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sabato 10 giugno 2017

Omran o della fake news

Qualcuno ricorderà il piccolo Omran: è il bambino immortalato nella foto di sinistra. Una immagine che ha fatto il giro del mondo, attirando l’ignominia sul regime siriano, colpevole di aver bombardato la sua casa. Uno foto diventata presto il simbolo degli orrori commessi dal regime siriano in danno della popolazione civile di Aleppo.

La foto a destra, invece, lo immortala in buona salute, come altri video  circolati in questi giorni, che lo ritraggono allegro in braccio al padre. Il padre che ha denunciato la montatura di allora, quando i Caschi Bianchi, l’ong che ha vinto un oscar per l’attività umanitaria in Siria, arrivarono sul luogo bombardato e lo trassero fuori dalle rovine per piazzarlo nell’ambulanza e fotografarlo.

LEGGI L'INTERVISTA DETTAGLIATA DI MINT PRESS :
Il padre di Omran, Mohammad Daqneesh, dice che il suo figlio
è stato sfruttato dai ribelli siriani e dai media per fini politici
http://www.mintpressnews.com/mintpress-meets-father-iconic-
aleppo-boy-says-media-lied-son/228722/
Il padre oggi afferma che tutto fu fatto contro la sua volontà, per ragioni di propaganda. Una propaganda in linea con la narrazione ufficiale diffusa dai media mainstream, nella quale i cosiddetti ribelli sono campioni di libertà che si battono contro un regime tirannico.

Invece per il padre di Omran è tutt’altro: sono i cosiddetti ribelli la rovina della Siria. Non solo: ha pure messo in discussione la paternità dell’attacco che ha devastato la sua casa, affermando di non aver sentito alcun rumore di aereo allora, anche questo in contrasto con la narrazione ufficiale.

Nessun rumore, quindi il colpo poteva provenire da un mortaio oppure si poteva trattare di una bombola esplosiva (di quelle in uso ai ribelli, il cui arrivo è alquanto silenzioso). Ma al di là del dettaglio, resta il contrasto con le affermazioni dell’opposizione siriana di allora.

Non solo quelle: il padre del piccolo ha affermato che l’opposizione gli aveva proposto un lauto compenso se avesse accettato di fare un video contro il regime. Cosa che lui rifiutò,

Le nuove immagini di Omran non hanno conosciuto le prime pagine dei giornali occidentali, come avvenne allora. A dire il vero neanche le seconde in Italia, perché la vicenda è stata alquanto silenziata, a parte eccezioni.

Nel riportare la notizia, il New York Times è sicuro che il padre non sia libero di parlare perché intervistato da una televisione di regime. Una obiezione che non tiene conto del fatto che gli abitanti di Aleppo hanno scelto volontariamente da che parte stare durante la conquista della città ad opera delle truppe di Assad.
  Poteva andar via, come tanti altri, seguendo i cosiddetti ribelli, ai quali Damasco ha assicurato vie di fuga. Invece è rimasto.

Altri ancora hanno obiettato che nessun giornalista occidentale può riscontrare la storia, dal momento che è impossibile incontrare la famiglia.
  Un’obiezione che può essere superata facilmente, dal momento che la portavoce del ministero degli Esteri russo, María Zajárova, ha invitato la celebre giornalista della Cnn Christiane Amanpour, che allora cavalcò non poco la vicenda contro Assad, a incontrare il padre del ragazzo e Omran stesso (che nel frattempo sono stati minacciati dai miliziani anti-Assad, evidentemente terrorizzati dal disvelamento della fake news).

mercoledì 7 giugno 2017

Una preghiera per il Medio Oriente!

Papa: c’è tanto bisogno di pregare per la pace in Medio Oriente

Radio Vaticana:  All’udienza generale, il pensiero di Papa Francesco va ancora una volta ai popoli del Medio Oriente, affinché vivano in pace liberi dalla violenza. Il Pontefice prende spunto dall’iniziativa “Un minuto per la pace” per esortare tutti i credenti a pregare per la riconciliazione nella regione mediorientale: “Domani, alle ore 13, si rinnova in diversi Paesi l’iniziativa Un minuto per la pace, cioè un piccolo momento di preghiera nella ricorrenza dell’incontro in Vaticano tra me, il compianto presidente israeliano Peres e il presidente palestinese Abbas. Nel nostro tempo c’è tanto bisogno di pregare – cristiani, ebrei e musulmani – per la pace”.
MEDIO ORIENTE IN FIAMME 
Piccole Note, 7 giugno 2017
L’attentato in Iran poteva avere conseguenze devastanti per la regione. Non è andato come preventivato dagli strateghi del Terrore e gli agenti del Male, come definiti da media filo-iraniani, non sono riusciti a fare strage nel Parlamento. Anche l’attentato al sacrario di Khomeini non è andato come volevano e i danni, tutto sommato, sono stati contenuti (anche se l’Iran piange dodici vittime).

