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lunedì 10 novembre 2014

Il Pontificio Consiglio per il dialogo: I crimini e la barbarie del Califfato islamico

I militanti del Califfato responsabili di azioni indegne dell'uomo: esecuzioni pubbliche, umiliazione delle donne, terrore,.. verso cristiani, yazidi e membri di altre religioni. L'invito ai capi religiosi e i governi islamici a condannare e perseguire tali crimini perché sia credibile la loro volontà di dialogo. Potenziare la convivenza fra cristiani e musulmani che pur fra alti e bassi dura da secoli.

 
le ragazze dell'Università a Mosul nello Stato Islamico



Città del Vaticano (AsiaNews) - Il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso denuncia senza mezzi termini la serie di violenze che i militanti del califfato islamico sta compiendo in Medio Oriente, soprattutto in Iraq e in Siria. L'organismo vaticano domanda ai membri di tutte le religioni e della comunità internazionale di unirsi nella condanna. Esso chiede anche ai capi religiosi islamici di condannare l'uso falso della religione come giustificazione al terrorismo, per rendere più vera e più credibile la cultura della convivenza e del dialogo, cresciuta in questi anni. Riportiamo qui di seguito la traduzione integrale della dichiarazione pubblicata  dal Pontificio consiglio.

Il mondo intero ha assistito con stupore a ciò che viene ormai chiamata "la restaurazione del califfato", che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kemal Ataturk, fondatore della Turchia moderna.
Le critiche di questa "restaurazione" da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello "Stato islamico" di commettere e continuare a commettere azioni criminali indicibili.

Questo Pontificio consiglio, tutti coloro che sono impegnati nel dialogo interreligioso, gli aderenti di tutte le religioni, come pure le donne e gli uomini di buona volontà non possono che denunciare e condannare senza ambiguità queste pratiche indegne dell'uomo:
-      il massacro di persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa;
-      le pratiche esecrabili della decapitazione, crocifissione e l'impiccagione dei cadaveri nei luoghi pubblici;
-      la scelta imposta a cristiani e yezidi fra la conversione all'islam, il pagamento di un tributo (jizya) o l'esodo;
-      l'espulsione forzata di decine di migliaia di persone, fra le quali bambini, vecchi, donne incinta e malati;
-      il rapimento di ragazze e di donne appartenenti alle comunità yezida e cristiana come bottino di guerra (sabaya);
-      l'imposizione della pratica barbara dell'infibulazione;
-      la distruzione dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani;
-      l'occupazione forzata o la dissacrazione di chiese e monasteri;
-      l'eliminazione di crocifissi e altri simboli religiosi cristiani  e di altre comunità religiose;
-      la distruzione del patrimonio religioso-culturale cristiano, dal valore inestimabile;
-      la violenza abbietta allo scopo di terrorizzare le persone per obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

Nessuna causa potrebbe giustificare una tale barbarie e senz'altro nessuna religione. Si tratta di un'offesa di estrema gravità verso l'umanità e verso Dio che ne è il Creatore, come ha spesso ricordato papa Francesco.
Non si può dimenticare comunque che - seppure con alti a bassi - cristiani e musulmani hanno potuto vivere insieme lungo i secoli, costruendo una cultura della convivialità e una civiltà di cui sono fieri. Ed è su questa base che in questi ultimi anni il dialogo fra cristiani e musulmani ha continuato e si è approfondito.
La drammatica situazione dei cristiani, degli yazidi e delle altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono essere unanimi nella condanna senza ambiguità di questi crimini e denunciare l'appello alla religione per giustificarli.

Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro aderenti e i loro capi?

Quale credibilità potrebbe ancora avere il dialogo interreligioso così pazientemente perseguito in questi ultimi anni?

I responsabili religiosi sono anche chiamati a esercitare la loro influenza presso i governanti perché cessino tali crimini, siano puniti coloro che li commettono, si ristabilisca uno stato di diritto su tutto il territorio, assicurando il ritorno degli sfollati a casa loro. Ricordando la necessità di un'etica nella gestione delle società umane, questi stessi capi religiosi non mancheranno di sottolineare che il sostegno, il finanziamento e l'armare il terrorismo è da condannare moralmente.
Ciò detto, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso è riconoscente verso tutti coloro che hanno già levato le loro voci per denunciare il terrorismo, soprattutto quello che utilizza la religione per giustificarlo.
Uniamo dunque le nostre voci a quella di papa Francesco: "Che il Dio della pace susciti in noi un desiderio autentico di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!".

 http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Pontificio-Consiglio-per-il-dialogo:-I-crimini-e-la-barbarie-del-Califfato-islamico-31876.htm


"SPERANDO CONTRO OGNI SPERANZA" :
video dell'incontro con il Patriarca Sako
Milano, 21 ottobre '14





giovedì 6 novembre 2014

Testimonianza di Mons. Nazzaro : La Primavera Siriana - dai prodromi al Califfato

Conferenza di Monsignor Giuseppe Nazzaro, Vicario Apostolico emerito di Aleppo, presso l'Istituto Veritatis Splendor  a Bologna, il 30 ottobre 2014



Mi sia concesso iniziare questa mia presentazione affermando che, prima del 15 marzo 2011 non erano tantissime le persone al mondo che conoscevano dove trovare la Siria sulla carta geografica. Era un problema di pochi addetti ai lavori. Raggiungeva piuttosto certi ambienti colti che si interessavano di archeologia, dei popoli legati alle antiche civiltà assiro-babilonesi o di storia del cristianesimo.
Il mondo intero, oggi, parla della Siria e si interessa di questo paese di circa 185.180 kmq, che si estende sulla costa del Mediterraneo Orientale per circa 80 Kilometri.

