Traduci

mercoledì 6 agosto 2014

Lo scopo è l'odio, una cosa diabolica da combattere con la preghiera e con tutti gli strumenti politici



PREGHIERA PER LA PACE IN IRAQ
6 AGOSTO 2014

Signore,
la piaga della nostra nazione
è profonda e la sofferenza dei cristiani
è grande e ci spaventa.

Dunque Ti chiediamo Signore
di proteggere le nostre vite, di concederci il coraggio e la pazienza
di continuare a testimoniare i nostri valori cristiani con fiducia e speranza
Signore, la pace è fondamento di ogni vita.

Donaci pace e stabilità
per vivere insieme l’uno con l’altro senza paura, angoscia, ma con dignità
e gioia.
A Te la lode e la gloria per sempre.

† Louis Raphael I Sako
Patriarca di Babilonia dei Caldei



 La paura dei cristiani libanesi di fronte alla minaccia islamista 


Intervista  di Radio Vaticana a Mons. Hobeika, vescovo maronita


Hobeika - Noi cristiani del Libano, ma anche le altre confessioni presenti, sentiamo il pericolo di questo gruppo chiamato "Dash" che diventa fattore di guerra. Si è visto cosa sta accadendo per i cristiani in Medio Oriente. Il Libano rischia lo stesso.

D. – In Iraq, i cristiani sono stati cacciati da Mosul, in Siria tutti combattono contro tutti. C’è paura che questo accada anche in Libano?

Hobeika – Si. Oggi e ieri, ci sono stati conflitti tra l’armata libanese e gli estremisti. Questa realtà potrebbe svilupparsi in altre regioni del Libano, dove ci sono campi di profughi siriani che potrebbero essere armati da Dash, o al-Nusra. Questi estremisti sono “cugini” e dipendono entrambi da Al-Qaeda.

D. - C’è dunque un pericolo concreto di una estensione delle violenze?

Hobeika - Sì, è già cominciata. Adesso, la cosa positiva è che la maggioranza dei musulmani non accetta questo. E' chiaro che gli sciiti non lo accettano, ma neanche i sunniti lo accettano, salvo gli estremisti.

D. - Non lo accettano per paura di una guerra?

Hobeika - Sì, non vogliono distruggere il Libano, ma non è facile mantenere calmi gli estremisti sunniti libanesi.

D. - La politica come sta affrontando questa situazione?

Hobeika - I politici sono d’accordo nel fare tutto il possibile per difendere il Paese. Non sembrano divisi su questo punto.

D. - Come Chiesa cosa state facendo?

Hobeika – Con la nostra comunità e con l’opinione pubblica libanese stiamo facendo un discorso di pacificazione, preghiere, omelie, incontri: tutto quello che possiamo fare adesso.

D. – Oltre nove milioni gli sfollati in Libano per la guerra in Siria, molti continuano ad arrivare in Libano. Qual è la loro condizione?

Hobeika - Sono quasi un milione e 500 mila e la maggior parte di loro vivono nella miseria totale. Gli aiuti ci sono, ma non bastano mai.

D. – Il Libano vede da una parte la guerra in Siria, dall’altra il conflitto tra israeliani e palestinesi…

Hobeika - E’ una cosa diabolica che cerca di aumentare l’odio nel popolo, tra le diverse etnie, tra le diverse religioni e professioni religiose. Intendo dire che se in Iraq, Dash voleva fare un Paese sunnita non era necessario cacciare tutte le altre minoranze dal Paese. Cristiani e non cristiani tutte le minoranze sono cacciate. Lo scopo è l’odio. Se questo stesso odio viene in Libano, in questo piccolo Paese - dove ci sono 16 confessioni - tutti saranno contro tutti. E’ una cosa diabolica che serve solo a distruggere. Abbiamo paura.

D. - Quindi, qual è il suo auspicio in questa situazione così difficile?

Hobeika - Vorrei che il Libano rimanesse in pace, nell’accoglienza di tutte le minoranze. Se il Libano non riuscirà a mantenere la pace e i cristiani non ci rimarranno, tutto cambierà! E’ un problema grande che merita che tutte le persone di buona volontà, ma soprattutto la Chiesa universale, se ne preoccupino. Non dobbiamo essere lasciati soli! 

lunedì 4 agosto 2014

Samaan dalla Siria: qui i cristiani continuano a morire, ma l'occidente pensa solo a Israele


l'altare cristiano più antico al mondo distrutto dai 'ribelli moderati' a Maaloula

























