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giovedì 23 aprile 2015

Il primo genocidio del XX secolo


 Io sono armeno. Ես հայ եմ

di Alessandro Aramu
 Da qualche mese nel mio DNA c’è anche l’Armenia. Il mio patrimonio genetico è fatto di tutti i luoghi che ho visitato, di tutte le persone che ho incontrato, di tutti gli sguardi che ho incrociato. C’è un pezzo di loro in tutte le cose che faccio, in tutto ciò che credo.
Da qualche mese sono anche armeno, figlio adottivo di quel genocidio che ha sterminato cento anni fa milioni di persone. Lo sono in particolar modo da quando ho intervistato gli ultimi sopravvissuti, in una cavalcata di emozioni e pulsioni che mi ha portato in quel paese schiacciato tra la Turchia e l’Azerbaigian.
Sono loro ad avermi chiesto di ricordare quelle persecuzioni, quell’odio, quella ferocia che da un secolo si portano dentro. Un crimine che non dimenticano. Che nessuno deve dimenticare.
Le mani intrecciate sul rosario di Aharon, lo sguardo fiero di Silvard e la forza di Andranik sono la ragione che mi ha spinto a raccontare le loro storie, fatte di strappi, di lacerazioni, di affetti impossibili da ricongiungere. Di luoghi che non potranno più visitare perché qualcuno ha violentato, ma non ucciso, la loro identità di popolo.
Fotografie sparse su un tavolo, ricordi che si perdono nel tempo, quando ancora si era bambini e tutto sembrava avvolto da innocenza e ingenuità.
Ma poi vennero gli uomini cattivi, con le loro armi, a portare via mamma e papà. Fratelli. Sorelle. Nonni e zii. Uomini cattivi che non hanno neppure un volto.
Pensieri, silenzi. Ancora silenzi. E poi, improvvisi, ricordi che acquistano spessore, come quella pelle marchiata dal sole al termine di camminate interminabili. Dove c’era vita all’improvviso crebbe la morte, come una pianta infestante che sbuca fuori subito dopo averla estirpata.
Morte.
Sono armeno. Lo sono ogni giorno che passa, perché da quella gente ho imparato la dignità, la semplicità e l’affetto sincero. Invaso dal calore di una casa che si apre a uno sconosciuto e diventa anche un po’ tua.
Sono armeno perché ho il diritto e il dovere, come uomo e come giornalista, di ricordare quella violenza, che non scalfisce solo i corpi, non li violenta, non li deturpa. No, quella rabbia ha segni profondi che si imprimono nell’anima. E nella memoria collettiva di una nazione.
Ho sentito le loro grida, visto i ventri delle donne incinte squarciati dalle lame, le teste mozzate ed esposte come trofei. Corpi smembrati, ripiegati come cartacce da calpestare. Croci, tante croci. Simbolo di un cristianesimo negato. Luogo di morte per migliaia di persone.
Ecco perché “Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio” non è un libro qualunque. Non è il mio libro. E neanche degli altri autori che hanno costruito insieme a me questo viaggio verso l’orrore, di ieri e di oggi. Perché, qui dentro c’è anche un pizzico della Siria contemporanea, con il suo sangue che scorre proprio nei luoghi dove migliaia di armeni trovarono rifugio o morte.
Siria e Armenia. Legate da un destino comune, abbracciate come le donne costrette a soffocare i propri figli in una stretta mortale. Perché tutto qui si mischia, sangue, sudore, polvere e sofferenza.
Questo è il libro di quei sopravvissuti, dei loro figli, dei loro nipoti. Un libro offerto in dono a chi vuole vivere in un mondo migliore, dove i giusti e i torturatori possono finalmente sedersi intorno a un tavolo nella consapevolezza del riconoscimento dell’orrore e del perdono. Un libro che deve unire, che deve far riflettere, che deve far sentire tutti un po’ figli di quella terra generosa che sa perdonare ma non potrà mai dimenticare.
Ecco perché sono armeno. Orgoglioso di esserlo diventato.


1915-2014










SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
Messa  per i fedeli di rito armeno
del 12 aprile 2015

Cari fratelli e sorelle armeni,
cari fratelli e sorelle!
In diverse occasioni ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione. Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra.
Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa?”; «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9; Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come «il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001); essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana –, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E più recentemente altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia. 
Eppure sembra che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente. Sembra che l’entusiasmo sorto alla fine della seconda guerra mondiale stia scomparendo e dissolvendosi. Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che “la guerra è una follia, una inutile strage” (cfr Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014).

Cari fedeli armeni, oggi ricordiamo con cuore trafitto dal dolore, ma colmo della speranza nel Signore Risorto, il centenario di quel tragico evento, di quell’immane e folle sterminio, che i vostri antenati hanno crudelmente patito. Ricordarli è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!
Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra testimonianza.

Con la ferma certezza che il male non proviene mai da Dio, infinitamente Buono, e radicati nella fede, professiamo che la crudeltà non può mai essere attribuita all’opera di Dio e, per di più, non deve assolutamente trovare nel suo Santo Nome alcuna giustificazione. 
Viviamo insieme questa Celebrazione fissando il nostro sguardo su Gesù Cristo Risorto, Vincitore della morte e del male.




Il discorso di Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di Tutti gli Armeni:

http://www.news.va/it/news/il-discorso-di-sua-santita-karekin-ii-patriarca-su




Il Patriarca maronita: evitano di nominare il Genocidio armeno solo per paura delle conseguenze legali


Erevan (Agenzia Fides) - “Dopo cento anni, la comunità internazionale sta cercando una definizione per il Genocidio armeno e ha paura di chiamarlo Genocidio perché ne teme le conseguenze legali”. Così il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Bechara Boutros Rai, ha spiegato la riluttanza di nazioni e organismi internazionali a pronunciare la parola genocidio per indicare i massacri pianificati di armeni avvenuti in Anatolia nel 1915. Le dichiarazioni del Patriarca Rai sono state rilasciate a Erevan, dove il Primate della Chiesa maronita si trova per prendere parte alle commemorazioni ufficiali del centenario del Genocidio armeno. 