I prodromi della situazione
La data del 15 marzo 2011, ufficialmente, coincide con quella che possiamo definire: l’inizio di una rivoluzione nata 'quasi per gioco' al confine con la Giordania, sui muri della città di Dera’a, ad opera di dodicenni che s’erano divertiti a scrivere dei graffiti del seguente tenore: “abbasso il regime”.
Ciò che all’inizio, poteva sembrare un gioco o, meglio, una ragazzata, in realtà, non era altro che l’inizio di una richiesta di maggiore apertura al Governo centrale del paese che, per i non addetti ai lavori o per chi non aveva conosciuto la Siria prima dell’anno 2000, avrebbe potuto anche essere una richiesta legittima. Chi invece vi è vissuto, ha visto e costatato con i propri occhi non solo l’apertura del Governo verso le riforme sociali, ma soprattutto ha visto il benessere che le riforme avevano già portato e continuavano a portare al popolo siriano.
Ora non penso di dire un’eresia se affermo che il giovane dottore Bachar El-Assad, dopo alcuni mesi dalla sua elezione alla Presidenza della Repubblica Araba Siriana, ha iniziato immediatamente una serie di riforme per il benessere del paese e dei suoi compatrioti: commercio con l’estero, turismo interno ed estero, soprattutto libertà di movimento, di istruzione per uomini e donne. Le donne libere professioniste in continuo aumento, l’Università aperta a tutti senza distinzione di sesso. Un paese dove vivevano diverse etnie e 23 gruppi religiosi e tutti si rispettavano e si accettavano in quanto facenti parte, come in realtà si ritenevano, di un’unica realtà e figli di un unico paese che era la Siria, casa e Patria comune a tutti. Dal punto di vista religioso tutti erano liberi di esercitare e vivere il loro credo rispettati ed accettati da tutti.
I cristiani siriani, dopo l’Egitto, costituivano la comunità più numerosa del Medio Oriente. Erano circa il 10-11% su una popolazione totale di circa 23.500.000, godevano di una legislazione propria per quanto riguarda i tribunali ecclesiastici, l’eredità, l’adozione dei bambini (cosa non ammessa dalla Legge islamica), ecc. Le relazioni con tutti erano improntate sul reciproco rispetto. Dobbiamo dire, ad onore del vero che, dopo il viaggio del Pontefice oggi San Giovanni Paolo II, effettuato nel Maggio del 2001, il popolo siriano e gli intellettuali hanno preso una maggiore coscienza riconoscendo ai cristiani siriani un ruolo non irrilevante nel paese ed hanno contribuito in modo determinante al benessere della Siria. Tutto questo si concretizza in maniera pubblica ed ufficiale quando in diverse circostanze il Grand Moufti di Siria, Dott. Badr Ed-Dine Hassoun, dichiara pubblicamente che “i cristiani sono cittadini siriani a tutti gli effetti, la Siria è la loro casa, fanno male ad abbandonarla, dovunque andranno, saranno sempre degli estranei, mentre in Siria no, perchè sono a casa propria”, e questo fu il messaggio che lo stesso Mufti inviò al Sommo Pontefice al momento in cui rientrava in Italia l’allora Nunzio Apostolico, S.E. Giovanni Battista Morandini.

