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sabato 2 maggio 2015

Fra Ibrahim e Pizzaballa: «Ad Aleppo noi cristiani siamo sempre meno, ma decisi a resistere»



Terrasanta.net

«Ad Aleppo si muore, la gente diventa ogni giorno più povera e siamo certi che le cose peggioreranno. Ma quello che mi dà speranza è che molti cristiani non vogliono andarsene. L’esercito ha aumentato le difese. Ho la sensazione che la città possa resistere e non cadere nelle mani dei fondamentalisti…».
Stavolta incontriamo fra Ibrahim Sabbagh, parroco latino nella seconda città della Siria, a Milano. È da pochi giorni in Italia per una breve pausa e per raccogliere aiuti per la sua parrocchia, dopo un viaggio avventuroso che lo ha portato prima a Damasco (dieci ore per fare 360 chilometri e lungo il percorso molti posti di blocco, un blindato dell’esercito esploso su una mina e tre soldati uccisi), poi a Beirut e infine nel nostro Paese.

Il racconto di fra Ibrahim, che ad Aleppo ha lasciato altri tre confratelli francescani della Custodia, fotografa una situazione tragica: 
«I nostri “martiri”, cioè i cristiani morti in città negli ultimi tre anni sotto i bombardamenti sono 178 - annota fra Ibrahim -: 20 sono della Chiesa latina, 20 i melchiti, 14 i greco-ortodossi, 9 i siro-ortodossi, 7 i siro-cattolici, 7 i maroniti e 101 gli armeni. Aleppo prima che scoppiasse la guerra contava circa un milione di cristiani. Oggi nessuno sa quanti siamo rimasti: forse un terzo, forse un quarto... Quando facciamo l’incontro periodico tra tutti i responsabili delle Chiese di Aleppo, nessuno dice di conoscere il numero delle famiglie o il numero delle persone della sua Chiesa. Ma alcuni dati possono farci immaginare la situazione: le 9 scuole cattoliche della città due anni fa contavano 10.500 bambini iscritti, adesso il numero è sceso a 2.500. Questo confermerebbe che i cristiani sono diventati un quarto, un terzo in due anni… E quelli che rimangono, diventano più poveri di giorno in giorno. Secondo i dati di cui dispongo, abbiamo sicuramente 442 famiglie iscritte alla nostra associazione di beneficenza parrocchiale. Quando sono arrivato ad Aleppo, a fine 2014, vi erano iscritte soltanto 220 famiglie: in cinque mesi sono raddoppiate. Lentamente credo che tutte le famiglie busseranno alle porte dell’associazione… Secondo i sondaggi della Caritas, il 70 per cento delle persone che vivono oggi ad Aleppo è sotto la soglia della povertà. Diversamente da quanto avviene a Damasco, dove la maggior parte della popolazione lavora, ad Aleppo solo un quinto degli abitanti lavora ancora».

«Il cibo – prosegue il parroco francescano – in città arriva, ma a volte chi lo vende se ne approfitta e il prezzo cresce fino a diventare insopportabile. La gente è davvero molto povera: ultimamente ci capita addirittura di dover pagare tutte le spese dei funerali perché non hanno soldi neppure per questo…  Nonostante tutto, ci sono diverse cose che mi danno speranza: innanzitutto il fatto che molti cristiani di Aleppo sono decisi a non abbandonare la città. Amano Aleppo e sanno in ogni caso che se lasciano la città perderanno tutto. È positivo il fatto che pensino che ci sono ancora le condizioni per restare! Nonostante l’assedio e i bombardamenti la vita non si ferma: la biblioteca che noi frati abbiamo inaugurato alcuni mesi fa per gli studenti universitari, continua a rimanere aperta e i ragazzi continuano a studiare e a dare esami; le classi di catechismo hanno continuato a svolgersi fino all’ultima lezione, a cui erano presenti oltre 170 bambini. E poi mi consola molto vedere come ci sia tanta gente buona: trovo sempre persone disposte ad aiutare con molta facilità, disponibili, pazienti. Tra noi sacerdoti, infine, è meravigliosa la comunione che si è creata proprio in questa situazione di guerra».

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=7471&wi_codseq=SI001%20&language=it

Jisr el Choughour : la bandiera di al-Nusra issata sopra la croce della chiesa



L'intervista al Custode di Terra Santa 

(da Avvenire, 1 maggio)

di Andrea Avveduto

«Aleppo, la solidarietà resiste»


«La situazione umanitaria, in particolare ad Aleppo, è straziante. Mancano elettricità e acqua, la gente vive continuamente sotto i bombardamenti». Fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, appena tornato dalla Siria conserva negli occhi tutte le atrocità di una guerra assurda giunta ormai al quarto anno.


Padre Pizzaballa, quali zone ha potuto visitare e quali sono le più colpite dal conflitto? Sono stato a Latakia, Damasco e Aleppo. Non ho potuto andare nei villaggi del Nord perché c’erano dei combattimenti in corso per prendere Jisr al-Shugur, una cittadina che era sotto il controllo governativo e adesso è stata conquistata da al-Nusra. I jihadisti hanno distrutto in poco tempo anche tutte le nostre proprietà, ma non è il problema principale. Sono le tante famiglie sfollate che bussano alla nostra porta a preoccuparci. La città più colpita è Aleppo, dove la popolazione vive in condizioni disastrose e le uniche forme di lavoro che sopravvivono sono le piccole attività commerciali.

Quali sono le principali difficoltà della popolazione? Il costo della vita è aumentato drasticamente, non si può nemmeno quantificare con esattezza. La lira siriana poi non viene più utilizzata e – anche se è proibito – si impiega il dollaro. Il sistema sanitario è insufficiente per rispondere con tempestività ai bombardamenti, e tanti medici sono scappati. C’è un profondo senso di frustrazione, di disorientamento e di angoscia. Ad Aleppo tutti si chiedono se l’Is riuscirà – presto o tardi – a entrare in città.

Cosa significa la vostra presenza per la popolazione? È fondamentale, perché la gente non ha solo bisogno di pane. A volte conta di più una parola di conforto, un abbraccio o una stretta di mano. Non abbiamo la pretesa di cambiare le sorti della guerra, ma in questo conflitto abbiamo davvero la possibilità di cambiare noi stessi, di rimboccarci le maniche e darci da fare, di continuare a credere che l’uomo sia fondamentalmente buono perché creato a immagine di Dio, e non permettere che la logica della guerra diventi anche per noi il criterio con il quale guardare a tutta questa violenza. Anche nella paura, che è grande e innegabile.

C’è spazio per sperare in Siria? Tanti piccoli segni ci dicono che sperare è possibile e – aggiungerei – doveroso. I poveri si aiutano tra loro, in particolare chi ha perso la casa. C’è chi ha ricavato uno spazio nel suo appartamento per accogliere gli sfollati. Ho assistito a un funerale di una madre morta con le due figlie: c’erano tante donne musulmane con il velo che partecipavano alla Messa per piangere assieme ai vicini cristiani. È un grande segno di solidarietà. Le relazioni non si sono spezzate, come vorrebbero farci credere. Sono piccole cose, ma restano segni importanti, in questo mare di odio.

