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martedì 11 settembre 2018

Mons Abou Khazen circa battaglia di Idlib: "Non si può lasciare una parte consistente nel Paese in mano ai terroristi e jihadisti”

Nella cittadina totalmente cristiana ortodossa di Muhardeh si sono svolti i funerali di Elias, 14 anni, Amira, 23 anni, Lena, di 8 anni con sua sorella di 4 anni, 
Maria di 8 anni con suo fratello Fadi di 6 anni e la sorellina lamya 4 anni,
 Dima la loro madre di 30 anni:
vittime dei missili che i jihadisti da Hama e Idlib lanciano da 7 anni sulla città in odio ai cristiani.

AsiaNews 
Le tensioni internazionali attorno a Idlib “fanno paura” e la sensazione diffusa è che fra le cancellerie occidentali, in testa gli Stati Uniti e i suoi alleati nella regione, “si cerchi un pretesto” per colpire la Siria. È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui “in tutte le battaglie vi è un pericolo reale per i civili”, ma non è possibile lasciare un intero settore del Paese nelle mani di gruppi jihadisti e terroristi. Il prelato ricorda infatti che, proprio da quell’area, nei giorni scorsi è partito un lancio di razzi e granate che ha colpito una cittadina cristiana, uccidendo una decina di persone in maggioranza donne e bambini. 

Per il vicario di Aleppo è doveroso mantenere alta l’attenzione sulla sorte della popolazione civile ma, al tempo stesso, “governi occidentali e media mainstream esasperano la situazione”. Il prelato ricorda inoltre le vittime cristiane che spesso vengono relegate ai margini. “Quattro giorni fa - racconta - gruppi terroristi [vicini alla Turchia] presenti a Latamneh hanno lanciato razzi sulla cittadina cristiana di al-Mahardeh, uccidendo una decina di persone”. Fra queste, aggiunge, “sei erano bambini e tre le donne. Di una famiglia si è salvato solo il padre”.
La zona da cui sono partiti i razzi è sotto il controllo di al Qaeda ed è fra gli obiettivi dell’annunciata offensiva dell’esercito siriano, che vuole riconquistare il controllo di tutta la zona. “Nessuno ha parlato di questo attacco - accusa mons. Georges Abou Khazen - ed è inaccettabile”. La speranza, prosegue, è che “si giunga ad un accordo che porti una vera riconciliazione” evitando violenze e combattimenti “ma siamo scettici. Bisogna capire quale sarà la posizione della Turchia e valutarne le azioni: una cosa sono le parole, altro i comportamenti sul campo” e dall’incontro della scorsa settimana a Teheran fra Russia, Turchia e Iran non sono emersi sviluppi positivi. 

L’esodo di milioni di disperati, che hanno cercato riparo all’estero in Medio oriente, Europa, Nord America e Australia, è una delle conseguenze più gravi del conflitto che, da sette anni, insanguina la Siria. L’offensiva su Idlib rappresenta una ulteriore fonte di preoccupazione per una nuova emergenza umanitaria e per le ripercussioni a livello internazionale, con possibili interventi del blocco occidentale, Stati Uniti in testa. Washington, infatti, ha già minacciato di attaccare la Siria in caso di utilizzo di arsenale chimico nella provincia. Tuttavia, per i critici ciò rappresenta un pretesto per intervenire contro Assad e colpirne gli alleati: Russia e Iran. 

Ad alimentare l’allarme anche le principali agenzie delle Nazioni Unite presenti sul territorio, secondo cui fra il primo e il 9 settembre oltre 30mila persone hanno abbandonato le loro case nella provincia di Idlib e sono fuggire in cerca di salvezza. Il timore, avvertono. è che si sviluppi “la peggiore catastrofe umanitaria” del secolo. “Una eccessiva drammatizzazione” chiosa il vicario apostolico dei Latini di Aleppo. 
“Fra le persone a rischio nella provincia di Idlib - conclude il prelato - vi sono almeno 200 famiglie cristiane che non hanno mai abbandonato la zona, nonostante la presenza dei terroristi di al Nusra. In questi sei anni hanno dovuto subire espropri di case, terreni e denaro, le donne hanno dovuto indossare il velo e una statua della Madonna è stata utilizzata come bersaglio per l’addestramento all’uso delle armi. la speranza è che anche per queste persone giunga la “liberazione” dal gioco fondamentalista perché “nessuno, cristiano o musulmano, deve vivere nelle mani dei terroristi”.

sabato 31 marzo 2018

Mons. Abou Khazen: "Pregate perché il Cristo risorto possa infondere la pace ad Aleppo e in tutta la Siria”.

Kristos Anesti, Alithos Anesti
Cristo è risorto, è veramente risorto
Christ est ressuscité, il est vraiment ressuscité

da Asianews

La comunità cristiana vive le celebrazioni della Settimana Santa che preparano alla Pasqua “in un clima misto” di “speranza”, perché si possa arrivare presto “alla pace”, e di “scetticismo”, perché non è dato sapere ancora “come andrà davvero a finire”. È quanto racconta ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, che non nasconde la propria preoccupazione “per il nuovo intervento straniero [leggi la Turchia, ad Afrin] nel nord del Paese”. “Speriamo bene - aggiunge - ma la sensazione è che stanno spogliando questo povero Paese e si stanno dividendo le sue vesti”. 
Le intenzioni di preghiera dei fedeli, racconta il prelato, sono “sempre rivolte alla pace. Quando cesseranno le armi, allora sarà possibile ripartire con il lavoro e tornare a una vita più tranquilla, serena, com’era prima del conflitto”. “È commovente - prosegue il prelato - vedere tutte queste persone che si riuniscono per partecipare alle preghiere, alle celebrazioni, ai riti con un unico desiderio che li unisce: celebrare la pace”. Questa, aggiunge, “sarà l’ottava Pasqua di guerra. Tuttavia, resta viva la speranza è che la testimonianza di Cristo Salvatore possa infondere un rinnovato ottimismo e che, dopo la Via Crucis, giunga anche la resurrezione”. 
Da poco entrato nel suo ottavo anno, il conflitto siriano continua a mietere vittime fra la popolazione civile. Aleppo, un tempo capitale economica e commerciale della Siria, oggi porta i segni di questa lunga striscia di sangue: molte industrie e officine, cuore della produzione locale, sono ridotte in macerie. Migliaia di famiglie sono fuggite e la stessa comunità cristiana si è ridotta di oltre i due terzi. Il futuro resta un’incognita, soprattutto per i giovani.
In un contesto di violenze e devastazioni, la Chiesa ha avviato in questi anni diversi progetti di sostegno e aiuto alla popolazione. Fra i tanti ricordiamo la pulizia della città, gli aiuti alle giovani coppie di sposi, dai pacchi alimentari ai fondi per le forniture elettriche, i centri estivi per centinaia di bambini, i contributi per coprire le spese sanitarie e le medicine, le visite, gli esami, le cure. Sono tutte iniziative a favore dei bisognosi, che in molti casi la gente di Aleppo - per anni epicentro del conflitto siriano sino alla liberazione nel dicembre del 2016 - non si può permettere.
Da una città martoriata giungono però anche segni di speranza: il 18 marzo scorso 35 giovani della parrocchia latina hanno ricevuto il sacramento della Cresima dalle mani del vicario apostolico, assieme al locale parrocco p. Ibrahim Alsabagh. Il segno di una comunità viva, che vuole crescere e testimoniare la presenza di Cristo, fonte di pace e salvezza. “Il numero dei fedeli - sottolinea mons. Georges - in questi anni è diminuito ma la nostra resta una Chiesa viva. Vedere l’assiduità con cui le persone presenziano alle funzioni è fonte di speranza. Se il Signore ci salverà e ci darà un futuro, sarà anche grazie a questa comunità viva”. 
“Abbiamo sperimentato morte e distruzione - afferma il prelato - ma allo stesso tempo abbiamo vissuto grandi testimonianze di amore e solidarietà. La guerra continua e miete ogni giorno nuove vittime, un numero esagerato di morti. Le persone continuano a scappare dal proprio Paese. Di fronte a tutta questa sofferenza non possiamo restare sordi e impassibili, anche dopo otto anni non possiamo rassegnarci alla logica della violenza e della guerra”. 
La fede è più forte della morte, sottolinea il prelato, per questo le cerimonie sono sempre gremite di fedeli. Fra i momenti più significativi dei prossimi giorni “la visita a tutte le chiese della città che i cristiani di Aleppo faranno al termine dei riti del Venerdì Santo. Una sorta di processione che si snoda per le vie della città e che si concluderà a notte inoltrata”. “In occasione della Pasqua - conclude - rinnovo l’invito a pregare per questa nostra comunità, che è viva. Perché il Cristo risorto possa infondere la pace ad Aleppo e in tutta la Siria”.

