesti con le richieste di asilo sopra l'altare, durante la messa. Come se la migrazione di migliaia di cristiani iracheni negli Usa fosse qualcosa su cui invocare la benedizione di Dio. Una scena strana, che non fa che confondere la fede di tanti. Purtroppo alcuni ecclesiastici diventano  businessmen invece di rimanere pastori delle anime. Ragionano in termini di business e non di pastorale evangelica, anche riguardo ai fedeli. Per qualcuno sono soltanto numeri, con cui far crescere sulla carta la quota dei battezzati su cui hanno giurisdizione. Li fanno trasferire da una situazione brutta a un'altra che alla lunga può risultare ancora più miserabile. Lasciati a se stessi, senza una adeguata cura pastorale.

Lei cosa si sente di dire a chi vuole andar via?

Lo ripeto: ogni cristiano, nella sua coscienza, deve pensare a quale futuro cerca. Provare a sentire l'amore di Dio in questa situazione. Interrogarsi su cosa gli sta chiedendo il Signore in questo momento. E magari accorgersi che noi abbiamo un futuro qui, in questa nostra terra martoriata e benedetta. E che tutto il Paese rappresenta la nostra missione.
 Il Presidente curdo Barzani, quando è venuto a trovarci con Hollande, ci ha detto: voi dovete avere pazienza, dovete rimanere. Dovete imparare da noi curdi, che abbiamo sofferto ma adesso abbiamo i nostri diritti. Prendere lezioni di perseveranza. A noi cristiani può far bene anche questo.

Intanto, gruppi cristiani con base negli Usa cercano - e dicono di trovare – proseliti nei campi profughi. Anche tra i non cristiani.

È un guaio. Una cosa immorale. Approfittano delle difficoltà e delle sofferenze di un popolo. Anche loro ragionano in termini di business, da manager della religione in cerca di clienti.

Contro i jihadisti dello Stato Islamico si sono costituiti anche gruppi armati che si presentano come “milizie cristiane”. Cosa ne pensa?

Ai politici, anche cristiani, che me l'hanno chiesto, ho detto sempre: se alcuni cristiani vogliono partecipare alla difesa o alla lotta per liberare le terre conquistate dai jihadisti, che entrino nell'esercito curdo o in quello nazionale iracheno. Fare delle “milizie cristiane”, che si connotano in maniera etnico-religiosa, è una follia e un suicidio, oltre a essere illegale.

Gli Usa hanno iniziato l'intervento armato con la “coalizione”. In Iraq, qualcosa del genere lo avete già visto.

Tutto questo mi sembra un gioco politico sporco. Bombardare questi jihadisti non li farà certo sparire. C'è il pericolo di uccidere tanti innocenti. Si distruggono le infrastrutture, che rimarranno distrutte. Gli americani già lo hanno fatto: hanno distrutto il Paese e non lo hanno ricostruito. La cosa più grave è che adesso tutti ripetono: la guerra durerà anni. Così mandano un doppio messaggio, pericolosissimo. Ai jihadisti dicono: tranquilli, avete tempo per organizzarvi con calma, trovare altri soldi, arruolare altri militanti a pagamento. Agli altri, al popolo dei rifugiati dicono: ne avrete per anni, per voi il futuro è possibile solo altrove, lontano dalle vostre case. E' meglio che ve ne andiate, se ci riuscite. Se si vuole davvero farla finita con i gruppi estremisti, si deve lavorare sull’educazione e sulla formazione, con programmi che davvero facciano percepire la falsità e la mostruosità di quell’ideologia sanguinaria.

Intanto, in Occidente, qualcuno ha provato a ritirar fuori lo stereotipo dello scontro di civiltà e degli islamici nemici della civiltà occidentale.

La realtà è che l'Occidente non ha altri moventi oltre ai propri interessi economici e di potere. Anche quest'ultima entità che si fa chiamare Stato Islamico è stata nutrita per anni con soldi e armi che venivano da Paesi cosiddetti “amici” dell'Occidente. Coi servizi segreti, quando vogliono, possono sapere tutto di ognuno di noi. Come mai non sanno da dove passano le armi, o a chi vendono oggi il petrolio? Gli Usa si sono mossi quando hanno decapitato i 2 poveri americani. E tutti quelli - siriani, iracheni, cristiani e musulmani – che avevano ammazzato e sgozzato fino a allora?

In tutto questo, c'è qualcosa che la fa sperare?

La scorsa settimana, a Baghdad, noi sacerdoti abbiamo fatto tutti insieme gli esercizi spirituali. I nostri preti fanno miracoli, malgrado tutta questa situazione: liturgie, catechismo, attività sociali e di carità, teatro, tante cose belle. A questo ci chiama oggi il Signore: consolare le persone, aiutarle a avere pazienza, a non perdere la speranza. Adesso è la cosa più importante.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/iraq-iraq-irak-sako-36598/

L’Arcivescovo armeno di Aleppo: per il popolo, gli autori dei raid non sono certo dei “liberatori”


Agenzia Fides - 24/9/2014

I raid aerei contro le basi jihadiste in Siria, realizzati dagli Usa con il sostegno di alcuni Paesi arabi, non suscitano attese positive tra la popolazione siriana di Aleppo, timorosa “che questo tipo di intervento esterno possa peggiorare la situazione”. Lo riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Qui la gente non ha una visione chiara di quello che sta succedendo - fa notare l'Arcivescovo - ma certo non vede gli autori dei bombardamenti come dei 'liberatori'. Il sentimento prevalente è che i raid non risolveranno i problemi, e potrebbero addirittura aumentarli. Aumenta ancora l'incertezza che tutti vivono ogni giorno. Quella con cui, ogni giorno, i padri e le madri di famiglia si chiedono se sia ancora possibile rimanere o se l'unica salvezza sia ormai da cercare nella fuga”.
Intanto le scuole nei quartieri di Aleppo controllati dal governo hanno riaperto. I capi delle Chiese e delle comunità cristiane si incontrano una volta al mese – la prossima riunione sarà sabato prossimo – per fare il punto della situazione e trovare forme condivise per alleviare le sofferenze e le difficoltà del popolo: “noi rimaniamo qui - ripete l'Arcivescovo Marayati - e cerchiamo di sostenere tutti per fare in modo che rimangano qui, che non vadano via, finchè è possibile. C'è acqua solo due ore al giorno, sui nostri quartieri cadono ogni giorno i missili dei ribelli, manca il cibo. Tanti vanno via. Ma c'è anche chi è tornato dal Libano e dall'area costiera di Lattakia, quando sono ricominciate le scuole. Il nostro unico compito, in questa situazione, è cercare di far vivere i germogli di speranza che fioriscono tra le macerie”.

giovedì 29 maggio 2014

Il Vaticano domanda a USA e Russia il coraggio di un'azione congiunta

Intervista con il Cardinal Sarah, presidente di «Cor Unum»: «Sulla Siria la comunità internazionale si svegli dal torpore»

 «La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura.  