Senza citare espressamente la Turchia – che esercita pressioni diplomatiche a tutti i livelli e in tutte le direzioni per evitare che la definizione di Genocidio armeno sia utilizzata dai leader politici e religiosi, dalle istituzioni politiche delle singole nazioni e dagli organismi internazionali – il Patriarca maronita ha ribadito l'urgenza di riconoscere il Genocidio armeno “non per rivalersi, ma per evitare il ripetersi di altri Genocidi”. Se la comunità internazionale non riconosce il Genocidio armeno, ha avvertito il Cardinale Rai, “saranno commessi altri Genocidi” Mentre “nessun Genocidio, attacco o massacro può essere giustificato per ragioni economiche, come sta succedendo adesso”. 
Alle celebrazioni ufficiali in corso a Erevan prendono parte, oltre al Patriarca Rai, anche il Patriarca copto ortodosso Tawadros II e il Patriarca siro ortodosso Ignatius Aphrem II. La delegazione della Santa Sede è guidata dal Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. 

martedì 21 aprile 2015

A due anni dal rapimento dei due vescovi ortodossi di Aleppo, Boulos Yazigi e Youhanna Ibrahim.


Ormai sono passati due anni dal rapimento (22 aprile 2013) nel nord della Siria di due vescovi ortodossi: il Metropolita greco-ortodosso di Aleppo, Boulos Yazegi e il Metropolita siriaco-ortodosso della stessa città, Youhanna Ibrahim. D'allora non si è mai più saputo nulla di concreto e verificabile sulla sorte di questi due religiosi. .... :
http://ilsismografo.blogspot.it/2015/04/siria-due-anni-dal-rapimento-in-siria.html

Un armeno nell'inferno di Aleppo "Il genocidio è ricominciato, 100 anni dopo"


La Nuova Bussola quotidiana, 18-04-2015di Stefano Magni




 Accolta mentre era in fuga dal genocidio turco del 1915-16, la comunità armena rivive gli orrori della persecuzione. E’ come una nemesi storica: ora stanno morendo proprio nella città che li salvò.Uno di loro, un armeno siriano, un pastore protestante che chiameremo Seraphim (per motivi di sicurezza), lo abbiamo incontrato in Italia, in questi giorni, invitato dall’associazione Open Doors. Ci racconta brevemente che cosa voglia dire spostarsi in tempo di guerra, chiuso in un bus, con le tende tirate, senza possibilità di muoversi, con la paura che qualche cecchino inizi a sparare sui passeggeri. Il bus attraversa infatti aree urbane controllate dagli jihadisti. Un viaggio che in tempo di pace avrebbe comportato otto ore, in tempo di guerra ne dura il doppio, per arrivare fino a Beirut e giungere a contatto col mondo esterno, per ottenere un visto (rimandato tre volte) per poter arrivare fino all’Italia, che lui chiama “il paradiso”. Fra non molto, però, sarà destinato a tornare nell’inferno siriano, in quello che ormai, chiama “la mia vita normale”. Ed è una vita fatta necessariamente di poco: spostamenti ridotti al minimo (“Quando la città era assediata, non potevo muovermi oltre un migliaio di metri attorno alla mia casa”), acqua e luce razionati, a volte disponibili anche solo per un’ora ogni due giorni, niente carne, code e lotte per il pane, medicine reperibili solo al mercato nero. Il tutto a poche centinaia metri dalle linee tenute dagli jihadisti, che non si fanno scrupoli a sparare razzi contro la sua chiesa, a rapire i suoi fedeli. E non c’è mai la certezza di risvegliarsi il giorno dopo, perché i bombardamenti e i proiettili vaganti sono una minaccia continua, per cui si deve necessariamente dormire lontano da muri esterni e finestre, possibilmente in cantina.


Seraphim, come era la vita prima che iniziasse questo inferno?
Come qui in Italia, forse anche più sicura. La Siria era uno dei posti più sicuri del mondo. Potevo girare indisturbato anche a mezzanotte. Le donne potevano circolare liberamente, sia di giorno che di sera e nessuno le importunava. Come cristiani, era rispettato il nostro diritto di praticare la nostra fede e di esprimerci apertamente. Dal 2011 in poi è cambiato tutto. Gli islamici più fanatici sono dappertutto. Se sei cristiano, puoi essere ucciso per la tua fede, il rischio è altissimo. Ora è uno dei posti più pericolosi del mondo.

Se definisce la Siria d’ante-guerra come uno dei luoghi più sicuri al mondo, perché è scoppiata la rivoluzione, secondo lei?
Prima di tutto non la chiamerei una “rivoluzione”. La chiamo “caos”, un caos che è stato alimentato per far attecchire il radicalismo islamico, oltre che per distruggere un sistema politico in cui, da cristiani, eravamo liberi. Ed è scoppiata perché i Fratelli Musulmani vogliono governare il Paese.
Non sono un politico, ma secondo me questo caos, per come è iniziato all’improvviso, è stato pianificato. Erano la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita che volevano cambiare la mappa del Medio Oriente, cambiare i governi in carica e la testa della gente. La guerra è scoppiata, nel nostro Paese, nel nome della democrazia. Ma io mi sono sempre chiesto: perché non si parla mai di democrazia in Arabia Saudita? E’ una democrazia, per caso, la monarchia assoluta saudita? Tutti sanno che i paesi meno liberi sono proprio quelli del Golfo, dove alle donne non è neppure consentito di guidare l’auto. In Siria, ai cristiani era permesso di costruire nuove chiese. In Arabia Saudita non c’è neppure una chiesa. Qualcuno se l’è chiesto? In Turchia è difficile ottenere il permesso per costruire nuove chiese, anche solo per riparare quelle già costruite. Dalle monarchie del Golfo non è arrivata democrazia, né libertà. Hanno esportato il wahhabismo, hanno prodotto l’Isis, hanno prodotto Al Nusrah. E la copertura per tutto questo è chiamata “democrazia”. Che democrazia è mai quella in cui i fanatici islamici sgozzano i cristiani?