La primavera siriana.
Naturalmente, la polizia si rese subito conto che dietro i graffiti di Dera’a vi era qualcuno e qualcosa di più grosso del semplice gioco o di una ragazzata. Vi era un mandante o dei mandanti, tanto per stare nel clima di quei popoli e della loro mentalità: lanciare il sasso e nascondere il braccio, o se si vuole meglio: servirsi di scudi umani non perseguibili.
Circa una settimana dopo a Damasco vi furono delle manifestazioni di piazza che chiedevano delle riforme, nello specifico si chiedeva: l’abolizione della legge di emergenza (una legge che risaliva agli inizi degli anni 60 ma che in realtà non era più applicata tanto che lasciò molti scioccati chiedendosi se veramente esisteva detta legge); una nuova Costituzione; una Università islamica; il velo alle donne negli uffici governativi e pluripartitismo.
La risposta del Governo ai richiedenti fu immediata, concedendo  ciò che avevano chiesto: abolizione della vecchia legge di emergenza, la creazione di una Commissione di giuristi per riscrivere la Costituzione, l’Università islamica ed il velo alle donne sul lavoro e libertà di unirsi in differenti formazioni politiche.
Con queste risposte il Governo spiazzò i richiedenti. Evidentemente questi non si attendevano un esito positivo a loro favore. Continuarono le manifestazioni di piazza, ma non le fiumane di gente che trasmetteva l’emittente Al-Jiazirah, passando immediatamente ad azioni terroristiche, prima con un attentato di enormi proporzioni in Damasco, contro una caserma in centro città ed in pieno quartiere cristiano, poi con un altro attentato in un crocevia frequentatissimo: entrambi gli attentati lasciarono per terra decine e decine di morti. Dal sud del paese, e precisamente, dalla vicina Giordania entrarono i combattenti Salafiti (dove avevano il loro campo di addestramento) ed attaccarono subito la città di Banias, sulla costa mediterranea, nel cuore della regione a maggioranza Alawita. Combatterono per oltre due mesi; non avendo avuto ragione dell’esercito, abbandonarono Banias e si diressero sulle città dell’interno quali Homs ed Hama.
Nella città di Homs lo scorso 7 aprile è stato ucciso il campione del dialogo e della convivenza islamo-cristiana, P. Franz Van der Lugt sj, oggi la sua tomba è meta di continui pellegrinaggi di cristiani e musulmani.
Il resto del paese, possiamo dire, viveva quasi tutto nella normalità. L’unica cosa che faceva stare allerta la popolazione erano i continui blocchi stradali che i viaggiatori dovevano attraversare: molti erano derubati di quanto avevano, altri fermati finché non venisse pagato per loro un riscatto. In questa sorta di guerra erano presi di mira i cristiani, i religiosi, e le persone facoltose sia cristiani che musulmani ai quali veniva richiesta una somma esosa per il proprio riscatto. Qualche volta il riscatto veniva pagato, ma il prigioniero non era rilasciato ed allora si capiva che era stato eliminato; a questi blocchi stradali si potevano incontrare terroristi Afgani, Pakistani o Ceceni.
Il sottoscritto, come Vescovo della comunità cattolica latina, ha potuto girare tranquillamente per tutta la Siria, eccetto la zona di Homs e di Hama, fino al mese di Agosto 2012. Poi il viaggiare è diventato rischioso, ma usando alcuni accorgimenti di prudenza e in momenti particolari mi potevo muovere anche fuori la zona di Aleppo dove vivevo abitualmente.
La città di Aleppo, come ho potuto costatare, non ha partecipato attivamente alla rivolta contro il Governo. Aleppo e gli Aleppini, che sono sempre stati il motore dell’economia del paese con le più di 1500 fabbriche, tra grandi e piccole, non voleva certamente perdere il benessere che s’era acquistato con sacrifici enormi sia prima che dopo l’apertura economica operata dal Presidente in carica; purtroppo, oggi di questo benessere non esiste più nulla, tutte le fabbriche sono state saccheggiate dei loro macchinari e trapiantate in Turchia. Certamente questo saccheggio non è stato ad opera dei legittimi proprietari, magari per fuggire le tasse come succede altrove, esse sono state saccheggiate dai terroristi che han tutto venduto per finanziarsi, prima che subentrassero i finanziamenti di alcuni stati arabi ben conosciuti ed appoggiati dalla benedizione del grande fratello. (cfr. Corriere della Sera, 24/09/2014- Antonio Ferrari, pag. 3)
Inizialmente si assisteva a delle manifestazioni per le strade che, dopo la preghiera del venerdì, partivano in corteo gridando abbasso il regime. Partecipavano a questi cortei i fedeli delle moschee che avevano un Imam wahabita, cioè pro Arabia Saudita che, tra l’altro, riforniva di dollari questi Imam: 10 dollari a testa distribuiti a chi scendeva per strada almeno per un’ora gridando: “abbasso il regime”.
In molte zone della città di Aleppo la gente invece è scesa in strada a protestare contro questi prezzolati perché turbavano la pace e la tranquillità. La reazione della popolazione si spiega perché in alcune zone si erano formati gruppi di guerriglieri che combattevano contro tutto e tutti, coinvolgendo non solo la polizia locale ma anche l’esercito che, non essendo preparato alla guerriglia cittadina, ha risposto prima con armi semi pesanti e poi con quelle pesanti. In questo modo sono state distrutte molte case e molti quartieri periferici di Aleppo. Dal canto loro i ribelli hanno incendiato, distruggendolo, il famoso souk coperto di Aleppo dopo averlo saccheggiato dei suoi tesori.
Alcuni di questi guerriglieri, venuti dai paesi sopra citati, sono stati fatti prigionieri ed hanno confessato di essere stati inviati a combattere per liberare Gerusalemme, molti di loro erano dei condannati delle prigioni reali dell’Arabia Saudita e liberati, appunto, perché andassero a liberare la città santa di Gerusalemme passando prima per la Siria.
Con l’avvento dei terroristi stranieri compaiono anche le formazioni terroristiche vere e proprie, quali: Jabhat al-Nusra  – Da’esh – Al-Qaeda che si dividono le zone di influenza e competenza. Jabhat al-Nusra  si schiera nel Governatorato di Idleb a sud di Aleppo e controlla il collegamento tra Aleppo e la città portuale di Lattakia. Daesh ed Al-Qaeda si schierano nel governatorato di Raqqa ad est di Aleppo, controllando tutta la zona fino al confine con l’Iraq.
Le Jabhat al-Nusra , agli inizi del 2012 fecero una incursione notturna nel villaggio cristiano di Ghassanieh costringendo gli abitanti a lasciare le loro case altrimenti sarebbero stati tutti decapitati. Sempre loro, il 2 giugno 2012, hanno decapitato 120 poliziotti nella cittadina di Gisser El-Choughour, nella Provincia di Idleb. Testimoni oculari affermano che le teste di questi poliziotti furono affisse sul frontespizio della caserma, altre furono issate sulla torre pubblica ed i loro corpi gettati nel fiume Oronte. In conseguenza di questi avvenimenti la Missione francescana del vicino villaggio di Kanayé fu invasa dai rifugiati, cristiani, sunniti ed alawiti. Il Padre riuscì a sistemare tutti facendo in modo che non si scontrassero l’uno con l’altro, cioè il sunnita con l’alawita, ecc.

Il 23 giugno 2013, sempre i guerriglieri della Jabhat al-Nusra uccisero, nel convento francescano di Ghassanieh, il P. François Mourad. Avevo visitato questo villaggio il venerdì 22 marzo 2013 e vi trovai, dopo l’esodo obbligato da parte dei terroristi, meno di 20 persone tra cui due sacerdoti e tre Suore. Tutti, in seguito all’uccisione di P. François, furono evacuati. Oggi il villaggio è totalmente in mano ai terroristi. 
Come potete notare, le decapitazioni sono iniziate ben due anni prima, nessuno ne ha mai tenuto conto, eccetto il sottoscritto che l’ha denunziato al mondo intero ma non s’è dato credito alle sue parole. Tirate le conclusioni che volete!
L’esempio di Ghassanieh la dice lunga per tutti i villaggi cristiani che si trovano lungo il fiume Oronte. Agli inizi di dicembre 2013 ai terroristi delle Jabhat al-Nusra subentrano, nella Provincia di Idleb, i terroristi dell’organizzazione Daesh che non sono da meno. Il capo di questa organizzazione s’è presentato nel villaggio di Kanayé chiedendo al Missionario, senza mezzi termini, che se voleva vivere doveva farsi musulmano, doveva far sparire la croce dalla Chiesa, le Statue dei Santi, non doveva suonare le campane, le donne uscendo di casa (anche se tutte cristiane in un villaggio cristiano)  velarsi il capo, perché nel califfato non esistono altro che islamici. Chi vuole vivere all’ombra del califfo o diventa musulmano o sarà eliminato. Siccome il Missionario in questione è un sacerdote che conosce la storia del paese e dell’islam, ha apostrofato l’emissario del califfo ricordandogli che lo stesso Omar aveva accettato i cristiani nel califfato. Questi, vistosi spiazzato fece dietrofront, accontentandosi dell’applicazione delle sue richieste. 
Al Missionario che chiedeva: e se non accettassimo le vostre richieste? La risposta fu: in tre giorni mineremo il villaggio e salterete tutti in aria.