È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. 

Occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. 

Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».





Vatican Insider, 28 maggio 14

È stata al centro della prima giornata del viaggio in Terra Santa: della guerra fratricida in Siria e della conseguente catastrofe umanitaria  ha parlato il Papa durante la tappa del suo pellegrinaggio ad Amman. 
Venerdì 30 maggio si tiene in Vaticano un summit promosso da «Cor Unum» per coordinare il lavoro delle agenzie che si occupano degli aiuti umanitari nel Paese distrutto dopo tre anni di conflitto. 


Papa Francesco ad Amman, all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è tornato a chiedere che si riapra il negoziato sulla Siria. Qual è la situazione oggi?

«Intanto dobbiamo dire grazie al Papa che nel corso della sua visita in Terra Santa ha rimesso al centro il problema siriano. La situazione rimane drammatica: la guerra continua, nell’indifferenza della comunità internazionale, e il negoziato per la pace è in fase di stallo. Secondo i dati in nostro possesso oggi si contano circa 140 mila vittime, oltre 9 milioni di bisognosi di assistenza sanitaria, 60% di ospedali distrutti o inagibili. I siriani rifugiati sono più di 2 milioni, la maggior parte nei Paesi dell’area mediorientale e mediterranea, dei quali il 52% circa è composto da bambini e ragazzi sotto i 17 anni. E poi vi sono oltre 6 milioni di sfollati interni. È una catastrofe umanitaria».  

Ha qualche notizia sulla sorte di padre Dall'Oglio?

«Purtroppo no, nessuna notizia ufficiale. Vivo con apprensione le indiscrezioni che sono uscite in questi giorni sulla stampa, e prego affinché si rivelino non vere e padre Dall’Oglio possa tornare presto dai suoi cari».

Qual è la posizione della Santa Sede sul conflitto siriano?

«La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura. Inoltre riteniamo che debba essere garantita l’integrità territoriale del Paese. Nella Siria di domani ci deve essere posto per tutti, comprese le comunità cristiane ed ogni altra minoranza».

Che cosa dovrebbe fare, secondo lei, la comunità internazionale?

«Intanto dovrebbe risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta. È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. Poi bisogna mettere da parte gli egoismi e lavorare perché si torni al tavolo del negoziato. Ginevra 2 non può segnare il fallimento della strategia di pace: occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».

«Cor Unum» ha organizzato un incontro di coordinamento per le agenzie operanti nel contesto della crisi siriana. Perché? Quali saranno i temi al centro della vostra riflessione?

«Abbiamo avvertito l’esigenza, emersa soprattutto dagli organismi cattolici che lavorano nel contesto della crisi, di trovare nuove forme di coordinamento tra di loro e con la Santa Sede. La riunione del 30 maggio, a cui parteciperanno 25 agenzie attive in Siria e nei Paesi limitrofi, ci servirà per fare un bilancio di quanto fatto finora ed evidenziare criticità e priorità per il futuro. Per esempio: è possibile creare una maggiore sinergia tra il lavoro dei vescovi locali e quello progettuale delle agenzie? Come muoverci nell’emergenza educativa e di lavoro che una grande parte della popolazione siriana sta soffrendo? Ricordo che questo appuntamento è in continuità con quello organizzato lo scorso anno, nel mese di giugno. Allora, dopo quella riunione, nacque il primo ufficio di coordinamento delle informazioni a Beirut, il cui lavoro sarà valutato e valorizzato nel corso della riunione».

Che cosa fa il Pontificio Consiglio «Cor Unum» per la Siria?

«Cor Unum svolge un lavoro che coniuga l’assistenza materiale (costruzione di scuole, ospedali, case, fornitura di generi alimentari) con l’accompagnamento spirituale e ideale degli organismi cattolici. Promuoviamo il coordinamento tra i soggetti operanti sul campo e, in molti casi, realizziamo direttamente progetti di sviluppo assieme a partner istituzionali e privati. Una missione sanitaria per bambini siriani rifugiati in Libano, realizzata assieme all’Ospedale Bambino Gesù, a Caritas Libano e a finanziatori esterni, come la Fondazione Raoul Follereau, ha permesso di aiutare già oltre 4 mila bambini. Ma pensate che secondo dati Unicef, sarebbero oltre 5 milioni i bambini che hanno bisogno urgente di aiuto: 10 mila sarebbero quelli rimasti uccisi nella guerra, 1.2 milioni i rifugiati nei Paesi vicini, 3 milioni circa non frequentano le scuole.

E la Chiesa, più in generale, come si sta muovendo in concreto?

«La Chiesa segue l’evoluzione della crisi siriana fin dall’inizio, sia nei suoi aspetti diplomatici che umanitari. Nel suo complesso essa ha stanziato oltre 80 milioni di dollari, che sono stati impiegati in progetti umanitari in diversi settori, come l’assistenza a bambini e anziani, l’alimentazione, la ricostruzione di complessi abitativi e chiese, l’educazione. Le istituzioni che operano oggi sul campo sono più di 62, mentre sono oltre 42 gli organismi cattolici che hanno finanziato questi sforzi. Nel campo educativo, per esempio, sono stati investiti quasi 18 milioni di dollari, per la ricostruzione di scuole, per garantire il diritto allo studio o promuovere corsi formativi. Sono stati raggiunti oltre 310 mila ragazzi, e l’assistenza è arrivata anche ai rifugiati negli Stati confinanti: Libano, Giordania, Turchia, Cipro, Egitto, Iraq, Armenia. Ma c’è ancora moltissimo da fare».

Qual è la situazione delle comunità cristiane? Il cristianesimo rischia di scomparire da Paesi dove è presente sin dall'epoca apostolica. Che cosa chiede la Chiesa?

«Sarebbe uno scandalo che il cristianesimo smettesse di vivere là dove Gesù è nato e ha iniziato la sua predicazione. L’origine della Chiesa è in Medio Oriente e le comunità cristiane si sono rivelate in questi anni utili strumenti per la riconciliazione. Come ha detto Papa Francesco ad Amman, “esse offrono il loro contributo per il bene comune della società nella quale sono pienamente inserite”. Credo che a nessuno convenga soffocare le prospettive di pace che possono dare. La Chiesa perciò chiede una presa d’atto da parte di tutti di questo fatto gravissimo: non possiamo sempre aspettare che una chiesa venga distrutta o magari un religioso venga ucciso, per parlarne. Se il processo di pace ripartirà, come auspichiamo, bisognerà garantire la presenza di tutte le comunità nella nuova Siria. E pensiamo in questo contesto che l’integrità territoriale del Paese debba essere salvaguardata».

