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domenica 14 settembre 2014

Come si combatte l'Isis?

«Chi ha fatto salire l’asino sul minareto, lo faccia scendere»



Intervista a padre George Abu Khazen, vicario apostolico di Aleppo


Padre George Abu Kha­zen, liba­nese, è vica­rio apo­sto­lico dall’anno scorso di Aleppo, la straor­di­na­ria e sto­rica città per le sue vesti­gia cul­tu­rali, ora deva­stata dalla guerra civile in corso. Il vica­rio vive nella città siriana dal 2004. Lo abbiamo incon­trato a Roma.

Il pre­si­dente degli Stati uniti Barack Obama ha costruito un’«alleanza con­tro il calif­fato» che com­prende oltre a vari paesi della Nato, le petro­mo­nar­chie arabe. L’idea è bom­bar­dare anche la Siria…cosa ne pensa?
Nei paesi arabi c’è un pro­ver­bio: «Chi è riu­scito a far salire l’asino sul mina­reto, saprà anche come farlo scen­dere». Ebbene, chi lo ha fatto salire? In fondo lo ha detto la stessa Hil­lary Clin­ton: «Adesso com­bat­tiamo quel che abbiamo creato».
 Per fer­mare l’Isis e gli altri ter­ro­ri­sti, biso­gna prima di tutto imporre ad Ara­bia sau­dita, Qatar, Tur­chia e anche Usa di tagliare qua­lun­que rifor­ni­mento o finan­zia­mento agli assas­sini, anche quelli per vie tra­verse come è suc­cesso in Siria con il soste­gno alle varie bande armate.
E poi chi com­pra a buon mer­cato il petro­lio ven­duto da que­sti taglia­gole? Io sono con il Santo padre, che ha detto di fer­marli, non di bom­bar­dare paesi. Abbiamo visto che gli inter­venti di guerra degli ame­ri­cani e dei loro alleati non sono mai andati a buon fine, in pas­sato, pro­vo­cando solo distru­zione e morte… Pensiamo all’Iraq, e alla Libia.

La con­vi­venza in Siria è finita?
In Siria con­vi­vono da secoli tanti gruppi reli­giosi. E tanti popoli: que­sto paese, ora ber­sa­gliato dalla guerra e dalle san­zioni eco­no­mi­che, in pas­sato ha accolto cen­ti­naia di migliaia di ira­cheni, pale­sti­nesi, liba­nesi, suda­nesi. E, sot­to­li­neo, non ha mai creato dei campi pro­fu­ghi fatti di tende, come adesso nei paesi cir­co­stanti, nei quali sono fug­giti tanti siriani. L’Isis, ma anche al Nusra e altri gruppi minac­ciano o ucci­dono chi non accetta il loro set­ta­ri­smo. Noi lo diciamo da anni ma non ci hanno ascol­tati; adesso tutto il Medio Oriente è a rischio, soprat­tutto se crol­lasse l’istituzione sta­tale in Siria.

Com’è la situa­zione ad Aleppo?
È tra­gica. Come in tutto il paese. Dopo que­sti anni di guerra, adesso l’avanzata dell’Isis in Iraq e anche verso Aleppo ter­ro­rizza ulte­rior­mente la popo­la­zione. Il 60% dei cri­stiani della città (erano circa 200mila) è andato via, se pos­si­bile all’estero. Sono rima­sti i poveri…Nei quar­tieri abi­tati in pre­va­lenza da cri­stiani ci si sente asse­diati, anche se un po’ più al sicuro per­ché sono con­trol­lati dall’esercito nazio­nale. A lungo i gruppi armati anti­go­ver­na­tivi – ai quali si mesco­lano anche delin­quenti comuni — hanno cir­con­dato buona parte di Aleppo. Man­cava tutto, pane, frutta, acqua, com­bu­sti­bile. Adesso c’è un pas­sag­gio per far entrare l’essenziale. Ma la vita è molto dif­fi­cile. Anche tutte le fab­bri­che sono distrutte, sac­cheg­giate. Non si lavora…solo chi è nella pub­blica ammi­ni­stra­zione o i pen­sio­nati hanno ancora una fonte di red­dito. Quanto agli ospe­dali, fun­zio­nano ma ai minimi ter­mini, e tanti medici sono andati via. Chi è rima­sto fa un ser­vi­zio enorme.

Cosa fanno i reli­giosi cri­stiani ad Aleppo?
Innan­zi­tutto va detto che per­fino fra i reli­giosi stra­nieri – donne e uomini — non se ne è andato nes­suno; abbiamo sul posto afri­cani, lati­noa­me­ri­cani, europei…Siamo attivi nell’assistenza uma­ni­ta­ria e nel con­forto. Cer­chiamo anche di ripri­sti­nare i ser­vizi; quando hanno fatto sal­tare l’acquedotto ho fatto sca­vare un pozzo, l’acqua era a 152 metri…un po’ tor­bida, ma che gioia. Le mense delle suore di madre Teresa, delle fran­ce­scane, dei fra­telli mari­sti, dei gesuiti fun­zio­nano per tutti, cri­stiani e musul­mani. Un’organizzazione cari­ta­te­vole musul­mana che dà allog­gio ad anziani e disa­bili si è tro­vata ad un certo momento in piena zona di bat­ta­glia; si sono spo­stati da noi, nella casa chia­mata «Gesù ope­raio». È così in tanti posti.
Que­sto aiu­terà la ricon­ci­lia­zione, se e quando la guerra finirà.  Se dall’esterno smet­te­ranno di sostenerla.

http://ilmanifesto.info/chi-ha-fatto-salire-lasino-sul-minareto-lo-faccia-scendere/

APPROFONDIMENTI

1- L'ISIS e  le bombe apportatrici di "pace e speranza" per l'umanità


  leggi qui:  http://www.piccolenote.it/20357/lisis-e-le-bombe-apportatrici-di-pace-e-speranza-per-lumanita


2- Strategia Obama: il pretesto della guerra all’ISIS per mettere le mani sulla Siria



3- Gli USA non disdegnano nella coalizione Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita che hanno avuto un ruolo nell’ascesa al potere di Isis, mentre è tenuta fuori la Siria (obiettivo di ISIS).

  leggi qui:  http://www.vietatoparlare.it/25636/

giovedì 11 settembre 2014

"Dopo aver supportato tutti questi gruppi estremisti, ora li si combatte...."