Chi è dietro i terroristi?
In parte perché essi stessi l’hanno ammesso, in parte lo si arguisce per i famosi 10 dollari a testa distribuiti ai manifestanti di Aleppo, e per il poco buon sangue che è sempre intercorso tra sciiti e sunniti, in parte per interessi economici tra i potenti della regione che chiedevano alla Siria di far passare sul proprio territorio il gasdotto verso l’Europa ed il pipeline dell’oro nero fino alla Turchia ed il Mediterraneo...
I fratelli ricchi si sono visti rifiutare il passaggio che, per altro, non poteva essere concesso perché anche l’Iran chiedeva altrettanto e l’amica Russia non vedeva di buon occhio queste concessioni, ed oltretutto bisognava anche proteggere il proprio prodotto.
Quindi, si pesca nel torbido malumore che esisteva contro il Governo, come del resto esiste dappertutto. Allora ci si rivolge ai paladini della democrazia soffiando al loro orecchio: "come? voi, paladini della democrazia mondiale, non sapete che vi è un paese al mondo che non è democratico? È una dittatura, e per giunta, non sono neppure rispettati i diritti umani."
C’è da domandarsi però: chi ascoltava e prendeva in considerazione queste accuse si chiedeva se in casa degli accusatori esistevano ed esistono i diritti umani? Vi è a casa loro una Costituzione e questa  garantiva e garantisce i propri sudditi? È sufficiente ricordarsi quanto è successo nel Bahrein al momento delle richieste della maggioranza sciita del paese, quale è stata la reazione dei paesi confinanti il piccolo sultanato ...

Il grande paladino delle libertà democratiche interviene e detta la sua legge che non è rispettata. Allora che fare? si approfitta di un certo malessere che è nel paese, si armano i malcontenti più facinorosi che attaccano con armi in pugno creando la guerriglia tra le strade cittadine. Tra questi vi è gente che si rifà ad Al-Qaeda, Jabhat al-Nusra , Daesh, e gente che non ha nulla da perdere, viene in Siria non solo per soldi, ma anche per trovare in una jihad che non gli appartiene nuove emozioni alla loro vita altrimenti fallita. Oggi, sul suolo siriano, si contano terroristi di circa 80 paesi che contribuiscono alla distruzione di un paese straordinariamente bello e ricco. Bello per i suoi paesaggi naturali, ricco per la sua ricchezza del sottosuolo, la sua storia, ma soprattutto per la sua ricchezza d’animo, per la sua bontà, per la sua ospitalità, ed il rispetto per gli altri.
Tutti fanno del proprio meglio per armare questi signori venuti da lontano. D’altro canto ci sono anche coloro che sostengono il Governo e lo riforniscono di armi. Tutti, in questa bolgia infernale, sparano e ammazzano. Gli armatori stanno a guardare e attendono l’ora in cui non esisterà più nulla della Siria che abbiamo conosciuto. 
Le armi che noi abbiamo regalato han fatto il loro dovere: hanno distrutto tutto col nostro aiuto. È arrivato, così, il momento di uscire allo scoperto per presentarsi da grandi benefattori altruisti: "ricostruiamo il tutto, voi non dovete preoccuparvi di nulla, salvo pagare il conto alla fine.
Noi, sempre generosamente, li esoneriamo dal pagare il conto e chiediamo loro di lavorare per noi per tot numero di anni, nelle fabbriche che abbiamo ricostruito. Noi vi daremo tutto il materiale necessario per la produzione, vi pagheremo pure un salario perché possiate vivere e produrre per noi. Dopo tot anni noi, sì o no, vi diremo grazie lasciandovi le fabbriche già diventate vecchie che necessitano di essere rinnovate perché il progresso ne ha inventate di più moderne."
Tutto questo in nome della democrazia mentre, in realtà, non è altro che una neo colonizzazione.


La città di Aleppo
Ho accennato al fatto che la città di Aleppo e i suoi abitanti non si son fatti trascinare dalla situazione per lungo tempo. In realtà, la città ha goduto di una quasi totale tranquillità, eccetto una parte della sua periferia est, fino quasi alla fine di novembre 2012. Lo stesso aeroporto internazionale è rimasto aperto fino agli inizi di gennaio 2013, quando fu chiuso al traffico perché era continuamente sotto tiro dei terroristi.
La città ha cominciato a soffrire dal novembre 2012. Molti, soprattutto chi aveva beni, hanno portato la famiglia al sicuro nel vicino Libano, mentre in città restavano gli uomini per continuare la loro attività. Questo sistema è andato avanti finché non si son trovate le fabbriche, una dopo l’altra, vuote dei macchinari perché rubati e venduti in Turchia.
I terroristi hanno attaccato in massa alcuni quartieri della città e così abbiamo avuti i primi sfollati che si sono rifugiati, occupandolo, nel campus universitario. Molti commercianti hanno abbandonato i loro esercizi creandosi uno spazio commerciale sui marciapiedi attorno all’Università, s’era creata così una tendopoli nella stessa città.

 Il 15 gennaio 2013, a pochi metri dal Vescovado ci fu una enorme esplosione di due bombe che fece sul posto oltre 90 vittime: tra queste una religiosa, Sr. Rima Nasri, che dirigeva il convitto Universitario per ragazze povere situato soltanto a una decina di metri dall’esplosione. La Suora stava rientrando in casa quando ci fu lo scoppio e di essa non è mai stato trovato neppure un resto....