martedì 13 febbraio 2018

Mons. Abou Khazen, “Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria"


La drammatica testimonianza del vicario apostolico di Aleppo, mons. Georges Abou Khazen.  È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra.


S.I.R.  12 febbraio 2018

“Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. Era l’agosto del 2014, quando Papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud, pronunciava queste parole. Parole quanto mai attuali se riferite a quanto sta avvenendo in questi giorni in Siria dove si registra una escalation del conflitto dopo lo scontro tra Iran e Israele che hanno visto abbattuti rispettivamente un drone iraniano e un caccia F-16 con la Stella di David. E sebbene la guerra sia stata dichiarata conclusa dal presidente Assad e dal suo primo alleato, il presidente russo Putin, sul tavolo verde siriano le potenze regionali e internazionali continuano a giocare le loro carte: turchi, israeliani, curdi, russi, americani, iraniani, hezbollah libanesi, sauditi, i resti di Daesh e le milizie di al-Nusra. Si combatte nell’enclave curda di Afrin, a Idlib nel nord-ovest del Paese, teatro di un’offensiva governativa contro i ribelli, a Deir ez-Zor.

Bombe anche a Damasco dove fonti locali parlano di colpi di mortaio che hanno centrato il patriarcato siro ortodosso, causando morti e feriti. L’Onu ha aperto un’inchiesta relativa all’uso di bombe al cloro da parte dell’esercito regolare. Accusa respinta da Damasco. E nel risiko siriano affondano anche le tenui speranze di negoziati legate all’ultima conferenza di pace di Sochi, di fine gennaio, nella quale è stato chiesto rispetto per l’integrità territoriale del Paese e ribadito che solo il popolo siriano dovrebbe decidere la forma del proprio governo. Nella stessa conferenza è stata approvata la creazione di una commissione costituzionale con una lista di 150 partecipanti, due terzi in rappresentanza del governo siriano, un terzo dell’opposizione.
“Qui è di nuovo l’inferno. Piovono bombe e la povera popolazione siriana non smette mai di soffrire. Perché tutto questo? Quando finirà?”.
È un fiume in piena mons. Georges Abou Khazen, francescano della Custodia di Terra Santa e vicario apostolico di Aleppo. Al telefono, dalla città martire siriana, denuncia: “Ogni volta che rinasce un briciolo di speranza ecco che questo viene sepolto di nuovo dalle bombe. Ogni volta che si compiono timidi passi in avanti per la ripresa di negoziati, ecco che ci ricacciano indietro. Perché?”. Non ci sono risposte certe, l’unica, dice, “è continuare a sperare”. Ciò che sta accadendo nel Ghouta orientale, a Damasco, Idlib e Afrin è una tragedia immane. Qui secondo l’Unicef sono stati uccisi, nel solo mese di gennaio, 60 bambini e molti altri sono stati feriti durante i combattimenti in corso.

“Siamo addolorati – prosegue mons. Abou Khazen - La gente soffre e si chiede cosa accadrà. Ci sono migliaia di famiglie, donne, anziani intrappolate dalle bombe delle parti in lotta. Sono queste persone la parte più debole della popolazione. Ma soprattutto ci sono migliaia di bambini malnutriti, abbandonati, orfani, che vagano soli, che hanno bisogno di ogni forma di assistenza materiale e morale”.

Piccoli che diventano preda delle fazioni armate in lotta: “In alcune zone, soprattutto quelle sotto controllo dello Stato Islamico (Daesh) e di Al Nusra – spiega il religioso francescano – i più piccoli vengono arruolati, addestrati alla guerra e mandati a combattere”.
 Ma l’emergenza non finisce qui. “Urgono aiuti di ogni genere. In tante zone del Paese manca il lavoro, migliaia di famiglie hanno necessità di rimettere in piedi la propria abitazione per avere di nuovo un tetto sulla testa. Come Chiesa stiamo cercando di aiutare quante più persone possibile ma i bisogni sono enormi. Non abbandonateci”, dice con voce accorata il vescovo.

La tragedia siriana non conosce fine. Daesh? “Sembra essere stato sconfitto ma non è così – risponde mons. Abou Khazen – 
Daesh è il cavallo di Troia per le potenze coinvolte nella guerra.

Serve loro per spostare il conflitto da un punto all’altro della Siria, a seconda delle convenienze.

Ma non c’è solo Daesh, nel campo di battaglia siriano. Ci sono Al Nusra e tanti altri gruppi affiliati teleguidati da tutte le potenze, regionali e internazionali, coinvolte in questo conflitto per procura. Li assoldano, li addestrano e li armano: questo è il maggiore ostacolo al dialogo tra le parti siriane”.

Mai come oggi le sorti della Siria sono nelle mani di Usa, Arabia Saudita, Israele, Russia, Iran, Turchia:
“Si stanno dividendo le vesti del nostro Paese. 
Abbiamo paura di una spartizione della Siria.
È giusto che per interessi economici e politici un intero popolo debba soffrire così?”. 

“Gesù sta patendo sulla croce per tutta la popolazione della Siria, senza distinzione di etnia e fede. Siamo un corpo solo. La guerra – ricorda il vicario – ha allontanato i siriani dalle loro terre e case, metà della popolazione è profuga, centinaia di migliaia di morti, milioni di feriti, almeno diecimila rapiti, spariti nel nulla e dei quali non si conosce la sorte. Cosa altro vogliono da noi queste potenze?”.



È un Paese lacerato quello che fra un mese entrerà nel suo ottavo anno di guerra.
Il pensiero del vicario apostolico va ai più giovani: “Quelli che hanno potuto, hanno lasciato il Paese.
Che generazioni future avremo se non verranno formate alla giustizia, al diritto e alla pace? Cosa ne sarà di loro? E cosa sarà della società che verrà? La speranza non deve abbandonarci perché abbiamo la certezza che il nostro destino non è nelle mani di un uomo o di una superpotenza. Il nostro destino è nelle mani di Dio, Padre provvidente.