Combattere lo Stato islamico. Obama sceglie i sauditi; il Vaticano sceglie l'Onu

Il presidente Usa lancia il programma di lotta contro le milizie del califfato. Nell'alleanza da lui costruita vi sono gli Stati che hanno sostenuto l'Isis dal punto di vista economico e ideologico. Sono esclusi la Siria, l'Iran e la Russia. Il papa, il card. Sandri, mons. Tomasi, osservatore vaticano all'Onu, chiedono che ci si muova con l'Onu


AsiaNews - 10/09/2014

di Bernardo Cervellera

Non sembra vi sia molta intesa fra la Chiesa cattolica e Barack Obama su da farsi in Iraq. Mentre il presidente Usa sta per lanciare il suo programma di lotta allo Stato islamico (SI), con un'alleanza di 40 Stati, capeggiata da Washington, alcune personalità vaticane - dopo papa Francesco e mons. Tomasi - sottolineano l'importanza di far passare ogni iniziativa attraverso l'Onu.
A poche ore dall'annuncio di Obama , il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione vaticana per le Chiese orientali, incontrando i vescovi statunitensi ha chiesto loro, "come cittadini americani", di "sostenere il ruolo delle Nazioni Unite, presenti in particolare a New York, quale organo appropriato per le decisioni e gli interventi concreti in materie che riguardano le preoccupazioni generali e internazionali".
Il card. Sandri era a Washington per ringraziare la Chiesa degli Usa per il sostegno umanitario e sociale che essa dà alle comunità cristiane della Terra Santa e soprattutto dell'Iraq e della Siria.
Agli inizi di settembre, anche mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha sottolineato l'urgenza di un impegno internazionale di "protezione" verso le minoranze offese dell'Iraq assunto "in buona fede", nel quadro del diritto internazionale e del diritto umanitario.

In un'intervista data alcuni giorni fa, Obama ha preannunciato che "ridurremo via via le loro capacità; restringeremo il territorio che essi [lo SI] controllano; e infine li vinceremo".
Il piano prevede anche un controllo delle frontiere internazionali per fermare l'arruolamento di giovani occidentali nelle file dei miliziani jihadisti; la condivisione delle informazioni fra gli Stati; un aiuto economico e militare alle milizie islamiche che combattono Assad e che nell'ultimo anno sono stati sempre più emarginati e vinti dall'Isis.
All'alleanza contro lo SI partecipano i Paesi Nato (compresa la Turchia), e un buon gruppo di Paesi arabi: sauditi, Bahrain, Emirati, Kuwait. Il Qatar rimane ambiguo. Il motivo: esso è fra i maggiori finanziatori dello SI, pur essendo un alleato degli Usa e permettendo ad essi l'uso della base aerea di Udeid. Il punto è che tale ambiguità si estende a tutti i Paesi arabi che nella lotta contro Bashar Assad hanno finanziato le milizie islamiche, foraggiato il jihad, aiutato i miliziani ad addestrarsi nelle loro frontiere (Turchia). Per non parlare delle armi vendute da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania ai sauditi, al Qatar e agli emirati, passati poi nelle mani dell'opposizione islamica in Siria e quindi nelle mani dello SI.
Da questo punto di vista, il piano di Obama rischia di essere inefficace: anzitutto perché escludendo truppe di terra, è molto difficile vincere una guerra contro i miliziani solo con dei raid aerei. In secondo luogo, è difficile combattere contro un esercito islamico avendo come alleati proprio i suoi finanziatori economici ed ideologici. Infine, non si comprende perché in questa lotta contro la crudele egemonia dello SI si devono escludere Stati che hanno molti motivi per contrastare la sua diffusione: la Siria, l'Iran, la Russia e forse la Cina.
Certo, Assad è un dittatore, ma la sua statura morale non è né migliore né peggiore dei re sauditi, o del Kuwait, o dell'emiro del Bahrain. Lo stesso si può dire dell'Iran il cui atteggiamento verso i cristiani è 1000 volte più tollerante di quello dell'Arabia saudita.
Tali contraddizioni ed esclusioni fanno temere che questa alleanza dietro agli Usa servirà solo a confermare gli interessi particolari dei partner arabi: emarginazione dell'Iran, sovvertimento di Assad, sbriciolamento dell'Iraq e del Medio oriente. Il tutto avendo come sicario gli Stati Uniti d'America e mettendo la liberazione di Mosul e Qaraqosh all'ultimo posto delle loro priorità.
Far passare attraverso l'Onu un intervento - doveroso - contro l'ex Isis potrebbe invece aprire una collaborazione ancora maggiore nella comunità internazionale: perfino l'Egitto ha fatto sapere ad Obama che il loro impegno militare è assicurato solo con l'Onu.
I consigli del papa, del card. Sandri, di mons. Tomasi non sono delle osservazioni o esortazioni spirituali, ma buona politica internazionale per una guerra che non produca più disastri, ma fermi davvero l'aggressore e metta le basi per la pace in Medio Oriente.

http://www.asianews.it/notizie-it/Combattere-lo-Stato-islamico.-Obama-sceglie-i-sauditi;-il-Vaticano-sceglie-l'Onu-32119.html


Patriarca Fouad Twal: «Per la pace in Medio Oriente ascoltare la voce delle Chiese»

«L’Occidente dovrebbe intervenire in modo logico, non intervenire solo quando i suoi interessi sono minacciati… La comunità internazionale e l’America ci hanno 'regalato' tutti gli estremisti, tutti questi pazzi dell’Europa che hanno trovato rifugio in Siria». Così Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, commenta riguardo alla questione irachena e in questa intervista con efficace chiarezza richiama l’attenzione sulla tragedia di Gaza e sulla voce inascoltata dei patriarchi delle Chiese in Medio Oriente. 