Che cosa chiede all’Occidente e a ciascuno di noi? Chiedo di non dimenticare i nostri fratelli che continuano a morire in Medio Oriente. E poi chiedo di aiutare economicamente le realtà che sono ben radicate nel Paese e che nonostante questa guerra atroce continuano a lavorare per costruire. È importante e necessario non arrendersi, continuare a credere che sia possibile fare qualcosa e conservare quel patrimonio unico che il Medio Oriente ha preservato fino ad oggi.

È possibile sostenere l’attività dei frati francescani in Siria dal sito www.proterrasancta.org


Da AVVENIRE, 1 MAGGIO 2015

martedì 24 dicembre 2013

"La forza e la violenza di cui facciamo esperienza in questo tempo ci potranno togliere tutto, ma non la vita che nasce da quell’amore."

Icona di Mikhail Damasceno , 1740, nella Chiesa di Costantino in Yabrud


“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, 
lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” 
(Lc 2,7)

Il lungo anno che sta per concludersi ha visto un crescendo di violenze. Abbiamo sofferto per il coinvolgimento di tanti innocenti: bambini, vecchi, donne, poveri di tanti Paesi; per tanti fratelli e sorelle cristiani, vittime di discriminazione, persecuzione e di martirio in Medio Oriente e in varie parti del mondo. Un lungo tempo in cui la nostra speranza è stata sostenuta dalla preghiera e dall’urgenza di prestare aiuto. Abbiamo sentito fortemente la necessità e il dovere di tenere alta la nostra speranza, di difenderla quasi, dall’assalto ripetuto di una violenza che sembra inarrestabile. E abbiamo toccato con mano l’eterna verità che il Natale racchiude e il Vangelo rivela.
La via della vita non passa attraverso le strade del dominio e del potere, ma percorre i sentieri nascosti di un amore che si fa debole, che sceglie di non imporsi.
Dio non ci salva con un gesto di forza, ma con l’umile segno di un’infinita disponibilità, che si offre a tutti. Avevamo bisogno che l’Onnipotenza si facesse Bambino. “Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto” (1Cor 1,27). Perché “ci basta la Sua grazia; e la forza si manifesta pienamente nella debolezza” (1Cor 12,9)
Solo così ci ha salvati davvero, fin dentro le radici più profonde, nascoste, oscure del nostro cuore. Perché se a salvarci fosse stata solamente la Sua potenza, anche la potenza benefica di un miracolo, certo saremmo stati guariti dal male, ma non trasformati nel cuore.
Avremmo avuto la conferma - ma questo lo sappiamo già, da sempre -, che il potere conosce questa ambiguità: cioè il potere di fare il male e il potere di fare il bene. Ma sempre con potenza. E il nostro cuore avrebbe continuato a confidare nella potenza, augurandosi che fosse una potenza benefica e non malefica.
Dio, invece, ci ha salvati dal male non con la potenza, ma con la debolezza dell’amore. E allora siamo davvero guariti. Perché abbiamo fatto esperienza che l’amore, quando è autentico e radicale, ci salva. Ci salva perfino da noi stessi, dalla nostra brama di potere, dal nostro confidare nella forza, dall’illusione di possedere la vita attraverso la forza. 


E questa è la salvezza: fidarsi, infine, dell’amore.
Fidarsi che nient’altro trasforma il cuore, nient’altro cambia il mondo. La violenza che ultimamente ci circonda e che sembra essere l’unico linguaggio in uso diventa dunque impotente di fronte all’amore che salva.
Avevamo bisogno che qualcuno, prima di noi e per noi (Cristo patì per voi lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme, 1Pt 2, 21), percorresse questa strada, questi umili sentieri, per dirci che questa strada è vera, l’unica strada vera. E su questa strada camminasse fino alla fine, fino a quella croce dove l’amore - l’amore debole e sconfitto - dona tutto se stesso, per rinascere vivo per sempre.
La forza e la violenza di cui facciamo esperienza in questo tempo, dunque, ci potranno togliere tutto, ma non la vita che nasce da quell’amore. Essa è donata per sempre. 


Questo è il Natale. Che questo Bambino ci prenda per mano e ci conduca su questa stessa strada, quella che Dio ha scelto; lì dove solo all’amore consegniamo il nostro cuore, lì dove siamo salvati davvero.
Posiamo allora lo sguardo sulla grotta di Betlemme, per vedere che Dio ha scelto quanto c’è di più lontano dalla forza, di più diverso dalla potenza: Dio ha scelto la carne di un bambino.

Fra Pierbattista Pizzaballa, OFM
Custode di Terra Santa


http://it.custodia.org/default.asp?id=4&id_n=24060

           Buon Natale a tutti!


Il Natale, quest’anno, parla ai nostri cuori in questo martoriato Oriente, essendo la festa della pace annunciata dal coro degli angeli nel cielo di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”. 
Nel nostro Oriente e dalla nostra terra è stata annunciata la pace al mondo, con la nascita del Principe della pace, il Cristo Salvatore, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. 
Ci rincresce e ci duole che questa stessa terra sia trasformata dagli interessi politici, economici e distruttivi in una terra di guerra, di violenza e di terrorismo. 
Però, essendo la pace un dono di Dio e Cristo stesso nostra pace, la pace è possibile ed è affidata a ciascuno di noi, secondo il suo stato, la sua posizione e la sua responsabilità. La pace è anche necessaria perché gli uomini e le donne, i piccoli e i grandi possano vivere nella verità, nella giustizia, in amore e libertà. Cristo è nato: Alleluja!

Patriarca Béchara Raï

venerdì 18 ottobre 2013

Verso una Terra Santa svuotata dei Cristiani?


Patriarca Raï:  "l'obiettivo ipocrita" della guerra in Siria:

“Svuotare il Mashrek (il Medio Oriente) della sua civiltà cristiano-islamica” e “mantenere uno stato di guerra permanente nella regione per fini politici ed economici”. 
Il Patriarca maronita Bechara Raï - riferisce la Radio Vaticana - ha espresso la sua dura denuncia durante una udienza con una delegazione di rappresentanti di undici associazioni cristiane e musulmane francesi, giunta in Libano per esprimere solidarietà al Paese, da mesi in prima linea nell'emergenza umanitaria causata dal conflitto siriano. Secondo il cardinale, questa tragica situazione rischia di peggiorare con l’approssimarsi dell’inverno, fino a diventare "una catastrofe umanitaria".