In Lui, e solo in Lui, poniamo la nostra salvezza”.

mercoledì 20 dicembre 2017

Pace, casa e lavoro: il dono di Natale per il futuro dei cristiani siriani

AsiaNews, 19 dicembre 2017
La pace in tutta la Siria, la lotta alla disoccupazione che frena la (lenta) ripresa e la riunificazione delle molte famiglie spezzate dalla guerra, che in oltre sei anni di violenze ha trasformato milioni di persone in migranti in cerca di riparo all’estero o sfollati interni. Sono questi i due grandi desideri che animano la popolazione cristiana di Aleppo in queste settimane di Avvento che preparano al Natale, come racconta ad AsiaNews il vicario apostolico dei Latini, mons. Georges Abou Khazen. Ad un anno dalla fine della battaglia per la città “si vive un clima di maggiore speranza”, aggiunge, e “vi è anche molta più sicurezza. Tutto questo induce ad un moderato ottimismo, perché si raggiunga una soluzione che coinvolga tutto il Paese”. 
La migrazione “resta un problema”, sottolinea il vicario apostolico di Aleppo, anche perché “sono partiti soprattutto i giovani” e il loro ritorno è una “priorità” per far ripartire la città. Intanto la Chiesa locale, prosegue il prelato, ha avviato o sostiene con fondi specifici “progetti di micro-impresa a livello locale: adesso la nostra sfida è passare dal sussidio all’autosufficienza”. 
Da qui lo stanziamento di somme di denaro per l’apertura di pasticcerie, negozi di barbieri, falegnamerie, imprese artigiani, fabbri ferrai perché “è dalle piccole attività di ogni giorno che bisogna ripartire”. “Il ritorno dell’elettricità per 13, 14 ore al giorno, insieme alla fornitura costante di acqua - sottolinea mons. Georges - sono i segni più importanti della rinascita”. 
Adesso è possibile tornare a vedere in alcuni punti “una città pulita” e “strade illuminate con pannelli solari”. Dall’oscurità alla luce, aggiunge il vescovo, “è una sensazione nuova, compresa l’illuminazione delle strade di notte”. 
Prima della guerra Aleppo era la seconda città per importanza della Siria, oltre che il suo principale motore economico e commerciale. Dal 2012 è stata divisa in due settori: occidentale, dove hanno vissuto 1,2 milioni di persone, sotto il controllo del governo; la zona orientale, circa 250mila persone, nelle mani delle milizie ribelli e di gruppi jihadisti. La resa dei ribelli, che hanno trattato l’uscita dalla città, e la successiva riunificazione risalgono al dicembre dello scorso anno; la popolazione ha potuto festeggiare con canti e balli la fine dei combattimenti e il Natale alle porte. 
A distanza di un anno è partita l’opera di rimozione delle macerie, le strade sono più pulite, il traffico è aumentato, hanno riaperto alcune officine. “Qualcosa si muove”, racconta mons. Georges, anche se “molta gente resta senza lavoro, sono tantissimi i bambini orfani di guerra o abbandonati che abbiamo scoperto nei mesi successivi all’unificazione della città”. Uno dei grandi ostacoli alla ripresa di Aleppo “è la disoccupazione: vanno riparati i macchinari rubati o trafugati dalle aziende negli anni di guerra, vanno sistemate le abitazioni per consentire il ritorno dei profughi”. 
La Chiesa locale partecipa all’opera di ricostruzione degli edifici, sostiene la piccola impresa, prosegue la distribuzione dei pacchi alimentari. “Quasi tutte le famiglie - racconta il prelato - confidano ancora nei nostri aiuti: si tratta di circa 10.500 nuclei cristiani di tutte le confessioni. E poi vi è l’assistenza sanitaria e la distribuzione di medicine, anche questa una priorità nel contesto di una svalutazione della moneta locale, la lira, il cui valore di acquisto è assai inferiore e lo stipendio medio di un lavoratore, sebbene sia rimasto invariato, non è più sufficiente”. 
Intanto la comunità si avvicina al Natale con “molta più speranza, più sicurezza, con l’augurio che la guerra possa finire presto in tutto il Paese. Le strade vengono addobbate a festa, un municipio guidato da una maggioranza musulmana ha voluto mettere stendardi e simboli della festa cristiana. E ancora, le chiese addobbate con i presepi, le animazioni promosse dai giovani. Si respira - conferma il vescovo - un clima diverso all’anno passato”.
In questi giorni che avvicinano alla festa, il vicario apostolico di Aleppo vuole rivolgere un pensiero finale ai bambini, che rappresentano “il futuro e la speranza” della comunità cristiana e di tutto il Paese. “Come Chiesa abbiamo preparato dei doni da distribuire, insieme a un vestito per la festa che possa servire per tutto l’inverno. A questo si aggiungono dei pranzi di gruppo il giorno di Natale e quello successivo; un'occasione per stare insieme, fare festa, con canti e balli. Ma oltre la festa - conclude il prelato - vi è l’impegno perché possano frequentare la scuola: a oggi paghiamo per intero la retta di 3200 studenti, versando nelle casse degli istituti, in maggioranza privati, fino a 150 dollari all’anno, distribuendo anche libri e quaderni ai più poveri, ma meritevoli”.

domenica 24 settembre 2017

Da Aleppo all'Italia, le parole di speranza del Vescovo Abou Khazen

 Spiragli di pace in Siria. Dopo 6 anni di guerra civile, 6 milioni di sfollati interni e almeno 5 di rifugiati all’estero su 22 milioni di abitanti, il vescovo di rito latino di Aleppo Georges Abu Khazen intravede uno squarcio di luce. Grazie all’accordo di Astana fra la Russia, la Turchia e l’Iran, affiorano piccoli sintomi di ritorno alla normalità in parte delle quattro aree di riduzione delle ostilità. Il vicario apostolico, francescano libanese di 70 anni, li mette in fila come piccole pepite inattese. “In duemila villaggi – spiega – le parti in conflitto hanno fatto praticamente la pace, sono tornati i contadini e hanno riaperto le scuole che erano chiuse da 3 o da 4 anni. Insomma la de-escalation sta funzionando”. Le truppe di Assad hanno lanciato l’assalto finale a Deir Ez Zour  vicina al confine con l’Iraq e capoluogo di una provincia ricca di petrolio e di gas. Il carburante è tornato nei distributori di Aleppo. “La guerra – ammette l’alto prelato – non è ancora finita, ma è calato il livello del pericolo. L’obiettivo dell’esercito siriano è arrivare fino al confine con l’Iraq e non so se gli Stati Uniti lo permetteranno. Si era ridotto al 26 per cento del territorio nazionale, adesso non controlla solo il 16 per cento”.
Se le truppe di Assad arrivassero fino alla linea di demarcazione con il territorio di Baghdad si ricostituirebbe infatti il corridoio sciita del Medio Oriente che parte dall’Iran, attraversa l’Iraq e la Siria e arriva fino al Libano, il Paese degli Hezbollah che hanno combattuto duramente al fianco delle truppe di Assad pagando un prezzo elevato di vite umane. E’ una è prospettiva che Israele vede come il fumo negli occhi e che, di conseguenza, dispiace anche al presidente americano Donald Trump.   “Nel nord del Paese – ricorda il vescovo di rito latino della seconda città siriana – c’è il problema dei curdi. Che cosa succederà se reclameranno l’indipendenza?”. Hanno combattuto l’Isis con forza, coraggio e alte perdite umane, di sicuro hanno accumulato un debito di riconoscenza. Trump li ha aiutati concretamente autorizzando , a partire dal 9 maggio, la fornitura di armi pesanti.  “Infine – elenca Abu Khazen – c’è il problema della provincia di Idlib, una zona occupata dai miliziani (qaedisti ndr.) della ex Jabhat al Nusra. Sono decine di migliaia di combattenti. Io però sono ottimista. C’è il lavoro dei russi in quell’area. I turchi sono coinvolti come garanti dell’accordo. Credo che la riconciliazione sarà possibile per i siriani. Resta invece il problema delle migliaia di combattenti che sono arrivati lì da altri Paesi”.
Il vicario apostolico racconta la rinascita della sua città, alla quale hanno contribuito anche 200 famiglie della Parrocchia della Collegiata di Lugo (Ravenna), che versando ogni mese 20 euro sono riuscite a farne avere al prelato e alla Caritas 74 mila. E’ un rivolo prezioso in una metropoli che cerca di risorgere. Prima della guerra aveva 4 milioni di abitanti. La popolazione si è dimezzata nonostante il flusso dei rientri. “Siamo una nazione senza giovani”, è la sintesi sconsolata del vescovo al quale risulta che nella sola Turchia dal 2012 i giovani profughi del suo Paese abbiano messo al mondo ben 250 mila bambini. Il prelato calcola che nella sua città almeno duemila piccoli (ma secondo altre stime sarebbero seimila) siano abbandonati a se stessi perché non hanno più nessun parente.”Vivono – spiega Abu Khazen – per strada, in case distrutte o accuditi da un fratello maggiore, spesso più vecchio di loro di appena un anno”.  “I figli di donne violentate – rincara – sono moltissimi”. E c’è l’ulteriore complicazione che la religione islamica non prevede l’adozione. Molti anziani sono confinati nei piani alti delle case perché non possono fare le scale. Il richiamo dei riservisti fino ai 45 anni di età ha privato molte famiglie dell’unica fonte di reddito. Tutti gli operai disponibili hanno superato quell’età”.
Sullo schermo della sala della Collegiata si inseguono immagini di macerie, di distruzione, di missili atterrati nel cortile dei francescani. C’è perfino la foto di un rosario fatto con le pallottole che monsignor abu Khazen raccoglieva ogni mattina. La parrocchia del vescovo latino di Aleppo aveva un laboratorio per le donne provvisto di computer e di macchine da cucire. “Ho convinto il Comune- ricostruisce e documenta con foto – a rimuovere le macerie e a riportarci la corrente elettrica”.  Dietro il rosario di proiettili spiccano un mattone della Porta Santa di Roma e la citazione del profeta Isaia che esorta a trasformare le spade in aratri e le lance in falci.