La città allora ha cominciato a subire interruzioni di acqua potabile, di elettricità, gasolio per il riscaldamento, benzina. I commercianti in nero iniziarono i loro affari d’oro. L’acqua è stata inquinata perché i terroristi hanno fatto saltare le fogne che si sono riversate nei bacini dell’acqua potabile e così molti han dovuto far ricorso agli ospedali con sintomi di colera.
Oggi la città è per buona parte approvvigionata di acqua dai pozzi che già esistevano in alcune chiese e moschee. Lo stesso Vescovo Latino ne ha fatto perforare uno nel recinto del Vescovado ed ha trovato l’acqua ad oltre 150 metri. Coloro che non possono accedere ai pozzi, perché troppo lontani da casa o corrono pericolo per raggiungerli, continuano a dissetarsi con acque inquinate.
L’interruzione di erogazione di gas da cucina, gasolio da riscaldamento, ha indotto la gente a tagliare selvaggiamente gli alberi dei viali e dei giardini pubblici di cui Aleppo andava fiera. Passare un inverno ad Aleppo senza il minimo riscaldamento è qualcosa di terribile, il freddo vi penetra nelle ossa.
Aleppo, una volta città opulenta per le sue fabbriche, per il suo souk ed il suo commercio, oggi è prostrata, la gente è affamata, gli unici che dispongono di qualche soldo sono coloro che lavorano col Governo, tutto il settore privato è morto.
Oggi, non solo Aleppo, ma tutto il paese vive una situazione veramente tragica. La gente teme l’avanzata dei terroristi tagliagole di ISIS. L’esercito governativo è riuscito a creare un varco abbastanza sicuro per approvvigionare la città, ma quanti possono comperare? La Chiesa, grazie agli aiuti economici che riusciamo a raccogliere e far arrivare, riesce a sollevare un po' le pene di tanta gente che, altrimenti, morrebbe di fame.
La comunità cristiana della città si è ridotta del 60% circa. In città sono rimasti coloro che non hanno alcuna possibilità di trasferirsi altrove, perché privi di mezzi o non hanno parenti in altre zone o Paesi su cui appoggiarsi.

In tutto questo disastro, resta salda sempre la presenza dei missionari religiosi siriani e stranieri: francescani, gesuiti, salesiani, lazaristi, cappuccini, religiosi del Verbo Incarnato, Fratelli Maristi di Champagnat; più uno svariato numero di religiose appartenenti a diverse congregazioni, quali Salesiane, suore di San Giuseppe dell’Apparizione, Suore della Carità, Suore di Madre Teresa di Calcutta, Suore del Verbo Incarnato, Suore dei Santi Cuori, Suore di Besançon, Suore Carmelitane Scalze di clausura ed Apostoliche, Suore Francescane Missionarie di Maria e Suore Francescane del Cuore Immacolato di Maria, Suore di Jesus and Mary.
Tutti questi Istituti si dedicano oggi ad assistere e sostenere quanti a loro si rivolgono per usufruire delle mense che sono state create nei vari Istituti: tutti senza distinzione di credo si rivolgono a loro e tutti sono aiutati, perché tutti figli di uno stesso Padre Celeste. Lo stesso Vicariato Apostolico di Aleppo ha ospitato nel pensionato universitario “Gesù Operaio” un Istituto islamico per handicappati e persone anziane.
Ai religiosi siriani e stranieri dobbiamo rispetto e ammirazione perché potevano abbandonare le loro posizioni per lidi più tranquilli, dove non si corre pericolo della vita: invece, sono rimasti al loro rispettivo posto per aiutare e confortare quanti sono nel dolore e nella necessità.

Il califfato.

I mass media, me lo lascino dire, non sempre hanno reso un buon servizio all’umanità a proposito di questa guerra siriana.
Hanno sempre insistito nel colpevolizzare solo e soltanto il dittatore ed il suo esercito: "L’esercito ha ucciso tante persone..., i morti in Siria fatti dall’esercito sono saliti a questa cifra..., l’esercito ha ucciso tanti bambini..., l’esercito ha creato le fosse comuni..";  un mese e mezzo fa alle Nazioni Unite a Ginevra, nell’ambito della Conferenza sui Diritti umani, ho dovuto ascoltare dal rappresentante di un paese occidentale che (solo) l’esercito siriano continuava ad uccidere. Evidentemente, i terroristi, armati da quel paese e dai loro alleati, non sono mai esistiti; oppure, se c’erano, combattevano l’esercito con armi giocattolo, perciò non facevano vittime...
I Media, non potendo discostarsi dal palinsesto voluto dai potenti, non potevano dire che i terroristi si sono serviti di scudi umani, una cosa caratteristica di quei popoli, creando così una totale disinformazione in occidente.
Quanti hanno realmente compreso che fin dal primo anno e mezzo di guerra la cosiddetta opposizione siriana non esisteva più, non aveva più da dire una sua parola? Chi comandava e chi dirigeva le operazioni erano le varie organizzazioni venute dall’estero, tutto andava verso una direzione che dapprima è sfociata nella creazione del califfato del Levante e poi nella organizzazione attuale del Califfato con il proprio califfo El-Baghdadi (ben conosciuto da chi l’aveva prigioniero e lo ha liberato) e l’esercito dei tagliagole di ISIS. L’ISIS ha fatto e continua a fare il bello ed il cattivo tempo in Siria ed in Iraq, creando migliaia e migliaia di sfollati, ha tagliato gole a centinaia di persone: cristiani, yazidi, sciiti, sunniti, che non erano del loro stesso parere, ha venduto le donne come schiave o per altro scopo, soprattutto se vergini.
Noi di tutto questo siamo stati edotti dai Mass Media, abbiamo gridato condannando con ottima retorica questi orrori, però non abbiamo fatto più di tanto, perché non toccavano i nostri interessi.
Quando i tagliagole di ISIS hanno osato avvicinarsi ai nostri interessi, quando hanno assassinato due-tre nostri fratelli occidentali, allora immediatamente s’è gridato allo scandalo: 'questo è inammissibile, dobbiamo agire'. Sì, dobbiamo agire! E le teste tagliate prima, non ci hanno fatto riflettere?
La riflessione che è stata fatta da un personaggio che fino due anni addietro era la stratega incontrastata della politica in Medio Oriente, e ha cavalcato il cavallo delle cosiddette “primavere arabe” a suo piacimento nei differenti paesi dove quel cavallo ha corso, questo personaggio, oggi, dinanzi al potere sfrenato e tanto potente di ISIS, ha dichiarato; “ora dobbiamo combattere ciò che abbiamo creato”.
Nel mondo arabo esiste un proverbio che suona così: “Chi è riuscito a far salire l’asino sul minareto, conosce anche la strada come farlo scendere”.
Sembra che la strada per far scendere l’asino dal minareto debba essere quella della coalizione che include pure gli stati arabi come l’Arabia Saudita, il Qatar ed altri, oltre che armare circa 50.000 siriani della cosidetta opposizione moderata al Presidente Bashar El-Assad.