Attualmente, infatti, oltre un milione e mezzo di profughi siriani sono senza un alloggio decente, senza scuole e assistenza sanitaria. Si sprecano ormai le invocazioni di aiuto: la comunità internazionale ha lanciato un appello a non risparmiare alcuno sforzo per aiutare queste persone in difficoltà. La delegazione, prima di rientrare in Francia, si è rivolta a tutte le organizzazioni religiose e Ong francesi affinché si uniscano "per portare al popolo siriano un messaggio di solidarietà e speranza”.
Infine il patriarca Rai ha fatto sentire la sua voce sul quotidiano libanese "L'Orient-le-jour", dove si è rivolto in particolare ai Paesi occidentali dicendo: “L’Occidente che fino a poco tempo fa invocava l’invio di armi in Siria deve levare la sua voce e chiedere adesso che la pace venga ristabilita”. 
"Sappiamo che alcuni paesi hanno deciso di ospitare sul loro suolo 10.000 sfollati ciascuno. Protestiamo con forza contro una decisione del genere. Si sta sradicando un popolo, si distrugge una civiltà cristiano-musulmana costruita insieme lungo tredici o quattordici secoli di convivenza. Questo è in realtà lo scopo di questa guerra ipocrita: svuotare il Mashreq della sua civiltà e mantenere uno stato di guerra permanente a fini politici ed economici. Noi attribuiamo grande importanza alla convivenza con i nostri concittadini musulmani. Abbiamo costruito una preziosa civiltà comune a cui teniamo".


L'Arcivescovo Marayati: le politiche della comunità internazionale incentivano la fuga dei cristiani



Agenzia Fides 16/10/2013

Aleppo  - “Negli ultimi tempi tra la gente è girata la voce che 17 Paesi hanno aperto le porte ai profughi siriani. Questa notizia ha riacceso con più forza anche tra i cristiani l'impulso a lasciare la Siria”. Lo dichiara all'Agenzia Fides l'arcivescovo armeno cattolico di Aleppo Boutros Marayati, aggiungendo che “per ora non si tratta di un esodo di massa, ma il fenomeno coinvolge un numero crescente di famiglie”.
L'arcivescovo armeno cattolico conferma che i cristiani più ricchi sono già partiti, mentre per gli altri “rimane pericoloso e anche molto costoso ogni tentativo di uscire dal Paese, perchè servono tanti soldi. Ma quelli che hanno già raggiunto il Libano adesso sottoporranno agli organismi dell'Onu le loro richieste di espatrio, confidando che siano accolte con prontezza”.
Secondo l'arcivescovo Marayati “la situazione siriana diventa sempre più complicata, e ogni sua banalizzazione appare fuoviante”. Ad esempio, accanto ai cristiani che fuggono ce ne sono altri che ritornano a Aleppo dopo essersi rifugiati nell'area costiera di Lattakia, perché “non avevano soldi per pagare l'affitto dell'alloggio e qui possono mandare anche i figli alle scuole, che hanno riaperto”.

Anche l'idea di un fronte unico delle milizie d'opposizione che combattono contro il regime appare ormai da accantonare in via definitiva, perchè tra i ribelli “ci sono tante fazioni che sul campo si combattono tra loro”.

Nei giorni scorsi l'esercito di Assad ha riaperto la strada che univa Aleppo a Homs. L'allentamento dell'assedio ha consentito di far arrivare in città derrate alimentari che mancavano da mesi. Ma l'Arcivescovo Marayati assicura che il sollievo concreto percepito dalla popolazione è stato finora minimo: “Il cibo diventa sempre più caro, mancano corrente e acqua in molti quartieri. Passiamo il tempo a distribuire aiuti alimentari e beni di prima necessità, e le famiglie che li chiedono aumentano sempre. Nei quartieri periferici e nei sobborghi le esplosioni e i bombardamenti continuano. Anche ieri, nel giorno della festa musulmana del Sacrificio, hanno segnato l'intera giornata, senza alcuna tregua”.

http://www.fides.org/it/news/53764-ASIA_SIRIA_L_Arcivescovo_Marayati_le_politiche_della_comunita_internazionale_incentivano_la_fuga_dei_cristiani#.Ul58cm1H4id


Migliaia di cristiani siriani chiedono la cittadinanza russa

Il ministero degli Esteri di Mosca pubblica l'appello dei cristiani della regione di Qalamoun: l'Occidente appoggia i terroristi, la Russia è fattore di pace. "Per la prima volta dalla nascita di Cristo rischiano di essere banditi dalle loro terre".




AsiaNews - 17/10/2013

Mosca - Circa 50mila cristiani siriani hanno chiesto la cittadinanza russa, col timore di "essere banditi dalle proprie terre, per la prima volta dalla nascita di Cristo". Lo ha reso noto il ministero degli Esteri russo, pubblicando sul suo sito internet l'appello collettivo del gruppo di siriani di Qalamoun, dove si concentrano i villaggi a maggioranza cristiana, come quello di Maaloula, vittima di violenze mirate, da parte di Al-Nusra, gruppo legato ad al-Qaeda. I firmatari puntano il dito contro l'Occidente, che appoggia "l'attacco da parte dei terroristi" contro la Siria: la Federazione russa è di conseguenza definita "un potente fattore di pace e stabilità".
"Visto che la legge siriana permette la doppia cittadinanza, abbiamo deciso di chiedere quella della Federazione russa, un onore per ogni cristiano siriano che desiderasse ottenerla", si legge nella lettera.  "Il nostro appello non significa che non ci fidiamo dell'esercito siriano o del governo - scrivono - ma siamo spaventati dal complotto dell'Occidente e dai fanatici pieni d'odio che stanno intraprendendo una guerra brutale contro il nostro Paese".



Patrimonio dell'Unesco, Maaloula dista 40 km a nord di Damasco. Il villaggio è famoso in tutto il mondo come uno dei luoghi simbolo della cristianità in Medio Oriente ed è l'unico luogo al mondo, dove è ancora parlato l'aramaico, il villaggio è considerato un simbolo della convivenza interreligiosa.
"E' la prima volta dalla nascita di Cristo che noi cristiani della zona di Qalamoun, che viviamo nei villaggi di Saidnaya, Maara Saidnaya, Maaloula e Maaroun, siamo sotto la minaccia di essere banditi dalla nostra terra - denuncia l'appello - preferiamo la morte all'esilio e alla vita in campi profughi e così difenderemo la nostra terra, il nostro onore e la nostra fede e non lasceremo la terra su cui ha camminato Cristo".
"I cristiani di Qalamoun crediamo che lo scopo dei terroristi appoggiati dall'Occidente sia quello di eliminare la loro presenza da quella che è la loro terra natia e con i metodi più disgustosi, compresa l'uccisione selvaggia di gente comune", continua la lettera. "Vediamo la Federazione russa come un potente fattore di pace e stabilità - concludono - la Russia persegue una posizione ferma nella difesa della Siria, della sua gente e della sua integrità territoriale".

L'attacco degli estremisti islamici a Maaloula è diventato un simbolo delle sofferenze dei cristiani nel Paese mediorientale. L' Osservatorio siriano per i diritti umani, legato alla ribellione, ha confermato la presenza di battaglioni affiliati ad al-Qaeda fra le milizie che hanno invaso la cittadina e  hanno profanato i monasteri di Santa Tecla e San Sergio, distruggendo le croci sulle loro cupole e gli antichi arredi sacri. 

http://www.asianews.it/notizie-it/Migliaia-di-cristiani-siriani-chiedono-la-cittadinanza-russa-29303.html

L'appello del Custode di Terra Santa 


martedì 25 giugno 2013

“La nostra missione è di essere dei pazzi di Dio che continuano a portare la speranza a tutti coloro che pensano che non c’è più un futuro, che non c’è più né speranza né carità.”