Ciò ha permesso una reazione misurata di Theran. I guardiani della rivoluzione hanno accusato l’Arabia Saudita di aver sponsorizzato l’azione (d’altronde è notorio il legame tra Ryad e il Terrore), ma non si è ancora registrata una escalation dei toni.

L’Agenzia di stampa iraniana Fars ha riportato le notizie sul duplice attentato senza soffermarsi in accuse contro Ryad. Anche se pubblica un intervento del principe ereditario saudita Mohamed bin Salman, che è anche ministro della Difesa, alquanto inquietante: «Non aspetteremo che la battaglia divampi in Arabia Saudita. Piuttosto faremo in modo che la battaglia abbia luogo in Iran».

Insomma, ad oggi la reazione è stata contenuta. Un bene, perché si voleva innescare proprio una risposta iraniana a Ryad. Oltre a fornire alla destra iraniana argomenti per incalzare l’attuale governo moderato, rivitalizzando uno scontro interno vinto proprio di recente dai fautori dell’apertura al mondo.
Se l’Iran virasse a destra e andasse allo scontro con i sauditi e l’Occidente sarebbe facile preda della propaganda bellica dei neocon, che da tempo spingono per un attacco contro Teheran.

Momento pericoloso per il Medio oriente, data anche la crisi del Qatar: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein ed Egitto hanno rotto con Doha, che è completamente isolata. Eppure non pare voler cedere: ha affermato di avere alimenti per un anno, rassicurando così sul tema che sembrava risultare la maggiore arma di pressione dei suoi avversari.

Questi ultimi accusano il Qatar di fiancheggiare il terrorismo. Accusa più che ridicola, come spiega in altro articolo di Piccolenote uno dei più noti giornalisti americani, ma che ne sottende un’altra: Doha intrattiene indebiti rapporti con l’Iran, cosa imperdonabile per l’asse sunnita.

È in atto una mediazione per porre fine alla crisi, di cui si è fatto tramite l’emiro del Kuwait, per evitare che la situazione precipiti e destabilizzi ancora di più la regione del Golfo, già straziata dalla guerra in Yemen e dalla feroce repressione contro la comunità sciita da parte delle autorità del Bahrein.

Anche perché Doha non cederà facilmente, avendo incassato il sostegno dell’Iran come anche anche quello della Turchia, alla quale il Qatar è legato a doppio filo: in particolare il parlamento di Ankara ha accelerato le discussioni per la creazione di una base militare turca in Qatar. Particolare che fa intravedere quanto sia grave la situazione.

Forze oscure vogliono appiccare un incendio in Medio Oriente, come dimostra l’attentato a Teheran, Un rogo che brucerebbe l’intera regione e oltre. Val la pena registrare tale spinta, come anche il primo scacco a tale strategia.

Resta che gli sviluppi sono imprevedibili, stante che tali Forze sono determinate a portare a compimento il progetto di destabilizzare l’Iran. Un vecchio progetto dei neocon che Obama era riuscito a mandare all’aria grazie all’accordo sul nucleare iraniano. Da capire quanto Trump e i generali di cui si è attorniato siano preda dei neocon sul punto. Variabile più che importante di questo rebus.

martedì 17 gennaio 2017

Il futuro della Siria passa per Astana

 Piccole Note, 17 gennaio 2017

Il futuro della Siria passa per l’incontro che si terrà il 23 gennaio ad Astana, capitale del Kazakistan. Qui si sono dati convegno russi, iraniani e turchi per dare avvio ai negoziati tra il governo di Damasco e i suoi oppositori, assenti ovviamente i gruppi terroristi Isis e al Nusra, mentre non è ancora del tutto chiaro se parteciperanno i curdi, che i turchi non vogliono.

Significativo che sia stato scelto un giorno successivo all’insediamento di Donald Trump, che diventerà formalmente presidente il 20, a rimarcare l’importanza che ha per Mosca l’inizio di una nuova fase della politica estera americana.
Trump dovrebbe mollare la presa sulla Siria, questo almeno nei suoi propositi elettorali, lasciando maggior libertà di azione ai russi e abbandonando al loro destino i cosiddetti ribelli siriani (ovvero le bande dei jihadisti ivi scatenate).
Questi ultimi ne sono consapevoli, ed è il motivo per cui si sono convinti ad accettare l’invito al tavolo di Astana, che comporta un’accettazione previa della sussistenza di Assad al potere, cosa prima inaccettabile (anche se forti saranno ancora le resistenze sul punto).
Negoziati senza Stati Uniti, a indicare il nuovo ruolo russo nella regione e la parallela perdita di influenza di Washington. Ma Putin ha tentato la mossa del cavallo, facendo filtrare la notizia di un possibile invito indirizzato agli americani. Ipotesi che non ha trovato risposta nella controparte e che ha pure incontrato la netta e pubblica opposizione iraniana.
Tra Iran e Stati Uniti pesa la controversia legata all’accordo sul nucleare stipulato tra Teheran e l’amministrazione Obama, accordo che Trump ha detto di voler denunciare. Una controversia esplosiva, che evidentemente non poteva che essere motivo di scandalo anche ad Astana.
Con gli americani l’appuntamento è rimandato ai primi di febbraio, a Ginevra, dove si valuterà in chiave più globale quanto emergerà in Kazakistan.

