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domenica 18 dicembre 2016

Mhardeh, città cristiana alla mercé di Al-Nusra

Sulle tracce dei martiri cristiani del Medio Oriente

Aleteia, dicembre 2016
di Alexandre Meyer

I visi sono gravi, i tratti accusano la disperazione, l'affaticamento, l'irritazione. "Otteneteci dei visti per partire tutti da qui", sbotta il dottor Zahlouk Abdullah. Parlando a nome degli uomini intorno a noi, il cardiochirurgo laureatosi in Francia, ha vissuto a Lione dove è nata sua figlia, poi a Tolosa e Nizza per più di cinque anni. Suo figlio, educato in Francia, ha conseguito il baccalaureato lo scorso anno. Negli ultimi anni, ha dovuto imparare a operare sui marciapiedi, ai piedi delle case devastate dalle bombe che colpivano continuamente il villaggio di Mhardeh fin dall'inizio di questi tragici avvenimenti.
Alexander, capo missione di SOS Cristiani d'Oriente in Siria, alza le mani impotente: "Quello che mi chiedete, non siamo in grado di farlo. In ogni caso vi chiedo di compilare per me un elenco di ciò che è necessario per sopravvivere qui, farò del mio meglio per procurarvelo."
Nel cortile della piccola casa parrocchiale adiacente alla Chiesa greco-ortodossa di Notre-Dame, la più antica della città, costruita nell' VIII° secolo attorno alle grandi colonne con capitelli corinzi di un antico tempio pagano, caschi rossi scaricano un piccolo furgone. Estintori, barelle, sedie a rotelle, kit di pronto soccorso che l'associazione umanitaria ha portato, si accumulano lungo le pareti.

Caschi rossi
130 volontari, di età compresa tra i 22 e i 52 anni che indossano un giubbotto fluorescente e un casco rosso da soccorritore volontario. Formate quattro anni fa, le squadre di questi volontari di soccorso accorrono nei luoghi bombardati.
La maggior parte dei giovani sa maneggiare il piccone e l'estintore per liberare le vittime o spegnere un incendio. Per la maggior parte sono studenti universitari che danno manforte all'ospedale o alla banca del sangue. Ma mancano di tutto.

Un boato rimbomba in lontananza. Un volontario prende il binocolo appeso al muro e corre sul tetto per verificare il luogo in cui la bomba è caduta. Un altro boato. Si sta avvicinando. Il fumo sale nei pressi del villaggio. Con uno sguardo stanco il dottore conta mentalmente il numero degli obici artigianali che i volontari hanno collezionato qui, come i pezzi di un museo dell'orrore: schegge acuminate come lame di rasoio, obici aperti come funghi, bombole di gas squarciate, pinne dei razzi, chiodi, bulloni ...
Da un pezzo di proiettile dipinto d'oro (vedi presentazione), uno dei residenti ha fatto un piccolo vaso e ce lo mostra adornato con un mazzo di fiori artificiali, "No, noi cristiani di Mhardeh non abbiamo paura della morte. Diamo forma ai loro strumenti di morte per disegnare la pace e la gioia." "Non siamo favorevoli alla dittatura, continua il medico, afferrandomi il braccio, ma la vita con queste persone è impossibile. Questa è la democrazia?! Smettete di sostenere i nostri nemici vi prego! Tutti intorno a noi, Al-Nosra, FSA [Free Syrian Army, ndr], Fatah al-Sham, chiamateli come volete, ci lanciano razzi fatti in Francia! "

Un simbolo che Al-Nosra vuole vedere scomparire.
La cittadina paga un prezzo pesante per la sua ostinata resistenza. Nel mese di ottobre, si è beccata 150 razzi che hanno provocato 8 morti e 67 feriti. L'ultima vittima, una madre di famiglia squarciata in due da un missile Grad che ha perforato il tetto della sua camera da letto, è morta lasciando quattro figli e un marito distrutto e inconsolabile. Egli ci mostra la sua casa polverizzata senza dire una parola, forte e dignitoso. Due giorni dopo la nostra partenza, una donna e la sua figlia di 8 anni saranno ferite sulla via principale, un ragazzo e sua zia non sopravviveranno all'esplosione.