Le Monache Trappiste : non ce ne andremo anche se gli islamici uccidono i monaci


"Sappiamo che il Signore non abbandona la Siria: chiedete tanta preghiera perché le logiche umane sono quelle che sono": a dire così è Suor Marta, una delle monache trappiste che vive in un monastero al confine tra Siria e Libano.
"Chiedete tanta preghiera ma anche un dialogo politico perché con le armi non si arriva a nulla". Contattata da ilsussidiario.net subito dopo la notizia che un monaco è stato ucciso nelle ultime ore nel convento francescano di Sant'Antonio da Padova a Ghassanieh, in Siria, Suor Marta esprime bene con le sue parole la situazione di caos sanguinario in cui ormai è sprofondata completamente la Siria. Un gruppi di ribelli islamisti ha attaccato il convento, penetrando al suo interno e rubando tutto ciò che potevano rubare. Nel fare questo hanno ucciso padre Francois Mourad, un monaco eremita che da qualche mese viveva ospite nel convento francescano. 

Suor Marta, voi conoscevate questo monastero? E' lontano da dove siete voi? 
Sì, in passato abbiamo avuto occasione di visitarlo. Si trova fuori Aleppo, in direzione nord ovest a un'ora e mezzo circa dalla città in direzione della montagna, in una zona abitata prevalentemente da cristiani e naturalmente dai padri francescani del convento di Sant'Antonio.

Come avete appreso la notizia dell'attacco? 
Al momento abbiamo ancora notizie frammentarie. Tra l'altro padre Francois, il monaco che è stato ucciso, lo avevamo anche conosciuto. Era un monaco che stava cercando di mettere su un monastero di eremiti, aveva qualche giovane con sé che lo stava aiutando nell'impresa.

 La zona di Aleppo era una zona a maggioranza cristiana, ma da quello che ci risulta molti cristiani sono fuggiti negli ultimi tempi.
 Sì, purtroppo sono fuggiti quasi tutti, sono rimasti giusto i padri francescani e qualche famiglia.

Invece nella zona dove è il vostro monastero come è la situazione? Temete anche voi degli attacchi? 
Fortunatamente la nostra zona è abbastanza tranquilla, anche se ovviamente anche qui ci sono combattimenti continui, tra gli abitanti dei villaggi sunniti e di quelli alauiti. Noi siamo vicini al confine con il Libano, è una zona di passaggio di armi e guerriglieri che poi si dirigono a Oms a combattere. Di notte si sente il rumore di scontri dove ci sono i posti di polizia. Ci sono combattimenti tra guerriglieri ed esercito, qualche colpo è caduto anche vicino al nostro monastero, ma niente direttamente contro i cristiani.

L'attacco al monastero francescano invece ci dimostra che il resto della Siria ormai è senza controllo. 
Ormai è così, ce lo hanno detto anche i nostri amici di Aleppo: l'esercito libero, quello che combatte Assad, ormai è quasi del tutto in mano ai fondamentalisti islamici. E' una vera guerra tra due eserciti, sono tantissime le armi di tutti i tipi: è guerra totale.

E i fondamentalisti islamici sono protagonisti di attacchi indiscriminati.
 Ormai è chiaro chi vuole questo tipo di violenza, è una parte chiara quella che esercita la violenza. Anche i sunniti che desideravano un cambiamento democratico della Siria sono ormai vittime come i cristiani della violenza fondamentalista. Fortunatamente adesso anche la stampa comincia a denunciare questa situazione dopo due anni di silenzio, ma la Siria è ormai sprofondata nella guerra totale.

La morte di questo monaco ha il sapore del martirio, quello che stanno vivendo tanti cristiani della Siria: dove trovate la forza di resistere? Potreste andarvene via in qualunque momento per non rischiare la vita.
La cosa che ci tiene qui è la coscienza di essere nelle mani di Dio, questa coscienza è una cosa reale. Questa dimensione è ancora presente nella vita dei cristiani della Siria. Nessuno vuole esser un eroe, ma la vita si vive in Dio: si riceve da Lui nel bene e nel male. E' questo quello che stiamo imparando dai siriani e noi cerchiamo di viverlo con loro.

Dunque non ve ne andrete, anche se gli islamici hanno cominciato ad attaccare i monasteri.
E' comprensibile che vada via chi ha famiglia, ma noi religiosi non possiamo farlo. Questa è diventata la nostra vita, questo è il nostro popolo. Per noi monaci poi la stabilità è una cosa importante nella logica dell'Incarnazione.
Grazie a Dio la nostra comunità in Italia ci sostiene in questo. Non vorremmo neanche andarcene: stiamo con la gente di qui e per provvidenza siamo in una situazione migliore che in altre parti della Siria. 
Voi in Europa e in Italia dite tante preghiere per noi, le logiche umane sono quelle che sono, ma sappiamo che il Signore non abbandona la Siria. Chiediamo tanta preghiera e un dialogo politico, perché con le armi non si arriva a nulla.

(Paolo Vites)
© Riproduzione Riservata.  


Custode di Terra Santa: P. Franҫois Mourad, ucciso dai ribelli islamisti a Ghassanieh



(AsiaNews) -  "L'uccisione di p. Franҫois Mourad è un triste fatto e un duro colpo per tutti i frati della Custodia di Terra Santa".
È quanto afferma ad AsiaNews padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, in occasione della morte del religioso siriano ucciso lo scorso 23 giugno a Ghassanieh, villaggio a maggioranza cristiana nel distretto di Jisr al-Shughur nella provincia di Idlib. I suoi funerali si sono stati celebrati ieri nel piccolo villaggio di Kanaieh a pochi chilometri da Ghassanieh.
Fino a ieri vi erano due versioni sulle dinamiche dell'omicidio, la prima parlava di un proiettile vagante, la seconda di un vero e proprio assalto compiuto da ribelli islamisti contro il convento di Sant'Antonio a Ghassanieh.
"La versione più attendibile - spiega p. Pizzaballa - è la seconda. Dalle foto e dalle testimonianze di nostri religiosi, nelle scorse settimane i ribelli hanno attaccato il villaggio, costringendo la maggioranza della popolazione a fuggire. L'unica zona tranquilla era proprio quella del convento di Sant'Antonio, che ospitava insieme a p. Franҫois alcuni frati francescani, quattro suore e dieci cristiani. Ma il 23 giugno i ribelli, che fanno parte di una frangia estremista islamica, hanno invaso anche quella".
Secondo il Custode di Terra Santa, gli islamisti hanno fatto irruzione nel convento, saccheggiando e distruggendo tutto. Quando p. Franҫois ha cercato di opporre resistenza per difendere le suore e le altre persone, i guerriglieri gli hanno sparato, uccidendolo.
"Al momento - aggiunge p. Pizzaballa - il villaggio è ormai completamente deserto. I ribelli si sono trasferiti lì con le loro famiglie e hanno occupato le abitazioni ancora in piedi". "Preghiamo - conclude - perché questa guerra assurda e vergognosa finisca presto e che la gente di Siria possa tornare presto alla normalità".
http://www.asianews.it/notizie-it/Custode-di-Terra-Santa:-P.-Franҫois-Mourad,-ucciso-dai-ribelli-islamisti-a-Ghassanieh-28294.html