«Stiamo organizzando un sinodo tra tutte le sei Chiese cattoliche, dei diversi riti, presenti ad Aleppo. Come logo dell’incontro abbiamo scelto l’immagine dei discepoli di Emmaus, che vengono confortati dalla presenza di Gesù».

Nell'incontro pubblico a Lecco, Mons Georges Abou Khazen ha soprattutto invitato a una preghiera che nasca dalla consapevolezza di appartenere alla unica chiesa cattolica. 

  di Giulio Boscagli :  leggi qui: http://www.resegoneonline.it/articoli/il-vescovo-di-aleppo-a-lecco-dalla-siria-parole-di-speranza-20170922


«Ci aspettavamo l’invasione da un momento all’altro. E ci chiedevamo che cosa avremmo potuto fare e che cosa avremmo subito. Io ho sempre mantenuto la speranza, perché davvero il Signore aiuta quando viene invocato, e dicevo a tutti: sopravvivremo così come stanno sopravvivendo i nostri fratelli a Idlib».
 di Leone Grotti : leggi qui Aleppo. Guerra e miracolo della riconciliazione | Tempi.it 

martedì 8 agosto 2017

Mons. Abou-Khazen, da Aleppo: "Qui le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle difficoltà"


Comunicato di mons Georges Abou-Khazen – francescano della Custodia di Terra Santa e Vicario apostolico di Aleppo

Pochi giorni prima del Natale 2016, Aleppo è stata liberata ed unificata dopo quattro anni di guerra e violenza. Città divisa, assedio quasi totale, bombardamenti alla cieca sui quartieri che hanno seminato morte e terrore tra i civili, disoccupazione, elettricitá del tutto tagliata e atavica mancanza di risorse idriche. La liberazione della cittá da parte dell’esercito regolare ha segnato una nuova tappa nella guerra siriana: la speranza e l’incentivo di liberare dai gruppi terroristici il resto del Paese, ed in modo speciale ha allontanato la paura della divisione della Siria, nonché la possibilità di creare uno Stato moderno dove i diversi gruppi etnici e religiosi possano vivere in pace ed in armonia.  Il tempo di festeggiare un evento così importante come la liberazione della città deve lasciare ora il posto alle gradi sfide che ci aspettano per il nostro futuro:
1 – Dopo aver liberato e unito tra loro i quartieri attraverso le reti viarie, è necessario ri-unire e riconciliare gli abitanti.
2 – Superare il trauma della guerra e del terrore che ha colpito tutti gli abitanti, in un modo speciale i bambini e i giovani.
3 – Dare assistenza ai minori rimasti orfani dei genitori. Le statistiche,  parlano di più di duemila bambini in questa condizione; il Governo sta cercando di registrarli fornendo loro i documenti necessari.
4 – Molti bambini non hanno potuto frequentare la scuola per quattro o cinque anni. Va colmato questo vuoto di educazione e insegnamento.
5 – C’è da occuparsi di un’intera popolazione rimasta senza lavoro né soldi a causa del perdurante conflitto.
6 – Ricostruzione degli edifici sventrati, compresi i mercati della città vecchia, gli edifici pubblici e religiosi, ad esempio tutto il patrimonio delle chiese di Aleppo, distrutte o parzialmente danneggiate.
7  – A questo problema si lega la necessità di fornire un alloggio alle famiglie rimaste senza casa.
8 – Una grande sfida è quella di far tornare la fiducia nelle persone e allontanare la diffidenza nei confronti delle altre comunità etniche.
9 – Molte famiglie, dopo essere emigrate, stanno già tornando ad Aleppo. Questo fenomeno va incentivato, aiutando chi aveva un’attività a ricominciare.
10 – All’interno della comunità cristiana ci stiamo ponendo interrogativi sul nostro futuro. Una cosa è certa: la Chiesa in Aleppo e  in tutta la Siria non sarà più la stessa. Questo conflitto ha creato un prima e un dopo. Ad Aleppo stiamo pensando di organizzare un Sinodo inter-comunitario che coinvolga tutti i riti cattolici presenti nella città (sei riti con sei vescovi).
Le esigenze e le sfide sono molte e complesse, ma la volontà della gente di vivere e ricostruire trionferà sulle paure e sulle inevitabili difficoltà. Il Signore ci doni la sua Pace per il bene della Siria e di tutta la regione.

giovedì 6 luglio 2017

Astana: Mons. Abou Khazen "ogni occasione di incontro è sempre un elemento positivo”


