Verità e giustizia in arabo
da L'Osservatore Romano - 7 settembre 2012
La parola araba
haqq ha due significati: verità e diritto, nel senso di
giustizia. Nessun’altra lingua, che io sappia, ha questa particolare ricchezza
espressa da una sola parola. Per i popoli arabi non è forse una coincidenza
significativa, e anche un impegno, che ci sia un legame così stretto tra verità
e giustizia?». Per
Ignace Youssif III Younan, dal 2009 patriarca di Antiochia
dei Siri la cui sede è proprio nel quartiere siriano di Beirut, la capitale del
Libano, «se la violenza è sempre un orrore in Medio Oriente lo è forse ancora di
più». Parole che il patriarca pronuncia «con dolore», costatando quanto invece
«la pace sia purtroppo al momento così tanto lontana dalla vita della nostra
gente». Siriano di origine, il patriarca
rilancia — nell’intervista al nostro giornale — la proposta di un tavolo per la
pace per fermare le violenze e trovare una soluzione pacifica e condivisa che
garantisca più democrazia e il rispetto dei diritti umani. E in questa
prospettiva si aspetta molto dall’ormai imminente visita di Benedetto XVI,
atteso a Beirut venerdì 14 settembre.
E proprio l’indissolubilità tra verità e giustizia, su cui lei sta
puntando tutto, sarà probabilmente anche il cuore del messaggio del
Papa.
Verità e giustizia non si possono separare: è un fatto che nel mondo arabo
dovrebbe essere sempre tenuto in considerazione assoluta ogni volta che si
pronuncia, consapevolmente, la parola
haqq. È un’idea che ho rilanciato
intervenendo al Sinodo dei vescovi del 2008 dedicato alla Parola di Dio e
ripreso poi al momento di iniziare il mio servizio come patriarca. È sotto gli
occhi di tutti che non ci possa essere verità senza giustizia né giustizia senza
verità. Soprattutto è un linguaggio comprensibile a tutti in Medio Oriente.
Di diritti umani e giustizia, tracciando quasi un profilo della primavera
araba, ha trattato anche il Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente, nel 2010, di
cui lei è stato presidente delegato.
Il Sinodo per il Medio Oriente ha suscitato nuove speranze e non nascondo che
abbiamo forti aspettative per l’esortazione apostolica post-sinodale che il Papa
verrà a consegnarci personalmente. L’idea di fondo è semplice: riaffermare a
chiare lettere la volontà dei cristiani e dei musulmani di vivere insieme, in
pace, collaborando per costruire un sistema più democratico di convivenza
pluralista. Le religioni sono motivo d’incontro e non di scontro.
Quindi, secondo lei, in Medio Oriente dovrebbe essere impossibile, ancor
più che altrove, commettere violenze usando il nome di Dio.
Il Medio Oriente resta la culla delle civiltà e delle religioni dove tutti
abbiamo davanti un’unica strada: convivere pacificamente e lavorare insieme per
il bene della nostra gente. La religione non può mai essere
violenza.
Eppure ciò che sta avvenendo nella regione è ben lontano da prospettive
di convivenza pacifica. Lei è di origine siriana, come vede la situazione nella
Siria di oggi?
Con grande timore. Un timore purtroppo realistico, guardando anche
all’esperienza irachena. La necessità di trovare presto soluzioni che aprano la
strada al dialogo e a riforme di libertà e giustizia non è un’idea solo della
minoranza cristiana, ma di tutti i credenti e degli uomini di buona volontà. Le
violenze devono cessare e le parti in causa devono trovare il coraggio di
sedersi intorno a un tavolo di pace per ricercare insieme le soluzioni giuste
per tutti, nell’interesse della popolazione che chiede un futuro di pace. Si
aggiunga anche la questione terribile dei profughi. In Libano ne arrivano tanti
di cristiani in fuga: è sempre più complicato accoglierli e garantire loro una
vita dignitosa.
Ma cosa sta accadendo in Siria?
Duole confessarlo, in Siria lo scontro non è soltanto una questione politica
ma tocca anche le diverse confessioni religiose. Una constatazione che fa male
perché quella è una terra che ha visto fiorire una cultura importante, antica,
improntata all’accoglienza e alla tolleranza. I cristiani oggi sono una
minoranza esigua e più che mai vulnerabile. Il messaggio che portano alla
società, anche solo con la loro presenza, va infatti in senso contrario ai
progetti radicali che invece non tengono per niente conto del valore della
persona. Ancora una volta la questione di fondo è il riconoscimento e il
rispetto dei diritti umani. Ai cristiani, invece, vengono sistematicamente
negati i diritti più comuni.