Avvenire, 5 settembre 2014
di Stefania Falasca

Dopo l’accordo per il cessate il fuoco si pensa ora alla ricostruzione di Gaza. Per chi rimane nella Striscia quale possibilità di cambiamento vede in prospettiva? 
In questi giorni il vescovo ausiliare e l’amministratore del patriarcato di Gerusalemme hanno ottenuto il premesso di visitare Gaza. La tregua va bene, ma è un risultato raggiunto dopo la morte di oltre duemila palestinesi e una distruzione quasi totale. Non è la prima volta che la popolazione della Striscia paga simili conflitti. Ora abbiamo davanti una nuova costosa ricostruzione in termini di denaro, in termini umani. Ma io mi chiedo: distruggere Gaza, distruggere tutto un popolo e poi pensare di ricostruirlo… perché si è dovuto arrivare a questo? Chi curerà le ferite interiori? Chi quelle di tanti bambini che hanno visto l’orrore e la morte dei loro familiari? Io dico che se le condizioni sono e restano le stesse di prima della guerra, se queste condizioni non cambiano, noi continueremo ad avere gente disperata, prostata, frustrata. Continueremo ad allevare odio ed estremisti. E pagheremo tutti il risultato di questa politica. 

Come si può arrivare ad un giusto accordo e a una pacificazione? 
Per arrivare a un punto d’accordo giusto e a una giusta pace nella Striscia di Gaza occorre che ciascuna delle parti si metta un po’ al posto dell’altro. Tocca soprattutto ai grandi, ai politici, ai dirigenti avere un briciolo di logica e ad agire e lavorare realmente a favore di una pacificazione costruttiva. Anche la comunità internazionale da fuori deve avere questo sguardo e avere il coraggio di dire la verità, seppure non piace a tutti. Il fatto cioè che tutti abbiamo la stessa dignità, tutti abbiamo gli stessi diritti e doveri. C’è una legge chiave della politica internazionale che si chiama 'reciprocità'. Bisogna che si applichi questo principio. 

La Chiesa in Terra Santa può favorire questa prospettiva? 
Credo che tutte le Chiese cristiane che da secoli sono qui abbiano elementi in più per aiutare ad avere una visione completa. Possono aiutare ad avere quel giudizio equilibrato e quello sguardo orientato al bene di tutti, che le parti coinvolte nel conflitto faticano ad avere. La presenza delle Chiese cristiane è una presenza che è lontana dal fanatismo politico o religioso che si vedono nell’una o nell’altra parte. 

Il parroco di Gaza è stato ricevuto e incoraggiato dal Papa. 
Il fatto che il parroco sia rimasto lì durante il conflitto ha quindi un significato non solo per la Chiesa in Terra Santa? 
Noi rimaniamo accanto alla nostra gente, siamo dentro alla realtà, qualsiasi essa sia. Stiamo dentro alle sofferenze della gente e le nostre chiese sono sempre aperte a tutti. Questo mostra chiaramente chi siamo, qual è la nostra autentica identità. A Gaza come in Siria, come in Giordania, come anche in Iraq. 

La Comunità internazionale dovrebbe quindi, secondo lei, ascoltare anche la voce delle Chiese del Medio Oriente? 
Consultare il parere dei pastori delle Chiese che stanno, che vivono sul posto potrebbe contribuire a prendere giuste decisioni, potrebbe evitare tanti passi sbagliati. Non ascoltare la voce dei patriarchi delle Chiese ha portato a tanti sbagli. Purtroppo la politica che si persegue nell’area è una politica di interessi. Una politica che elude il grido dei pastori. La nostra presenza o la nostra non presenza qui, per la comunità internazionale, dice poco. 

Può fare un esempio di questa politica? 
Basta pensare a Gheddafi. Per quarant’anni è stato trattato come amico. Dopo quarant’anni hanno scoperto che era cattivo. Ma c’erano altri che erano anche peggio di Gheddafi e non sono stati toccati. Si cambiano i regimi e si distruggono Paesi solo per favorire certi interessi. 

Ma cosa deve fare l’Occidente per difendervi e difendersi dagli estremisti?
 
Intanto l’Occidente dovrebbe intervenire in modo logico, non intervenire solo quando i suoi interessi sono minacciati. In uno dei discorsi pronunciati in Giordania, rivolgendosi ai popoli della Siria il Santo Padre definiva 'criminali' quelli che vendono armi. 

Nell’omelia che lei di recente ha tenuto a Siracusa ha affermato che «l’Isis inizialmente è stato supportato dalla comunità internazionale». Può spiegare questa affermazione? 
Io ritorno alla Siria, perché tutto è cominciato da lì. Per abbattere il regime di Assad la comunità internazionale aveva supportato questi gruppi estremisti. La comunità internazionale e l’America ci hanno poi 'regalato' tutti gli estremisti, tutti questi pazzi dell’Europa che hanno trovato rifugio in Siria per combattere contro un regime che non piaceva all’America, non piaceva a Israele e alla comunità internazionale. Il regime sta ancora in buona salute e i morti aumentano di numero. È una politica cieca. 

Si è considerato però anche il silenzio di molti leader del mondo arabo sia per quanto avvenuto a Gaza sia rispetto al conflitto per il potere jhaidista in Iraq... 
Non sono mancati articoli di intellettuali islamici, di singoli musulmani che hanno espresso la loro contrarietà di fronte agli attacchi, alle violenze e all’ideologia degli jhaidisti. Ma da parte di molti governi dei Paesi arabi è mancata e manca totalmente una chiara e netta dichiarazione e posizione. Non c’è. Anche questi governi hanno evidentemente i loro interessi da proteggere. 

Il problema del fondamentalismo comunque resta. A suo parere come si può combattere? 
La nostra domanda è: chi è dietro, chi alimenta il fanatismo? 
Ma chi esalta in nome di Dio la violenza può essere neutralizzato solo da una buona e sana educazione. Se questa educazione non c’è si pagano i risultati. Il punto è questo. Tutto dipende da cosa s’insegna ai nostri bambini. Una cattiva educazione predispone al fanatismo, una buona educazione prepara le basi per un dialogo vero che tutti vogliamo. Il fanatismo, il fondamentalismo si trovano in diverse parti, non è una caratteristica solo degli islamisti, di fanatici rappresentanti dell’Islam. Ci sono anche da parte israeliana. 