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-34413/

Rapporto delle Nazioni Unite: la perdita economica totale dall'inizio del conflitto in Siria è stimata a 143,8 miliardi dollari



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sabato 24 maggio 2014

Papa Francesco in Giordania: «È urgente una soluzione pacifica alla crisi siriana»


"Al termine di questo incontro, rinnovo l’auspicio che prevalgano la ragione e la moderazione e, con l’aiuto della comunità internazionale, la Siria ritrovi la via della pace. Dio converta i violenti e coloro che hanno progetti di guerra, che fabbricano e vendono le armi, e rafforzi i cuori e le menti degli operatori di pace e li ricompensi con ogni benedizione. Che il Signore benedica tutti voi!"

La radice del male è nella cupidità del denaro” che c’è in chi è attivo “nella fabbrica e nella vendita delle armi”, ha detto Jorge Mario Bergoglio parlando a braccio, in italiano, nel discorso agli assistiti dalla Caritas giordana: “Questo ci deve ...fare pensare su chi c’è dietro chi dà a tutti quelli che sono in conflitto le armi per continuare i conflitti. Pensiamo e dal nostro cuore preghiamo per questa povera gente criminale perché si converta”.

Discorso del Papa al luogo del battesimo di Gesù (24.05.2014)


Stimate Autorità, Eccellenze, cari fratelli e sorelle,

Nel mio pellegrinaggio ho voluto fortemente incontrare voi che, a causa di sanguinosi conflitti, avete dovuto lasciare le vostre case e la vostra Patria e avete trovato rifugio nella ospitale terra di Giordania; e al tempo stesso voi, cari giovani, che sperimentate il peso di qualche limite fisico.
Il luogo in cui ci troviamo ci ricorda il battesimo di Gesù. Venendo qui al Giordano a farsi battezzare da Giovanni, Egli mostra la sua umiltà e la condivisione della condizione umana: si abbassa fino a noi e con il suo amore ci restituisce la dignità e ci dona la salvezza. Ci colpisce sempre questa umiltà di Gesù, il suo chinarsi sulle ferite umane per risanarle, su tutte le ferite. E a nostra volta siamo profondamente toccati dai drammi e dalle ferite del nostro tempo, in modo speciale da quelle provocate dai conflitti ancora aperti in Medio Oriente. 


Penso in primo luogo alla amata Siria, lacerata da una lotta fratricida che dura da ormai tre anni e ha già mietuto innumerevoli vittime, costringendo milioni di persone a farsi profughi ed esuli in altri Paesi. Tutti vogliamo la pace. La radice del male è l’odio, la cupidità. Cosa si nasconde dietro a questo male? Chi dà a tutti quelli che sono in conflitto le armi per continuare il conflitto? Dobbiamo fermarci a pensare a questo, e nonostante tutto cercare nel  nostro cuore  una parola da dire anche a questa gente criminale, in fondo povera gente, perché si converta. Chiediamo che il Signore rafforzi i cuori e le menti degli operatori di pace e li ricompensi con ogni benedizione. 

Ringrazio le Autorità e il popolo giordano per la generosa accoglienza di un numero elevatissimo di profughi provenienti dalla Siria e dall’Iraq, ed estendo il mio grazie a tutti coloro che prestano la loro opera di assistenza e di solidarietà verso i rifugiati. Penso anche all’opera di carità svolta da istituzioni della Chiesa come Caritas Giordania e altre che, assistendo i bisognosi senza distinzione di fede religiosa, appartenenza etnica o ideologica, manifestano lo splendore del volto caritatevole di Gesù che è misericordioso. Dio Onnipotente e Clemente benedica tutti voi e ogni vostro sforzo nell’alleviare le sofferenze causate dalla guerra!
Mi rivolgo alla comunità internazionale perché non lasci sola la Giordania tanto accogliente e coraggiosa nel far fronte all’emergenza umanitaria derivante dall’arrivo sul suo territorio di un numero così elevato di profughi, ma continui e incrementi la sua azione di sostegno e di aiuto. 


E rinnovo il mio più accorato appello per la pace in Siria. Cessino le violenze e venga rispettato il diritto umanitario, garantendo la necessaria assistenza alla popolazione sofferente! Si abbandoni da parte di tutti la pretesa di lasciare alle armi la soluzione dei problemi e si ritorni alla via del negoziato. La soluzione, infatti, può venire unicamente dal dialogo e dalla moderazione, dalla compassione per chi soffre, dalla ricerca di una soluzione politica e dal senso di responsabilità verso i fratelli.

A voi giovani chiedo di unirvi alla mia preghiera per la pace. Potete farlo anche offrendo a Dio le vostre fatiche quotidiane, e così la vostra preghiera diventa particolarmente preziosa ed efficace. E vi incoraggio a collaborare, col vostro impegno e la vostra sensibilità, alla costruzione di una società rispettosa dei più deboli, dei malati, dei bambini, degli anziani. Pur nelle difficoltà della vita, siate segno di speranza. Voi siete nel cuore di Dio e voi siete nelle mie preghiere, e vi ringrazio per la vostra calorosa e gioiosa numerosa presenza.


http://popefrancisholyland2014.lpj.org/it/2014/05/24/discorso-del-papa-al-luogo-del-battesimo-di-gesu-24-05-2014/


Primo appuntamento di Francesco ad Amman, l'incontro con le autorità giordane: «Ho profondo rispetto e stima per la comunità musulmana». Appello per la libertà religiosa. Il re Abdallah: «Lei è diventato la coscienza del mondo intero»

Vatican Insider 
24 maggio 2014

di Andrea Tornielli


Le prime parole del Papa in Terra Santa sono un ringraziamento per la Giordania accogliente con i profughi, e per la cessazione del conflitto in Siria. Francesco è stato accolto al palazzo reale di Amman da re Abdallah bin Al Hussein - l'unico sovrano ad essere già stato ricevuto per due volte dal Pontefice in Vaticano - e dalla regina Rania. Dopo l'incontro privato e i saluti alla famiglia reale, il Papa ha parlato a trecento autorità del regno, tra le quali erano compresi i leader religiosi.

Abdallah ha accolto il Papa dicendogli: «Santo Padre, lei ha impegnato se stesso nel dialogo, specialmente con l'Islam. Oltre a essere il successore di san Pietro, lei è diventato la coscienza del mondo intero».