Mhardeh si trova al centro dell'asse nord-sud che collega Aleppo a Damasco, a circa 260 chilometri dalla capitale siriana. Testa di ponte fedele al governo accampato a 100 chilometri a nord di Homs, è bagnata a nord dal fiume Oronte, arginato con una diga per la fornitura di energia elettrica, tramite una moderna centrale idroelettrica. Dipende amministrativamente dal Governatorato di Hama, nei pressi della piana di Ghab.

La città ha sofferto gli attacchi incessanti dei ribelli islamici che vorrebbero ridurre al nulla questo simbolo. Infatti, con i suoi 25.000 abitanti prevalentemente cristiani, Mhardeh ha cinque chiese: (greco-ortodosse) e una chiesa protestante (il 10% dei residenti sono presbiteriani). Abbarbicata su un promontorio roccioso, è circondata da zone con popolazioni sunnite le cui angherie ci sono imposte alla luce del sole. La località più vicina, Halfaya, che si trova a 200 metri ad est delle prime case, è regolarmente sotto i tiri di un cecchino. E' in prossimità di questo villaggio che è situata la centrale elettrica caduta in mano ai terroristi lo scorso agosto. Da allora, gli abitanti vivono nel buio; vengono usati i generatori a benzina per l'illuminazione e il mazout (un olio minerale) per cucinare e scaldare il salotto della casa con una stufetta a olio.

L'asilo nido
Alla piccola scuola di Mhardeh, i bambini sogliono raccogliere le olive e seminare grano nei dintorni. La direttrice si lascia sfuggire un sospiro, ci consegna dei piccoli croissant farciti con olive e spezie, una specialità di questo breve periodo di avvento prima di Natale. Dopo il giro coi magri e sostanziosi dolci si conclude la riunione. Il sacerdote greco ortodosso del Patriarcato di Antiochia riflette per noi il pensiero di tutti qui: "Incomprensioni, rammarico, tristezza, stanchezza. Nessuno può accettare il destino a noi riservato. Né il vedovo che ha perso la moglie e le figlie, né la madre che ha perso un figlio ".
I bambini in grembiulino rosa cantano allegramente ogni volta che noi varchiamo la porta di un'aula. Le loro facce tonde sono illuminate con un grande sorriso, ma nei loro occhi, si riflette una tristezza indicibile.
Resistere o morire
"Tutti vogliono la pace e la democrazia, ma i takfiri [islamisti, n.d.r.] derubano, rapiscono e umiliano i cristiani." Simon Alwakil ha preso bene in mano la difesa della sua città. Generale Nazionale delle Forze di Difesa, egli è il capo delle operazioni per l'area di Mhardeh. Amato dai suoi uomini e dagli abitanti dei villaggi, il vecchio capo d'impresa dal fiorente business ha messo i suoi mezzi e le sue risorse a disposizione per il bene della sua città natale. Ci riceve nel suo ufficio e ci espone i problemi complessi che deve risolvere.
La minaccia è permanente: 18 donne e bambini sono stati rapiti dall'inizio del conflitto. Simon ha messo in gioco le sue conoscenze ed ha ottenuto il loro rilascio. Suo fratello è stato rapito. Suo figlio è stato tenuto in ostaggio per diversi mesi ad Aleppo.
I tradimenti sono molto comuni: per quello di un medico musulmano di Mhardeh si stabilì il riscatto. Attratto dal guadagno, il figlio del medico era uno dei suoi rapitori ad Aleppo. Quello dei vicini sfollati dalle manovre militari, che dormivano da lui in nome della carità e dell'ospitalità. Vicini che hanno visto che i suoi uomini sparavano razzi sul villaggio. "La ribellione non è motivata dal rovesciamento del governo per il bene della gente, ma per servire i propri interessi" ha aggiunto il generale. "Anche la Russia non agisce solo gratuitamente, ma anche nel proprio interesse. L'esercito russo si è diffuso in tutta la Siria e gli uomini che rimangono qui non mi ispirano molta fiducia. ".