Asia News, 5 luglio 2017

Ogni occasione di incontro, confronto, dialogo è sempre un fattore positivo e deve indurre all’ottimismo, anche se la situazione sul terreno non è facile e permane una sensazione diffusa di incertezza per l’avvenire. È quanto racconta ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando il secondo giorno di colloqui di pace bilaterali in programma ad Astana (Kazakhstan) sulla Siria, patrocinati da Russia, Turchia e Iran. “La speranza - aggiunge - resta sempre quella di arrivare a un cessate il fuoco permanente, che favorirebbe il ritorno degli sfollati e una ripresa delle attività economiche e commerciali”, fattori chiave per far ripartire il Paese. 
Ad Astana si è aperto il quinto incontro internazionale sulla Siria, con l’obiettivo di rafforzare la “fragile” tregua nazionale in vigore dal dicembre scorso; una due giorni di trattative, che registra la presenza di delegati del governo siriano e rappresentanti delle opposizioni armate. La mediazione messa in campo da Teheran, Mosca e Ankara (su fronti opposti nel conflitto) si affianca agli sforzi diplomatici promossi dalle Nazioni Unite a Ginevra (Svizzera), i quali però non hanno sortito sinora effetti duraturi. 
In passato gli incontri di Astana, durante i quali per la prima volta si sono seduti allo stesso tavolo leader di Damasco e fronte dei ribelli, si sono rivelati più decisivi rispetto ai colloqui patrocinati dall’Onu. All’ultimo appuntamento, nel maggio scorso, si è giunti alla creazione di  zone di “de-escalation” del conflitto che prevedevano il cessate il fuoco, il divieto di sorvolo dell’area, il rifornimento immediato di aiuti umanitari e il ritorno dei rifugiati.
L’obiettivo della due giorni, cui gli Stati Uniti partecipano nel ruolo di osservatori, che si conclude oggi è definire i confini esatti delle quattro aree cuscinetto e le procedure per verificare il rispetto della tregua. A due mesi di distanza dalla firma, resta dunque prioritario definire le zone di de-escalation che riguardano alcuni territori ribelli nella provincia di Idlib, un settore del governatorato centrale di Homs, una enclave ribelle a Ghouta e il settore meridionale del Paese, al cui interno vivono fino a 2,5 milioni di persone. 
All’interno della delegazione anti-Assad, in cui spicca l’assenza del capo negoziatore Mohammad Allouche, si registra un clima di diffuso scetticismo. L’idea è che la Russia voglia promuovere queste discussioni, per “distogliere” l’attenzione generale sui “bombardamenti, sfollamento di civili e ripetute aggressioni” che sta conducendo nel Paese. Dal canto suo, il governo siriano ha dichiarato che non permetterà ai propri nemici di “beneficiare” della formazione di zone cuscinetto nell’ovest per ottenere progressi sul piano militare. 
Un quadro complesso, in cui la diplomazia regionale e internazionale si muove con estrema lentezza e fatica. 
“Dal punto di vista della sicurezza - racconta mons.  Abou Khazen - la situazione in diverse zone, fra cui Aleppo, è migliorata. Manca ancora l’elettricità, ma è tornata l’acqua e la vita riprende a scorrere. Certo, la mancanza di giovani e uomini perché emigrati o richiamati fra i riservisti dell’esercito si fa sentire, in particolare nell’opera di ricostruzione. Ma noi pastori incoraggiamo le persone a rimanere e cerchiamo di aiutarle contribuendo ai fabbisogni delle famiglie, dei loro bambini”. 
Interpellato sui colloqui di Astana, il vicario apostolico vuole essere “ottimista”, anche se “non possiamo essere sicuri che vi sia una davvero una soluzione all’orizzonte, vediamo ciò che succederà”. “Ogni incontro, ogni occasione di dialogo - prosegue - è importante e la speranza è che possa condurre a un cessate il fuoco permanente. Questi colloqui hanno favorito in molte zone la riconciliazione interna, basti pensare che da 500 si è passati a 1300 cittadine in cui i fronti in lotta hanno deposto le armi e rifiutato la guerra come mezzo per risolvere le controversie. Spero possano essere il viatico per una riconciliazione di livello nazionale”. 
In questi villaggi e cittadine, racconta il prelato, le persone “hanno ricominciato a coltivare la terra, a riaprire le scuole, a riprendere le attività. Si parla poi di oltre mezzo milione di sfollati fuggiti in passato e oggi rientrati nelle loro terre di origine, nell’area di frontiera vicino al Libano e nelle zone centrali di Homs e Hama e lungo alcuni tratti dell’Eufrate. Sono un numero significativo, che incoraggia e potrebbe incentivare altri a tornare”. “Questo - conclude - è il primo risultato tangibile dei colloqui e l’attuazione delle zone cuscinetto mi auguro possa dare una ulteriore accelerazione a questo processo”.  
http://www.asianews.it/notizie-it/Vicario-di-Aleppo:-su-Astana-pi%C3%B9-ottimismo-che-incertezza,-favorire-il-rientro-degli-sfollati-41203.html

domenica 4 giugno 2017

Mons. Abou Khazen: "Con la gente che soffre, seminando la speranza"


Papa Francesco alla Veglia di Pentecoste:   

la pace è possibile oggi nel nome di Gesù

Custodia Terrae Sanctae
intervista a Mons. Georges Abou Khazen  
.....
 Lei che vive da anni in Siria, che cosa vorrebbe che si conoscesse della situazione di oggi? Di che cosa non si parla abbastanza? 
 Non si parla abbastanza della verità. Vorremmo che la gente capisse cosa sta succedendo e perché sta succedendo. Il modo con cui la maggior parte dei media ha raccontato tutta la crisi siriana non corrisponde al vero. Per esempio mi riferisco all'intervento straniero in Siria. Perché è avvenuto? Come anche il bombardamento americano. Tutti ne hanno parlato, ma non hanno parlato delle vittime: 400 vittime tra i civili e due villaggi completamente distrutti. Non è un crimine anche bombardare le infrastrutture e i ponti? Di questo nessuno parla. Gli americani hanno reso fuori uso tutto il sistema elettrico, hanno bombardato la diga che adesso rischia un grave danno. E quanti morti ci saranno se dovesse succedere? La povera gente che colpa ne ha... 
  
Cosa significa per lei essere vescovo, pastore, di un popolo che sta soffrendo, come quello siriano? 
Per me è sempre un dolore vedere la gente soffrire, vedere la gente che manca di tutto. Ad Aleppo per esempio è da più di un anno che siamo senza elettricità. Siamo stati anche qualche mese senza acqua. Non si parla del fatto che ci sono le sanzioni, l'embargo contro la Siria, a discapito dei civili. Non possiamo importare medicine, macchinari per gli ospedali, benzina, gasolio. E di questo chi soffre? Certo non i grandi. La popolazione. Ma in questi tempi così difficili ci sentiamo ancora più uniti ai fedeli e la gente vicina a noi. Come un pastore spero che io possa sempre essere vicino al mio gregge. 
  
Davanti alla povertà e al dolore come incoraggiate la gente a credere che Gesù non la abbandona? 
Cerchiamo di insistere sulla speranza come una virtù. Non sempre i cristiani hanno avuto tempi facili. Qui molti sono figli e nipoti di martiri e questo rafforza la fede, l'identità cristiana. A Damasco nel 1880 per esempio sono stati massacrati più di ottomila cristiani. Alcuni hanno ancora la foto del loro nonno o bisnonno attaccata alla porta o alle mura della casa. "È morto per la fede", si dicono e anche loro si attaccano di più a questa fede. 
  
Molti cristiani hanno lasciato la Siria, ma alcuni sono rimasti. Cosa potete fare per loro? 
La metà della popolazione della Siria è profuga. Forse alcuni cristiani torneranno in futuro. Oggi grazie agli aiuti dei nostri benefattori, noi cerchiamo prima di tutto di far sopravvivere la gente che rimane. Stiamo aiutando a riparare alcune case.
 Stiamo pensando anche di aiutare a creare delle piccole imprese, in modo che i siriani possano lavorare per sostenersi. Si può pensare di tornare solo se si hanno casa o lavoro. 
  
Cosa spera oggi per la Siria? 
Che cessi la violenza, che cessi questo fiume di sangue, che arrivino la pace e la riconciliazione. 
  