"La Siria è finita nello scaffale del dimenticatoio": così dice al  sussidiario.net  Samaan Daoud, siriano cristiano di Damasco. Da quando è  scoppiato il conflitto di Gaza, aggiunge, "come sempre quando c'è di mezzo  Israele tutto il mondo comincia a preoccuparsi del figlio coccolato dell'Europa  e dell'America, ma intanto in Siria i cristiani continuano a essere uccisi e obbligati ad abbandonare le loro case. Il nostro paese è vittima di un genocidio che si avvicina ai 200mila morti, ma l'Europa fa i propri interessi sulle morti altrui". Un altro fenomeno interessante, dice sempre Samaan, è il fatto che gli  imam dei paesi arabi che da anni invitano i musulmani ad andare a combattere in Siria adesso non spendono una parola per Gaza: "E' evidente come anche questi  imam siano legati ai petrodollari, siano interessati all'America: hanno mandato  migliaia di arabi a combattere in Siria ma non hanno speso una parola per le 
tante vittime civili di Gaza".

 IL SUSSIDIARIO, 4 agosto 2014

Alcuni commentatori non si spiegano come mai sia così centrale sulla stampa internazionale il conflitto di Gaza anche se la situazione in Siria e in Iraq è 
sempre peggiore. Come è vissuto il conflitto tra Hamas e Israele in Siria? Il vostro paese un tempo era uno dei grandi nemici di Israele.
Il conflitto di Gaza ha preso tutta l'attenzione internazionale. Quando la situazione riguarda Israele tutto il mondo comincia a preoccuparsi per il figlio coccolato dell'Europa e dell'America, guai a chi lo tocca. Si parla solamente di  missili che partono da Gaza verso Israele e si dimenticano i civili morti e  anche le chiese e le case distrutte da Israele. 


Che idea vi siete fatti della guerra a Gaza?
La mia analisi personale è che Hamas negli ultimi tre anni aveva perso quasi ogni sostegno, dopo che era stato considerato il gruppo che avrebbe portato la libertà in Palestina con l'aiuto forte di Siria, Egitto e Iran. Ma con la primavera araba Hamas ha perso l'appoggio di quasi tutti i paesi arabi, perché Hamas ha la stessa ideologia dei fratelli musulmani e degli jihadisti.  Adesso  però l'attacco di Israele ha fatto rinascere la simpatia internazionale nei loro confronti. Stanno guadagnando i punti che fino a un mese fa avevano perso. Noi siriani poi guardiamo con grande preoccupazione a quello che succede a Gaza  anche perché la situazione siriana è scesa al terzo posto dell'interesse 
internazionale.


In che senso?
Al primo posto c'è solo e sempre Gaza, al secondo si parla dei cristiani  dell'Iraq e la Siria è finita dentro uno scaffale del dimenticatoio.


Perché questo, secondo lei?
C'è qualcosa di voluto. Se ci pensiamo, non è tanto strano che appena questo Stato Islamico ha annunciato la nascita e ha preso la città di Mosul sia poi cominciata la guerra contro Gaza. Intanto questi fanatici stanno uccidendo un sacco di cristiani nel nord della Siria e nessuno ne parla. Se contiamo quanti  cristiani sono morti in Siria e quanti hanno dovuto abbandonare il paese, il  numero supera quelli scappati da Mosul,  ma nessuno vuole mai approfondire la  situazione dei cristiani in Siria.


Che infatti è gravissima da tempo.

Non dimentichiamo ad esempio i cristiani martirizzati perché non hanno rinnegato la loro fedeltà a Gesù, non dimentichiamo i villaggi cristiani distrutti intorno  a Damasco e nessuno parla dei cristiani di Aleppo e di quante chiese distrutte ci siano state. Quello che succede intorno a noi ci lascia angosciati perché si sono dimenticati dei cristiani della Siria anche i nostri fratelli nella fede in Europa.


La nascita dello Stato Islamico poi sembra quasi che sia vista dall'occidente come il meno peggio, come dire: almeno questo porterà fine alle guerre locali.
L'Europa non ha vittime proprie e perciò gioca sulle vittime degli altri e tutto va bene. Personalmente penso che questo califfato non avrà vita lunga, non ha le caratteristiche di un vero stato. Uno stato a base solamente religiosa e di sharia non può stare in piedi per molto: per costruire uno stato ci vuole ben altro. Inoltre più diventa grande e più diventa difficile da gestire e alla fine cadrà da solo, anche se di soldi ne hanno rubati tanti, ad esempio due miliardi di dollari dalle banche di Mosul e vendono il petrolio all'America. Quando cadrà però e quante vittime ci saranno ancora non lo sappiamo. Se l'Europa si fosse  interessata al conflitto siriano oggi non saremmo arrivati a questo punto. 
unità armate di islamisti appartenenti all'opposizione siriana circondano
la cittadina di Mhardeh, città natale del patriarca Ignazio IV Hazim
 e la città di Suqailabiyeh, entrambe situate nella campagna di Hama.
 