«Questo Paese - ha detto Francesco - presta generosa accoglienza a una grande quantità di rifugiati palestinesi, iracheni e provenienti da altre aree di crisi, in particolare dalla vicina Siria, sconvolta da un conflitto che dura da troppo tempo. Tale accoglienza merita la stima e il sostegno della comunità internazionale». Il Papa ha ricordato l'impegno della Chiesa attraverso Caritas Giordania.

Ed è quindi tornato a chiedere la fine delle violenze in Siria e la pace fra israeliani e palestinesi.
«Si rende quanto mai necessaria e urgente - ha spiegato - una soluzione pacifica alla crisi siriana, nonché una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese».
Francesco ha anche espresso «profondo rispetto e stima per la comunità musulmana».

Francesco ha rivolto un saluto alle comunità cristiane, «presenti nel Paese fin dall'età apostolica», che «pur essendo oggi numericamente minoritarie, hanno modo di svolgere una qualificata e apprezzata azione in campo educativo e sanitario, mediante scuole e ospedali, e possono professare con tranquillità la loro fede, nel rispetto della libertà religiosa, che è un fondamentale diritto umano e che auspico vivamente venga tenuto in grande considerazione in ogni parte del Medio Oriente e del mondo intero...».

La libertà religiosa, ha spiegato il Pontefice «comporta» anche «la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/terra-santa-34295/

mercoledì 21 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA - 3

"Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani". L'incombente dramma siriano.

















Intervista a Mons. Maroun Lahham, Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei Latini per la Giordania, a cura di Maria Laura Conte

OASIS, 19 maggio 2014

Un unico pellegrinaggio, ma con tappe in contesti diversi. Quali gli aspetti salienti?
«La visita si svilupperà in tre tappe, in Giordania, Palestina e Israele, che si presentano come situazioni completamente diverse. Il papa in Giordania incontrerà una comunità di cristiani felici, che possono vivere e praticare liberamente la loro fede, senza problemi di persecuzione. Prevediamo circa 40.0000 persone alla messa ad Amman e puntiamo alla massima riuscita. In Israele invece ultimamente si ripetono attacchi a chiese, conventi, moschee, da parte di alcuni fondamentalisti ebraici che, quasi ogni due-tre giorni, imbrattano con scritte offensive e minacciose edifici cristiani o musulmani. In particolare scrivono uno slogan: “pagare il prezzo”, come dire: “ci avete perseguitato nel passato, ora dovete pagare”. Sono attacchi dolorosi, ma non si può parlare di persecuzione di matrice religiosa. Le autorità fermano alcuni di questi fanatici, ma non con un’azione che li fermi definitivamente. In Palestina si risente della pesante situazione dei rapporti irrisolti con Israele, una sofferenza che si protrae da decenni ormai».

In particolare i giordani cosa si aspettano dall’incontro con il Papa?
«Per la Giordania ci aspettiamo parole di fede e di speranza, come quelle che lui solo sa dare. In Giordania tutti, il re e la regina, i principi e le principesse vogliono vedere questo papa che ha travolto il mondo. Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani. E di incoraggiamento per gli ammalati che incontrerà al sito del battesimo. A proposito dei rapporti tra la Palestina e Israele, ci auguriamo che dica parole forti di pace, giustizia e dialogo. Soprattutto ora che il processo di pace si è bloccato, gli americani se ne sono lavati le mani e hanno lasciato una situazione di stallo, urgono parole di riconciliazione. Papa Francesco, grazie al lavoro costante dei nunzi, conosce bene la realtà qui. L’assemblea degli ordinari cattolici ha già preparato un’ampia documentazione. Il papa non arriverà impreparato.

Come è stato guardato papa Francesco da parte dei musulmani in questo primo anno?
«Le richieste pervenute da parte del re, dei principi e delle principesse, le oltre 1300 richieste da parte delle ambasciate musulmane, sono segni concreti del fatto che tutti vogliono toccare questo papa, percepito molto molto molto bene. Ad oggi ancora Francesco non ha avuto modo di parlare dell’Islam, ma quello che tocca le persone non sono le parole, sono i gesti. La gente non ha bisogno di parole, ma di gesti. Quando Francesco ha abbracciato l’ammalato sfigurato a Roma, ha compiuto un semplice gesto che è arrivato a tutti i cuori. Tutto il mondo è rimasto colpito. La sua semplicità, i suoi gesti, la sua umiltà toccano tutti, anche i musulmani. Anche se non ha ancora scritto un’enciclica sull’Islam».

Anche se non farà una sosta in Siria, questo Paese così vicino sarà di fatto presente, incombente…
«Il papa ha pianto quando ha visto le foto dei cristiani crocifissi in Siria. Il Papa ha parlato del conflitto siriano come mai prima un papa ha parlato. Ha usato l’espressione “la mia amata Siria”. Solo che anche se i papi parlano, i politici restano sulle loro posizioni. Ricordo quando Giovanni Paolo II scrisse a Saddam e Bush supplicandoli di fermarsi. Ricordo che la Repubblica titolò “Il papa spera e Bush spara”. E nessuno ascoltò il papa polacco. Io spero e prego che questa crisi si arresti. Non credo che se Francesco proponesse un’altra giornata di preghiera e digiuno, la situazione cambierebbe. Quello che cambia ora è che l’esercito di Asad sta recuperando terreno, Homs è stata liberata dalle milizie. Entro due mesi l’esercito nazionale recupererà le aree perdute e poi ci saranno le elezioni di giugno, più o meno serie. Penso che la soluzione politica, di cui alcuni parlano, non sia realizzabile, perché l’esercito avrà la meglio e le milizie dovranno andarsene. Non vedo una soluzione politica, no, vedo solo quella militare al momento».

Il tema cristiani orientali e “protezione” resta un tema sensibile. Come lo interpreta?
«Quando sei una minoranza, vai dalla maggioranza a chiedere una protezione. Si chiama psicologia della minoranza. I cristiani vivevano serenamente in Siria e Iraq. Dopo l’Iraq l’alternativa proposta per la Siria, quell’al-Qaida che gioca al pallone con le teste dei cristiani uccisi, si pone come un’alternativa terribile. Penso che i cristiani in Siria abbiano davanti due alternative: o Asad com’è o i fanatici. Chi sarà eletto presidente dovrà aver capito cos’è successo in Siria, e quindi dovrà aprire porte e finestre, avere a cuore la libertà, la giustizia e il lavoro. Non si può andare avanti come prima».