Può raccontarci una storia esemplificativa della vita di questi tempi in Siria? 
Abbiamo avuto una coppia che ha aspettato otto anni prima di avere un figlio. Questo figlio a dodici anni è morto per una scheggia dei bombardamenti sui civili ad Aleppo. Era il loro unico figlio. Nel loro immenso dolore, hanno fatto un grande atto di fede: hanno deciso di continuare a stare ad Aleppo. Hanno pregato dicendo "Che il Signore ci dia la forza di testimoniare la fede. Che nostro figlio sia come un sacrificio accetto a Dio che impedisca la morte di altri bambini suoi coetanei". 

venerdì 7 aprile 2017

Gli USA attaccano la Siria, senza attendere la raccolta delle prove circa l'attacco chimico a Idlib

In questo momento di grave preoccupazione per l'aggressione di questa notte da parte USA alla Siria sovrana,  sottoscriviamo il comunicato della  RETE NOWAR ROMA


"Le dichiarazioni della rappresentante degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, secondo cui gli USA potrebbero scatenare un intervento militare diretto in Siria anche senza l'autorizzazione dell'ONU, le analoghe dichiarazioni bellicose della UE e della NATO, le minacce al Presidente siriano Assad di Israele e Turchia , prefigurano un drammatico scenario di guerra ed allontanano ogni soluzione alla crisi siriana e Medio Orientale.
Già nel 2013, in occasione di un presunto attacco chimico dell'Esercito Siriano alla periferia di Damasco, rivelatosi poi una  provocazione  organizzata dai gruppi terroristi in difficoltà per causare un intervento armato degli USA a loro favore, si sfiorò una guerra aperta con il coinvolgimento di varie potenze. Il precipitare della crisi fu evitato da un oculato intervento della diplomazia russa. Pur incolpevole, la Siria accettò di eliminare per intero tutto il suo arsenale di sostanze e armi chimiche.
Oggi la storia si ripete con una nuova provocazione che riguarda l’accusa di un attacco chimico sulla provincia siriana di Idlib, da vari anni sotto il controllo dei terroristi di Al Qaida sostenuti da Turchia, Arabia Saudita, Qatar, da vari paesi occidentali e Israele.
Le accuse al governo siriano  provengono dalla stessa Al Qaida, da agenzie legate a paesi aggressoricome il Qatar e l’Arabia Saudita - Al Jazeera e Al Arabya - e da un’agenzia di notizie situata in Inghilterra (Osservatorio Siriano per i Diritti Umani - SOHR) che collabora da anni con i gruppi terroristi che tentano di destabilizzare la Siria. Questa è stata subito affiancata da ONG  dagli stessi indirizzi, come gli "Elmetti Bianchi", fondati da membri del servizio segreto britannico  e Medici Senza Frontiere, fondati dall’ex ministro degli esteri francese Kouchner, partecipe delle avventure belliche del presidente Sarkozy.
Nessun ragionamento viene fatto dai nostri mass media, come sempre al servizio dei governi occidentali e della NATO, sulla circostanza che il governo siriano, nel momento in cui stava prevalendo militarmente e aveva ricevuto persino un esplicito riconoscimento da parte dell'amministrazione Trump per bocca del segretario di Stato Tillerson e della rappresentante USA all'ONU Haley, non aveva alcun interesse ad essere rimesso sul banco degli accusati con un'azione  senza senso e autolesionista.
Né si tiene conto delle dichiarazioni di parte russa e siriana, basate su rilievi satellitari, per cui l’esplosione è stata causata da un bombardamento siriano su quello che è poi risultato essere un deposito di armi chimiche allestito dai terroristi, né delle dichiarazioni di  testimoni locali, come il vescovo di AleppoCome numerose altre provocazioni terroristiche precedenti, in Siria e nel mondo, lo scopo della coalizione guerrafondaia di neocon, neoliberal, Israele, UE e Nato, è ancora una volta di chiudere qualsiasi  ipotesi di soluzione giusta in Siria e di ostacolare ogni dialogo costruttivo con la Russia. 
Invitiamo tutti i cittadini amanti della pace alla massima vigilanza, a valutare attentamente e contrastare le  false notizie diffuse per giustificare attacchi militari, come già avvenuto ad esempio in occasione delle presunte "armi di distruzione di massa" di Saddam. I propalatori di quelle false notizie, come Tony Blair (ufficialmente riconosciuto come bugiardo da una commissione parlamentare britannica) e George Bush, responsabili di milioni di morti, non hanno mai pagato per i loro crimini e anzi hanno ricevuto incarichi prestigiosi e ben remunerati. Il Presidente Assad, nominato con un regolare processo elettorale, è invece definito dittatore, come tutti coloro che difendono l’indipendenza del proprio paese dalle mire imperiali dei potentati occidentali, ed accusato, senza prove, di essere un criminale.
Invitiamo tutti i cittadini ad opporsi in ogni modo ai pericoli di guerra.
La guerra è una strada senza ritorno.

RETE NOWAR ROMA


Usa attaccano la Siria. Mons.Abou Khazen: «Perché vogliono decidere loro per noi?»



«È sempre la stessa storia. Hanno fatto lo stesso in Iraq, in Libia e ora in Siria. Purtroppo l’ipocrisia degli Stati Uniti non cambia mai». È sgomento e arrabbiato monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo, commentando a tempi.it l’attacco missilistico di questa notte con cui gli Stati Uniti hanno inflitto «pesanti danni» alla base siriana di Al Shayrat, da dove secondo l’intelligence americana sarebbero partiti i jet di Bashar al-Assad carichi di armi chimiche....
«Noi dobbiamo domandarci: a chi giova questo attacco chimico?», non si dà pace monsignor Abou Khazen. «Chi avvantaggia? Non la Siria, non Assad ma solo i jihadisti. E loro fanno vedere solo quello che vogliono, hanno in mano tutta la propaganda e il mondo intero gli va dietro». La città di Aleppo è da poco stata liberata dall’assedio dei terroristi (dicembre 2016), ma per la Siria non c’è pace: «Io l’ho sempre detto: non si può cantare vittoria perché con gli americani bisogna aspettarsi di tutto. Perché vogliono decidere loro per noi? Perché non lasciano che sia il popolo siriano a scegliere da chi vuole essere governato?».
Dopo la grande paura di stanotte il popolo siriano è «indignato, triste. Che cosa le devo dire? Ringraziamo tutti gli americani e gli inglesi, anche perché l’Isis ha appena ricominciato ad attaccare qui vicino. Forse non è un caso. La verità è che gli americani vogliono arrivare a conquistare i giacimenti di petrolio e gas. E non è certo la prima volta che ci attaccano: quando hanno attaccato la centrale elettrica qui vicino, che forse non riusciremo più a sistemare, qualcuno ha protestato? No, nessuno ha aperto bocca. E non è forse un crimine? Che cos’è, anche quello un atto umanitario?».

http://www.tempi.it/usa-attaccano-la-siria-abou-khazen-perche-vogliono-decidere-loro-per-noi#.WOdYTfnyiM8

martedì 28 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: (3) Mons. Abu Khazen. Il cuore del padre

In occasione della celebrazione per i 12 anni della presenza in Siria delle Monache Trappiste , ci raggiunge Mons. GEORGES ABOU KHAZEN, VESCOVO DI ALEPPO E DEI LATINI DI SIRIA. 
Gli chiedo quali sono le preoccupazioni del suo cuore di pastore.


"I timori sono parecchi: abbiamo molta paura per l'avvenire della Siria, su come andrà a finire, perché non è per niente chiaro; e poi soprattutto per il futuro della Chiesa, con questa emigrazione costante dei giovani e delle giovani famiglie, per cui si rischia di rimanere non solo in pochi, ma anche solamente persone di età avanzata, mentre il futuro della Chiesa sono i ragazzi e i giovani. Però nell'Antico Testamento abbiamo l'esempio del piccolo resto che il Signore ha salvato, ed era gente che dal punto di vista umano non valeva niente, non era niente, e quindi il Signore è capace veramente di tutto.