La morte di padre François, un lutto per la presenza francescana in questa terra

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La presenza della Custodia in Siria è plurisecolare; i frati hanno sempre esercitato la loro missione di servizio alle popolazioni e continuano a farlo in questi tempi difficili senza distinzioni religiose o sociali o politiche.
Qualche settimana fa, le riviste Terra Santa della Custodia avevano informato che la Custodia, nella regione dell’Oronte, accoglie un “centinaio di persone, cristiani e musulmani sunniti e alauiti. Riescono a vivere insieme perché il sacerdote ha categoricamente proibito a tutti di parlare di politica nel monastero. Ma mancano di tutto: pane, acqua, elettricità. I frati e le religiose francescane fanno tutto quanto è loro possibile per procurare medicine e prodotti di prima necessità.”
La Custodia, nella misura del possibile, cerca di sostenere i suoi frati presenti in Siria, adoperandosi a far loro pervenire ciò di cui hanno bisogno. Ma i rischi che si affrontano per l’invio di viveri sono grandi. I frati, facendo valere il carattere religioso della loro azione, hanno stipulato degli accordi con i partiti per garantire i propri spostamenti. Ma in la situazione così imprevedibile e per il fatto che i gruppi estremisti infieriscono duramente, nessun spostamento può essere ritenuto sicuro anche per i religiosi. Il rapimento dei due vescovi, di cui si è senza notizie da ormai due mesi, ne è la prova.
Pertanto, nonostante tutti i rischi, i frati si prodigano senza sosta in soccorso della popolazione. Oltre alle cure che possono offrire nei loro dispensari, dove le Religiose francescane e le Suore del Rosario collaborano con loro, i frati accolgono i rifugiati in alcuni conventi che sono diventati dei veri e propri “dormitori”; distribuiscono viveri ai profughi e a tutti coloro che si presentano alle porte dei conventi; partecipano finanziariamente al restauro delle case distrutte appartenenti alle famiglie dei loro parrocchiani; aiutano i più poveri e, a volte, fanno da intermediari in caso di rapimento dei loro parrocchiani.
Il fatto di accogliere tutti, può causare ai frati della Custodia delle rappresaglie da parte dell’una o dell’altra fazione in lotta. Nel dicembre scorso, un convento è stato bombardato e da allora è deserto.

La morte di padre François è un colpo duro per tutti i frati. Tuttavia essi continuano ad essere di grande sostegno spirituale per le popolazione che servono. “La guerra ha ovunque e in tutto un impatto negativo, ma ha anche condotto i cristiani dei vari riti ad avvicinarsi gli uni agli altri, ad aiutarsi reciprocamente e a pregare insieme.” In alcuni villaggi dell’Oronte, i francescani sono i soli ad essere rimasti e celebrano i sacramenti per tutti i riti. Altrove, organizzano dei momenti di preghiera, dove tutti sono presenti.
“La nostra missione - dice un frate residente nell’Oronte - è di essere dei pazzi di Dio che continuano a portare la speranza a tutti coloro che pensano che non c’è più un futuro, che non c’è più né speranza né carità.”
La tragica situazione della Siria ci invita e di spinge a pregare perché la guerra finisca il più presto possibile. Soprattutto perché il conflitto sembra trascinare il vicino Libano verso un ritorno della violenza, così come porta a rendere fragile la situazione interna della Giordania, sommersa dall’affluenza dei rifugiati.

La Custodia lancia un appello alla comunità internazionale perché si cerchino concretamente vie di dialogo con tutte le forze militari presenti, perché venga istaurata prontamente una tregua e si operi per una conciliazione delle parti in conflitto. Nessuna delle misure adottate finora, e che sono solo servite ad aumentare la violenza e il numero dei morti, è stata capace di dare alla Siria ciò di cui ha bisogno: creare delle condizioni perché la pace possa ritornare al più presto.
Nella festa di san Giovanni Battista, che ha preparato la strada al Signore, possa la nostra preghiera ottenere da Dio il sostegno di cui i nostri fratelli in Siria hanno bisogno e guidare questa regione a ritrovare il cammino di una pace giusta e durevole. 
http://it.custodia.org/default.asp?id=4&id_n=23564




“L’ennesimo episodio di violenza, sempre ingiustificata, risvegli la coscienza dei Responsabili delle parti in conflitto e della comunità internazionale, perché, come più volte ripetuto dal Santo Padre Francesco, tacciano le armi e si apra finalmente la stagione della giusta riconciliazione per un futuro di pace”

L’affermazione è contenuta nel messaggio nel quale il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, assieme ai superiori e ai collaboratori del dicastero esprime dolore per la “barbara uccisione”avvenuta ieri in Siria di padre Francois Mourad. Il messaggio è stato indirizzato, al patriarca siro-cattolico, Youssif Ignace III Younan, e alla Custodia di Terra Santa. 
Padre Mourad, sottolinea ancora il messaggio, “è stato ricordato, insieme alle innumerevoli altre vittime, come pure ai vescovi, sacerdoti e laici rapiti, nella consueta preghiera che ha dato inizio alla nuova settimana di lavoro, nella cappella del dicastero. Come spesso affermava padre Murad – conclude il testo – “il desiderio dei cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente, è quello di poter rimanere nei luoghi in cui è risuonato il primo annuncio della salvezza, ‘mostrando nella quotidianità dei piccoli gesti il volto di Cristo’

Radio Vaticana ha raccolto la testimonianza di un religioso francescano in Siria, che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza:

R. – Quello che so è che questo prete, questo monaco viveva lì, fra di noi, e aveva istituito anche un centro suo, vicino a Ghassanieh. Veniva spesso dai frati, si salutavano… A un certo punto, ho sentito che era stato ucciso a sangue freddo: l’hanno prelevato dal suo convento – hanno detto – l’hanno portato fino al nostro convento e davanti alla porta lo hanno ammazzato a colpi d’arma da fuoco. Poi sono entrati nel convento – sia nel convento nostro, sia dalla parte delle suore – e hanno rubato tutto quello che potevano rubare. E questa non è stata la prima volta che sono venuti: c’erano quindi dei precedenti. Questa notizia, quando l’ho sentita, mi ha colpito. Secondo me, questo modo di agire non è del popolo siriano. E’ il modo di gente che viene da fuori, di estremisti che vengono qui, da queste parti, per stroncare tutto quello che non è musulmano. E per questo ripeto che non sono siriani, ma persone che vengono da fuori, perché i siriano – sia cristiani sia musulmani – hanno vissuto insieme per secoli e non credo che in un tempo così limitato si possa cancellare così velocemente tutta questa storia di convivenza!