Ma chi vince sul campo la guerra, non diventa ancor più prepotente?
«Un po’ di cuore alla fine lo deve avere chi vince. Sapere che ci sono stati 150.000 morti in questa crisi, deve indurre a riflettere chi governa. Penso. Almeno, io prego per questo. Questa è la mia personalissima opinione».

Questo papa come può relazionarsi con i musulmani per avere un rapporto reale?
«In Terra Santa tutto è complicato. Bisogna far attenzione a tante sfumature.
Ma penso che l’Islam fanatico, con il fallimento politico di Egitto e Tunisia, ora sia portato a essere più ragionevole. Penso che l’Islam moderato, come quello giordano e tunisino, si intenda facilmente con papa Francesco, perché non ha bisogno di tanti discorsi. Noi orientali siamo più toccati dai sentimenti, che non dai ragionamenti scolastici. A noi un gesto, un abbraccio, un sorriso, basta».

Si parla di una visita storica. Che ne pensa?
«Sarà una grande festa di popolo in Giordania».

http://www.oasiscenter.eu/it/articoli/cristiani-nel-mondo-musulmano/2014/05/19/papa-francesco-si-intender%C3%A0-bene-con-gli-orientali


I profughi siriani aspettano Papa Francesco: sperano che il mondo si ricordi di loro



Agenzia Fides 21/5/2014


Una profuga siriana musulmana proveniente da Homs e un rifugiato cristiano iracheno racconteranno le loro storie cariche di sofferenza e fatica a Papa Francesco, nell'incontro che il Vescovo di Roma avrà con rifugiati, malati e disabili a Betania oltre il Giordano, durante il suo imminente pellegrinaggio in Terra Santa. Lo riferisce all'Agenzia Fides Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania. L'incontro con Papa Francesco si svolgerà nella chiesa – non ancora ultimata né consacrata – che sorge presso il sito del Battesimo, il luogo dove secondo la tradizione Gesù è andato a farsi battezzare da Giovanni Battista. 
Tra i più di quattrocento presenti, i rifugiati siriani e iracheni – sia cristiani che musulmani - ospitati nel Regno Hascemita saranno almeno cinquanta, e offriranno in dono al Pontefice alcune opere d'artigianato confezionate da alcuni di loro.
“I rifugiati siriani e iracheni” spiega Suleiman attendono già pieni di speranza e trepidazione la visita del Papa: tra gli iracheni, alcuni vivono la condizione del rifugiato da più di vent'anni. Tutti si aspettano che il mondo si ricordi di loro, e cambi davvero qualcosa, nell'orizzonte incerto delle loro vite ferite. 


«Ma Dio c'è ancora?»: la domanda dei profughi siriani al Papa



Vaticaninsider, 21 maggio 2014
di Giorgio Bernardelli



.... «Quanti sono i profughi siriani in Giordania? Le cifre del governo parlano ormai di 1.350.000 persone - ci risponde Suleiman - Ma non potete capire fino in fondo che cosa significhi per noi giordani questa storia se non tenete presente anche tutto il resto. Perché nel mio Paese prima erano già arrivati i profughi palestinesi nel 1967. Poi è stata la volta dei libanesi negli anni Ottanta e degli iracheni negli anni Novanta. E lo sapete che negli ultimi due anni anche gli egiziani con visto di lavoro sono raddoppiati? Sì, c'era un accordo tra i nostri due Paesi, così molti di quelli che sono scappati da Il Cairo a causa delle violenze sono venuti comunque qui».

Anche per questo nella delegazione di circa quattrocento persone che incontreranno il Papa a Betania Oltre il Giordano - il sito archeologico dove si ricorda il battesimo di Gesù - ci saranno anche i poveri e i disabili della Giordania. È infatti quasi impossibile, ormai, tracciare dei confini tra le diverse sofferenze: «Si dice: voi giordani non avete avuto la guerra, ed è vero - continua ancora il direttore di Caritas Giordania - Ma tutte le devastazioni create dai conflitti nei Paesi vicini hanno avuto ripercussioni pesanti qui da noi. Penso per esempio alle scuole dove oggi abbiamo cinquanta alunni per classe o alle difficoltà enormi a garantire l'acqua o l'elettricità per tutti. Anche la Giordania sta soffrendo. E ci chiediamo: qual è il futuro del nostro Paese?».

Anche per questo a Betania Oltre il Giordano si attende dal Papa soprattutto una parola di speranza. L'incontro con i poveri avverrà in una chiesa che è ancora un cantiere: in questo sito che il regno di Giordania ha voluto valorizzare per i pellegrinaggi cristiani, concedendo a ogni confessione la possibilità di costruire una nuova chiesa, quella latina - la cui prima pietra fu posta da Benedetto XVI nel 2009 - è ferma alla struttura muraria essenziale. Già nel mese di gennaio, però, il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha presieduto qui la liturgia dell'annuale pellegrinaggio al Giordano dei cristiani locali nella festa del Battesimo di Gesù. Un cantiere che probabilmente diventerà un simbolo anche della ricostruzione umana che i poveri e i profughi cercano oggi in questa durissima periferia del mondo.
«Tanti tra i cristiani della Siria che accogliamo qui ci chiedono: “Ma Dio c'è ancora?” - racconta Suleiman - È una domanda in cui c'è tutta la loro disperazione. E anche la nostra fatica oggi nel dare una risposta».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/francesco-terra-santa-34235/

domenica 18 maggio 2014

VERSO IL VIAGGIO DEL PAPA IN TERRASANTA -2

Giordania, fra i cristiani in attesa di Francesco: "Salvaci"



Vatican Insider, 17 maggio 2014
di Maurizio Molinari

Festoni illuminati sulle case in pietra, rullii di tamburi e ovunque l’odore del cinghiale alla brace. L’ultima enclave cristiana della Giordania è in festa per il matrimonio fra i ragazzi di due delle famiglie più in vista. A venti minuti di auto da Amman, siamo in un angolo di Medio Oriente dove l’alcol non è tabù, i cacciatori di maiali selvatici sono gli chef più ricercati, nelle case ci sono le Madonne incorniciate e si balla la dabke, con uomini e donne che flirtano sotto gli occhi di amici e parenti. È l’Oriente dei cristiani, in gran parte ortodossi ma anche cattolici, che si  considerano orgogliosi eredi dei bizantini ma soffrono l’assedio dell’Islam fondamentalista.