Allora il generale ha reclutato 150 uomini tra gli abitanti per creare la sua brigata. Ha alzato barricate intorno alla città, ha acquistato un carro armato sovietico e delle autoblindo armate. Le sue armi leggere vengono dall'Iran. I suoi uomini vengono addestrati e formati in Libano o presso il "grande fratello" persiano. Si può contare solo sul sostegno della forza aerea siriana per respingere ondate di attaccanti. Dal momento in cui in estate, quando la milizia ha fermato l'azione di 4000 fanti, sostenuto dai MiG-21, l'uomo è diventato una vera leggenda. Gli abitanti sono demoralizzati e senza fiato, ma il generale ha fatto loro una promessa: «Noi ci saremo!"

mercoledì 14 dicembre 2016

Dietro alle bugie su Aleppo





















Dal dottor Nabil Antaki, ecco un’altra pagina di verità sulla tragedia e sulla riconquistata libertà degli Aleppini.
'' Pubblico la mia risposta ad una amica che è stata interpellata da due persone dopo la diffusione della nostra ‘’lettera da Aleppo n. 28’’
Cara F.
Comprendo bene la confusione di uno dei due tuoi interlocutori o il disagio dell’altro, e comprendo anche la tua domanda: ‘qual è la verità? ’
Capisco molto bene la reazione di queste persone sottomesse alla martellante propaganda mediatica occidentale di parte. Una propaganda manichea con i buoni definiti ribelli o rivoluzionari (dimenticando che essi fanno parte dei due gruppi (Daesh e al-Nusra) che la Comunità internazionale ha classificato come organizzazioni terroristiche. 
Si dimentica anche che 90.000 jihadisti stranieri sono venuti nel nostro Paese per fare la jihad. E si dimentica che il fine di questi terroristi è la realizzazione di uno Stato islamico. 
Dall’altro lato, ecco i malvagi, demonizzati da una massiccia disinformazione, sin dagli inizi degli avvenimenti, per accelerare la caduta del regime.
I ribelli-terroristi che invasero i quartieri est di Aleppo nel luglio del 2012 e Mosul nel 2014 sono gli stessi che commisero gli attentati a Parigi nel 2015.
A Parigi, erano terroristi che bisognava eliminare.
A Mosul, voi applaudite (giustamente) l’assalto dell’esercito iracheno appoggiato dai raids aerei statunitensi e della coalizione, per liberare la città dai terroristi di Daesh, (ben sapendo che questi raids faranno ovviamente delle vittime civili, senza che in Occidente qualcuno se ne dispiaccia).
Ad Aleppo, voi invece condannate l’assalto dell’esercito dello Stato siriano il cui scopo è liberare una parte della città, controllata da quattro anni e quattro mesi dagli stessi terroristi di al-Nusra. (Ricordiamo che Daesh e al-Nusra erano un unico gruppo, scissosi in due circa due o tre anni fa, poiché al-Nusra voleva seguire al Qaïda e giurare fedeltà al delfino di Ben Laden, mentre Daesh voleva giurare fedeltà al califfo auto-proclamatosi Baghdadi).
Dov’è la verità? Non certo presso i giornalisti e i media.
Essa si trova presso coloro che vivono qui.
Presso gli abitanti di Aleppo-ovest (che non sono soltanto cristiani, dato che siamo rimasti in pochi), che ieri sera hanno manifestato la loro gioia nelle strade all’annuncio della liberazione di una gran parte di Aleppo-est. Coloro che hanno subito durante quattro anni e mezzo bombardamenti quotidiani da parte dei terroristi di Aleppo-est con decine di vittime tutti i giorni (naturalmente ignorati dai media occidentali e nessuno che abbia sentito imbarazzo). I terroristi li hanno privati d’acqua potabile per più di due anni (1 milione e mezzo di abitanti a cui si è tagliata l’acqua corrente è un crimine di guerra e contro l’umanità) e nessuno ne è stato sconvolto. Sono stati gli Aleppini a supplicare l’esercito ed il governo di liberare i quartieri orientali ed era dovere dello Stato intervenire.