Detto questo, è probabile che Trump dia il suo placet alle iniziative patrocinate dalla Russia di comune accordo con la Turchia, che da tempo ha legato il suo destino a Mosca.
Trump troverebbe in questa disposizione un certo consenso nell’apparato militare americano che, nel segreto, da tempo valuta positivamente il ruolo di Mosca nella crisi siriana, al contrario dei suoi dirigenti, come aveva rivelato in un ponderato articolo il premio pulitzer Seymour Hersh.
Ma avrebbe contro tutta quella parte di America che ha puntato tante delle sue fiches sul regime-change siriano, in particolare i neocon, gran parte dell’apparato militare industriale (che ha fatto buoni affari con questa guerra) e parte degli apparati di sicurezza.
Per Trump, quindi, si tratterà di far fronte a non poche resistenze interne, che però non dovrebbero influire sull’esito finale della trattativa, che nel medio periodo dovrebbe chiudersi positivamente (almeno in certa misura ché ri-stabilizzare la regione sarà durissima).
Questo perché Trump non può rischiare di rimanere impantanato nel conflitto siriano: si è ripromesso di fare una vera e propria rivoluzione in America e la Siria è l’ultimo dei suoi problemi. Cosa che dovrebbe facilitare l’iniziativa dei russi e dei suoi alleati.

Resta appunto l’opposizione sorda degli apparati americani, ma anche quella aperta delle Monarchie del Golfo, anzitutto l’Arabia Saudita, che rischia di essere l’unica sconfitta di questa partita di giro. Tenterà di vender cara la pelle attraverso un rinnovato attivismo delle sue pedine locali, leggi milizie jihadiste.
Favorite da queste resistenze pubbliche e meno pubbliche, anche le formazioni dichiaratamente terroriste sono tornate all’offensiva, cercando di sfruttare al massimo le opportunità loro spalancate negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama.
Oltre a perseverare nei consueti crimini contro la popolazione civile, i terroristi di stanza in Siria hanno inquinato l’acqua di Damasco, avvelenando le risorse idriche di milioni di persone…
Ma la situazione che li vede più attivi è presso la città chiave di Deir Ezzor, contro la quale l’Isis ha scagliato una massiccia offensiva. Da tempo la città è sotto assedio, e la sua resistenza è diventata una sorta di leggenda del conflitto. Ma stavolta sembra sul punto di cadere, attaccata da circa 14mila attivisti del terrore.

Val la pena, en passant, ricordare che sulle postazioni difensive della città aveva infierito proditoriamente l’aviazione americana, uccidendo oltre sessanta militari e consentendo all’Isis un attacco che ne aveva minato nel profondo le difese, oggi messe nuovamente a durissima prova.
Se capitolerà, l’Isis riuscirebbe ad aprirsi un corridoio strategico per congiungere i suoi domini siriani con quelli in Iraq, nella speranza di ritagliarsi il sedicente Califfato la cui nascita, bizzarria del destino, coinciderebbe con la realizzazione di quel sunnistan tanto agognato dai profeti neocon (basterà in futuro cambiare nome alla gang criminale per tentare di rendere la nuova entità politica accetta al mondo, come ha fatto di recente al Nusra).

A complicare le cose il convitato di pietra di questo conflitto, Israele, la cui destra, e non solo quella, da tempo vede questa guerra come un’opportunità irripetibile per sbarazzarsi dell’odiato Assad, da sempre percepito come nemico esistenziale.
Non si rassegnerà facilmente al fallimento di tale prospettiva. Come ha dimostrato l’inspiegabile, o spiegabilissimo, attacco compiuto una settimana fa dalla sua aviazione contro una base aerea militare situata nei pressi di Damasco.
Segno di pervicacia nella sua posizione anti-Assad, ma anche di nervosismo per il cambiamento di scenario (val la pena accennare che si tratta di un atto di guerra, al quale per fortuna Damasco non ha reagito: si sarebbe incendiata la regione).
Sviluppi tutti da decifrare, dunque, e però, nonostante tutto, ad Astana si aprirà una nuova fase del conflitto, dove a dar le carte per la prima volta sarà Mosca.