Suleimaniya è stato bombardato nei giorni scorsi…
E’ importante notare che il quartiere di Suleimaniya è prevalentemente abitato da cristiani armeni. Essendo armeno, io vedo ancora la mano della Turchia dietro a queste azioni. Perché è stata la Turchia ad aprire i suoi confini meridionali, per far passare tutti questi fanatici. In un certo senso, è come se la Turchia stia cercando di completare il genocidio degli armeni, a 100 anni di distanza. E quel che è più grottesco, è che lo fa nel nome della “democrazia”. C’è una definizione del Vangelo che descrive molto bene questo modo di comportarsi: “Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci” (Mt 7,15-20). Nella Turchia vedo questo falso profeta, questo lupo travestito di valori democratici. E lo si deduce anche dalla reazione che ha avuto il Gran Muftì turco dopo le parole di Papa Francesco sul genocidio armeno. Quel che sta avvenendo è una prosecuzione del genocidio, non vogliono gli armeni, nemmeno vicino ai loro confini.

Quanti cristiani hanno deciso di restare ad Aleppo?
Non conosciamo le cifre esatte. Posso parlare, per esperienza diretta, della mia comunità. Ogni domenica nella mia chiesa si radunano fra le 240 e le 260 persone, nonostante debbano camminare per almeno mezzora per arrivarci. E camminare, ad Aleppo, vuol dire sfidare cecchini, granate, bombardamenti improvvisi, sempre nuovi posti di blocco stabiliti dai fanatici. Difficile dire chi voglia restare o andare. Ognuno ha i suoi piani personali e familiari. Il nostro scopo è quello di far sì che la gente sopravviva, perché continui a testimoniare la fede e sia capace di ricostruire ancora la vita dopo la guerra.

Ma come è possibile continuare a vivere ad Aleppo?
Dal punto di vista umano, devo dire che è impossibile. Immagini di vivere senza energia elettrica, senza acqua, dormire e correre il rischio concreto di essere ammazzato da una bomba, all’improvviso, nel sonno, lanciata da un fanatico islamico. E’ impossibile continuare a vivere così. Ma al tempo stesso, quali sono le alternative? Nessuna. L’unica vera alternativa è essere uccisi o sopravvivere. Scappare? E dove? Il Libano sta chiudendo le porte, la Turchia è contro di noi, nel resto della Siria c’è guerra, abbiamo tre fronti attorno alla nostra città. Quindi l’unica alternativa è sopravvivere alla morte.

Lei ritiene che sia possibile che l’Isis possa conquistare Aleppo?
Nessuno lo può sapere. Guardi cosa è successo a Mosul: in un solo giorno hanno preso la città, quando nessuno se l’aspettava. In un giorno è cambiato tutto. Se il Qatar e la Turchia continuano ad appoggiarli, lo possono fare anche altrove, anche ad Aleppo. L’esercito siriano dichiara di fare tutto il possibile per tenere l’Isis fuori dalla città, ma non riesce ad impedire loro di lanciare i razzi contro i quartieri cristiani. L’anno scorso, quando il Fronte Al Nusrah attaccò una cittadina armena, nel Nordovest della Siria, la Turchia gli spalancò le porte. I miliziani entrarono nella città, distrussero case e chiese, distrussero tutto. In sintesi, finché la Turchia non chiuderà i suoi confini ai fanatici, questa guerra andrà avanti. Finché Qatar e Arabia Saudita non continueranno a dare ai fanatici i loro soldi sporchi, questa guerra andrà avanti.

Cosa significa la persecuzione, vissuta dai cristiani?
I fanatici ci lanciano un messaggio molto chiaro: o diventi musulmano, o ti sottometti e paghi la relativa tassa, o morirai. Ma anche se accetti di restare e pagare la tassa di sottomissione, loro ti uccideranno. Per loro, l’uccisione di cristiani è premiata con il Paradiso.

lunedì 23 febbraio 2015

Si aprono le commemorazioni per il centenario del Genocidio

Il Patriarca siro-cattolico Mar Ignace Youssef III ha aperto le commemorazioni per il centenario del Genocidio assiro 

Agenzia Fides, 23/2/2015

Il Patriarca siro cattolico Mar Ignace Youssef III ha aperto le commemorazioni per il centenario del cosiddetto Genocidio assiro, presiedendo nella sera di sabato 21 febbraio una celebrazione nella Cattedrale di Nostra Signora dell'Annunciazione, a Beirut. Alla Messa hanno preso parte tra gli altri anche il Patriarca maronita Boutros Bechara Rai, il Patriarca greco-melchita Grégoire III e il Patriarca siro-ortodosso Ignace Aphrem II, insieme al Nunzio apostolico Gabriele Caccia. Folta anche la delegazione di rappresentanti delle diverse formazioni politiche libanesi.
Con la definizione di “Genocidio assiro” si indica la deportazione e l'eliminazione fisica di cristiani appartenenti a comunità assire, caldee e siriache compiute in territorio ottomano dal governo dei “Giovani Turchi”.
Nell'omelia, il cui testo è pervenuto all'Agenzia Fides, il Patriarca Ignace Youssef ha ricordato le vittime dello sterminio di cento anni fa, sottolineando come i discendenti di quelle vittime inermi non hanno mai cercato di vendicarsi delle violenze subite dai propri padri, e ha collegato la memoria storica di quegli eventi alle sofferenze attualmente vissute da tante comunità cristiane mediorientali. Riguardo ai conflitti che dilaniano il Medio Oriente, il Patriarca ha chiamato in causa anche le responsabilità dei “sistemi regionali e internazionali” che li hanno fomentati, foraggiando con armi e risorse logistiche le milizie jihadiste e i gruppi terroristici

http://www.fides.org/it/news/57066-ASIA_LIBANO_Il_Patriarca_siro_cattolico_apre_le_commemorazioni_per_il_centenario_del_Genocidio_assiro#.VOskIGB0wqQ


Sabato, 21 febbraio 2015, il Santo Padre Francesco ha conferito  il titolo di Dottore della Chiesa Universale a San Gregorio di Narek, Sacerdote Monaco, nato ad Andzevatsik (allora Armenia, ora Turchia) circa nel 950 e morto a Narek (allora Armenia, ora Turchia) circa nel 1005.
http://www.santiebeati.it/dettaglio/43030

Lettera enciclica per i 100 anni dal genocidio armeno di Karekine II

Il patriarca armeno Karekin II annuncia: il 23 aprile tutte le vittime del massacro operato dai turchi saranno canonizzate, e il giorno successivo diverrà la Giornata della Memoria per i "santi martiri". 
 Il testo completo del messaggio del patriarca.