La verità sta presso gli abitanti liberati dei quartieri orientali di Aleppo, che erano ostaggi dei terroristi, anzi scudi umani. Bisogna vederli scoppiare di gioia, mentre si gettano tra le braccia dei soldati, e piangere quando ritrovano membri della propria famiglia. Bisogna ascoltarli raccontare le sofferenze per ciò che i terroristi gli hanno fatto subire. Naturalmente, tutto ciò è documentato con dei video in arabo che non vi mostrano.
I bombardamenti russi e siriani, che tanto hanno disturbato i nostri amici europei [sensibili e cinici a fasi alterne o a seconda della collocazione topografica delle vittime. N.d.T.], ebbene sì, hanno fatto vittime tra i civili e noi lo deploriamo. Ma voi, voi siete altrettanto addolorati per le vittime civili fatte dalla coalizione occidentale nei bombardamenti di Mosul? O la bomba americana è forse più intelligente della russa ?. In Siria no. Infatti i raids della coalizione occidentale sui terroristi hanno mietuto ogni volta vittime civili e l’ultimo raid aereo francese ne ha fatte 110 in un colpo solo, ma non ve lo dicono. Durante una presa di ostaggi, dopo negoziazioni e tentativi infruttuosi per liberarli pacificamente, la polizia non dà forse l’assalto pur essendo consapevole che potrebbero esserci delle vittime tra gli ostaggi?
Non esistono guerre pulite (dimenticate che stiamo vivendo in guerra da cinque anni e mezzo), però i media europei hanno esagerato i fatti, modificando e amplificando la realtà. Il martellamento che avete subito è intessuto di menzogne. Vi hanno annunciato dieci volte in sei mesi la distruzione dell’ultimo ospedale di Aleppo-est: come se per un colpo di bacchetta magica l’ospedale potesse risorgere in due settimane. Vi hanno mostrato il ‘Sindaco di Aleppo-est’ in tutte le salse: conferenze-stampa, ricevuto da Hollande, imbarcandosi con Duflos in un farsesco viaggio ad Aleppo. Ma si dà il caso che questo signore non sia sindaco di Aleppo e neppure di Parigi. Egli è semplicemente un impostore fatto uscire come un coniglio dal cappello di un prestigiatore per appoggiare la campagna mediatica messa su per arrestare l’avanzata dell’esercito lealista, pretendendo una tregua per ragioni ‘umanitarie’: cioè per permettere ai terroristi (geneticamente modificati dagli Occidentali in ‘ribelli moderati’) di riprendersi.
I Siriani, che hanno sofferto troppo per questa guerra e gli Aleppini in particolare, non accetteranno la proibizione di esprimere la loro gioia nel vedere la disfatta dei terroristi (almeno in Aleppo), i loro concittadini di Aleppo-est liberati, e di poter vivere senza piangere ogni giorno la morte di un parente, di un amico, di un vicino, uccisi dai proiettili di ribelli-terroristi.
Nabil
P.S La campagna mediatica è stata orchestrata alla perfezione: un martellamento quotidiano di menzogne che le persone, pur di buona volontà e con un certo spirito critico, arrivano a credere, non avendo una conoscenza diretta della situazione sul terreno. ‘Non possono mentirci tanto, sicuramente c’è del vero’ pensano.
Se voi mentite, mentite e continuate a mentire, qualcosa delle vostre menzogne sarà creduto. ’’ 