Il matrimonio si svolge la domenica e il venerdì precedente è il momento in cui le famiglie si ritrovano, conoscono, mischiano. Ci saranno un duecento persone, forse di più. Sono commercianti e imprenditori di successo che accolgono anche Hweishel Akroush, il sindaco eletto al termine di una sfida all’ultimo voto con il rivale, anch’esso fra gli invitati. Appena Akroush entra nella grande sala da pranzo, con decine di sedie lungo le pareti per far sedere tutti gli ospiti, sul lato opposto si siede l’ex rivale. Ed iniziano un dialogo nel quale molti altri intervengono. Il tema è l’imminente visita di Papa Francesco, che proprio da Amman inizierà il 24 maggio il viaggio in Terra Santa che lo porterà a fare tappa a Betlemme e Gerusalemme.
«Speriamo che il Papa parli con chiarezza ai popoli arabi», dice un commerciante di mobili, sui 60 anni, spiegando che «qui la situazione per noi si fa difficile».

Il riferimento è a un fatto recente, avvenuto in una periferia commerciale di Amman, dove il proprietario di un piccolo negozio ha annullato all’ultimo momento la vendita dell’immobile a un imprenditore cristiano su richiesta di un imam locale. È un tema vissuto con evidente pathos. «È un pessimo segno - osserva uno dei parenti della sposa - perché non era mai avvenuto prima, lascia intendere quanto i fondamentalisti vogliano emarginarci». La fedeltà nel re Abdallah è fuori questione. In ogni casa vi sono i suoi ritratti, le bandiere reali sventolano ovunque in questa cittadina di 20 mila anime - l’ultima del regno hashemita a schiacciante maggioranza cristiana - e quando Abdallah venne in visita tre anni fa fu accolto con grande calore.
«Il problema è il Fronte Islamico - aggiunge uno studente universitario, amico dello sposo - perché i Fratelli Musulmani perseguono una Giordania senza di noi, crescono dal di dentro e ci vogliono togliere l’ossigeno dal basso con una miriade di atti quotidiani».

Si spiega così la decisione di alcuni figli dei presenti di aver scelto l’emigrazione all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Anche perché fare carriera nelle forze armate o nella pubblica amministrazione è quasi impossibile per chi non appartiene alle tribù beduine che esprimono la monarchia. C’è chi è andato in Michigan e chi in New Jersey, investendo capitali di famiglia per creare piccole imprese. Non siamo di fronte a una fuga di massa come avvenuto per i cristiani di Betlemme negli ultimi dieci anni ma la tendenza è in crescita. Il sindaco lo sa, ascolta in silenzio, ed evita di sbilanciarsi. «Siamo tutti cittadini giordani e questo Paese ci ha sempre protetto» dice, a bassa voce, tenendo le mani su un bastone di legno lavorato. Ma è una posizione che l’ex sfidante non condivide: «Il mondo in cui siamo cresciuti non c’è più, i cristiani sono massacrati, uccisi, perseguitati in più Paesi arabi, le cosiddette primavere hanno peggiorato le cose e non ci resta che sperare nel Papa». La quasi totalità dei presenti assicura che sarà nello stadio di Amman per ascoltare il discorso del Pontefice, a cui guardano come una sorta di sovrano protettore nella convinzione che i leader arabi vogliano un rapporto di mutuo rispetto con la Santa Sede.

A spiegare perché è un uomo sui 70 anni, noto per possedere molte proprietà ricoprendo così un ruolo di garante della perdurante identità cristiana di Fuhais, in quanto interprete fedele della legge non scritta che vieta di vendere case ai musulmani. «In Europa ci sono tanti musulmani, i leader arabi hanno interesse che siano trattati bene - osserva - e dunque cercano garanzie dalla Santa Sede, che può chiederne per noi». Sono ragionamenti rudimentali ma a condividerli è anche un ex dipendente dell’ambasciata Usa ad Amman: «Da queste parti bisogna essere espliciti per farsi comprendere». Il batti e ribatti si prolunga per due ore, con il sindaco sempre più taciturno e l’ex sfidante rincuorato dai sostegni ricevuti, fino al momento in cui fuochi d’artificio e tamburi annunciano che «il cinghiale sta per essere servito». Viene da un braciere gigante, dove più cacciatori hanno portato la carne migliore estratta da sei maiali selvatici uccisi nell’ultima settimana. Tagliata a piccoli quadratini, ripassata in una salsa piccante e fatta cuocere e fuoco lento, la carne di cinghiale viene servita avvolta in pitte calde, accompagnata da vino rosso a volontà. È un rito culinario che nasce dalla volontà degli zii cacciatori di regalare ai futuri sposi la carne più pregiata ma in realtà esalta anche le differenze d’identità rispetto alla maggioranza musulmana. Si spiega così il consenso collettivo per quanto avvenne due anni fa, quando cinquecento capifamiglia di Fuhais invasero la strada principale protestando contro la conversione all’Islam di una ragazza cristiana locale, spingendosi fino a dare alle fiamme l’auto del futuro marito. La difesa del territorio si gioca su più fronti, perché il sentimento che prevale è quello di un assedio che cresce e la speranza è in un aperto sostegno da parte del Pontefice. 
Ma fra i coetanei degli sposi prevale il pessimismo, sono diversi ad affermare che «forse siamo l’ultima generazione di cristiani in Giordania».

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/francesco-terra-santa-34147/


Il Papa atteso in Giordania, fra i disperati siriani




di Giorgio Bernardelli
La NBQ , 11-01-2014

.... questa volta la sosta ad Amman non risponde solo alle logiche della diplomazia, che hanno sempre imposto una tappa in Giordania a ogni viaggio di un Papa in Terra Santa. Stiamo infatti parlando di uno dei Paesi che sono toccati più fortemente dal conflitto in corso da ormai quasi tre anni in Siria. Con i suoi 6 milioni di abitanti la Giordania ha accolto un milione di profughi in fuga dal conflitto che devasta il Paese con cui confina; e ad appena settanta chilometri da Amman si trova Zaatari, la tendopoli per i profughi nata dal nulla nel deserto al confine con la Siria e diventata in pochi mesi per numero di abitanti la terza città del regno hashemita.
È un dramma che alla Chiesa della Terra Santa sta molto a cuore: anche la Caritas giordana è in prima linea negli aiuti ai rifugiati siriani. E di loro il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal ha parlato espressamente domenica scorsa, quando proprio ad Amman ha tenuto una conferenza stampa a poche ore dall'annuncio del Papa in piazza San Pietro. Dando anche un'anticipazione importante sul programma del viaggio: la sera del 24 maggio - a Betania oltre il Giordano, la località  dove secondo il racconto del Vangelo di Giovanni Gesù ha ricevuto il Battesimo nel fiume Giordano - Papa Francesco condividerà la cena con un gruppo di poveri tra cui anche alcuni profughi siriani.