AsiaNews- Con una solenne lettera enciclica, il patriarca armeno ortodosso Karekine II ha aperto in modo ufficiale le celebrazioni e memorie dei 100 anni dal genocidio armeno, che dureranno per tutto il 2015.
Il massacro di circa 1,5 milioni di armeni avviene verso la fine dell'impero ottomano, prima con il sultano Abdul Hamid II, poi con i gruppi dei "Giovani Turchi", e infine con lo stesso Kemal Ataturk, il padre della patria turca. Gli armeni sono presi di mira perché cristiani, istruiti e appartenenti alla classe media.  Soprattutto nel 1915 si chiudono le loro scuole, le chiese, le organizzazioni e si lancia una vera e propria caccia con uccisioni, violenze, stupri, umiliazioni. A queste seguono le deportazioni nel deserto, le fosse comuni, i treni ripieni di sfollati e incendiati. I sopravvissuti sono coloro che sono riusciti a raggiungere l'attuale Armenia (allora sotto il dominio russo e poi sovietico), o la Siria e il Libano.
La Conferenza di Parigi del 1920 ha riconosciuto il genocidio armeno e al presente lo riconoscono almeno 20 Stati. Ma la Turchia non l'ha mai fatto, motivando i massacri con il bisogno di combattere gruppi indipendentisti.  Diversi scrittori e storici che hanno pubblicato testi sul genocidio sono stati perseguiti. Solo lo scorso anno, l'allora premier Recep Tayyip Erdogan ha presentato ai discendenti degli armeni condoglianze per il massacro.
Nella sua lettera, il patriarca Karekin II annuncia che il 23 aprile 2015 egli presiederà una liturgia in cui proclamerà santi tutte le vittime del genocidio, uccise "per la fede e per la patria" e farà del 24 aprile una Giornata della Memoria per "i santi martiri del genocidio". Secondo informazioni non confermate , il 12 aprile 2015, anche papa Francesco celebrerà in piazza san Pietro una messa a ricordo del genocidio degli armeni. Di seguito il testo completo della lettera enciclica (traduzione a cura di AsiaNews).


di Karekine II 
"Ma il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va vieppiù risplendendo, finché sia giorno perfetto"
Proverbi 4,18 
Il centenario del Genocidio degli armeni è davanti a noi, e le nostre anime risuonano di una potente richiesta di verità e giustizia che non sarà messa a tacere.
Ogni giorno del 2015 sarà un giorno di ricordo e devozione per il nostro popolo, un viaggio spirituale ai memoriali dei nostri martiri in patria e della diaspora, davanti ai quali con umiltà ci inginocchiamo in preghiera, offrendo incenso per le anime delle nostre vittime innocenti che giacciono in tombe senza nome poiché hanno accettato di morire piuttosto che ripudiare la loro fede e la loro nazione. Davvero "il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va vieppiù risplendendo, finché sia giorno perfetto".
Nel 1915, e negli anni successivi, i turchi ottomani hanno commesso un genocidio contro il nostro popolo. Nell'Armenia occidentale - sul nostro suolo nativo - nella patria dell'Armenia e nelle comunità armene in tutta la Turchia, un milione e mezzo di nostri figli e figlie hanno subito uccisioni, carestie e malattie: sono stati deportati e costretti a marciare fino alla loro morte. Secoli di creatività e di onesti traguardi raggiunti sono stati distrutti in un attimo. Migliaia di chiese e monasteri sono stati dissacrati e distrutti. Le istituzioni nazionali e le scuole rase al suolo e rovinate. I nostri tesori spirituali e culturali sono stati sono stati sradicati e cancellati. L'Armenia occidentale, dove per millenni - dal tempo di Noè - il nostro popolo ha vissuto, creato e costruito la sua storia e cultura, è stata privata della sua popolazione nativa. 

Un secolo fa - quando i frammenti della nazione armena, dopo aver perso il proprio patrimonio, sono stati sparsi in tutto il mondo, e mentre l'Armenia orientale combatteva una lotta all'ultimo sangue per la sopravvivenza contro gli invasori turchi - era difficile credere in un futuro per il popolo armeno. Tuttavia una nuova alba è sorta. Con la grazia del Signore, il nostro popolo è risorto dalla morte. Su una piccola parte recuperata della nostra patria, la nostra gente ha ripristinato lo Stato, ricreato un Paese dalle sue rovine e vestigia, e costruito una "patria di luce e di speranza", di scienza, istruzione e cultura. Gli armeni esiliati in tutto il mondo hanno costruito le case e i loro cuori nel mondo, sono sbocciati in Paesi vicini e lontani, portando avanti le loro tradizioni e la loro vita spirituale. Ovunque i figli della nostra nazione hanno vissuto, hanno raggiunto il successo, guadagnandosi rispetto e fiducia, e ottenendo riconoscimenti per il loro lavoro coscienzioso e il loro contributo alla scienza, alle arti e al bene comune. Questa è la storia del nostro popolo durante il secolo scorso - una storia di avversità e risurrezione. Oggi, nonostante la difficoltà, la nostra nazione rafforza la sua sovranità indipendente, crea una nuova vita di libertà, e guarda con speranza al futuro, abbracciando il risveglio nazionale, l'ottimismo e la fede. 
Gloria a te, o Signore, gloria senza limiti, "Come uno scudo Tu ci proteggi con il Tuo favore" (Salmi 5,12). Riponendo la nostra speranza in Te, o Signore, il nostro popolo è stato illuminato e rafforzato. La Tua luce ha acceso l'ingegnosità del nostro spirito. La Tua forza ci ha spinto verso le nostre vittorie. Abbiamo creato anche se altri hanno distrutto le nostre creazioni. Abbiamo continuato a vivere anche se altri ci volevano morti. Tu, o Signore, hai voluto che la nostra gente - condannata a morte da un piano genocida - sia riuscita a vivere e risorgere, in modo da poter presentare questa giusta causa davanti alla coscienza dell'umanità e al diritto delle genti, per liberare il mondo dalla callosa indifferenza di Pilato e dalla negazione criminale della Turchia. 