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/Per%20la%20pace%20in%20Medio%20Oriente%20ascoltare%20la%20voce%20delle%20Chiese%20.aspx

mercoledì 10 settembre 2014

Di cosa c'è bisogno in Siria? : 'Riconciliarsi e farli fuori'

MAALOULA:  MARTIRI DELLA FEDE




Video di Samaan Daoud: testimonianze sul martirio di Antonio, Michail e Sarkis , uccisi per Cristo a Maaloula 



 7 settembre 2014, San Giovanni da Lodi

Caro Direttore,

in Siria “c’è bisogno di perdono, di riconciliazione, di ricostruire il tessuto sociale” e al contempo “c’è bisogno di farli fuori”.

E’ insolito sentire dalla stessa voce due affermazioni che sembrano in contraddizione. Ci sono conferenzieri che spingono sul perdono e la riconciliazione in Siria. Altri che incitano allo sterminio dei jihadisti. Il siriano Samaan Daoud ha parlato mercoledì 3 settembre nel salone parrocchiale di San Martino in Rio (strapieno) ed ha affermato entrambe le cose, senza timore di entrare in contraddizione.
“Damasceno di nascita, siriano di cittadinanza, cattolico di fede” Samaan vive la guerra in diretta, aiutando quei giornalisti seri ai quali “è rinato il desiderio di vedere a occhi aperti”: mostra loro la verità della guerra, della Siria, di Assad ultimo baluardo di sicurezza. Come cattolico che vive in Siria ha sperimentato per decenni la possibilità di vivere la fede all’interno di un contesto islamico: sa quindi che, se il perdono va rivolto a tutti, la riconciliazione e la ricostruzione del tessuto sociale non possono raggiungere tutti.
C’è un confine, aldilà del quale occorre agire e fermare i regimi criminali.

Chi ha letto “I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solov’ev ricorderà la discussione tra il vecchio generale russo e il Principe, fautore dell’Amore universale. Il generale rivendicava il titolo di “esercito cristiano” per la sua armata, in particolare quando sterminò un reparto di basci-buzuk, volontari irregolari dell’impero ottomano.
Finito il massacro, il generale dovette tenere a bada i suoi cosacchi, ai quali “prudevano le mani per andare a frugare nelle tasche dei morti”, col rischio di prendersi chissà quali pestilenze.
IL PRINCIPE: “Ecco com’è il vostro esercito cristiano!”
IL GENERALE: “Intendete parlare dei cosacchi!? Ma quelli sono dei veri briganti! Lo sono sempre stati.”
IL PRINCIPE: “Io mi domando in quale modo la guerra può essere «un’impresa grande, onorevole e santa» quando dalle vostre parole salta fuori che essa è una lotta di briganti contro altri briganti?”
IL GENERALE: “«Una lotta di briganti contro altri briganti». Però, vedete, negli altri c’è qualcosa di completamente diverso. O non penserete in realtà che compiere qualche spoliazione sia la stessa cosa che arrostire un bimbetto sui carboni ardenti sotto gli occhi della madre?” (Pratica eseguita dai basci-buzuk in un villaggio armeno, NdR) “Vi dirò una cosa. In tutta questa faccenda mi sento la coscienza così pulita che anche ora alle volte rimpiango con tutta l’anima di non essere morto dopo di aver dato il comando per l’ultima salva di mitraglia. E non ho il minimo dubbio che se fossi morto allora, mi sarei presentato direttamente all’Altissimo coi miei trentasette cosacchi caduti sul campo e avremmo certo occupato il nostro posto in paradiso accanto al buon ladrone evangelico”.
La discussione prosegue poi a lungo, sulla guerra e sull’amore evangelico. Credo però di aver estratto un punto essenziale: c’è una gradualità del male, c’è un’area nella quale è possibile riconciliarsi e ricucire i rapporti, e c’è un’area nella quale la “rigenerazione morale” del nemico colpevole risulta impossibile.
Occorre fermarli. Come? Con la guerra, visto che i basci-buzuk dei nostri tempi hanno creato uno Stato. E la guerra normale si svolge come invasione di una terra da parte di truppe, che mettono i nemici in condizioni di non nuocere. Nemici morti, come accade spesso nelle guerre. Nemici prigionieri, se capita.

Chi dovrà fare questo lavoro? Qui Samaan ha richiamato un proverbio : «Chi ha portato l'asino sul minareto sa come farlo scendere». Chi ha portato l’asino sul minareto? Ossia, chi ha consentito la fondazione del Califfato? Gli Stati Uniti con armi e finanziamenti (nonché con la distruzione dell’Iraq), vari stati occidentalisti (mi rifiuto ormai di chiamarli “occidentali”) in particolare quelli che hanno distrutto la Libia, trasformando il paese più prospero dell’Africa in un campo di addestramento per jihadisti, l’Arabia, gli Emirati del Golfo, la Turchia con la sua frontiera “spugnosa”: tutti questi hanno creato le condizioni per la nascita di quel particolare “islam politico” che gestisce il Califfato.

Chi ha creato questo orrore riconosca le sue colpe, chiuda frontiere, commerci sporchi e finanziamenti. E proceda in fretta per “farli fuori”.
 I poveri siriani, i poveri iracheni, non si salvano con l’ignavia.

Giovanni Lazzaretti

domenica 7 settembre 2014

Aleppo, l' addio che spezza il cuore




TO LEAVE OR NOT TO LEAVE

Aleppo,  Lettera n° 19

Rimanere o partire, questo è il dilemma a cui sono di fronte oggi, più che mai, i siriani, in particolare gli Aleppini. Cosa fare? Resistere ancora? Rimanere nonostante tutto quello che sta succedendo? Nonostante tutto ciò che soffriamo da oltre tre anni? Qual è la soluzione? Qual sarà il futuro? Ma anzitutto, ce ne sarà uno? Lasciare definitivamente il Paese? Andare a cercare altrove un futuro e, soprattutto, quello dei propri figli? Ma dove? E come? Fare una croce sul proprio passato? Lasciare tutto quello che si ha e ricominciare da capo? La litania di queste domande alle quali nessuna risposta è possibile è lunga e ci tormenta tutto il giorno. Le persone che temporeggiavano, che avevano lasciato le domande e le risposte in sospeso in attesa di vederci più chiaramente, o perché speravano in una prossima soluzione della crisi o semplicemente perché non avevano il coraggio di partire, lasciano ora un numero crescente la Siria, specialmente i cristiani, per prendere la via dell'esilio definitivo verso un paese che non hanno scelto. "Non importa dove vado, la cosa importante è che io lì ci arrivi e possa vivere in pace."