Tuttavia, anche il mezzo a tutto il buio che ci circonda e alle cose non chiare, abbiamo pure tanti punti luminosi che ci danno sicuramente speranza: abbiamo molti cristiani che sono molto più impegnati cristianamente, molti che sono tornati ai valori genuinamente cristiani tra cui, molto importante è il punto del perdono: atteggiamento che assolutamente non è facile... eppure vediamo persone che soffrono veramente e pregano per i loro persecutori. Questa è una cosa commovente e credo che il Padre Celeste non dimenticherà questi gesti.
  Abbiamo anche molta più condivisione! E' vero che sono tutti nella necessità, ma qui abbiamo parecchi fedeli che danno tutto quello che hanno, come la vedova della parabola del Vangelo: ad esempio, quando manca l'acqua e non c'è elettricità, parecchi portano l'acqua con i bidoni e se trovano un vicino di casa che abita al quarto o quinto piano, un anziano, un'anziana o un malato gliela portano su con una gioia e un amore veramente cristiano. Così pure con la luce: noi dobbiamo fare l'abbonamento ai generatori di elettricità, ma talvolta ci sono persone che non hanno di che pagare; allora molti tra noi cristiani, vedendo queste estreme necessità, cercano di aiutare, condividendo con chi non può, collegando il loro impianto elettrico con un cavo, in modo che possano almeno vedere la televisione.
 La nostra preoccupazione, la nostra paura, oltre che sul futuro della Chiesa, è anche per il futuro della patria, perché quelli che se ne sono andati sono le persone più preparate, quelli in grado in futuro di prendersi delle responsabilità, e questo ci dà veramente da pensare e ci mette un po' in ansia per il futuro.
 Ma io ho anche una grande fede, perchè il cristianesimo è nato proprio qui ad Antiochia: dalla Siria dopo Gerusalemme sono partiti in tutto il mondo, qua i discepoli sono stati chiamati per la prima volta cristiani e qui è avvenuta la conversione di San Paolo: quindi so che il Signore sa utilizzare le persone al momento giusto. Perciò io credo che la nostra presenza qui in Oriente non sia una presenza qualsiasi ma credo che per noi sia una vocazione e una missione da adempiere.
 Non importa forse nemmeno il nostro numero o la nostra influenza sociale, ma quello che più conta per noi è di essere obbedienti alla parola di Dio, fare quello che vuole Lui. Per questo io chiedo anche a voi di pregare per noi, affinché possiamo discernere cosa vuole lo Spirito da noi in questi avvenimenti e per il nostro futuro.

 E' proprio questa la nostra quaresima: seguire il cammino di Gesù anche senza vedere dove ci conduce. Saliamo con Gesù fino a Gerusalemme, certi che dopo la croce c'è la resurrezione."

lunedì 12 dicembre 2016

Aleppo respira! Aleppo è libera!


Aleppo liberata. Vicario apostolico: “Questo Natale avrà un altro profumo”

Mons. Abou Khazen, felice per l’ingresso dell’esercito siriano nei quartieri occupati, considera “motivo di speranza” la lettera del Papa ad Assad. Ma accusa: “L’embargo colpisce solo i civili”

ZENIT, 13 dicembre 2016
di Federico Cenci

“La città di Aleppo finalmente sta per essere completamente liberata e unificata dopo quattro lunghi anni di divisione e di morte seminata da diversi gruppi armati siriani e non”. La testimonianza diretta giunge a ZENIT da mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino.

Mentre lui parla, di sottofondo è nitido il suono dei colpi di mortaio. Stavolta però, rispetto ai mesi scorsi, è un sibilo di speranza, giacché testimonia l’assedio da parte dell’esercito siriano nella parte orientale della città, fino a poche settimane fa una roccaforte dei gruppi cosiddetti “ribelli”.

Durante l’occupazione – racconta mons. Abou Khazen, che ha avuto modo di parlare con persone fuggite dalla parte est di Aleppo – “la vita non era affatto facile, specialmente negli ultimi mesi di combattimenti, perché i ‘ribelli’ impedivano di far arrivare viveri e medicinali, mentre i loro depositi era riforniti”.

Questi gruppi – ribadisce il vicario apostolico – appartengono tutti alla galassia del fondamentalismo islamico e – aggiunge – “imponevano alla popolazione dei precetti e dei modi di vita all’insegna del fanatismo, totalmente estranei alla tradizione del popolo siriano”.

L’Onu riferisce che la situazione umanitaria è “catastrofica”: si registrano difficoltà logistiche per curare i feriti, l’igiene è scarsissima e la gran parte degli edifici è distrutta.
“Ora che la città è quasi interamente in mano all’esercito regolare – spiega tuttavia mons. Abou Khazen – molti profughi stanno tornando e questo è comunque un simbolo di rinascita”. Il vicario apostolico sottolinea che molti cittadini di Aleppo si erano allontanati recentemente, “durante l’ultima operazione dell’esercito per liberare i quartieri est della città”.
Una volta ripreso il controllo di queste zone, è stato necessario “pulire questi quartieri dalle mine, riaprire le strade e far funzionare tutte le altre infrastrutture”. Quasi concluse queste attività, la gente sta tornando indietro, dove spesso al posto della propria casa trova però un luogo spettrale. Presto dovrà avvenire la ricostruzione.

“Il clima che si respira tra la gente è di gioia, ottimismo e speranza”, racconta il vicario apostolico. Il quale però rileva che c’è anche tanta prudenza, perché il popolo siriano ormai è abituato alle “brutte sorprese”.

Prudenza – o forse sano realismo – che traspare anche dalle parole di mons. Abou Khazen. “Purtroppo non sono fiducioso per niente riguardo a un aspetto!”, esclama. 
E rivolge un’esplicita accusa nei confronti della comunità internazionale: “Tutte le scuse sono buone per lasciare le sanzioni e l’embargo contro la Siria!”.

Ad avviso del rappresentante cattolico, l’embargo sembra riguardare “solo gli aiuti umanitari, il gasolio, i medicinali” e dunque “chi ne paga le conseguenze è la povera gente”. E invece le armi – “ogni genere di armi”, dice – continuano ad entrare nel Paese.

L’8 dicembre scorso, del resto, il Governo Usa ha concesso una deroga alle esportazioni di armi a “forze irregolari, gruppi o individui impegnati nel sostenere o agevolare le operazioni militari degli Stati Uniti per contrastare il terrorismo in Siria”.

Non da Washington, ma dalla Città del Vaticano arrivano concreti segni per un avvenire migliore per il popolo siriano. La lettera inviata da Papa Francesco al presidente Assad “è un altro motivo di speranza per tutti noi, cristiani e non”, commenta mons. Abou Khazen. Che definisce inoltre “un gesto speciale” la nomina a cardinale da parte del Pontefice del nunzio apostolico in Siria, Mario Zenari.