Ad oggi quanti hanno sperato di rovesciare in maniera irrimediabile il tavolo dei negoziati sono andati delusi, al massimo hanno prolungato il conflitto. E la permanenza di Assad al potere rende tale prospettiva stabilizzante sempre più provvisoriamente definitiva.

venerdì 11 novembre 2016

Trump e la fine della battaglia di Aleppo (finalmente)?



Piccole Note, 11 novembre 2016

Solo due settimane fa il dramma di Aleppo occupava gran parte dei giornali. Che ogni giorno ripetevano il consueto mantra teso a dipingere l’esercito siriano e i suoi alleati, russi in particolare, come dei sanguinari stragisti.

Era in corso l’attacco ad Aleppo Est, teso a liberare quella zona della città dai suoi sanguinari, questi sì, occupanti. Sono i cosiddetti ribelli siriani, beneamati in Occidente che ha loro affidato (direttamente o indirettamente) il compito di buttar giù il governo di Damasco.

Beneamati nonostante le milizie che controllano Aleppo Est siano quelle di Al Nusra, o Jaish al-Fatah come si fanno chiamare dopo un’operazione di restyling tesa ad accreditarsi come “buoni”. In realtà restano gli assassini di sempre, tanto da venir indicati come terroristi anche dagli Stati Uniti.

È attorno a questo gruppo militare, il più armato, organizzato e feroce, che si sono strette, in un’alleanza organica e subalterna, le varie milizie che controllano Aleppo Est. I ribelli beneamati appunto.

Eppure e nonostante questo, e nonostante che ogni giorno da Aleppo Est vengano lanciati missili e colpi di artiglieria contro la popolazione civile di Aleppo Ovest, la battaglia di Aleppo non veniva descritta come una guerra di liberazione, alla stregua di quanto avviene a Mosul o Raqqa preda dell’Isis. Ma come un massacro ad opera delle forze governative.

Le operazioni per liberare Aleppo erano iniziate mesi fa, ma all’inizio della campagna elettorale americana avevano subito un’accelerazione.

I siriani, ma soprattutto i russi, temevano che la Casa Bianca potesse essere appannaggio di Hillary Clinton. Cosa che avrebbe comportato il rischio di un conflitto Usa-Russia, dal momento che la signora aveva più volte affermato la necessità di contrastare tali operazioni, sia aumentando il sostegno ai cosiddetti ribelli sia intervenendo direttamente nel conflitto.

Da qui la necessità opposta di conquistare Aleppo prima della vittoria annunciata della Clinton.
Eppure una quindicina di giorni prima del voto americano Putin e il governo siriano avevano cambiato strategia e allentato la pressione.

Le operazioni militari sulla città erano state sospese per diversi giorni, e l’esercito siriano e i suoi alleati si sono limitati a contrastare gli attacchi altrui (ma non in altre zone della Siria, dove il rischio di colpire civili è molto minore).

Una pausa umanitaria ignorata dai media occidentali, che pure aveva un alto valore strategico e militare. Siriani e russi si sono così sottratti al fuoco incrociato della narrazione mediatica d’Occidente, in attesa degli eventi.
Trump, infatti, aveva più volte elogiato la campagna “siriana” dei russi, al contrario della Clinton, in quanto tesa a contrastare il terrorismo di marca islamista.

Un’eventuale vittoria del tycoon poteva infatti aprire la strada a un compromesso alto e virtuoso. Che avrebbe consentito ai siriani di riprendere il controllo della città evitando un bagno di sangue.

Una scommessa, quella di Putin, dal momento che lo stop alle operazioni militari consentiva ai suoi nemici di rafforzarsi, come accaduto per le pause umanitarie del passato. Con tutti i rischi connessi.

Alla fine, però, Putin ha vinto la scommessa. Con Trump presidente sembra altamente probabile che la battaglia di Aleppo abbia termine.

Come ben sanno anche i terroristi asserragliati nella parte orientale della città, che hanno accusato il colpo e appaiono più che confusi. Tanto che sembra abbiano chiesto una tregua, ipotesi da loro finora sempre rigettata.

È possibile anzi che qualcosa evolva, in senso virtuoso, fin da subito. Obama ha ancora cento giorni di regno prima di passare le consegne. Finora ha frenato, come ha potuto e non senza ambiguità, i tanti dottor stranamore che lo hanno ficcato in questa guerra.

Ormai libero dai vincoli oscuri che lo legavano, tra cui l’ipotesi di una presidenza Clinton, potrebbe riservare sorprese. Difficile si riesca a mettere in piedi in così pochi giorni altre iniziative diplomatiche globali sulla Siria.