La pazienza del popolo si sta esaurendo: dopo 3 anni di conflitto siriano (con i suoi 192.000 morti, i suoi milioni di sfollati e rifugiati), non vede nessuna soluzione all'orizzonte. Inoltre, la sequenza degli eventi ha fatto perdere anche ai più ottimisti le illusioni. Prima il blocco durato diverse settimane della città, seguito dal taglio totale di acqua per più di due mesi , il tutto costellato da piogge di colpi e mortai che continuano a fare il loro raccolto quotidiano di morti e feriti. …

Ma la cosa peggiore è la paura che ti prende alle viscere, ispirata da questa banda di selvaggi che ha preso possesso di tutta la Siria orientale e del nord dell'Iraq per far prevalere uno Stato di diritto islamico che non ha nulla a che fare con l'Islam. Questo è una banda composta principalmente di stranieri, con cui i nostri compatrioti musulmani non si identificano affatto, che macellano, decapitano ( e non solo giornalisti americani), crocifiggono fino alla morte che ne deriva, lapidano le donne presunte adultere, frustano per punire (i fumatori, per esempio), seppelliscono persone vive, vendono le donne come schiave ... L'elenco delle loro barbarie e crudeltà è troppo lungo per essere integralmente riprodotto in questa lettera .

Ma è soprattutto la sorte dei cristiani di Mosul e Qaraqosh , così come di altre "minoranze" religiose (iracheni, tuttavia, allo stesso titolo dei musulmani, come gli Yezidi per esempio) che è stato l'evento-catastrofe. E 'questo che ha portato alla decisione dei siriani di lasciare il paese. Di fronte alla scelta di convertirsi o morire, oppure fuggire, centinaia di migliaia di persone hanno preso la strada dell'esodo, lasciando la terra dei loro antenati, le loro radici, la loro storia, e sono partiti senza essere in grado di prendere nulla con sè, nemmeno la loro fede nuziale o un po 'di soldi, espulsi come furono sterminati nel 1915 gli Armeni dalle mani ottomane durante il primo genocidio del 20 ° secolo.

Così Aleppo si è anch'essa spopolata dei suoi cristiani. Ne resterebbero poco più della metà (secondo stime ottimistiche) o perfino un terzo. Nei precedenti tre anni, sono stati il ricco e l'élite (medici, imprenditori, accademici ...) che hanno lasciato la città in attesa di giorni migliori, prima che il provvisorio diventasse definitivo. Ma di recente, si tratta di tutti, tutti vogliono lasciare: classe media, giovani, anziani, poveri, persone indigenti ... tutti spingono il cancello.  

E noi che possiamo dire, che cosa abbiamo da dire a tutti questi aspiranti immigrati? Dovremmo incoraggiarli o dissuaderli?
  Cosa possiamo dire a queste tre giovani coppie in partenza per il Libano che devono iscriversi all'Ufficio delle Nazioni Unite per i rifugiati per ottenere un visto d'immigrazione, che sono venuti da noi una settimana fa per dirci addio? Tre anni senza lavoro, è difficile per giovani famiglie a cui tutto sorrideva quando si erano imbarcati nella via professionale e coniugale da pochi anni...
  Che possiamo rispondere ai più poveri delle famiglie che aiutiamo materialmente e che non ne possono più di vivere nel povero quartiere di Midane, quotidiani bersaglio dei colpi dei ribelli? A coloro che hanno veduto i loro vicini uccisi o feriti e che temono per sé e per i propri figli? : "Vogliamo andarcene, aiutateci a completare le formalità, abbiamo cugini e fratelli in America Latina, ci aiuteranno a ottenere un visto."  
 Cosa consigliare, che dire a quelle persone che sono stanche di aspettare che "gli eventi" finiscano, che non ce la fanno più a sopportare la mancanza di acqua, di elettricità, di cibo, medicine, di denaro; o i colpi di mortaio e le sofferenze; che non vogliono che i loro figli crescano senza sapere null'altro che la guerra e aspirano infine, a un futuro di sicurezza, stabile, in pace. ... 

Che rispondere a questo medico disgustato dalla codardia dell'Occidente? : "I leader occidentali hanno qualificato la decapitazione del giornalista americano come atto barbarico. Bisogna ricordare loro che questi selvaggi che commettono atti di barbarie a casa nostra sono proprio quelli che sono stati incoraggiati, finanziati e protetti da loro stessi e dai loro alleati , con il pretesto di portare al popolo siriano la democrazia e la libertà! Tutto parte di un piano dal romantico nome di "Primavera Araba", che è successore di precedenti formulazioni tipo "caos costruttivo" e "Nuovo Medio Oriente". 
Questi selvaggi, chiamati dagli Occidentali 'ribelli o combattenti per la libertà' quando essi commettevano i loro crimini in Siria, sono improvvisamente "diventati" barbari e terroristi, quando alcuni dei loro effettivi si sono trasferiti in Iraq?

Cosa dire alle decine, centinaia di persone incontrate presso noi Maristi, nella strada o nel mio ufficio, che mi esprimono la loro angoscia e panico davanti al diluvio Daech (EIIL): "E se invadessero Aleppo? E se dovessimo subire la stessa sorte, come i cristiani di Mosul, dover scegliere tra la conversione o la morte, per fuggire in colonne di profughi senza poter raccogliere niente? Tanto vale partire immediatamente prima che "loro" stiano arrivando! Noi non vogliamo morire assassinati, decapitati, sepolti vivi, crocifissi da questi selvaggi. E pensare che "loro" sono a pochi chilometri ad est di Aleppo e adesso sono riusciti a prendere il controllo di tutta la regione a nord della città!  
E le persone se ne vanno. Il nostro autista, la sua famiglia, i suoi fratelli e le loro famiglie che sono appena arrivati ​ in Germania. Diversi lavoratori dell' ospedale, che hanno ottenuto il visto e sono partiti per l'Europa. La nostra governante, che si sta preparando per andare in Venezuela. Un'altra famiglia, che è partita per l'Australia, gli altri (armeni, soprattutto) per gli Stati Uniti e il Nord Europa.