Io non sono e non intendo essere affatto un politico. Però il progetto accennato sopra per far scendere l’asino dal minareto zoppica fortemente. Zoppica perché i paesi arabi della coalizione, intervenendo in Siria vanno a nozze, perché finalmente hanno una copertura per prendersi la rivincita su colui che non ha concesso loro il passaggio del pipeline e del gasdotto. Hanno tentato di prendersi la rivincita armando e sostenendo ISIS, ma ora, temendo che questo possa arrivare fino a loro, è bene combatterlo a casa di chi ha fatto loro l’affronto del rifiuto, prima che arrivi a casa loro e faccia saltare per aria tutto il loro sistema.
La seconda riflessione è questa: se la scelta è armare circa 50.000 'siriani dell’opposizione moderata' e prepararli a combattere ISIS, signori, ci rendiamo conto che giochiamo ignorando pure il significato del termine moderato? Il moderato è tale proprio perché non ha mai preso le armi in mano. Ha fatto opposizione dialettica e con la propria intelligenza ha tentato di far capire a chi di dovere che le cose dovevano cambiare. Costoro hanno avanzato delle richieste che, come abbiamo già detto, sono state concesse. Il braccio facinoroso ed armato è fin dall'inizio sceso in piazza con attentati, aiutato immediatamente dai salafiti arrivati dalla Giordania, non è certamente l’opposizione moderata che ha fatto salire l’asino sul minareto....
Chi ritiene di essere il padrone del mondo, impari prima ad essere il padrone di se stesso!!!

lunedì 3 novembre 2014

La Siria é ancora viva. Aiutiamola...

E' l'appello di Naman Tarcha, giornalista siriano e Segretario del Coordinamento per la Pace in Siria. Il neonato Coordinamento, costituito a luglio di quest'anno, nasce dalla volontà di ridare voce ai siriani.


 Quali sono gli obiettivi del Coordinamento per la pace in Siria?
Vogliamo ritornare a fare luce sulla Siria: per anni la situazione nel Paese è stata raccontata secondo il punto di vista di una sola parte, quella degli interessi dell'Occidente. Vogliamo creare uno spazio alternativo di informazione che attraverso tutti i canali sostenga i siriani ridando loro voce.

Come è possibile, al di là di un'informazione alternativa, sostenere il popolo siriano?
Partendo da progetti, anche piccoli, ma concreti. Purtroppo accade spesso che i fondi destinati a popoli sofferenti non arrivino mai: in guerra, forse più che in pace, c'è sempre qualcuno che cerca di lucrare sulle sofferenze altrui. Il Coordinamento per la pace in Siria non crea progetti ad hoc bensì segue e sostiene i progetti siriani che già esistono. La Siria infatti, a differenza di quanto credono in molti, non è affatto un Paese morto: certo, una parte del Paese è stata completamente distrutta ma ve ne è un'altra che sta lottando con tutte le forze per rialzarsi, per tornare a vivere. A noi piace molto la definizione della Siria come La Fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Il Coordinamento per la pace in Siria vuole fare da ponte tra i numerosi enti, associazioni siriani impegnati in progetti di ricostruzione ed enti, associazioni italiani che si occupano di aiutare il prossimo in diversi campi.
Per esempio, in Siria un interlocutore importante è rappresentato dai frati francescani nella figura del vicario apostolico di Aleppo George Abu Khazen. Per questo cerchiamo di promuovere anche gemellaggi tra diocesi siriane e diocesi italiane, o tra quanti in Siria cercano di valorizzare i beni culturali e quanti lo fanno in Italia. Scopo del Coordinamento è di individuare partner italiani che entrino in contatto con realtà siriane che stanno concretamente cercando di ricostruire il Paese. Inoltre, prima c'era una cooperazione con l'Italia molto significativa nel campo medico che vogliamo ripristinare, ma anche nei settori industria e commercio, essendo la Siria da sempre primo partner con l'Italia, attraverso piccoli progetti per creare occupazione. Vogliamo essere un vero e proprio call center, una voce per quelle associazioni della società civile che vogliono aiutare dando così vita ad un circolo virtuoso per ridare speranza al popolo siriano.

Può farci qualche esempio di questi progetti?
Crediamo che per ricostruire un Paese provato come la Siria, è fondamentale il ruolo della scuola. Solo educando le generazioni più giovani si può restituire speranza al Paese tutto. Per questo il Coordinamento fa da ponte tra scuole siriane che a causa della guerra sono state trasformate in centri di accoglienza e scuole italiane che vogliono aiutarle a tornare a essere centri di educazione.