Potrebbe però ritirare il sostegno americano ai cosiddetti ribelli che tengono Aleppo, imponendo tale scelta anche all’Arabia saudita. Consentendo così a Damasco di riprendere il controllo della città senza eccessivi spargimenti di sangue. Cosa che, di fatto, chiuderebbe la guerra siriana (o almeno una sua fase).

Sui media rimbalza la notizia che gli Stati Uniti abbiano dato ordine di eliminarei capi di Al Nusra. Un’indiscrezione enfatizzata da Mosca, per bocca del vice-ministro degli Esteri. Sergey Ryabkov.

E che andrebbe nella direzione indicata, al dì del rammarico per la funesta sorte di tali terroristi (così purtroppo va il mondo al quale si sono consegnati: quando non servono più…).

Va da sé che la pausa umanitaria decretata unilateralmente da russi e siriani rivela anche altro, ovvero che Putin da tempo avesse contezza delle possibilità di vittoria di Trump.

Al contrario dell’Occidente, che ha dovuto inseguire le fantasie di sondaggisti farlocchi, egli può contare sulle informazioni  della sua intelligence. Evidentemente un po’ più accurate.

venerdì 30 settembre 2016

"Aleppo che soffre, pezzo della guerra mondiale a pezzi" : vescovo Tobji

  Aleppo che soffre. Di questa tragedia sono pieni i quotidiani e le radio. Monsignor Joseph Tobji, arcivescovo di Aleppo dei maroniti, è testimone diretto di tali sofferenze. E ce ne parla a Roma, dov’è riuscito ad approdare momentaneamente in questi giorni.


Intervista di Davide Malacaria  


Sui giornali si legge di Aleppo assediata, la zona orientale, quella in mano ai ribelli, e si condannano i bombardamenti russi su quella zona della città.
Certo, le bombe di aereo uccidono. Ma uccidono anche i missili e i proiettili di artiglieria. Come anche le cosiddette armi leggere. E se Aleppo Est è sottoposta ai bombardamenti, anche nella parte occidentale, quella dove mi trovo io, si muore. Ogni giorno da quattro anni. Da quando i terroristi hanno preso una parte di Aleppo e hanno iniziato a tirare sui civili che vivono nelle zone libere i loro ordigni di morte. Ne hanno in abbondanza, Quelli fatti artigianalmente e quelli più che sofisticati forniti loro dall’Occidente e dall’Arabia Saudita.

Scusi ha parlato di terroristi, per l’Occidente sono ribelli. E ribelli moderati…
In Occidente c’è strano concetto di moderazione. Non fanno manifestazioni di piazza. Sparano con cannoni e mortai sui civili innocenti… sono questi i “moderati”?

Sì ma ci sono varie fazioni: al Nusra, jihadisti, Esercito libero siriano. Tutti uguali?
Certo che sì. E tanti di loro sono stranieri. Terroristi sauditi, libici, ceceni, ma anche d’Occidente, dove tornano poi a far stragi, come avete visto in questi anni.

Torniamo all’assedio di Aleppo Est da parte delle forze governative
Per molto tempo a essere tagliata via da ogni rifornimento è stata la parte sotto il controllo di Damasco. Abbiamo fatto la fame per mesi. E patito la sete, anche perché spesso i terroristi chiudevano i rubinetti dell’unica centrale idrica che è sotto il loro controllo (cosa che fanno ancora quando gli serve). Sofferenze che non hanno suscitato alcun interesse internazionale. Oggi che l’esercito siriano tenta di riprendere la zona controllata dai terroristi cercando di tagliargli le vie di rifornimento, ciò suscita interesse…

I media occidentali parlano di assedio
Sono gli stessi che approvano le sanzioni, che hanno avuto gli effetti di un assedio per la popolazione siriana, anzi peggio di un assedio. Le sanzioni hanno impoverito un’intera nazione, affamato un popolo. Tanti dei profughi che scappano verso l’Occidente lo fanno perché ridotti alla fame: non c’è lavoro, nessun futuro. Un assedio crudele, dove sono negate anche le medicine per i bambini, i ricambi per le apparecchiature mediche. E si scrive dell’assedio di Aleppo Est…

Ma in questi anni sono giunti anche aiuti umanitari.
A volte, anche ad Aleppo è arrivato qualcosa. Davvero poca cosa per l’immane bisogno. Cosa strana i convogli della Croce rossa erano destinati a tutta Aleppo. Così arrivavano sia alla parte assediata, che allora era quella sotto il controllo di Damasco, che alla parte sotto il controllo dei terroristi, che pure non era assediata ed era più che prospera.