D. – Lei ha detto che l’Occidente, nell’appoggiare i ribelli…
R. – Sì, l’Occidente appoggia la rivoluzione. Aiutando però la rivoluzione senza distinzione, nessuno potrà garantire che tutte le armi dall’Occidente non vadano ancora nelle mani di questa gente. Non si può garantire che quello che diamo a un gruppo non passi ad un altro gruppo. Anzi, si può affermare il contrario: che non solo non stanno facendo cadere il governo, ma che invece stanno facendo cadere tutti i principi umani e della cultura umana

D. – Lei ha delle testimonianze che dicono che questi gruppi arrivano in una casa religiosa e intimano: avete 24 ore per andarvene…
R. – Sono andati in un altro convento di suore che sta vicino ad Aleppo e hanno dato loro 24-48 ore per lasciare tutto il complesso, perché Aleppo con i suoi dintorni è stata dichiarata un principato musulmano, e se è un principato musulmano ciò significa che nessuno che non sia musulmano potrà vivere in questo principato. Per questo, anche le suore devono lasciare il loro lavoro, perché il convento diventerà un centro di educazione e istruzione musulmana.

D. – Quindi, non si tratta di un caso isolato?
R. – No, no: non è un caso isolato. Anche se altri rivoluzionari, che sono un po’ più moderati, hanno detto che non risponde nemmeno al principio musulmano il fatto di cacciare via i cristiani. E’ questo che io dico e sostengo: e cioè, che musulmani e cristiani possono vivere insieme, a condizione che non vengano questi estremisti, in particolare dall’esterno del Paese.

D. – Cioè, da quali Paesi?
R. – Dai Paesi di tendenze religiose estremiste, come l’Afghanistan, la Cecenia… Sono stati trovati anche estremisti libici, tra questi rivoluzionari in Siria…

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/25/siria,_sacerdote_ucciso._il_card._sandri:_si_apra_presto_la_stagione/it1-704697
del sito Radio Vaticana


martedì 18 giugno 2013

GRANDI VOCI DI PACE PER LA SIRIA

LETTERA DEL PAPA A CAMERON 


All’Onorevole David Cameron, MP

Primo Ministro
Sono lieto di rispondere alla sua cortese lettera del 5 giugno 2013, con cui ha voluto informarmi sull’agenda del Suo Governo per la Presidenza Britannica del G8 nell’anno 2013 e sul prossimo Summit, previsto Lough Erne, nei giorni 17 e 18 giugno 2013, intitolato “A G8 meeting that goes back to first principles”.
Affinché tale tema abbia il suo più ampio e profondo significato, occorre assicurare ad ogni attività politica ed economica nazionale ed internazionale un riferimento all’uomo. Infatti, dette attività devono, da una parte, consentire la massima espressione della libertà e della creatività individuale e collettiva e, dall’altra, promuovere e garantire che esse si esercitino sempre responsabilmente e nel senso della solidarietà, con una particolare attenzione ai più poveri.
Le priorità che la Presidenza britannica ha fissato per il Summit di Lough Erne riguardano soprattutto il libero commercio internazionale, il fisco, la trasparenza dei governi e degli agenti economici. Non manca, comunque, un’attenzione fondamentale all’uomo, concretizzata nella proposta di un’azione concertata del Gruppo per eliminare definitivamente il flagello della fame e per garantire la sicurezza alimentare.
Parimenti, è segno di attenzione per la persona umana il fatto che uno dei temi centrali dell’agenda sia la protezione delle donne e dei bambini dalla violenza sessuale in situazioni di conflitto, anche se occorre non dimenticare che il contesto indispensabile per lo sviluppo di tutte le accennate azioni politiche è quello della pace internazionale.
Purtroppo, la preoccupazione per le gravi crisi internazionali non manca mai nelle delibere del G8, e quest’anno non si potrà non considerare con attenzione la situazione nel Medio Oriente e, particolarmente, in Siria. Per quest’ultima auspico che il Summit contribuisca ad ottenere un cessate il fuoco immediato e duraturo, e a portare tutte le parti in conflitto al tavolo dei negoziati. La pace esige una lungimirante rinuncia ad alcune pretese, per costruire insieme una pace più equa e giusta. Inoltre, la pace è un requisito indispensabile per la protezione delle donne, dei bambini e delle altre vittime innocenti, e per cominciare a debellare la fame, specialmente tra le vittime della guerra.
.....
Dal Vaticano, 15 giugno 2013

ROACO: 86ª ASSEMBLEA. IL CUSTODE P. PIZZABALLA : "quando due elefanti litigano chi soffre è l’erba”


Si è aperta oggi (fino al 20 giugno) l’86ª Assemblea della Roaco (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali), sul tema “La situazione dei Cristiani e delle Chiese in Egitto, Iraq, Siria e in Terra Santa”. A preoccupare in modo particolare i partecipanti all’assemblea, tra cui il Patriarca copto-cattolico, Ibrahim Isaac Sidrak, e quello caldeo di Baghdad, Raphael I Sako, è certamente la difficile situazione in Siria, sulla quale riferirà il Nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari. Interpellato dal Sir il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa conferma che nel corso dei lavori si cercherà “di trovare forme concrete e soprattutto coordinate di aiuto per la popolazione cristiana siriana”.
“In Siria – aggiunge il Custode che è costantemente in contatto con i suoi frati nel Paese – la situazione varia di zona in zona. Alla Roaco ascolteremo la testimonianza di padre Hanna che viene dai villaggi del nord che sono sotto i ribelli. Una certa quiete che si registra, almeno in apparenza, adesso potrebbe preludere a chissà quale ennesima tempesta. Sulla Siria sarà interessante capire che cosa si dirà al G8 in Irlanda. Speriamo che non emergano volontà di armare le due parti in conflitto. La Siria è diventata un campo di battaglia in cui si scontrano forze internazionali e non solo locali e in cui a pagare il prezzo più alto è il popolo inerme. 
C’è un detto africano – conclude padre Pizzaballa – che dice che quando due elefanti litigano chi soffre è l’erba”. Ai lavori della Roaco si parlerà anche di Terra Santa, con la presenza del Delegato apostolico a Gerusalemme, mons. Giuseppe Lazzarotto. Giovedì 20 giugno Papa Francesco riceverà in udienza i membri della Roaco.

http://www.agensir.eu/ita/viewArticolo.jsp?id=0&url=http%3A%2F%2Fwww.agensir.it%2Fpls%2Fsir%2Fv4_s2doc_b.rss%3Fid_oggetto%3D264183%23264183&stit=Quotidiano|ROACO%3A+86%26%23170%3B+ASSEMBLEA.+P.+PIZZABALLA+%28CUSTODE%29%2C+%22AIUTO+COORDINATO+PER+LA+SIRIA%22

L'arcivescovo di Aleppo al G8: "c'è bisogno di dialogo e non di armi"