Nel frattempo, il Vaticano e le istituzioni caritative della Chiesa chiedono ai cristiani siriani di non abbandonare la loro terra, la culla del cristianesimo. Mentre i loro rappresentanti locali distribuiscono aiuti ricevuti con parsimonia per "responsabilizzare" le persone, non farne degli "assistiti" !!! Tra pochi mesi ci saranno un sacco di soldi, ma nessuno a cui darli. Un amico ben informato mi ha detto: "Se tra pochi mesi  l'ISIS invadesse Aleppo, sarebbe una colonna di poche migliaia di rifugiati cristiani che si vedrebbero a quel momento sulle strade dell' esilio. "

Noi maristi Blu non abbiamo certezze da offrire, nè risposte a dubbi e domande. Non ci viene neanche di disapprovare le decisioni prese.
  Stiamo solo cercando, attraverso la nostra attiva presenza, di essere un faro di speranza per coloro a cui non resta speranza ...
una forza per coloro che dubitano ...
un conforto per coloro che sono tormentati.
  Cerchiamo  di alleviare il dolore e la sofferenza, fisica e morale, e almeno di offrire a coloro che rimangono delle condizioni di vita accettabili perchè la loro miseria non sia la ragione principale della partenza.  

Così, tutti i nostri programmi continuano, nonostante la perdita crudele che abbiamo sofferto con la morte di uno dei pilastri dei Maristi di Aleppo , il nostro amico e fratello, Ghasbi Sabe,  morto di un attacco di cuore all'età di 59 anni. Educatore, animatore, membro del team degli aiuti alimentari, responsabile di diversi cesti alimentari, membro del team del MIT, era un uomo caloroso, leale, umile, inoltre un cuoco eccezionale, era apprezzato e amato da tutti .

Il programma " Civili feriti di guerra" continua a curare i feriti raggiunti dai colpi di mortaio; oggi è una mamma, un medico di professione, e il suo figlio di 8 anni; curiamo lei per le fratture delle due braccia e lui per molteplici ferite dello stomaco: siamo stati costretti a togliergli la milza, un rene e parte dell'intestino.  
 I nostri tre cesti alimentari mensili o bisettimanali servono per nutrire le famiglie cristiane sfollate di Jabal Al Sayde (cesto della montagna), le famiglie musulmane sfollate da altre zone (cesto dei Maristi Blu) e le famiglie povere a Midan (paniere "Orecchio di Dio").
Continuiamo il nostro progetto di ricerca di abitazioni per gli sfollati, affittando piccoli appartamenti per coloro che hanno perso le loro case. Forniamo loro coperte, utensili da cucina, contenitori per l'acqua. ...
 Recentemente, abbiamo avviato un progetto di approvvigionamento idrico  per i volontari e i beneficiari dei nostri progetti. Abbiamo sistemato in un furgone delle cisterne che riempiamo con l'acqua attinta da un pozzo, che viene poi pompata nei serbatoi (200-1000 litri) di coloro che sono coinvolti.
  Nel MIT (centro di formazione marista), continuiamo a formare i giovani adulti attraverso laboratori per un periodo di 3 giorni. Il più recente si è concluso domenica scorsa sul tema degli standard di qualità. Forniamo anche uno spazio di riflessione con lezioni-scambio, tra cui l'ultima, molto notevole, ha affrontato il tema "credente alla prova davanti della guerra."  
I bambini da 3 a 6 anni di "Imparare a crescere" e quelli da 7 a 13 anni di "Voglio imparare" vengono in colonia al campo-vacanza presso di noi per un periodo di una settimana ogni volta, alternativamente. Sono organizzati per loro dei programmi meravigliosi.
  La "Skill School", continua per gli adolescenti, con una varietà di programmi che conciliano sport, abilità manuali e attività educative.
  Il programma "Tawassol" per le mamme non desiste. Anche con temperature da 40 a 45 gradi, nessuna manca all'appuntamento.
  Noi perseveriamo in condizioni di vita molto difficili: alla carenza di acqua ( la fornitura di ogni quartiere di Aleppo è per 10 ore ogni 10 giorni) si è aggiunto quella dell'elettricità (un'ora e mezzo per 2 volte ogni 24 ore) e la minaccia dei colpi di mortaio. …









Che cosa ci riserva il futuro?
 Andarsene, o si deve restare? Tante domande a cui non si può rispondere per ora, fino a quando ... , fino a che cosa?
  Un sacerdote domenicano dall'Iraq ha scritto recentemente: "L'Iraq oggi è completamente distrutto. Inoltre, il tessuto sociale dell'Iraq è chiaramente strappato. Le statistiche indicano anche che il paese è molto pericoloso, è diventato invivibile e inabitabile. I poveri di questo paese si chiedono : verso quale futuro l'Iraq è spinto? Verso un paese moderno, stabile, democratico? Una risposta semplice di qualsiasi abitante dell'Iraq sarà: l'Iraq è spinto verso l'ignoto. Ma in questo disordine imposto dal potere del male, la questione centrale è: qual è il futuro dei cristiani in Iraq? Bisogna cacciarli e sterminarli? Il nostro pellegrinaggio, la nostra croce e il nostro fardello sono apparentemente diventati pesanti e lunghi. L'evento drammatico che i cristiani iracheni soffrono in questo momento, è scandaloso. Non restano che campi di concentramento in questo progetto di sradicamento diabolico. Mentre le delegazioni politiche ed ecclesiastiche si succedono, gli esuli trascorrono le loro notti in tenda e nei luoghi pubblici. Nonostante l'allarme rosso, il tempo passa e gli esuli , loro, restano senza rifugio. "

Ecco, sostituite la parola Iraq con Siria, e iracheni con siriani, e capirete tutto.