Torniamo ai bombardamenti…
Certo, i bombardamenti addolorano, ci sono civili che abitano in quella zona, si tratta di innocenti. Io sono solo un pastore e al riguardo posso solo riportare l’opinione della gente della città, che ritiene che l’esercito siriano stia facendo quel che è giusto per proteggere i suoi cittadini dalle aggressioni di questi terroristi. Ancora oggi, tutti i giorni, nella parte occidentale continuano a piovere razzi e colpi di mortaio. E ogni giorno piangiamo i nostri morti. Ma, evidentemente, non fanno notizia come i morti altrui…

Come vivono i civili vivono sotto il controllo dei jihadisti?
Hanno loro leggi, ferree, di derivazione wahabita, i loro tribunali… non credo che ai siriani piaccia stare loro sottomessi. Basti pensare che le due aree di Aleppo, quella Est. occupata di terroristi, e quella Ovest, controllata da Damasco, hanno la stessa estensione territoriale. E avevano più o meno gli stessi abitanti. Oggi a Est ci sono 300mila abitanti, a Ovest un milione e 300mila. Chi ha potuto, è scappato dalle mani di questi fanatici.

Invece l’islam siriano è sempre stato moderato…
Certo, anche adesso, sotto le bombe, i rapporti tra cristiani e islamici sono più che buoni, com’è tradizione antica in Siria. Se vincono i terroristi tutto questo sarà spazzato via.

E la vita cristiana come procede sotto le bombe?
Grazie a Dio tante cose ci confortano e conservano alla fede. I fedeli continuano a venire a messa, anche se ormai viene celebrata nella cappella dell’arcivescovado, dal momento che le due chiese maronite della città sono state distrutte. E tanti sono i ragazzi che frequentano l’azione cattolica o i gruppi scout. Compatibilmente con la situazione, ovviamente. Cerchiamo di evitare ai ragazzi rischi eccessivi, ma alla fine c’è solo da affidarsi alla protezione di Dio.

A Roma ha incontrato il Papa
Gli ho portato un album che avevano fatto i ragazzi della parrocchia con le foto dei loro cari, amici e parenti, uccisi dalla guerra. Accompagnato dalle loro firme. Quando il Papa ha iniziato a sfogliarlo è rimasto scosso. Hanno dovuto sorreggerlo. Ha pianto. E con lui abbiamo pianto un po’ tutti…

Tanto dolore. Cosa può confortare?
Quello che fa il Signore. Siamo nel tempo della croce, associati alla passione del Signore. Al suo dono di carità per la salvezza del mondo. Ma anche alla sua resurrezione. E tante sono le testimonianze di carità tra la mia gente, sia nell’aiuto al prossimo, islamico o cristiano non ha importanza, che di fede.

Un esempio?
Due. Un tale che si professava cristiano è stato rapito. Era cristiano modo suo, secondo disegni misteriosi del Signore, dal momento che non frequentava la messa e non so se conoscesse qualche preghiera. Nonostante questo, i suoi rapitori gli hanno piantato un coltello alla gola per farlo abiurare. Ai tagliagole continuava a ripetere che lui era cristiano, facessero pure quel che volevano non avrebbe rinnegato Gesù. È finita che lo hanno liberato. La sua storia ha confortato tanti tra noi… Poi c’è un altro che, rapito, ha iniziato a far catechismo all’emiro che lo interrogava sempre più incuriosito. Capitano cose così in Siria. E tante altre, magari meno conosciute, che sostengono la nostra fede.

Cosa chiede all’Occidente?
La guerra siriana è solo un pezzo di quella guerra mondiale fatta a pezzi di cui parla spesso il Papa. Si devono mettere d’accordo russi e americani. Certo, il meccanismo delle tregue esplorato finora, e iniziato quando i terroristi hanno cominciato a essere messi alle strette, non ha dato risultati. Anzi, i sostenitori dei terroristi hanno usato le tregue per rifornirli di armi e far entrare in Siria altri miliziani, così che poi questi assassini hanno aumentato la ferocia dei loro attacchi. Così, quando sentiamo di nuove tregue, in Siria iniziamo a tremare… Pare che uno dei punti di contrasto tra i potenti sia la gestione futura delle ricchezze siriane e chi sosterrà la ricostruzione. Sono miliardi e miliardi di dollari.

Non vede speranze?
Come detto, non si può che sperare che i potenti del mondo trovino un accordo. Nel nostro piccolo possiamo solo pregare. Cosa che chiedo anche ai lettori di questa intervista. Non si tratta solo di pregare per dei fratelli che sono in difficoltà. Siamo un corpo solo: se un membro è ammalato, è tutto il corpo a soffrire. Così pregando per i fratelli lontani che sono nelle angustie, ognuno di fatto prega anche per sé, per la sua anima. Un aiuto a vivere la propria fede.


venerdì 12 agosto 2016

Appelli di pace ed emergenza umanitaria 'selettiva'

Ringraziamo Dio:  
le suore della Congregazione di S. Giuseppe dell'Apparizione che gestiscono l'Ospedale S. Louis di Aleppo smentiscono la notizia (apparsa oggi su quotidiani cattolici)  che il loro Ospedale è stato colpito da bombe e che una o due suore siano rimaste ferite. 