 Inoltre, Le accennavo prima alla promozione del patrimonio artistico: la Siria ha un patrimonio culturale e architettonico ricchissimo che è stato in parte distrutto dalla guerra ma che i siriani stanno tenacemente cercando di ricostruire, come i resti romani vicino ad Aleppo o quelli di Damasco.
I segnali della volontà del popolo siriano di tornare a vivere sono numerosi: a Homs i muri della città sono stati ripuliti e ridisegnati con immagini di fiori, sole, insomma di vita.
 A Latakia i cittadini si sono organizzati per ridipingere i muri delle scuole, a Tartus un gruppo di volontari ha ridato vita ad un parco giochi, a Damasco sono stati rimessi in ordine numerosi spazi verdi, ad Aleppo, che, molti non sanno è una città di 4 milioni di abitanti, giovani volontari si sono organizzati per pulire le strade.
Una parte della città, quella a nord, è in mano ai terroristi, ma ve ne è un'altra che vuole risollevarsi e sta usando tutte le sue forze per farlo.

 Oltre alla cura del patrimonio e dell'ambiente, i siriani hanno anche dato vita a progetti di occupazione femminile e stanno rimettendo in piedi imprese storiche che sono state costrette a chiudere a causa della guerra.
Non mancano poi iniziative curiose come il flashmob promosso da giovani musicisti siriani del Conservatorio di Musica nelle strade di Damasco. 
Tutti segnali questi di come la Siria non sia affatto un Paese morto: sotto le ceneri della guerra, c'è una fiamma che attende solo di riaccendersi. Per farlo ha bisogno del sostegno di enti e associazioni che per loro stessa vocazione aiutano il prossimo. 

Il Coordinamento fa appello alla società civile. Crede che la politica debba fare pubblica ammenda rispetto a scelte sbagliate nei confronti del popolo siriano?
Credo che ci sia una indubbia responsabilità politica che va denunciata, sia che questa responsabilità sia causata da ignoranza o da malafede. Ora, per esempio, si parla tanto dei profughi siriani: benissimo purché si parli anche della popolazione siriana che deve convivere a fianco dei terroristi e che, come dicevo sopra, sta lottando per rimettersi in piedi. Dal momento poi che i canali politici tra la Siria e l'Italia sono chiusi a causa dell'embargo e delle sanzioni europee che colpiscono i siriani, non ci resta che fare appello alla società civile.


Crede che il governo italiano debba riaprire il dialogo con il governo siriano?
E' necessario riaprire i canali ufficiali altrimenti ci troviamo di fronte alla classica situazione del cane che si morde la coda. Le faccio un esempio: il più grande ospedale della Siria per la cura dei tumori si trovava ad Aleppo. E' stato completamente distrutto. Il Coordinamento sta cercando di portare dei medici ad Aleppo dal momento che la città è stata letteralmente abbandonata dai medici che non possono più lavorare ma a causa dell'embargo non ci sono né medicinali né attrezzature. Come le dicevo, fin quando i canali ufficiali rimarranno chiusi, l'unica strada percorribile è quella della società civile.

Come si può aiutare il Coordinamento per la Pace in Siria?
Chi volesse aiutare può dare un sostegno diretto al Coordinamento attraverso una donazione sul nostro sito www.siriapax.org o può segnalarci enti o associazioni che hanno voglia di aiutare indicando il campo di azione di tali realtà. Sarà poi nostro compito mettere in comunicazione queste realtà italiane con quelle siriane.

domenica 2 novembre 2014

Costruire, non distruggere ...


Coordinamento Nazionale per la pace in Siria Editoriale, 16 ottobre 2014

Sempre e comunque distruzione. Questa sembra la sola azione, la sola risposta ai problemi che la nostra civiltà democratica riesce a trovare di fronte a situazioni fuori controllo. E chissà, poi, se sono veramente fuori controllo. C’è perlomeno il sospetto che forse questa distruzione qualcuno l’ha anche voluta e la vuole, sospetto più che lecito dato il giro di milioni e milioni di dollari che ruota da anni attorno a questa guerra.
Ma non tutti, noi no, questo abominio non lo vogliamo! Certamente no, se intendiamo per “noi” tutti coloro che si mettono di fronte alle notizie sulla 'guerra siriana' con il desiderio di capire cosa stia succedendo e cosa si possa fare.
Ma allora perché, perché mai accettiamo senza, letteralmente, insorgere di fronte a tutto questo? perché ci sentiamo rassicurati , o almeno convinti della necessità di rispondere alla violenza con altra violenza? perché riescono così facilmente a farci credere che armarsi, armare e intervenire è la soluzione giusta, l’unica possibile ?
Sembra che oggi l’unico motivo per alzare gli occhi al cielo sia per ricercarvi aerei e droni, i nuovi feticci dell’uomo tecnologico, gli ambasciatori della nostra democrazia, pronti a riaggiustare le ingiustizie, a portare libertà e sicurezza al mondo a suon di missili.

Si potrebbe obiettare che persino i cristiani- o almeno una parte di essi- gravemente minacciati in Iraq e altrove, hanno invocato l’intervento militare. Certo, si può capire: voi cosa avreste fatto, se vi foste trovati con una milizia di jihadisti all’entrata della vostra città? E’ normale chiedere l’intervento della forza, quando ci si trova con un coltello alla gola, i figli trucidati, le figlie minacciate nella dignità e nella vita…
Quello che non è normale è che in tutti questi anni, tanti ormai, non si è saputa trovare altra soluzione, altro intervento che 'fornire armi non letali ai ribelli moderati', e che tale rimanga tuttora la scelta reiterata: posizione del tutto assurda, anzi si dovrebbe dire ridicola, se non avesse portato con sé conseguenze così tragiche.
Non è normale che non siamo riusciti a creare nessuna vera possibilità di dialogo ( non le pagliacciate di assemblee che non rappresentavano nessuno, se non gli interessi privati di tante componenti),  non siamo riusciti a far sedere allo stesso tavolo le parti in causa. Non è normale aver contribuito ad attizzare l’odio confessionale, la divisione cruenta e la persecuzione, in un paese che volevamo liberare…Abbiamo distribuito armi e cellulari, “il meglio della nostra vita” !!
Riusciremo almeno ad ammettere che abbiamo sbagliato tutto, che non abbiamo capito nulla ?