È una notizia da cui appare chiaro come il 24 maggio si profili all'orizzonte come una specie di secondo tempo della giornata di digiuno e preghiera per la Siria indetta da Papa Francesco il 7 settembre scorso. Con un filo rosso comune all'insegna del tema della conversione: incontrare i profughi siriani proprio nel luogo del Battesimo di Gesù è un modo per dire che solo un cambiamento radicale del cuore può portare davvero quella pace nel rispetto dei diritti di tutti a cui il Medio Oriente oggi tanto anela.
Un'anteprima di questo clima la Chiesa della Giordania lo ha vissuto già  - proprio a Betania oltre il Giordano - in occasione dell'annuale pellegrinaggio al sito del Battesimo di Gesù presieduto dallo stesso patriarca Fouad Twal. Si tratta di un appuntamento che si ripete qui dal 2000 alla vigilia della festa liturgica che ricorda il gesto compiuto da Gesù, che la Chiesa universale vivrà questa domenica. Twal ha presieduto una liturgia nel cantiere (ormai avanzato) della futura chiesa cattolica di Betania oltre il Giordano, una delle sette nuove chiese delle diverse confessioni cristiane che sono in costruzione o già ultimate in questo luogo che il Regno Hashemita ha deciso di valorizzare come meta dei pellegrinaggi cristiani. Fu Benedetto XVI - durante il suo pellegrinaggio del 2009 - a benedire la prima pietra; e adesso la struttura dell'edificio è ormai quasi completata: il patriarcato latino di Gerusalemme prevede di inaugurarla ufficialmente nel 2015.
Anche il pellegrinaggio al Giordano è stata comunque un'occasione per tornare a parlare proprio delle sofferenze dei cristiani della Siria. Dal luogo dove il Papa incontrerà i profughi della guerra il patriarca di Gerusalemme ha infatti lanciato un nuovo appello per la liberazione dei due vescovi di Aleppo, dei sacerdoti che mancano all'appello da mesi e delle suore di Maaloula che si trovano tuttora nelle mani dei jihadisti siriani. Un modo per ricordare come le ferite aperte a Damasco oggi sanguinino in tutte le comunità cristiane del Medio Oriente. Così come la loro richiesta di un futuro che non sia in balia di chi innalza le bandiere di al Qaida sui campanili delle chiese.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-papa-atteso-in-giordania-fra-i-disperati-siriani-8163.htm

lunedì 16 dicembre 2013

Avvento di sofferenza e speranza in Siria. L'amarezza di Monsignor Haddad e le evidenze di Samaan.

Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: 
Non ci rassegniamo a pensare a un Medio Oriente senza i cristiani. Preghiamo ogni giorno per la pace”.

Mons Jeanbart: "Strage impressionante"


È un Natale macchiato di sangue quello che la comunità cristiana siriana si appresta a vivere.
Le stragi ad Aleppo di ieri, con bombardamenti che hanno provocato decine di morti, e quella ad Adra, nei pressi di Damasco, consegnano alla guerra in Siria una delle sue pagine più sanguinose. 

“Una strage impressionante che macchia la festa del Natale, ormai vicina”,  è il commento, rilasciato al Sir, dell’arcivescovo melchita di Aleppo, mons
ignor Jean-Clement Jeanbart, cui fa seguito lo sconforto del patriarca melkita, Gregorios III Laham,  “per tanta violenza. Non si riesce a comprendere - dichiara al Sir il patriarca - come il mondo resti in silenzio davanti a queste brutalità. Ad Adra sono stati barbaramente uccisi lavoratori, tecnici, gente comune. Una cosa terribile”. 

Tragedie che si aggiungono a quelle dei villaggi cristiani di Maalula, dove sono state rapite le monache del monastero di santa Tecla, e di Kanayé, nel Governatorato di Idlib, invaso da miliziani islamisti che terrorizzano la popolazione, minacciano di fare una strage e hanno imposto la legge islamica.

All'inizio dell'anno i "moderati" ribelli islamici  dell'Esercito Siriano Libero erano penetrati in Kanayè decapitando la statua mariana nella piazza della città. Ora Kanayè (Qunaya) è passata nelle mani di un gruppo ancora più aggressivo di estremisti affiliati ad al-Qaeda.


“Il mondo non vede la sofferenza di tutto il popolo siriano e non capisco come si possa ancora armare gruppi e bande crudeli. Fino a quando il mondo resterà in silenzio?”. 

Intanto per lenire le sofferenze della popolazione la Chiesa siriana sta cercando di promuovere delle azioni solidali insieme alla Caritas e Acs, Aiuto alla Chiesa che soffre, anche in vista del Natale. “Vogliamo fare un piccolo dono per tutte quelle famiglie, e sono tante, che hanno avuto vittime per la guerra al loro interno. Inoltre stiamo pensando a un regalo natalizio per tremila bambini bisognosi”. 
Per domani è prevista una riunione di “tutti i patriarchi e capi delle Chiese cristiane per pregare per la pace e prepararci al Natale”. Alla vigilia di Natale e il 25 dicembre sono previste Messe in tutte le chiese ma, avverte Gregorios III Laham, “in orari diurni per evitare problemi di sicurezza ai nostri fedeli”.  

http://www.agensir.it/sir/documenti/2013/12/00276791_siria_mons_jeanbart_aleppo_strage_impress.html


C'E'  CHI NON VUOLE LA PRESENZA DEI CRISTIANI IN SIRIA



”Purtroppo anche in questo tempo di Avvento la guerra nella nostra Siria continua. Ma voglio ribadire che questo conflitto non nasce dall’interno, ma per colpa di chi, dall’esterno, con l’aiuto del terrorismo, ha voluto creare una ‘pseudo-primavera araba” per distruggere in realtà un Paese da sempre simbolo della convivenza tra religioni diverse che evidentemente dà fastidio a qualcuno”.

 La riflessione amara è di mons. Mtanios Haddad, siriano, archimandrita melchita e rettore della Basilica romana di Santa Maria in Cosmedin.
 “Tre mesi fa – racconta padre Haddad – ero in piazza San Pietro a pregare e digiunare per rispondere all’appello di pace per la Siria di Papa Francesco. 
Ma, purtroppo, la ‘guerra degli interessi’, la guerra di coloro che vogliono vendere armi o liberarsi dei terroristi fanatici mandandoli in Siria, continua. Il vero scopo è creare uno stato islamista ma il popolo siriano resta unito e non lo vuole”. “Sono tredici secoli che cristiani e musulmani vivono insieme in Siria. Ci sono stati alti e bassi, ma abbiamo sempre creduto nella possibilità di convivere. Addirittura i musulmani del villaggio dove sono nato, vicino a Maalula, che sono la maggioranza, hanno pregato noi cristiani di restare per dare esempio di convivenza. Il fanatismo islamico invece mette in pericolo la presenza dei cristiani in Siria ”.