Per il bene della giustizia - fino al trionfo della nostra causa, noi continueremo la nostra lotta senza ritirarci - Chiesa, Nazione e Stato insieme. Il sangue dei nostri martiri innocenti e le sofferenze del nostro popolo gridano per avere giustizia. I nostri santuari distrutti, la violazione dei nostri diritti nazionali, la falsificazione e distorsione della nostra storia, tutti gridano per avere giustizia. Essendo sopravvissuto al genocidio, il nostro popolo ha creduto e continua a credere che la moltitudine dei Paesi retti, delle Organizzazioni nazionali e civiche, e degli individui che hanno riconosciuto e condannato il genocidio armeno saranno presto affiancati da altri che credono che l'affermazione della verità e della giustizia siano il prerequisito e il garante di un mondo pacifico, privo di ostilità e di violenza. 
In ricordo del nostro milione e mezzo di martiri del genocidio, esprimiamo la nostra gratitudine alle nazioni, alle organizzazioni e agli individui che hanno avuto il coraggio e la convinzione di riconoscere e condannare il genocidio armeno. Esprimiamo gratitudine a quei Paesi e popoli gentili che hanno accettato i figli della nostra nazione come fratelli e sorelle. Questi esempi di giustizia e di umanità sono pagine luminose nella storia dell'umanità. Essi saranno sempre ricordati e apprezzati per generazioni, e saranno di beneficio alla vita tranquilla, sicura e migliore del mondo.
Come Pontefice degli armeni, è di conforto per lo spirito annunciare alla nostra gente che il 23 aprile 2015, durante la Divina Liturgia, la nostra Santa Chiesa offrirà un servizio speciale per canonizzare i suoi figli e figlie che hanno accettato il martirio come santi "per la fede e per la patria", e proclamerà il 24 aprile come Giornata del ricordo dei Santi Martiri del Genocidio. 

O, popolo armeno, abbellito dall'Alto - una nazione martire; una nazione risorta - vivi con coraggio, avanza con sicurezza, con il tuo sguardo rivolto verso il monte verso l'Ararat che contiene l'Arca, e con il cuore incrollabile mantieni alta la tua speranza. L'incoraggiamento e il messaggio del Signore sono rivolte a te: "Anche se non sei forte, sei stato fedele alla mia parola e non hai tradito il mio nome ... Tieni saldo quello che hai in modo che nessuno porterà via la tua corona della vittoria" (Apocalisse 3, 8-11). Quindi, cerchiamo di rimanere saldi davanti a Dio, giusto e vero, sui fermi sentieri della fede che, come la luce del mattino, disperde le tenebre e rende visibili gli orizzonti della speranza. La nostra strada è con Dio; e una vita di fede è la nostra vittoria.
Rendiamo fecondo il centenario valorizzando il percorso di travaglio e di rinascita del nostro popolo, durato 100 anni, in modo che i nostri figli - riconoscendo la volontà eroica dei loro nonni e genitori di vivere e creare e i loro sforzi intrapresi per il bene della nazione e della patria - possano creare un nuovo giorno luminoso per la nostra patria e per la nostra gente, dispersa in tutto il mondo. Trasformiamo la memoria dei nostri martiri in energia e forza per la nostra vita spirituale e nazionale e, davanti a Dio e a tutti gli uomini, illuminiamo il percorso dal nostro giusto cammino per guidare il nostro passo verso la realizzazione della giustizia e delle nostre sacre aspirazioni. 
Dal nostro amato centro spirituale, creato da Cristo, e davanti alla Santa Sede Madre del Santo altare di Echmiadzin (della discesa dell'Unico Unigenito ), preghiamo Dio per la pace, la sicurezza e il benessere della nostra patria, del nostro amato popolo in tutto il mondo e, soprattutto, per la luce eterna e la pace per le anime innocenti dei Santi Martiri del Genocidio. Possano l'amore e la fratellanza, la giustizia e la verità regnare sopra l'umanità, e possano le vie dei giusti irradiare, orientare e diffondere la luce fino all'alba di un nuovo giorno, che porti pace e felicità a tutto il mondo.
La grazia, l'amore e la pace di Nostro Signore Gesù Cristo sia con voi e con tutti noi. Amen.

*Patriarca armeno-ortodosso
http://www.asianews.it/notizie-it/Lettera-enciclica-per-i-100-anni-dal-genocidio-armeno-33069.html

Armenian Genocide Centennial Emblem



http://www.armenianchurch-ed.net/get-involved/armenian-genocide-centennial/banners/

martedì 17 giugno 2014

L'esercito governativo riprende il controllo di Kessab. Chiese armene profanate dai ribelli


Agenzia Fides, 16/6/2014

Tra sabato 14 e domenica 15 giugno, l'esercito governativo siriano ha ripreso integralmente il controllo di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena che era stata conquistata dalle milizie anti-Assad lo scorso marzo.
"Alla riconquista di Kessab” riferisce all'Agenzia Fides il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni, “hanno preso parte anche i gruppi di autodifesa formati da armeni siriani e le milizie sciite di Hezbollah. Il parroco della chiesa di San Michele ha già fatto un sopralluogo nella sua parrocchia, trovandola devastata: i ribelli hanno danneggiato le icone, divelto le croci, distrutto libri, reso inagibili i locali. Con l'unica intenzione di impedirne l'utilizzo, visto che non c'erano cose preziose da saccheggiare. La stessa sorte è toccata alla nostra scuola”.