Da qui bisogna ripartire per il futuro della Siria. “Questo Natale – spiega il vicario apostolico – avrà un altro profumo alla luce della liberazione della città, alcune strade saranno adornate per la festa anche se non c’è l’elettricità. Ma come abbiamo fatto lungo questi anni di guerra, cerchiamo di seminare la vera gioia e speranza cristiana nell’animo dei fedeli”.

venerdì 2 dicembre 2016

Aleppo, il sollievo della gente e la pressione mediatica


Dopo l'ultimo pediatra di Aleppo, dopo l'ultimo ospedale di Aleppo, dopo un numero incalcolabile di White Helmets, adesso è morto l'ultimo clown di Aleppo (ma esiste un registro dei clown ad Aleppo?): 'Anas al Basha era il suo nome e intratteneva i bambini di Aleppo tra un bombardamento e l'altro cercando di far loro dimenticare il terrore e la fame'.
Voglio fortemente credere che questa persona sia davvero esistita, benchè fino a ieri di questo ragazzo nessuno sapesse nulla nonostante la sua opera davvero meritoria... Con i tempi che corrono l'informazione ha SEMPRE un fine, che molto spesso ai più sfugge, e il confine tra informazione e disinformazione/propaganda è labilissimo. Non basta che una notizia sia sui maggiori media italiani e internazionali perché sia automaticamente vera: di bufale ne abbiamo viste scorrazzare dovunque durante questa guerra Siriana (e in molte altre occasioni)... Così come mi pare quella bimba che twitta...
Diciamo che comunque, ci voglio credere... Ma perché, al di là del dolore umanamente doveroso, che comunque ho per tutte le persone uccise in questo conflitto (compresi i giovani soldati che combattono per il proprio Paese) non riesco ad unirmi al coro di condanna e di criminalizzazione a cui anche stavolta l'aviazione siriana e russa insieme all'esercito di Assad sono sottoposti? Non posso! Non posso, semplicemente perché voglio fortemente che questa guerra finisca!

Leggo su Fides la coraggiosa dichiarazione del Vescovo Latino di Aleppo : “Altre 70mila sono rimaste nelle zone appena riconquistate dalle forze armate del governo, che hanno distribuito viveri e favorito il potenziamento dei soccorsi sanitari.  Tra tutti questi si registra il sollievo per la fine di una pressione che durava da anni . Nelle zone ancora in mano ai ribelli, quelli di al Nusra non vogliono fare uscire la popolazione civile. In alcuni casi lo hanno impedito usando le armi. “
Quello che i media fingono di non vedere è che questa guerra è tutto fuorché una guerra civile nata per portare in Siria una maggiore libertà e tanta democrazia in più . Chiediamolo ai civili che a migliaia, in questi ultimi giorni, finalmente possono abbracciare e festeggiare i loro liberatori e raccontare come fossero trattenuti contro la loro volontà da formazioni terroriste che in questi anni li han costretti al ruolo di scudi umani! Guardiamoli questi filmati! Diciamolo, che Al Nusra e altre sigle, oltre che non tollerare un verbo diverso dalla propria fanatica dottrina, hanno sempre avuto questa arma in più: le persone inermi. Hanno sempre sistemato i loro comandi, raggruppamenti, depositi di armi, in prossimità di luoghi fortemente abitati e spesso vicino a scuole o strutture sanitarie di fortuna (non segnalate), per poi farle passare, quando fossero colpite, per 'l'ultimo ospedale di Aleppo'.
Queste formazioni dalle loro postazioni da anni hanno martellato, e continuano a farlo, la parte ovest della città con centinaia di "cannoni dell'inferno" (mortai che lanciano bombole micidiali piene di esplosivo), mirando alle aree più popolate.
Tutto questo va fermato. In questi giorni, con grande sacrificio di uomini, molti i soldati di leva, è iniziata la battaglia per la riconquista della parte orientale della città di Aleppo ancora occupata dai terroristi. Molti progressi sono stati fatti e circa la metà della sacca è stata liberata nel nord e migliaia di persone sono state fatte uscire sotto la protezione dell'esercito, curate e rifocillate nella parte ovest della città sotto il controllo dei governativi, si sfogano raccontando tutto quello che hanno dovuto subire in questi 4 anni di cattività Islamista.
Purtroppo non è ancora finita ed altre persone aspettano questa liberazione (eccezion fatta per i famigliari e gli amici dei terroristi) nella porzione sud orientale della città. Questa battaglia costerà ancora molto sangue ma va fatta, come non può essere interrotta un'operazione a cuore aperto.  Tutto questo non è gradito a quanti in questi anni hanno creato, foraggiato, armato questi fanatici, in vista di un cambiamento di regime con un altro più manipolabile e di una parcellizzazione della Siria, sicché ognuno degli sponsor dei "ribelli" ne potesse prendere una fetta.
(E, diciamolo esplicitamente: l'affermarsi delle formazioni jihadiste è a costo della sparizione della cristianità della regione: questo dovrebbe essere chiaro anche ai nostri media cattolici … ).  
E allora che si fa? Si fa ricorso alle emozioni, alla pietà della gente. Si tenta di impressionarla con tutti i mezzi per costringere i vincenti all'ennesima tregua che ad altro non serve che a riarmare i protetti degli occulti sponsor. Tutto è utilizzabile: basta presentare un 'angelo' che soccombe per mano dei cattivi e l'effetto è garantito. La grancassa mediatica parte, filmati e immagini diventano virali in rete, su TV e giornaloni. Il risultato qual è? La guerra si mette in pausa (ma si prolunga), si rifocillano e riarmano i terroristi, ma solo loro, non i civili, che delle derrate e delle medicine non vedono neanche quelle promesse da ONU...
Occorre quindi sempre chiedersi: a chi giova? Chi trae beneficio da questa notizia?
Se vogliamo davvero un po' di bene a quelle migliaia di persone, facciamo in modo che di questa guerra si inizi a vedere la fine e il solo modo perché accada e possa iniziare un percorso negoziale è l'eliminazione o la resa della congerie jihadista.
  Gb. P.


Agenzia Fides, 2/12/2016

Nei quartieri di Aleppo ancora in mano ai ribelli e ai gruppi jihadisti sono stati nominati cinque rappresentanti che dovrebbero trattare con l'esercito siriano una sorta di accordo. Speriamo e preghiamo affinchè attraverso questa strada si possa arrivare a una soluzione che risparmi altre sofferenze e distruzioni per tutti”. Così il Vescovo Georges Abou Khazen OFM, Vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, riferisce all'Agenzia Fides gli sviluppi più recenti delle operazioni militari in atto presso la martoriata metropoli siriana, dove l'esercito governativo sta progressivamente riconquistando i quartieri dell'enclave orientale che da anni erano controllati dalle formazioni paramilitari ribelli, comprese le milizie jihadiste come Jabhat al Nusra.
Riguardo alla situazione di Aleppo, il Vescovo francescano riferisce all'Agenzia Fides informazioni che si fa fatica a trovare nei report del mainstream mediatico internazionale. “Almeno 20mila persone sono fuggite dai quartieri controllati dai ribelli e sono state accolte dall'esercito siriano e dalle organizzazioni di assistenza. Altre 70mila sono rimaste nelle zone appena riconquistate dalle forze armate del governo, che hanno distribuito viveri e favorito il potenziamento dei soccorsi sanitari. Tra tutti questi si registra il sollievo per la fine di una pressione che durava da anni. Nelle zone ancora in mano ai ribelli, quelli di al Nusra non vogliono fare uscire la popolazione civile. In alcuni casi lo hanno impedito usando le armi. Sappiamo che in alcuni casi ci sono state manifestazioni popolari per chiedere alle milizie dell'opposizione di ritirarsi. Adesso speriamo tutti in una trattativa per arrivare a un accordo, e possibilmente anche a una riconciliazione, attraverso i negoziatori che ovviamente sono stati scelti con il consenso dei gruppi armati”. 


http://www.fides.org/it/news/61297-ASIA_SIRIA_Il_Vescovo_Abou_Khazen_cinque_rappresentanti_di_Aleppo_est_scelti_per_trattare_un_accordo_con_l_esercito#.WEHshLLhCM8