  Questa lettera è datata 1 ° settembre, festa di uno dei santi più venerati della Siria, S. Simeone Stilita, che, nel 5 ° secolo, ha vissuto 42 anni arroccato su una colonna di 18 metri. Ha scelto questa via, secondo la tradizione, per essere più vicino a Dio!
Che il nostro sacrificio e la nostra sofferenza possano non durare così a lungo.

  Aleppo,  1 set 2014

  Nabil Antaki , per i Maristi Blu

giovedì 4 settembre 2014

Una giornata di preghiera e un rosario di pallottole

Ad un anno dalla giornata di preghiera e digiuno indetta da Papa Francesco per la Siria, il Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria propone un momento di preghiera e riflessione per questo martoriato Paese e per i suoi fedeli














Le foto di Samaan Daoud mostrano una Aleppo distrutta e Monsignor Georges Abu Khazen (successore di  Monsignor Nazzaro ed attuale Vicario Apostolico di Aleppo) con un rosario di pallottole fatto con i proiettili raccolti intorno alla sua sede di Aleppo


























LE INTENZIONI DI PREGHIERA DA NOI  PROPOSTE : 

A un anno dalla storica Giornata di Preghiera per la Pace in Siria proclamata da Papa Francesco,  rinnoviamo oggi con le parole del Papa il grido al Cielo per la Pace in Siria, da parte di tutto il popolo cristiano:
Per i nostri fratelli in Siria indifesi e perseguitati, ricordando che sono nel cuore della Chiesa e che la Chiesa soffre con loro ed è fiera di loro, fiera di avere tali figli, perché sono la sua forza e la testimonianza concreta e autentica del suo messaggio di salvezza, di perdono e di amore,  perché il Signore li benedica e li protegga sempre, preghiamo:

Ricordando le parole di Papa Francesco, che ci ha detto che la chiesa è Madre e, come tutte le madri, sa accompagnare il figlio bisognoso, sollevare il figlio caduto, curare il malato, cercare il perduto e scuotere quello addormentato e anche difendere i figli indifesi e perseguitati, preghiamo per i nostri fratelli cristiani che soffrono persecuzione in Siria, in Iraq e in molte parti del mondo. Perché il Signore li accompagni e sostenga il loro cammino, preghiamo:




Un anno fa ero a Damasco... Attorno a me si muoveva, in quei giorni, un'umanità sbigottita, spaventata, disorientata.  L'incontravo la mattina,  mi fermava per strada, mi chiedeva "Veramente Obama ci vuol bombardare? Veramente l'America e voi Europei non  capite quel che  succede  qui? Non lo  vedete? Siamo assediati....bombardandoci ci condannerete a morte... Dopo i vostri aerei arriveranno quelli con le bandiere nere, quelli che dicono di uccidere nel nome di Dio e ci spazzeranno via...Come potete permetterlo? Non siete Cristiani anche voi?"....
   leggi il racconto di Micalessin :  http://www.ilgiornale.it/news/mondo/siria-preghiera-pace-1049092.html


Noi con voi dal cuore della Siria .........

Papa Francesco ci chiama al digiuno e alla preghiera. Ci chiede di farlo per la situazione tragica della Siria, per trovare la strada del confronto, della mediazione e abbandonare l’ingiustizia e la follia di un intervento armato che porterebbe ancora più morte e distruzione. Ma non solo.
«C’è un giudizio di Dio». Non affrettiamoci a liquidare questa frase pensando a coloro che hanno usato le armi chimiche, chiunque essi siano. Anche chi ha fatto a pezzi i cadaveri, e ha gettato la carne dei morti ai cani ha passato la linea rossa. Anche chi stupra, chi uccide i bambini sulle ginocchia dei genitori, chi massacra con disprezzo, in Siria e altrove. Chi fa, con la guerra i propri interessi, chi la usa per affermare la sua politica… Ma anche chi fa a pezzi i bambini nelle nostre cliniche dell’aborto, chi elimina gli "inutili" e gli anziani, chi perseguita la libertà di coscienza. È la stessa logica: ne stiamo passando tante, di linee rosse. Su tutto questo, «c’è un giudizio di Dio»… Non affrettiamoci a far giustizia, se non siamo disposti a cominciare da noi stessi.

............ leggi il racconto delle Monache Trappiste:  http://oraprosiria.blogspot.it/2013/09/noi-con-voi-dal-cuore-della-siria.html

lunedì 1 settembre 2014

"Se crollasse la Siria, per il Medio Oriente sarebbe una catastrofe"




























Giornata di preghiera per la Pace in Siria 
7 settembre 2014
a Roma
celebrazione liturgica in rito greco bizantino 

presieduta da Mons. Mtanoius Haddad 

Procuratore del Patriarca Greco Melkita Cattolico

presso la Basilica di Santa Maria in Cosmedin
Piazza Bocca della Verità , Roma, Ore 10.30


1 settembre: memoria di san Simeone stilita. Preghiamo perchè per la sua intercessione la Pace e la sicurezza tornino in Aleppo e in Siria

Intervista al Vicario Apostolico di Aleppo, mons. George Abu Khazen, in cui esprime i suoi timori per la situazione nel martoriato paese e spiega perché oggi sia fondamentale salvare lo Stato Siria




Roma, (Zenit.org)
 di  Naman Tarcha


ZENIT lo aveva già intervistato alcuni giorni fa in occasione di un incontro durante il Meeting di Rimini, al quale aveva partecipato insieme al suo predecessore Giuseppe Nazzaro. Tuttavia il Vicario Apostolico di Aleppo, George Abu Khazen, vescovo dei Latini in Siria, ha ancora tanto e tanto da dire. Non potrebbe essere altrimenti considerando che la sua opera si svolge nella città più antica del mondo ancora abitata, e oggi, purtroppo, la più pericolosa. Mite, con il sorriso abituale dei frati minori, ma forte e determinato come le montagne del Libano dove è nato e cresciuto, il presule ha partecipato al Meeting con grande entusiasmo, offrendo una toccante testimonianza durante l'incontro tenuto dal Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria. Nei suoi occhi c'è un misto di nostalgia e commozione. Tutti lo cercano, e lui si presta umilmente a interviste e conferenze, cosciente della grande responsabilità verso il suo popolo. "Prima di partire da Aleppo tutti mi dicevano: porta nostri saluti e racconta al mondo ciò che succede a noi!"