Piccole Note, 11 agosto 2016

E così, dopo tanta attesa, disturbata da un fallito colpo di Stato in Turchia tentato proprio per mandare all’aria questo impossibile riavvicinamento, Putin ed Erdogan si sono incontrati. 
Un incontro che chiude i mesi di gelo, seguiti all’abbattimento di un velivolo militare russo da parte dei turchi, al quale Mosca aveva risposto emanando sanzioni durissime contro Ankara. 
Proprio le sanzioni russe sono state al centro dei colloqui: saranno gradualmente sollevate, ma, cosa molto più importante per Ankara, sarà ripristinato il progetto Turkish Stream, la nuova via del petrolio russo diretto in Europa.

E però sulla crisi siriana, il vero nodo da sciogliere per dare effettiva valenza ai rapporti tra i due Stati e per dare una speranza di stabilità alla regione, le divergenze sono ancora tutte la sciogliere.  
Significativa la sintesi delle rispettive agenzie di stampa: se quella turca, Anadolu, accenna solo a una convergenza non meglio specificata su un «obiettivo finale» (si immagina di pace), Ria Novosti dettaglia che la questione siriana sarà messa a tema in prossimi incontri, che si terranno tra i rispettivi ministri degli Esteri e dirigenti dei servizi segreti.  
Purtroppo a complicare la diatriba è la complessità della crisi siriana: i tanti attori regionali e locali ne fanno una vera e propria guerra mondiale.
Una guerra dalla quale si può uscire solo attraverso un compromesso tra Mosca e Washington. 
Compromesso che, però, finora, sembrava dover tagliar fuori la Turchia, uno dei protagonisti della crisi, dal momento che gli Stati Uniti, garanti del fronte anti-Assad, erano più propensi a favorire i loro alleati sauditi (e in generale il fronte sunnita), piuttosto che accondiscendere alle mire territoriali di Ankara.  
Ciò perché sia per Washington che per Israele, convitato di pietra di questa guerra, è sempre stato prioritario rafforzare l’asse anti-Iran piuttosto che accondiscendere alle mire territoriali turche sul suolo siriano.  
Da questo punto di vista, l’incontro tra il sultano turco e il nuovo Costantino,  avvenuto nell’omonimo palazzo di San Pietroburgo, spariglia le carte: se è vero che non è possibile chiudere la crisi siriana solo attraverso un accordo tra i due convenuti, è però possibile che Putin sia in grado di offrire a Erdogan quei benefici che invano il sultano ha preteso dai suoi alleati Nato, frenati dall’ossessione anti-iraniana. 
Putin ha molto da offrire, non solo direttamente, ma anche attraverso i suoi alleati nella regione: dall’Iran ai Paesi caucasici, area di vitale importanza per gli interessi turchi.

Vedremo gli sviluppi, purtroppo complicati dalle elezioni americane. I neocon, ormai certi dell’elezione della loro beniamina Hillary Clinton, stanno già progettando un futuro di bombe: sulla Siria come sull’Iran. In questo clima è ardua ogni possibile chiusura della crisi. 
Anzi, il prolungamento del conflitto è vitale per chi crede che la Clinton alla Casa Bianca saprà ribaltare la situazione che vede oggi Assad e i suoi alleati in vantaggio.

E per prolungare il conflitto si usa di tutto: non solo armi e miliziani, ma anche, e soprattutto, la propaganda.  
In particolare l’emergenza umanitaria, mai come in questa crisi utilizzata a scopi militari: ogni volta che sembra che la vittoria arrida alle forze lealiste, l’Onu e altre agenzie umanitarie lanciano appelli disperati sulle condizioni umanitarie del popolo siriano, completamente ignorate quando a martellare sono le forze del terrore anti-Assad.

È accaduto anche su quest’ultima decisiva, battaglia di Aleppo. Grazie all’appello dell’Onu, in parte accolto dalla Russia, le forze anti-Assad possono rifiatare, ricevere aiuti umanitari (come ad esempio le bombole di gas usate per massacrare i civili della parte opposta della città), come anche  armi e munizioni.   
Così il gioco al massacro potrà continuare per altri mesi. Quanto basta per rinfocolare le speranze dei neocon, ai quali serve prolungare il conflitto fino a che la loro protetta non siederà alla Casa Bianca. Per questi ambiti vale alla lettera il titolo di un noto film di Alberto Sordi: finché c’è guerra c’è speranza.