 Secondo fonti consultate da Fides, le milizie islamiste hanno divelto le croci anche nella chiesa armena evangelica dedicata alla Santissima Trinità, mentre risulta devastato il Centro culturale armeno Misakyan. 
Le incursioni delle milizie islamiste – comprese quelle della fazione jihadista Jabhat al-Nusra - erano iniziate lo scorso 21 marzo. 


Quasi 700 famiglie, in maggioranza cristiane, erano fuggite per trovare riparo nell'area costiera di Latakia. I ribelli erano arrivati dalle montagne al confine con la Turchia, numerosi e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si erano ritirate, così come i giovani armeni che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese. 
“Mi ha sorpreso la velocità con cui Kessab è stata riconquistata” sottolinea il Patriarca Tarmouni, “e mi auguro che adesso, con pazienza, gli abitanti di Kessab tornino alle proprie case e ricostruiscano quello che è stato danneggiato. Sarebbe bello poter riaprire la scuola già ai primi di settembre. Occorreranno risorse economiche e l'aiuto di tutti”. 



 Nel contempo, il Patriarca teme che almeno il 30 per cento degli abitanti di Kessab non farà ritorno alle proprie case, avendo trovato sistemazioni più sicure nell'area di Latakia o in Libano. 
Gli armeni di Kessab sono in gran parte agricoltori. L'area rurale, fino allo scorso marzo, non era stata toccata dal conflitto siriano. 



La città occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi, proprio a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena dell'area.



http://www.fides.org/it/news/55416-ASIA_SIRIA_L_esercito_governativo_riprende_il_controllo_di_Kessab_Il_Patriarca_Tarmouni_chiese_armene_profanate_dai_ribelli#.U5_0lEaKDwo

giovedì 5 giugno 2014

E noi, cosa possiamo fare per la Siria? : intervista al Nunzio Zenari. Gli Armeni di Aleppo martoriati.

«Serve la presenza. E che nessuno ci dimentichi»


Tracce03/06/2014

di Anna Minghetti

Il nunzio apostolico monsignor Mario Zenari racconta la vita a Damasco. Le bombe, i bambini uccisi, la tensione continua. Ma rimanere con quella gente è importante: «Un valore aggiunto, molto prezioso. Molto più di un semplice aiuto»

 «Questo conflitto deve terminare, deve terminare». Lo ripete monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, al termine all’incontro del 30 maggio, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum per coordinare gli enti caritativi cattolici operanti nella crisi siriana, a cui lo stesso Zenari ha preso parte. Il Nunzio racconta di una situazione in cui purtroppo non si vedono miglioramenti. «Anche a Damasco, dove vivo, c’è insicurezza, ci sono colpi di mortaio che cadono. Prima di Pasqua uno di questi era caduto sul cortile di una scuola elementare armeno-cattolica, proprio prima delle otto, mentre i bambini entravano. Uno è morto, una sessantina sono rimasti feriti. A una bambina di nove anni, che ho visitato all’ospedale, hanno dovuto amputare entrambe le gambe. Il giorno di Pasqua lo stesso. Mentre ero nel mio studio, ho sentito un botto: era un'altra bomba, poco lontano dalla nunziatura. Ha colpito il terrazzo di una casa, dove c’era un papà con due bambini, quattro e dieci anni, morti sul colpo. Quello di quattro, mi dicevano all’ospedale dove l’avevano portato, aveva la testa tagliata. Direi una sofferenza, soprattutto quella dei civili e dei bambini, che fa impressione».

Qual è il ruolo di un pastore che si trova ad affrontare questa situazione?Io conosco diversi parroci che danno un bell’esempio, una bella testimonianza. Tutti in genere sono rimasti, sacerdoti, religiosi, religiose, e naturalmente aiutano, secondo i mezzi che hanno. Però direi che il valore aggiunto è la loro presenza: avere un parroco, avere una suora, un religioso, in una località, in un villaggio, è una sicurezza, un conforto, per i cristiani e anche, ho visto, per i musulmani che sono in quella zona. Quindi la presenza è un valore aggiunto, direi, molto prezioso, oltre quel che si può aiutare.

Cosa pensa della giornata di oggi?È stato molto bello l’incontro che abbiamo avuto col Papa. È stato un incontro familiare, perché era fuori programma: ha voluto dedicarci alcuni minuti a Santa Marta mentre stava andando all’ordinazione episcopale. Direi molto familiare, ha insistito su alcune cose, sul far cessare la guerra, che vuol dire far cessare anche il traffico di armi, la vendita di armi. Ha ringraziato per la vicinanza alla sofferenza di tanta gente e per gli aiuti umanitari che devono essere assicurati a tutti.

E noi cosa possiamo fare per la Siria?
Purtroppo questo è un conflitto che sta per essere dimenticato. E questa è un’altra disgrazia che si aggiunge alla già grave disgrazia. Quindi direi parlarne e tenere sveglie le coscienze della gente fuori dalla Siria, del mondo. Parlare di questa sofferenza e del non senso di questo conflitto. I media devono avere questo impegno: di non far cadere nell’oblio la dimenticanza a questo conflitto, che sarebbe un altro dramma che si aggiunge a quello già presente.


Aleppo di nuovo senz'acqua, altri missili sulle zone abitate dagli armeni


Agenzia Fides, 5/6/2014

Aleppo – Ad Aleppo il voto presidenziale con cui Assad punta a perpetuare il suo potere si è svolto con i quartieri centrali sottoposti al lancio intenso di missili e dopo che in tutta la città era stata interrotta di nuovo la fornitura idrica. 

“Da due giorni siamo di nuovo senz'acqua” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati, dalla residenza patriarcale che alle 13,30 di martedì scorso è stata colpita da uno dei missili piovuti sulla città. 
“Si trattava di un proiettile abbastanza potente - spiega l'Arcivescovo - che ha danneggiato la scuola e un'ala del palazzo, scardinando le porte e mandando in frantumi molti vetri. Un altro razzo, meno potente, è caduto sulla nostra scuola anche ieri”. 