Mhardeh e Suqailabiyeh costituiscono uno dei più grandi agglomerati
di greci ortodossi in Siria

L'America poi non apre bocca mentre ancora oggi ci sono 15mila cristiani ortodossi circondati da questi fanatici assassini nelle zone a nord e nessuno ne parla.



Dal punto di vista militare com'è la situazione? L'esercito governativo ottiene dei successi?
Sì, intorno a Damasco e alla periferia di Homs, ma questo esercito combatte da oltre tre anni e si sta stancando. 
Non è una guerra tra eserciti, questa è una guerra sporca di strada e gli jihadisti hanno sempre rifornimento di uomini. 
Basta andare in Arabia e negli altri paesi del Golfo e in tutte le moschee vedi  gli annunci per invitare ad andare a combattere in Siria. Gli imam però non aprono bocca per dire di andare a combattere a Gaza con i palestinesi. 
Questi capi islamici sono interessati al petrodollaro, in fondo sono filo israeliani e filo americani. Dal 2011 hanno mandato decine di migliaia di persone a combattere in Siria ma oggi non aprono bocca su quanto succede a Gaza.

domenica 3 agosto 2014

Libano: entro il 2014, un terzo della popolazione saranno profughi siriani


AsiaNews 

 Decine di migliaia di profughi in fuga dalla guerra fra Damasco e i gruppi ribelli continuano a riversarsi in Libano, aumentando la pressione sul Paese dei Cedri che, entro la fine dell'anno, potrebbe ospitare fino a 1,5 milioni di rifugiati siriani. È quanto denunciano fonti ufficiali delle Nazioni Unite, che lanciano l'allarme per una possibile escalation della tensione in una nazione piccola e già sovraccaricata da un imponente numero di sfollati.
Il dato fornito dall'ONU rappresenta un terzo dell'intera popolazione libanese, stimato sui 4,5 milioni di individui; a differenza di Turchia e Giordania, Beirut non dispone di campi profughi per accogliere gli esuli siriani in fuga dalle violenze. Essi sono radunati in accampamenti informali, vengono ospitati da parenti o prendono in affitto appartamenti.
La portavoce delle Nazioni Unite Stephane Dujarric conferma che oltre un milione di rifugiati siriani sono stati registrati da agenzie Onu in Libano e, ogni mese, vi sono almeno 50mila nuovi arrivi. Un flusso costante che non tiene conto del milione di siriani che erano già presenti nel Paese dei Cedri prima della guerra e che non hanno mai chiesto aiuto alle agenzie internazionali.
Analisti ed esperti di politica locale riferiscono che l'alto numero di rifugiati comporta un innalzamento della pressione sui servizi pubblici e sui costi in generale della spesa. 
Inoltre, si possono verificare tensioni e scontri fra le due comunità: "Sono già visibili focolai di tensione - conferma Ross Mountain, capo della missione Onu in Libano - tra i siriani in arrivo e le comunità libanesi" nelle zone in cui vengono stanziati i profughi. 
Libano: militanti di al-Qaeda rientrati dalla Siria
oggi hanno ucciso dieci soldati libanesi

Ma il timore maggiore, aggiunge, è che si possano unire "altri elementi" che potrebbero sfociare in un conflitto sociale.

La maggioranza dei profughi siriani si riversano nelle aree più povere del Libano, come la Valle della Beqāʿ e Akkar. Vi sono 225 località che contengono l'86% dei rifugiati e il 68% della fascia più povera della popolazione libanese. L'allerta lanciato dalle Nazioni Unite segue il bilancio aggiornato delle vittime del conflitto siriano, fornito dagli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani (Gran Bretagna): in tre anni sono morte più di 160mila persone.
Da tempo il conflitto siriano si è allargato all'intera regione Mediorientale, facendo registrare una situazione allarmante proprio in Libano, che attraversa nell'ultimo periodo un momento di crisi economica, acuito dai riflessi della guerra nel Paese vicino. Gli indicatori mostrano un deciso calo nei settori del commercio, del turismo e degli investimenti esteri, assieme a una crescita consistente della spesa pubblica per il governo di Beirut. Stime della Banca mondiale indicano che nel 2013 la crisi a Damasco è costata almeno 2,5 miliardi di dollari al Libano in perdita di attività economiche; si teme che, entro la fine dell'anno, almeno 170mila libanesi possano cadere nella povertà. "Sostenere il Libano - affermano fonti Onu - non è solo un imperativo morale, ma è un passo necessario per fermare un degrado continuo della pace e della sicurezza in questa società fragile, e in tutta la regione".

http://www.asianews.it/notizie-it/Libano:-entro-il-2014,-un-terzo-della-popolazione-saranno-profughi-siriani-31136.html