Quale è la situazione della popolazione civile oggi in Siria?
Dipende dalla zona, la situazione varia da un posto all’altro, in alcune zone la gente vive in sicurezza lontana dagli scontri, realisticamente tranquilla, anche se tutti i siriani sono stati colpiti, sia personalmente, sia per la presenza di un altissimo numero di sfollati. Le zone degli scontri sono invece molto più pericolose, distrutte e danneggiate. Ad esempio ad Aleppo manca tutto: acqua, corrente, combustibili, aumento spropositato del costo della vita, sommati ad una totale disoccupazione. Gli unici che riescono oggi ad arrangiarsi sono gli impiegati statali e i pensionati, mentre tutti gli altri vivono di aiuti e sussidi. Immaginate un padre di famiglia che arriva alla sera senza poter comprare la cena ai suoi figli! Ovviamente tutto ciò unito alle minacce quotidiane di razzi e colpi di mortaio, a case distrutte e una lista quotidiana di vittime. Tutti i giorni contiamo decine di vittime civili perfino nei quartieri cristiani.

Dopo quattro anni l’Occidente si è accorto che le minacce ai cristiani del Medio Oriente sono una realtà? Ma quale è la vera minaccia?
Mi domando se davvero l'Occidente è preoccupato per le minacce ai cristiani in Medio Oriente. E' un punto interrogativo. Il pericolo più grande è l’espansione dell’estremismo: l'esempio più eclatante è il cosiddetto Stato Islamico, che rappresenta oggi un vero pericolo non solo per i cristiani, ma per tutte le minoranze etnico religiose, oltre all’Islam moderato. I cristiani di Aleppo ad esempio vivono quotidianamente con il timore e la paura, perché l’IS è a soli 20km di distanza dal centro della città. Se mai l’Is dovesse arrivare ad Aleppo, una città già di per sè molto complessa, non ci sarà scampo e sarà una distruzione totale.

L’Occidente teme più per la sorte dei cristiani o per i propri interessi?
Per me l’Occidente di sicuro non è preoccupato per i siriani cristiani, perché in quattro anni quando erano davvero in pericolo nessuno ha mosso un dito. Anzi, ci accusavano di essere schierati, di stravolgere le realtà, di dire il falso, e che sbagliavamo in tutto. Se si sono mossi oggi è per altri motivi. In Occidente si mobilitano tutti per salvare un animale minacciato di estinzione e proteggere il suo habitat, mentre intere popolazioni etniche e religiose vengono sradicate dalle loro terre d’origine dove vivono da secoli, e nessuno apre bocca.

Quale è la situazione dei villaggi cristiani nella provincia di Idlib?
A Ghassaniyeh la presenza dei cristiani è stata cancellata totalmente, non sappiamo nulla delle chiese e dei conventi, se sono stati distrutti, bruciati o saccheggiati. Nelle altre tre Kunayeh, Yakibiyeh e Jidayde è rimasto un piccolo nucleo di famiglie cristiane: circa 700 persone con due frati, che servono i loro parrocchiani spiritualmente e socialmente. Le parrocchie cattoliche e quelle ortodosse sono rimaste invece senza nessuno. Quando sono entrati i jihadisti dello Stato Islamico, avevano ordinato nei villaggi di togliere tutti i simboli cristiani, croci, statue e immagini sacre, dentro e fuori le chiese e le abitazioni, obbligando le donne a coprirsi. Oggi invece sono sotto altri gruppi armati ma con il pericolo continuo dei saccheggi.

L'Occidente ha ignorato a lungo i timori della Chiesa in Siria. Essa, però, è divenuta oggi un punto di riferimento per tutti?
La Chiesa in Siria non è schierata politicamente, ha sempre adottato una posizione obiettiva perché raccontava la verità e la realtà dei fatti, anzi tanti l’hanno accusata ingiustamente di essere di parte. Il suo obiettivo era salvaguardare il Paese e i suoi cittadini, in particolare i cristiani, perché aveva una chiara visione di come sarebbero andate le cose. Ed eccoci oggi, vediamo cosa accade. Era una posizione profetica piuttosto che una posizione schierata. La Chiesa in Siria è attualmente molto vicina ai cittadini, sia cristiani che non: nessun vescovo ha lasciato la sua gente, nessun parroco ha abbandonato la propria parrocchia, le nostre possibilità sono limitate ma offriamo soccorso ed aiuto concreto. Ospitiamo tutti i siriani sfollati senza distinzione: cristiani, cattolici, ortodossi, e musulmani. Il popolo siriano, abituato alla convivenza pacifica, oggi è coeso più di prima, e ha riscoperto in questi momenti difficili il vero volto della solidarietà, della carità e dell’accoglienza dell’altro, e forse questo è un segno in un mondo marchiato dall’individualismo e dal razzismo.

Perché oggi è fondamentale salvare la Siria?
Se crollasse lo Stato siriano, con tutto ciò che rappresenta  - e non parlo di un governo, ma dello Stato Siria - sarebbe una vera catastrofe che devasterebbe tutto il Medio Oriente. Dobbiamo salvare la Siria, come Istituzione, come idea, con i suoi principi di convivenza, dialogo, moderazione e diversità, ed è questo ciò che tanti purtroppo non vogliono.
La nostra speranza è forte come la nostra fede. Il mio destino, quello di questa comunità e di questo Paese, non è nelle mani di un singolo, né di una forze regionale, né di una potenza mondiale, ma nelle mani di Dio, e questo destino lo riprenderemo per ritornare ad essere testimonianza vivente per gli altri, in tutto il Medio Oriente.

http://www.zenit.org/it/articles/se-crollasse-la-siria-per-il-medio-oriente-sarebbe-una-catastrofe