Secondo S. E. Marayati il lancio di missili intensificatosi nelle ultime giornate non puntava a colpire obiettivi mirati, ma piuttosto a contrastare l'afflusso dei votanti ai seggi elettorali: “ Nei quartieri sotto il controllo dell'esercito” spiega l'Arcivescovo armeno cattolico “tutti i cittadini sono per vari motivi schierati con Assad. E molti sono andati a votare nonostante i lanci di missili”. 

Secondo le fonti ufficiali, Bashar el Assad è stato rieletto Presidente con l'88,7% dei suffragi. Secondo le stesse fonti hanno partecipato al voto del 3 giugno (definito “una farsa” dall'opposizione) 11,6 milioni di siriani. Dei due candidati concorrenti, Hassan al-Nouri ha raccolto il 4,3% dei voti e Maher al-Hajjar il 3,2%.



Armenian Press Office in Aleppo

Photo: PRESS RELEASE URGENT CALL TO THE ARMENIAN NATION We do hereby declare the Armenian “Nor Kyough” neighborhood in Aleppo a DISASTER ZONE. We appeal to our fellow Armenians all around the world to support the immediate stopping of continuous inhuman rocket attacks on our area. We need your support, by all means, for the physical security of our people. 

martedì 27 maggio 2014

I cristiani di Kessab sollecitano il Papa a lavorare per la pace per aiutarli a tornare a casa

I cristiani siriani che sono fuggiti da un villaggio vicino al confine con la Turchia dopo che è stato catturato dai ribelli islamici, rifiutano di lasciare il paese e hanno invocato Papa Francesco di pregare per loro ed aiutarli a tornare a casa.


AINA, 26 maggio 2014

LATAKIA  (Reuters) 

Nel mese di marzo, i ribelli - tra cui combattenti di Al Qaeda-Nusra - avevano catturato il villaggio a maggioranza armena di Kessab nella provincia costiera di Latakia, roccaforte del presidente siriano Bashar al-Assad.
Migliaia di persone sono fuggite alla città di Latakia e hanno accusato i combattenti sunniti radicali di colpire i cristiani e dissacrare i luoghi santi. I ribelli hanno negato le accuse.

I cristiani intervistati da Reuters hanno detto che speravano che Papa Francesco, che ha visitato domenica Betlemme, tradizionale culla di Gesù, avrebbe pregato per la pace in Siria.

"La visita del Papa è quella di un santo, desideriamo che  lui continui a lavorare per la pace e pregare per la pace in Siria," ha detto Padre Miron Owadesyan .

Il papa argentino ha lanciato un appello urgente per porre fine alla guerra di Siria , proprio sabato all'inizio del suo primo viaggio in Terra Santa come pontefice.

Papa Francesco: «La pace non può essere comprata»... la pace è 
«un dono da accogliere con pazienza e costruire “in modo artigianale” 
con piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana. 
La via della pace è consolidata, se ci rendiamo conto che tutti abbiamo 
lo stesso sangue e siamo parte della razza umana; 
se non ci dimentichiamo che abbiamo un unico Padre celeste
 e che siamo tutti suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza».
Nei primi giorni dell'attacco su Kessab, più di 1.500 persone hanno cercato rifugio nella chiesa greco-ortodossa armena della Vergine Maria nella città di Latakia a 30 miglia (49 chilometri) di distanza.
La maggior parte di loro sono stati trasferiti e ora solamente circa 100 persone vivono nella chiesa  antica di 1.200 anni, sopravvivendo soprattutto con donazioni e sostegno da parte del governo.

Narik  Louisian, un sacerdote di Kessab, ha detto di sperare che il Papa voglia  usare la sua influenza per aiutare i cristiani in Medio Oriente che si sono sentiti minacciati dalla violenza e dai disordini politici.

"E' un nostro diritto come cristiani di vivere in Oriente, l'Oriente è la nostra terra ", ha detto. "Noi siamo una parte inseparabile della Terra Santa".

Tamar Minoknian, una casalinga di 40 anni, ha detto che chiede a Papa Francesco di aiutare i cristiani sfollati siriani a ritornare ai loro villaggi. "Vogliamo che ci aiuti affinchè ritorniamo alle nostre case. Non vogliamo aiuti, vogliamo solo tornare al nostro focolare.”

Latakia e la provincia limitrofa Tartous insieme formano il cuore mediterraneo della fede alawita - la setta di derivazione sciita di cui Assad è membro.

Molti alawiti sono rimasti fedeli al governo per tutta la durata dei tre anni del conflitto che ha ucciso almeno 160.000 persone.

La Comunità Cristiana di Siria, circa il 10 per cento della popolazione, è diffidente nei confronti del crescente potere dei gruppi islamisti all'interno del movimento ribelle, e solo una piccola percentuale di cristiani ha preso le armi.

"Non posso vivere al di fuori della Siria, siamo nati qui e moriremo qui",  ha detto a Reuters Nerneen Boinashikian, un uomo sulla cinquantina,  mentre stava preparando il pranzo. "Tutto ciò che vogliamo è tornare alle nostre case. Basta distruzione !".



giovedì 24 aprile 2014

Novantanovesimo anniversario del genocidio degli Armeni. Un Popolo perseguitato perché cristiano.




Il 24 aprile del 1915, 99 anni fa, le autorità turche arrestarono, a Istambul, l’intera classe dirigente del popolo armeno presente nella capitale dell’allora Impero Ottomano. Uomini di cultura, professionisti, imprenditori, politici e sacerdoti vennero imprigionati e poi assassinati dando così avvio al primo genocidio perpetrato nel secolo scorso. 
In realtà la persecuzione aveva avuto avvio l’anno precedente con l’apertura delle ostilità tra gli imperi centrali e le potenze dell’intesa. Sul fronte del Caucaso i militari Armeni dell’esercito turco erano stati disarmati e adibiti a lavori di retrovia svolti con modalità disumane, lavori forzati volti a stroncare chi vi era adibito con fame e fatica. La scusa addotta fu la scarsa affidabilità a fronte di un nemico, i Russi, da sempre attivi come protettori dei cristiani d’oriente. Ma l' intenzione genocida dei “Giovani Turchi” raggruppati nell' 'Unione per il Progresso' era chiara. Lo sterminio venne programmato con cura sino ad arrivare ai fatti del 24 aprile che resta come data ufficiale dell’inizio della tragedia che si sarebbe consumata a fasi alterne sino alla sconfitta finale dei turchi ad opera delle forze dell’intesa, portando allo sterminio di almeno due terzi della popolazione armena presente nell’impero. Il calvario degli Armeni, così come gli atti di valore che lo accompagnarono, sono stati descritti in numerose opere che hanno trovato autori sia nella diaspora, sia nella memorialistica dei diplomatici neutrali o alleati presenti nell’impero. (1) 