   Trad. Maria Antonietta Carta

AsiaNews, 14 dicembre 2016

Questa mattina nuovi, violenti bombardamenti stanno scuotendo la città di Aleppo. Razzi e colpi di artiglieria lanciati dai soldati dell’esercito governativo cercano di abbattere l’ultima sacca di resistenza dei gruppi ribelli e jihadisti, che si sono asserragliati in una piccola porzione della città. Testimoni locali confermano gli scontri a fuoco e la sospensione del piano di evacuazione raggiunto in precedenza, che avrebbe dovuto garantire la fuoriuscita dei civili e degli ultimi miliziani - alcune migliaia - tuttora presenti. I bus governativi sono allineati all’esterno dell’area teatro dei combattimenti, ancora vuoti e in attesa di disposizioni per le prossime ore. 
A bloccare le operazioni di evacuazione e innescare la nuova ondata di bombardamenti la richiesta siro-iraniana di avviare, in simultanea, le operazioni di sgombero dei feriti e civili in altre due cittadine sotto assedio delle milizie ribelli. Le Nazioni Unite sarebbero rimaste ai margini dell’accordo e non partecipano alle operazioni di evacuazione, per dicendosi pronte a intervenire in caso di bisogno. Ieri fonti Onu avevano parlato di “atrocità” e di civili giustiziati dalle milizie filo-governative.
Fonti di AsiaNews nel settore occidentale riferivano al contempo di “lanci di razzi” dal settore ancora in mano ai ribelli, che hanno provocato “otto morti e più di 40 feriti”. “La tregua è ancora lontana - aggiungono le fonti - anche perché resta da capire la posizione dei curdi siriani, armati, e le mosse delle milizie filo-governative, in cui è alto il fenomeno della corruzione e che devono essere sistemate in qualche modo dall’esercito regolare”. 
Nei giorni scorsi intense trattative fra Mosca e Ankara avevano permesso il raggiungimento di un accordo sull’uscita di ribelli e jihadisti, rimasti intrappolati in un’area di cinque chilometri, dove si erano ritirati di fronte all’avanzata dell’esercito siriano, sostenuto da russi ed Hezbollah. Esso prevedeva il ritiro dei civili, quindi la fuoriuscita dei combattenti, circa 5mila uomini in esilio in direzione ovest verso la periferia di Aleppo e a est verso Idlib e il confine turco. Dall’accordo emerge ancora una volta la grande influenza esercitata da Ankara sui ribelli e jihadisti siriani, che rispondono di fatto al governo turco. E al quale sono legati con un cordone ombelicale, che ha garantito loro la sopravvivenza per anni. 
I siriani sono in giubilo per la vittoria militare, ma la città di Aleppo emerge nella sua drammatica devastazione: uno scenario apocalittico fatto di ceneri, macerie e miseria.  Se il mondo intero (in particolare l’Occidente) lanciava grida di condanna per la sorte dei civili di Aleppo est, affamati e privi di risorse, impossibilitati a ricevere aiuti umanitari, la tv panaraba Al Mayadeen trovava una prima risposta alla questione. In un reportage dal settore orientale il canale satellitare ha mostrato chi stava davvero affamando la popolazione: in seguito alla liberazione del quartiere Bustan Al Qasr, i cronisti hanno scoperto un deposito all’interno di una scuola colmo di derrate alimentari, vestiti e medicinali custoditi dai jihadisti. Una riserva preziosa nascosta nella scuola di al Yarmuk, mentre la popolazione civile pativa fame e stenti.  
Tonnellate di cibo e generi di prima necessità che gli abitanti rimasti - donne, anziani, bambini - hanno subito cercato di accaparrarsi. Si assiste a scene di persone con scatole e sacchi sulle spalle, che tradiscono il bisogno immediato di cibo. La rivelazione sugli alimenti e aiuti umanitari che i jihadisti hanno sottratto alla cittadinanza, affamandola, spiega perché nel settore orientale solo la popolazione civile pativa la fame e appariva dimagrita e provata, mentre i ribelli si presentavano nei video e sui social in buona salute e ben nutriti. 