“Non abbiamo notizie dei nostri due confratelli vescovi e nemmeno dei due sacerdoti. Il tempo trascorre e non sappiamo più cosa pensare”. A smorzare un certo ottimismo che si era diffuso nei giorni scorsi sulla sorte dei due prelati ortodossi rapiti il 22 aprile in Siria è mons. Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco melkita di Aleppo. “Non abbiamo più notizie di Boulos al-Yazigi, arcivescovo greco ortodosso di Aleppo e Iskenderun e di Youhanna Ibrahim, metropolita siro-ortodosso di Aleppo - riferisce all'agenzia Sir - non sappiamo come evolverà la situazione, se le trattative vanno avanti, e lo stesso vale per i due sacerdoti da mesi nelle mani dei rapitori. Ad Aleppo la situazione sembra, almeno in apparenza più tranquilla, ma nessuno sa cosa si prepara per tutti noi”. Da mons. Jeanbart una “certa speranza” potrebbe arrivare dal G8 a Lough Erne, in Irlanda del Nord dominato dal dossier Siria. Sul martoriato Paese mediorientale è arrivato anche l’appello di Papa Francesco, che ha scritto una lettera al premier David Cameron, padrone di casa del Summit, “auspicando un cessate il fuoco” e la ripresa dei negoziati. “Speriamo - dice l’arcivescovo melkita facendo proprio l’appello del Pontefice - che dal G8 si possa sapere qualcosa di più sul futuro del nostro Paese soprattutto in chiave di soluzioni pacifiche. L’appello del Papa ci conforta e ci dona forza di credere in un futuro non di morte. La soluzione negoziale è l’unica praticabile. - ribadisce mons. Jeanbart - Al G8 dico che abbiamo bisogno di dialogo e non di armi. Dovesse permanere una situazione come quella attuale a rischio non sarebbe solo la Siria ma tutta la regione, e con essa la libertà, la convivenza e la tutela delle minoranze”. 

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/06/18/Siria.%20L'arcivescovo%20di%20Aleppo%20al%20G8%3A%20%22c'%C3%A8%20bisogno%20di%20dialogo%20e%20no/it1-702497
del sito Radio Vaticana 

mercoledì 19 dicembre 2012

Rinascere a Natale


La sofferenza e la speranza delle comunità cristiane mediorientali
 
S.I.R. Martedì 18 Dicembre 2012
 
Per le comunità cristiane mediorientali quello prossimo sarà un Natale attraversato da ulteriori tensioni e crisi. Alle già note e gravi situazioni politiche, sociali ed economiche che da decenni segnano la vita di questa strategica area del mondo, si aggiungono il conflitto in Siria, paese dove la presenza cristiana si è pressoché dimezzata, gli scontri a Gaza, le proteste in Egitto contro la nuova Costituzione di impronta islamista che preoccupa sia i cristiani che i liberali, la recrudescenza di attacchi in Iraq, altra nazione dove sono rimasti pochi cristiani. Urgenze politiche, sociali e umanitarie, vissute dai Paesi arabi nel tempo presente, che hanno spinto i Capi delle Chiese cattoliche mediorientali a lanciare un appello, agli inizi di dicembre, per chiedere di porre fine ai conflitti e alle violenze che stravolgono la vita dei popoli della regione, ponendo in atto cammini di riconciliazione e di pace che garantiscano a tutti la libertà e la tutela della propria dignità umana. Dai leader religiosi anche un pressante invito affinché i cristiani restino nelle loro terre di origine con una presenza attiva e efficace nelle società arabe. Ad una settimana dal Natale Daniele Rocchi per il Sir ha rivolto alcune domande al Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa.

Padre Pizzaballa, alla luce di così tante crisi e violenze, che Natale sarà per i cristiani mediorientali? Con quale spirito sarà vissuto?
“Natale è una nascita ma come viverla, come lasciarsi scuotere da essa? Io credo che la risposta sta nell’essere capaci e disposti a ricominciare da capo, a rinascere. Per vedere qualcosa di nuovo dobbiamo essere nuovi anche noi. Non dobbiamo lasciarsi prendere dallo sconforto, dall’idea che tutto sia finito, che nulla cambierà. Si tratta di un atteggiamento che ha molte ragioni d’essere visto ciò che circonda ma non bisogna fermarsi. Riprendiamo la strada della speranza per essere pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere”.

Pietre vive che stanno lasciando i loro Paesi, per cercare un futuro altrove. Forse che la speranza per i cristiani non abita più in Medio Oriente?“Di fronte a queste situazioni difficili che i cristiani del Medio Oriente si trovano ad affrontare ci sono due strade: o andarsene o restare. Andarsene non è una soluzione, il restare non è solo inteso fisicamente perché non c’è alternativa ma perché vogliamo restare. Rimanere in questa Terra passa attraverso una presa di coscienza ed una nuova consapevolezza, è una missione che ci invita ad inserirci maggiormente nella realtà. Natale vuol dire appunto rinascere e continuare il cammino con speranza”.

Ma come è possibile inserirsi in una realtà sociale in cui si è una minoranza sempre meno ascoltata ed esigua?
“Da soli è molto difficile ma lo sforzo da fare è quello di mettersi in dialogo con tutte le realtà sociali che pure esistono, moderate, non sono tutti fanatici, e con esse fare fronte comune sui temi della cittadinanza, dei diritti umani, della vita, della tolleranza, della libertà. Unire la nostra voce alla loro e a quella della comunità internazionale, senza esagerare in quanto un intervento eccessivo di quest’ultima potrebbe essere controproducente. Allearsi con tutte quelle frange serene, positive, libere e moderate delle nostre società è indispensabile. Non abbiamo alternativa”.

Di tutta la regione mediorientale la crisi siriana è quella che spaventa di più, anche i cristiani. Ha senso parlare di Natale per la Siria?
“Parlare di Natale in Siria, sotto le bombe, è davvero difficile. Ma farlo è un seme di speranza nel futuro. Sotto ogni rovina c’è sempre una rinascita. Allora occorre guardare al futuro almeno come un desiderio da coltivare, come voglia di rinascita. La situazione è complicata: gran parte del Paese, da quello che trapela, sarebbe sotto il controllo dell’opposizione nella quale militano frange dalle più moderate alle più integraliste ed anticristiane. Tutto ciò provoca paura nei nostri fedeli. Si stima che la metà abbondante della comunità cristiana si sia spostata sia all’interno che all’esterno del Paese. Le prossime festività natalizie saranno vissute all’interno di case, di chiese, in qualche villaggio, non essendoci le giuste condizioni di sicurezza. Ma è importante celebrare il Natale perché significa dire a tutti ‘ecco noi ci siamo, siamo qui’”.

C’è un messaggio particolare che dal Medio Oriente giunge al mondo intero per questo Natale?
“In questo periodo leggiamo il Libro delle Consolazioni di Isaia dove ci sono brani molto belli tra i quali i canti del servo sofferente. Consolazione e speranza non cancellano la sofferenza ed il dolore ma li rendono innocui, tolgono loro l’ultima parola. Il messaggio per tutti è: la sofferenza ed il dolore esistono ma dobbiamo starvi dentro sapendo che siamo figli di Dio che si è incarnato e che ci dona la forza di vivere questa situazione. Egli ci dona anche la serenità necessaria soprattutto per i giovani ed i bambini perché possano pensare ad un futuro diverso. La morte peggiore sarebbe vivere senza speranza credendo che un futuro migliore non è possibile”.
http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_a.a_autentication?target=3&tema=Anticipazioni&oggetto=252425&rifi=guest&rifp=guest


VIDEO di Franciscan Media Center :
I cristiani siriani aspettano il Natale tra difficolta’ e speranza

mercoledì 11 aprile 2012

Custode di Terra Santa: no all'intervento internazionale in Siria

«Abbiamo visto cosa è successo in Iraq e in Afghanistan».
da A.C.S.