 Ufficiali e sottufficiali armeni, scampati ai massacri, tentarono di organizzare sui monti la resistenza. Nell'aprile 1915, nella città di Van, alcune migliaia di civili riuscirono a disarmare la locale guarnigione turca, barricandosi nel nucleo urbano dove resistettero per molti giorni alla controffensiva; fino all'arrivo, provvidenziale, di una divisione di cavalleria russa che nel mese di maggio liberò dall'assedio quei disperati. 
Eguale successo ebbe poi la famosa resistenza del massiccio montuoso del Musa Dagh, nei pressi di Antiochia (Golfo di Alessandretta). Su questo acrocoro non meno di 4.000 disperati resistettero per ben quaranta giorni agli attacchi dei reparti regolari dell'esercito ottomano e dei "volontari" civili turchi, segnando una delle pagine più eroiche della storia del popolo armeno. Alla fine, proprio quando la resistenza sembrava dover cedere di fronte alla preponderanza dell'avversario, i reduci vennero salvati dal provvidenziale arrivo nel Golfo di Alessandretta di una squadra navale francese che riuscì in gran parte a trarli in salvo. Altri tentativi di resistenza non ebbero la medesima fortuna, come accadde ad Urfa. Qui, tutta la guarnigione armena, composta di ex-militari e civili, dovette soccombere alle soverchianti forze ottomane che, a battaglia conclusa, massacrarono tutti i difensori ancora in vita, compresi i feriti.

 Ma le tribolazioni di questo popolo non erano destinate a terminare con la fine della prima guerra mondiale così come non erano mancate nei secoli del dominio Ottomano. La caduta del regime turco alla fine del conflitto mondiale e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 e il 1922, con l'attacco alla Cilicia armena ed il massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio. Cosi come la diplomazia dei vincitori, che aveva riconosciuto nel trattato di Sevres l’indipendenza della nazione Armena sui territori dell’Armenia storica, col successivo trattato di Losanna dimenticò le sue promesse di fronte al fatto compiuto della vittoria di Ataturk nella guerra contro i Greci. 

 Restava la piccola repubblica costituita dagli Armeni, nel 1918, sui territori già appartenuti all’impero degli Zar ma la sua indipendenza ebbe vita breve, occupata dalle armate bolsceviche, venne incorporata nell’Unione Sovietica e con un ukase di Lenin privata di una delle sue regioni storiche, l’Artzak (Nagorno-Karabach) assegnato all’Azerbaigian, e poi sottoposta a tutti gli orrori del “terrore staliniano”. 

 E ancora, negli ultimi anni dell’URSS, gli Armeni dell’Azerbaigian dovettero subire l’ennesimo massacro a Sumgait e poi a Baku e nel Nagorno-Karabach dove scoppiò una guerra sanguinosa tra le due repubbliche neo indipendenti di Armenia e Azerbaigian. Una guerra che conta ancora oggi quotidianamente i suoi morti su una linea armistiziale più che fragile.


saveKessab

 E infine,  la tragedia continua in Siria, ad Aleppo come a Kessab, dove i Turchi, per interposta persona dei terroristi salafiti ben appoggiati dalle loro artiglierie, cercano ancora di realizzare una “soluzione finale” del problema armeno. 

 Sembra veramente che le tribolazioni di questo popolo non debbano mai finire. Sembra, come ho avuto occasione di rimarcare recentemente, che l’ "Omicida sin dall’inizio” voglia fargli scontare, in questo mondo di cui appare sempre più padrone, la primogenitura nella conversione come popolo, l’opera svolta, nella sua associazione dinastica con la corte bizantina, nella conversione degli slavi e della Rus, l’ essere stati fra i più fedeli alleati dei crociati e forse, come alcuni recenti studi confermerebbero, l’ aver custodito, conservato e venerato per 700 anni, a Edessa, nella piccola Armenia di Cilicia, la più straordinaria reliquia della cristianità, la Santa Sindone testimone della resurrezione di Cristo.

 Massimo Granata 

 1. Tra le tante opere apparse (purtroppo non moltissime in italiano) ci piace ricordare e consigliare la lettura di: La masseria delle Allodole, di Antonia Arslan; I quaranta giorni di Musa Dagh, di Franz Werfel; dal punto di vista della documentazione : Diario 1913-1916, di Henry Morgenthau Sr. Ambasciatore USA in Turchia dal 1913 al 1917; Il genocidio armeno nella storia e nella memoria, di Immacolata Maciotti; Survivors. Il genocidio degli Armeni raccontato da chi allora era bambino, di Donald E. Miller e Lorna Tourian Miller.

http://www.appunti.ru/articolo.aspx?id=700&type=home





PREGHIERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Memoriale di Tzitzernakaberd
Yerevan, 26 settembre 2001

O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!
Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,

l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,
il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,
come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.
Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma,
che riecheggia la supplica del suo Predecessore, il Papa Benedetto XV,
quando nel 1915 alzò la voce in difesa
"del popolo armeno gravemente afflitto,
condotto alla soglia dell’annientamento".

Guarda al popolo di questa terra,
che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,
che è passato attraverso la grande tribolazione
e mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.
Asciuga ogni lacrima dai suoi occhi
e fa' che la sua agonia nel ventesimo secolo
lasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre.

Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,
ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancora
conoscere aberrazioni tanto disumane.
Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,
imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,
e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.


La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,
mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,
la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,
la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più.

O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!