La liberazione di Aleppo ha inoltre svelato un altro mistero: quello dell’acquisto di armi dall’Europa dell’est da parte di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, i cui eserciti sono invece dotati di armi di fabbricazione americana. Tale industria è stata tenuta in vita grazie agli acquisti miliardari dei Paesi del Golfo. Difatti, dal 2103 in avanti Riyadh, Doha e gli Emirati hanno acquistato armi dall’Est Europa, spedite poi ai jihadisti in Siria e nello Yemen. Una fornitura che non si è mai interrotta nel tempo, almeno fino a poco tempo fa. 
In uno dei covi dei jihadisti di al Nosra (ex al Qaeda) e del gruppo filo-turco di Nur Eddin el Zank, rinvenuto nel centro storico di Aleppo - settore orientale - sono stati trovati depositi di armi di fabbricazione bulgara, copie bulgare di missili russi, mitragliatrici, razzi anti-carri e altre armi. Negli ultimi mesi del 2014 erano comparsi negli aeroporti bulgari aerei sauditi, assenti nel Paese dal 1991 e che, per questo, avevano attirato grande curiosità. 
Alcuni fotografi amatoriali avevano documentato aerei cargo sauditi del tipo Boeing 747 e degli Emirati Arabi Uniti del tipo Boeing 777 e Airbus A330 negli aeroporti di Borgas e di Sofia. Il mistero è stato chiarito dal rapporto annuale del ministero bulgaro della Difesa, secondo cui nel 2014 Sofia aveva siglato accordi per la vendita di armi all’Arabia Saudita per un valore di 85 milioni di euro. Il rapporto dell’anno successivo parlava invece di una vendita di armi, sempre all’Arabia saudita, di un valore di 29 milioni di euro. Sempre nel 2015 l’accordo firmato fra la Bulgaria e gli Emirati Arabi Uniti per la vendita di armi russe da parte della Bulgaria.
In precedenza, secondo quanto rivelato da Wikileaks un telegramma inviato dall’ambasciata Usa a Sofia rivelava un finanziamento degli Emirati Arabi Uniti per l’acquisto di armi bulgare, da inviare al governo dello Yemen nel 2010. Si tratta di decine di mitragliatrici di attacco, di mine, di missili e razzi, nel contesto di una commessa che aveva permesso all’industria bellica bulgara di riprendere fiato dopo un periodo di forte calo. Nel 2014, grazie alla guerra jihadista in Siria e nello Yemen, le  le vendite di armi bulgare secondo dati ufficiali hanno raggiunto il tetto di 403 milioni di euro.
Da ottobre 2014 a Maggio 2015 sono stati effettuati nove voli fra la Bulgaria e l’aeroporto di Jeddah e Tabuk nei pressi del confine giordano-saudita, per trasportare fra le 60 e le 80 tonnellate di armi di produzione sovietica. Gli aerei degli Eau hanno effettuato nei medi di giugno e agosto di quest’anno diversi collegamenti fra Abu Dhabi con Borgas e Sofia. 
Un rapporto Onu sul traffico di armi pubblicato all’inizio del 2015 parla dell’arrivo in Arabia Saudita, alla fine del 2014, di 830 mitragliatrici e 120 carri armati anti-scosse del tipo SPG-9. All’inizio del 2015 il ministero siriano della Difesa comunicava la presenza di armi bulgare in mano ai jihadisti, rinvenute nei tunnel usati per l’evacuazione. Si parlava di mine, razzi anti-carri, mitragliatrici Kalashnikov e razzi Rpg, tutti fabbricati in Bulgaria e riemersi ad Hama, Homs e diversi quartieri di Aleppo, dopo aver varcato le frontiere della Giordania e della Turchia. 
Ankara, che per anni ha fornito armi e munizioni, oltre che aiuto logistico a gruppi jihadisti come al Nusra e Nur Eddin Al Zenki in Siria, ora cerca di farli uscire da Aleppo. Alla fine di tutto, resta la domanda: A quale prezzo? E che cosa ha ceduto la Russia in cambio? Ancora una volta, come già successo prima con gli Stati Uniti, le vittime sacrificali sembrano essere i curdi siriani.