10 aprile 2012

«Politica comprensibile. Ma senza alcuna possibilità di riuscita. Perché – che piaccia o no – in Siria il regime non ha futuro». Il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, commenta così ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la decisione di alcuni leader della Chiesa siriana – non ultimo il patriarca greco-melchita di Antiochia, Gregorio III Laham – di preservare lo status quo continuando a sostenere Assad.
«Anche se non la chiamiamo così, quella in Siria è una guerra civile - continua - e i cristiani sono stretti in una morsa tra il governo, che li ha sempre sostenuti, e l’opposizione». Per i fedeli la paura che il Paese si trasformi in un nuovo Iraq è forte e del tutto comprensibile. Ma il francescano spiega che la mentalità siriana è diversa da quella irachena: «frutto di una maggiore varietà etnica e religiosa». Intanto i cristiani hanno lasciato Homs. Ed è questa l’unica certezza per il ministro provinciale dei Frati minori, dal momento che «è praticamente impossibile ricevere notizie affidabili e oggettive dal Paese arabo».
Padre Pizzaballa è contrario a un possibile intervento esterno e ritiene che la collocazione della Siria nel cuore del Medio Oriente renda improbabile un’eventuale azione militare internazionale. «Non è come in Libia. Stavolta l’intervento avrebbe conseguenze sull’intera regione mediorientale». I Paesi occidentali devono scendere in campo, ma con la sola pressione politica e diplomatica. Altrimenti, «abbiamo visto cosa è successo in Iraq e in Afghanistan».
 
 
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.

martedì 28 febbraio 2012

Fra' Pizzaballa: «Aiutate i cristiani in Siria»

di Riccardo Cascioli
21-02-2012
 - La bussola quotidiana


Fra' Pizzaballa
E’ vero che è in atto una fuga dei cristiani?
Il numero dei cristiani è generalmente in calo in tutto il Medio oriente, quindi anche in Siria. Ovviamente questa situazione di paura sta incentivando la fuga. Ma non tutti, è soprattutto il ceto medio a cercare altrove prospettive per il futuro, soprattutto i giovani.

In Italia e in Europa i media tendono a semplificare il conflitto siriano, come la repressione di Assad contro un movimento che invoca democrazia e libertà. Ma davvero si può semplificare in questo modo?
No, la situazione è molto più complessa. Certamente Assad ha delle responsabilità oggettive, il suo regime è chiaramente oppressivo. Ma il movimento interno di opposizione è molto frastagliato, si va da movimenti laici a gruppi fondamentalisti. C’è sì da parte di alcuni anche un desiderio di maggiore libertà, ma c’è anche un aspetto religioso-sociale: i sunniti, che sono la stragrande maggioranza della popolazione, sono contro gli sciiti. Il regime di Assad, seppure laico, è composto dagli alawiti, che sono una minoranza derivata dagli sciiti.

Poi ci sono le implicazioni internazionali…
La Siria è un po’ la cartina di tornasole della situazione in Medio Oriente, sono coinvolti i paesi vicini e le grandi potenze. C’è di mezzo l’Iran, l’Hezbollah, Israele al confine sud, gli Emirati arabi. E anche Russia e Cina che hanno i loro agganci. La Siria è un po’ il crocevia dove tutti questi interessi si incontrano e si scontrano.

Emergenza Siria. L’appello del Custode di Terra Santa

27 febbraio 2012

Dopo il cambiamento avvenuto in Egitto, la situazione in cui si trova la Siria indica in maniera inequivocabile come stia trasformandosi il panorama in Medio Oriente. Fino a un anno fa sarebbe stato impensabile prevedere simili scenari.
In questi mesi di grande tensione, quando la Siria è dilaniata da scontri interni e il conflitto sembra assumere, sempre più, le caratteristiche di guerra civile, i francescani, insieme a pochi altri esponenti della chiesa latina, sono impegnati a sostenere i bisogni della popolazione cristiana locale.

La Custodia è presente in diverse zone del Paese: Damasco, Aleppo, Lattakiah, Oronte.
I dispensari medici dei conventi francescani, secondo la tradizione della Custodia, diventano luogo di rifugio e accoglienza per tutti, senza alcuna differenza fra etnie di Alawiti, Sunniti, Cristiani o ribelli e governativi.

In un momento di totale confusione e smarrimento, molte aziende, soprattutto d’import-export, hanno chiuso i battenti. Delle migliaia di turisti, che alimentavano una moderna e florida industria, con un indotto di centinaia di posti lavoro nel settore dei trasporti, alberghiero, servizi, non rimane alcuna traccia.

I produttori agricoli sono in grave difficoltà. L’embargo internazionale impedisce ogni possibilità di esportazione e i prezzi sono crollati. Le fasce più deboli sono colpite in modo ineludibile e subiscono la mancanza di approvvigionamento energetico e di acqua. Nelle grandi città la corrente elettrica manca per diverse ore ogni giorno, se non del tutto; il gasolio è razionato. Tutto ciò crea enormi disagi alla popolazione, costretta ad affrontare le temperature invernali senza possibilità di riscaldarsi.

Stare con la gente, accogliere e assistere chi si trova nel bisogno, senza distinzione di razza, religione e nazionalità. Garantire, con fiduciosa presenza, il servizio religioso ai fedeli perché comprendano l’importanza di restare nel proprio Paese.

Questo rimane il senso della missione francescana. In tempi non così dissimili da quelli in cui Francesco si rivolgeva ai frati esortandoli a mantenere saldi i valori del Vangelo. Nelle sue semplici esortazioni Francesco rifletteva la grazia ricevuta dal Signore e, nell’esperienza di vita quotidiana, testimoniava l’accoglienza della fede, come il bene più caro e prezioso da coltivare e rinvigorire. Noi frati, che ci ritroviamo ricchi di questo straordinario esempio, ereditato senza alcun merito, abbiamo il compito di emulare e diffondere l’insegnamento del nostro maestro alle future generazioni, perché possano proseguire la strada da lui tracciata con immenso amore e umile dedizione.

Chiediamo a tutti gli amici di ATS Pro Terra Sancta di sostenere, con un gesto concreto, i numerosi cristiani siriani e le opere di carità della Custodia di Terra Santa. Gli aiuti raccolti saranno consegnati, tempestivamente, ai frati residenti in Siria, che provvederanno ad utilizzarli in maniera oculata e attenta.

Grati, se potrete diffondere quest’appello, porgiamo ogni augurio di Pace e Bene!

Fra Pierbattista Pizzaballa, OFM

Fonte: www.proterrasancta.org