mercoledì 27 luglio 2016

“Sono anni che noi Vescovi del Medio Oriente mettevamo in guardia quei poteri occidentali che pur di perseguire i propri interessi non esitavano ad appoggiare i gruppi jihadisti"


Agenzia Fides 27/7/2016

La vicenda di padre Jacques Hamel, l'anziano sacerdote francese sgozzato mentre celebrava la Messa, “appartiene alla grande storia del martirio cristiano, come quelle dei martiri recenti delle Chiese in Oriente”. Per questo “non merita di essere strumentalizzata, magari proprio da chi, fino a poco tempo fa, per seguire i propri interessi, pensava di giocare di sponda con i gruppi jihadisti a cui fanno riferimento anche i giovani terroristi che lo hanno ucciso”.
Così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, guarda dalla città martire siriana al tragico evento consumatosi ieri mattina nella chiesa di Saint Etienne du Rouvray, vicino Rouen.
 “Lungo i secoli” rimarca il Vescovo francescano conversando con l'Agenzia Fides, “i cristiani hanno sempre visto nel martirio la confessione più alta della fede. Mentre piangevano i loro martiri, li hanno sempre celebrati come quelli che redimono tutti noi e salvano il mondo, perchè prendono su di sé le sofferenze ricevute nel nome di Gesù, e così applicano ai loro contemporanei la redenzione portata da Cristo”. 
Questa dinamica, cosi intima al mistero di salvezza, a giudizio di mons. Georges non può essere sfigurata da chi fomenta indignazione per incassare qualche tornaconto di natura politica. 
 “Sono anni” fa notare il Vicario apostolico di Aleppo “ che noi Vescovi del Medio Oriente mettevamo in guardia quei poteri occidentali che pur di perseguire i propri interessi non esitavano ad appoggiare i gruppi di invasati che perseguono l'ideologia jihadista. Adesso vedo circolare reazioni feroci, che identificano tutto l'islam con quei gruppi accecati da un'ideologia di odio e di morte che sembra diffondersi dovunque, per vie misteriose. Occorre essere semplici come colombe e astuti come serpenti, come insegna il Vangelo. Ma la furbizia non consiste nel farsi contaminare dal veleno del serpente”.

http://www.fides.org/it/news/60518-ASIA_SIRIA_Il_Vescovo_di_Aleppo_padre_Hamel_e_gli_altri_martiri_salvano_il_mondo_non_strumentalizziamo_le_loro_sofferenze#.V5jBKvmLSM8



Di email e sacerdoti uccisi

«Il modo migliore per aiutare la crescente capacità nucleare iraniana è aiutare il popolo siriano a rovesciare il regime di Bashar el Assad […] è la relazione strategica tra l’Iran e il regime di Assad in Siria che rende possibile a Teheran di minare la sicurezza israeliana. Quindi quel regime va distrutto. […] La rivolta popolare esplosa contro il regime è quel che ci vuole». Questa una mail di Hillary Clinton, quando era Segretario di Stato, pubblicata sulla newsletter Cognitive liberty e ripresa da Alberto Stabile sulla Repubblica del 27 luglio.

Nota a margine. Nel suo articolo, Stabile fa notare la discrepanza tra le posizioni assunte allora dalla Clinton e quelle di Obama. Il presidente Usa,infatti, ha voluto a tutti i costi negoziare con l’Iran sul nucleare, considerando tale accordo come l’unico strumento atto a evitare minacce a Israele evitando, anche nell’interesse di Tel Aviv, pericolosissime avventure militari. 
  Da notare, inoltre, l’uso strumentale che Hillary Clinton fa delle ragioni di sicurezza israeliane, per accreditarsi come paladina di Tel Aviv presso l’ambito ebraico.

Ma al di là delle divergenze nel dibattito interno Usa, val la pena sottolineare come per «distruggere» Assad è stata strumentalizzata (in realtà “sollecitata”) la «rivolta popolare» siriana. Formula che nasconde l’aiuto, diretto e indiretto e a vari livelli (armi, soldi e altro) alle diverse bande di tagliagole che da anni insanguinano la Siria per ottenere quel sospirato regime-change che ancora sfugge.
  In questa prospettiva si è massacrato un popolo (per lo più islamico). E per questo sono state generate diverse bande armate di assassini di marca jihadista, tra cui l’Isis, che, come prevedibile e previsto, ora fanno strage in Occidente.

Assassini che hanno ammazzato, tra l’altro, anche tanti sacerdoti e religiosi e fedeli siriani. Omicidi dei quali non è importato nulla a nessuno, in particolare ai tanti che oggi sui media si affannano a spiegare come il fiore del male dell’Isis sia necessaria conseguenza della dottrina islamica.
  Omicidi mirati ignorati, che la sorte e i giochi di potere hanno associato al martirio di padre Hamal, ucciso ieri in Francia dalle stesse mani.