Molte voci, anche nella chiesa, si sono alzate contro un intervento militare esterno ai paesi coinvolti (ed è da capire bene, non si tratta di stolido pacifismo, ma di rispetto delle popolazioni coinvolte, che hanno il diritto di decidere del loro destino).
Ma eccoli là, i cacciabombardieri dell’ultima coalizione. Da tre anni almeno aspettavano di potersi alzare sui cieli del Medio Oriente. Eccoli, pronti a intervenire, e a difendere anche noi dalla minaccia, perché -adesso le cose ci toccano più da vicino…rischiamo anche noi qualcosa- la jihad arriva in Europa!- meglio darsi da fare…
Credete davvero che si alzino per difendere le popolazioni locali del martoriato MedioOriente ? o per proteggere noi ? Molto più probabile che altri siano i veri motivi… Magari impedire all’Europa di acquistare gasolio a basso costo, diminuendo il vantaggio acquisito con lo shale gas. L’Europa se lo meriterebbe anche, perché piangere sui crimini dell’Isis e acquistarne il petrolio è peggio dello sciacallaggio. Ma il problema non è l’Europa, è quello che accade sui territori devastati. E sulle speranze devastate della gente locale .
Centinaia di raid senza ottenere granché, ed anzi permettendo all’Isis di avanzare verso la Turchia.. Non è un po’ strano ?
E, già che ci siamo, perché non terminare di distruggere le poche infrastrutture siriane ancora rimaste, colpendo qualche centrale elettrica, i silos del grano…
E si potrebbe continuare..,

Ma su questa strada sembra non si arrivi a nulla. Tante cose sono state dette, tante cose dimostrate, e non cambia nulla, chi dovrebbe ascoltare non ascolta, chi vuole capire viene depistato da una nuova falsa informazione.
Allora, lasciamo perdere tutto questo.
Ma facciamo qualcosa. Cosa? Procediamo ragionando.
 
  • Il contrario di distruggere è costruire. Ci sono già in atto progetti di ricostruzione, di scolarizzazione, di aiuto professionale o medico, altri ce ne saranno. Se decidiamo di aiutare, aiutiamo in questo senso. Contattiamo le persone e le iniziative giuste. Quelle che vogliamo, ma per favore verifichiamole di persona, informiamoci, rendiamoci conto di dove vanno a finire i nostri contributi e i nostri sforzi ! Non accontentiamoci di essere genericamente “buoni”, la posta in palio è grossa. E ci stanno usando per fini che non sono i nostri.
     
  •  Il contrario di sfruttare, è creare occasioni, opportunità. Creiamo un movimento internazionale di pressione perché si tolgano le sanzioni al popolo siriano. E’ inutile lamentarsi della corruzione, della quantità di giovani che aderiscono all’Isis, o di quelli che fuggono dalla Siria e dai paesi in guerra. Se non ci sono opportunità per il futuro, se non si può lavorare perché non ci sono le materie prime, se non si può vivere perché i prezzi imposti dalle varie mafie di guerra sono altissimi, come si fa a chiedere di restare in un paese, e restarci senza violenza e corruzione? #togliamolesanzionialpopolosiriano ? si potrebbe fare…
     
  • Il contrario di essere indifferenti è essere responsabili. Boicottiamo in qualche modo l’acquisto del petrolio dai violenti, e il traffico di armi. E che dire dei proventi dal narcotraffico jihadista, dalla rapina dei tesori archeologici , dai sequestri anche di occidentali? Occorre dire di più ? No, ma facciamolo. Almeno, chiediamolo a gran voce. Chiediamo conto alle nazioni dei loro interventi di politica estera.
     
  • Il contrario di manipolare è rendere libere le menti. Creiamo possibilità di scambi, di cultura, di crescita. “E’ impossibile, è un mondo in cui è difficilissimo entrare con progetti educativi..”. Ah, questa è proprio bella: forse era anche vero, prima, ma adesso sono entrati in Siria in modo clandestino milioni di dollari per la guerra, tonnellate di esplosivi, missili antiaerei, migliaia di jihadisti…E non riusciremo a trovare il modo di chiedere legittimamente al governo di far entrare progetti educativi ??
     
  • Il contrario di avere pregiudizi è conoscere, conoscersi. Si possono sprecare fiumi di inchiostro per dire se l’Islam è o no è violento alla sua radice. Ma il punto non è questo. Il punto è che ci sono musulmani non violenti. E’ mai possibile che non ci siano mezze misure : o una incredibile ingenuità di fronte al progetto di un islam politico (che altroché se esiste!) ,  o la paura irrazionale del diverso di fronte al credente musulmano o di un’altra fede? Ma la realtà è molto più sfumata, la vita è più ampia, la natura umana è più ricca..
Occorre avere gli occhi aperti, essere consapevoli che il potere, l'istigazione alla rivendicazione rabbiosa ( e la paura del nulla) spingono la vita di molti nostri contemporanei a compiere violenze e soprusi. Ma non dobbiamo diventare cinici, col cuore indurito di fronte alla vita: ci sono anche uomini e donne di tutte le fedi che vogliono convivere in pace, cercare il bene comune, costruire il loro futuro con speranza e non in perenne guerra gli uni con gli altri.
 Donne e uomini così ci sono. E fra questi possiamo sempre esserci anche noi. Se scegliamo di essere informati al di là delle apparenze e dei pregiudizi, impegnati nella ricerca del bene per tutti, veri nelle nostre convinzioni morali e religiose, disposti a chiederci sempre il senso di quello che pensiamo e viviamo. Insomma se non svendiamo il nostro essere uomini.
 
- Coordinamento Nazionale per la pace in Siria -

http://www.siriapax.org/?p=1790