“Speriamo che alla Conferenza di Ginevra-2 - chiude p. Haddad – si prendano in considerazione soprattutto il popolo siriano e la sua volontà di ricostruire un Paese caratterizzato da convivenza e fratellanza pacifica”. P. Haddad ci racconta che venerdì 13 dicembre ha riunito a Santa Maria in Cosmedin otto cori dei collegi pontifici orientali di Roma, per cantare insieme per la pace in Medio Oriente e in particolare in Siria. 
“Abbiamo chiuso la celebrazione con le parole del messaggio del nostro Patriarca melchita, Gregorio III Laham: no alle armi, no alla violenza, no alla guerra. Sì alla pace, alla riconciliazione e al dialogo, unica condizione per continuare il cammino di convivenza in tutto il mondo”. 



Un appello a parlare davvero il linguaggio della fraternità, invocato dal Papa nel suo Messaggio per la giornata della pace, arriva anche da Samaan Daoud, cittadino cristiano di Damasco.

 “Non ci bastano questi due anni e 9 mesi di guerre e sangue versato in questo Paese? Non c’è altra soluzione se non il dialogo! Bisogna creare ponti, insistere sulle cose che ci uniscono, non su quelle che ci dividono, per ricostruire la Siria. Chi va a Ginevra-2 deve sapere che il bene da preservare è il bene dello Stato della Siria. Uno Stato che deve essere democratico, riconoscere tutte le confessioni e la libertà religiosa”.

Daoud commenta anche la vicenda delle otto suore ortodosse rapite il 2 dicembre a Maalula. “Le ho incontrate a settembre nel loro monastero e mi avevano detto che volevano rimanere lì, nonostante la guerra, per pregare per la pace. Per cui mi stupisco quando qualcuno dice che sono andate via volontariamente e che ora sono ‘ospiti’ di qualcuno. Mi pare una grande bugia”.
 “Nonostante tutto, mentre vediamo che il conflitto si fa sempre più settario e la violenza integralista non si ferma - conclude Samaan Daoud – noi cristiani siriani viviamo questo tempo di Avvento mantenendo la speranza che domani, un giorno non lontano, tornerà la pace. Ci prepariamo a ricevere Gesù Bambino che dovrebbe nascere nel cuore di ognuno”. 
(a cura di Fabio Colagrande)


Mons. Haddad: “La Siria? Una guerra importata”


da Vatican Insider 13-12-13
Marco Tosatti

Proprio nel momento in cui Stati Uniti e Gran Bretagna decidono di sospendere gli aiuti finanziari e di altro genere elargiti alle milizie fondamentaliste islamiche che combattevano una guerra religiosa contro il governo di Damasco e le minoranze (cristiane, alauita, sunnita, drusa e sciita),  la rivista delle Missioni della Consolata dedica spazio a un’intervista a mons. Mtianos Haddad, rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin. Santa Maria in Cosmedin è la basilica, vicina al Circo Massimo e al Teatro di Marcello, che ospita nel suo atrio esterno la famosissima “Bocca della verità”, il mascherone rotondo dove i turisti infilano la mano; leggenda vuole  che se sei  un bugiardo, la pietra si chiuda. E il prelato siriano assicura di dire la verità.

Parla della Siria, mons. Haddad; e come altri esponenti delle comunità cristiane (fino a oggi in Siria convivevano 7 etnie e 17 fedi religiose diverse) dipinge un quadro ben diverso da quello offerto dalla grande maggioranza dei media occidentali, per non parlare di televisioni come Al Jazeera e le organizzazioni di “attivisti” anti-Damasco. Da quest’intervista esce un quadro molto diverso da quello dipinto dalla maggior parte dei media internazionali. Mons Haddad è siriano, archimandrita della Chiesa cattolica greco-melchita.

“La Siria è una culla della cristianità – ha detto mons. Haddad alla rivista - . I cristiani e gli ebrei sono lì da ben prima dell’islam. Dopo 600 anni sono arrivati anche i musulmani. Un mosaico religioso, ben vissuto e ben accettato, che è diventato una ricchezza. Prima di questi ultimi 32 mesi, “maledetti” (mi scuso del termine, ma è così), la Siria era un esempio della convivenza e convivialità tra cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti), musulmani e comunità ebraiche. Come prova di quanto affermo, ricordo che, da tanti anni, il governo ha cancellato la voce “religione” dalla carta d’identità, cosa impensabile negli altri paesi arabi. Così, al momento di iscriversi all’Università, nessuno ti chiederà quale sia la tua fede. Ma c’è di più. Nelle scuole pubbliche, che sono gratuite, pure le differenze sociali tra ricchi e poveri sono state azzerate introducendo per ogni studente la stessa uniforme. Anche in questo modo il governo ha aiutato tutti noi a essere semplicemente cittadini siriani. Io sono orgoglioso di essere siriano».

Secondo il prelato siriano, quella siriana è una guerra importata...”Per abbattere il governo sono arrivati in Siria combattenti jihadisti da 17 paesi! Si parla di 80-100 mila uomini armati stranieri nel paese. Sono mercenari, jihadisti per vocazione o fanatici. Un esempio. Sono arrivati nella bellissima Aleppo, città di cultura e commerci, e si sono impossessati di un quartiere. Ebbene, questi personaggi hanno imposto la sharia nella zona conquistata. Hanno usato le persone come scudi umani, hanno ucciso bambini davanti ai familiari”. Haddad ricorda l’attacco a Maalula, una piccola città cristiana, uno dei pochi luoghi al mondo in cui si parli ancora l’aramaico. E dove i fondamentalisti islamici  hanno rapito un gruppo di suore ortodosse, della cui sorte non si sa nulla.

Secondo Haddad “la quasi totalità dei combattenti non sono siriani. Poi ci sono alcune persone che hanno lasciato la Siria perché avevano problemi con il governo”, fuori dal Paese da oltre 20 anni. I loro figli neppure sanno dove sia la Siria! “Io rispetto l’opposizione siriana che dialoga con il governo per cambiare le cose, ma non quella che chiede l’intervento di eserciti stranieri per colpire il paese. Questo è un tradimento. Questi personaggi (che spesso vivono in hotel a 5 stelle) non mi rappresentano. Adesso sono stati chiamati a partecipare alla conferenza di ‘Ginevra 2’, ma non ci vogliono andare perché pretendono di imporre le loro condizioni. Il governo al contrario non ne ha poste. A Obama hanno dato il premio Nobel della pace prima che facesse qualcosa. Vediamo se adesso saprà meritarselo”.

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