lunedì 12 dicembre 2016

Aleppo respira! Aleppo è libera!


Aleppo liberata. Vicario apostolico: “Questo Natale avrà un altro profumo”

Mons. Abou Khazen, felice per l’ingresso dell’esercito siriano nei quartieri occupati, considera “motivo di speranza” la lettera del Papa ad Assad. Ma accusa: “L’embargo colpisce solo i civili”

ZENIT, 13 dicembre 2016
di Federico Cenci

“La città di Aleppo finalmente sta per essere completamente liberata e unificata dopo quattro lunghi anni di divisione e di morte seminata da diversi gruppi armati siriani e non”. La testimonianza diretta giunge a ZENIT da mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino.

Mentre lui parla, di sottofondo è nitido il suono dei colpi di mortaio. Stavolta però, rispetto ai mesi scorsi, è un sibilo di speranza, giacché testimonia l’assedio da parte dell’esercito siriano nella parte orientale della città, fino a poche settimane fa una roccaforte dei gruppi cosiddetti “ribelli”.

Durante l’occupazione – racconta mons. Abou Khazen, che ha avuto modo di parlare con persone fuggite dalla parte est di Aleppo – “la vita non era affatto facile, specialmente negli ultimi mesi di combattimenti, perché i ‘ribelli’ impedivano di far arrivare viveri e medicinali, mentre i loro depositi era riforniti”.

Questi gruppi – ribadisce il vicario apostolico – appartengono tutti alla galassia del fondamentalismo islamico e – aggiunge – “imponevano alla popolazione dei precetti e dei modi di vita all’insegna del fanatismo, totalmente estranei alla tradizione del popolo siriano”.

L’Onu riferisce che la situazione umanitaria è “catastrofica”: si registrano difficoltà logistiche per curare i feriti, l’igiene è scarsissima e la gran parte degli edifici è distrutta.
“Ora che la città è quasi interamente in mano all’esercito regolare – spiega tuttavia mons. Abou Khazen – molti profughi stanno tornando e questo è comunque un simbolo di rinascita”. Il vicario apostolico sottolinea che molti cittadini di Aleppo si erano allontanati recentemente, “durante l’ultima operazione dell’esercito per liberare i quartieri est della città”.
Una volta ripreso il controllo di queste zone, è stato necessario “pulire questi quartieri dalle mine, riaprire le strade e far funzionare tutte le altre infrastrutture”. Quasi concluse queste attività, la gente sta tornando indietro, dove spesso al posto della propria casa trova però un luogo spettrale. Presto dovrà avvenire la ricostruzione.

“Il clima che si respira tra la gente è di gioia, ottimismo e speranza”, racconta il vicario apostolico. Il quale però rileva che c’è anche tanta prudenza, perché il popolo siriano ormai è abituato alle “brutte sorprese”.

Prudenza – o forse sano realismo – che traspare anche dalle parole di mons. Abou Khazen. “Purtroppo non sono fiducioso per niente riguardo a un aspetto!”, esclama. 
E rivolge un’esplicita accusa nei confronti della comunità internazionale: “Tutte le scuse sono buone per lasciare le sanzioni e l’embargo contro la Siria!”.

Ad avviso del rappresentante cattolico, l’embargo sembra riguardare “solo gli aiuti umanitari, il gasolio, i medicinali” e dunque “chi ne paga le conseguenze è la povera gente”. E invece le armi – “ogni genere di armi”, dice – continuano ad entrare nel Paese.

L’8 dicembre scorso, del resto, il Governo Usa ha concesso una deroga alle esportazioni di armi a “forze irregolari, gruppi o individui impegnati nel sostenere o agevolare le operazioni militari degli Stati Uniti per contrastare il terrorismo in Siria”.

Non da Washington, ma dalla Città del Vaticano arrivano concreti segni per un avvenire migliore per il popolo siriano. La lettera inviata da Papa Francesco al presidente Assad “è un altro motivo di speranza per tutti noi, cristiani e non”, commenta mons. Abou Khazen. Che definisce inoltre “un gesto speciale” la nomina a cardinale da parte del Pontefice del nunzio apostolico in Siria, Mario Zenari.

Da qui bisogna ripartire per il futuro della Siria. “Questo Natale – spiega il vicario apostolico – avrà un altro profumo alla luce della liberazione della città, alcune strade saranno adornate per la festa anche se non c’è l’elettricità. Ma come abbiamo fatto lungo questi anni di guerra, cerchiamo di seminare la vera gioia e speranza cristiana nell’animo dei fedeli”.