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venerdì 4 aprile 2014

«1400 anni di islam non ci hanno potuto strappare dalle nostre terre e dalle nostre chiese, mentre oggi la politica occidentale ci ha disperso ai quattro angoli della terra.»

Le guerre in Iraq, Libia e Afghanistan hanno peggiorato la condizione dei popoli, in particolare le minoranze. Le politiche fallimentari promosse dall'Occidente. 
Cresce il fondamentalismo, la Primavera araba svuotata dagli estremismi. 
Il ruolo delle autorità musulmane nella tutela di diritti e libertà religiosa. 
La presenza dei cristiani in Medio oriente è fondamentale per i musulmani.



 Il Medio Oriente si sta svuotando dei cristiani. Ciò avviene a causa di fondamentalismi regionali, di impaccio delle autorità locali, di inerzia della comunità internazionale e dell'Occidente. La fuga dei cristiani causerà impoverimento sociale, economico e culturale alla regione e instabilità per il mondo intero. 
E' l'appello accorato che Mar Louis Raphael I Sako ha lanciato nei giorni scorsi in un seminario promosso dall'università cattolica di Lione, in Francia, sulla "Vocazione dei cristiani d'Oriente". Il Patriarca caldeo invita a "non considerare" i cristiani come una "minoranza, ma come cittadini a tutti gli effetti"
Nel suo lungo intervento Sua Beatitudine illustra la situazione generale dei cristiani in Medio oriente, sottolineando l'importanza della loro presenza, spiegando il ruolo delle autorità musulmane e delle Chiese orientali. Egli invita a esercitare pressioni sui governi perché siano riconosciuti e garantiti pari diritti, rilanciando ancora una volta la richiesta di fermare l'esodo dalle loro terre di origine. 
Ecco, di seguito, l'intervento integrale di Mar Sako (Corsivi e grassetti sono dell'originale. Traduzione a cura di AsiaNews).

Asia News,  03/04/2014 

di Mar Louis Raphael I Sako

I cambi di regime che hanno avuto luogo in diversi Paesi hanno aperto un abisso al loro interno; gli interventi in Afghanistan, in Iraq, in Libia non hanno affatto contribuito a risolvere il problema dei loro popoli ma, al contrario, hanno determinato situazioni caotiche e conflitti che non permettono affatto di immaginare un avvenire migliore, in particolare per i cristiani! Le divisioni confessionali divengono sempre più marcate e forti, soprattutto fra sciiti e sunniti. Diversi partiti politici di carattere settario si stanno organizzando e tutto viene a essere suddiviso in base alla confessione religiosa. Credo che in Iraq il cammino finirà con una divisione del Paese, perché il terreno è già preparato tanto dal punto di vista psicologico, quanto sotto il profilo geografico. La pulizia [etnico-religiosa] dei quartieri e delle città tra sunniti e sciiti va proprio in questa direzione.

1 - Situazione generale dei cristiani in Medio oriente
Fino a 50 anni fa i cristiani del Medio oriente rappresentavano il 20% del totale della popolazione. Oggi si parla di un misero 3%. Quando le potenze coloniali hanno dato vita a queste nazioni, non lo hanno fatto partendo da basi storiche, geografiche o etniche: in questo modo non vi è stata né omogeneità, né un vero progetto di cittadinanza in cui tutti possono essere integrati. L'accordo Sykes-Picot del 1916 non ha tenuto in considerazione l'emergenza delle frontiere di Paesi come il Libano, la Giordania, la Siria, l'Iraq e altri ancora. Le decisioni sono state prese in funzione degli interessi delle grandi potenze, e questo ha aperto la via a conflitti confessionali, religiosi, etnici con i quali abbiamo a che fare ancora oggi. Non vi è pace tra israeliani e palestinesi; il Libano è stato frantumato e resta sempre sotto la minaccia della guerra civile; la Siria è sul punto di crollare, con nove milioni di persone che hanno abbandonato le loro abitazioni, l'Iraq è devastato, l'Egitto esploso. Milioni di cristiani d'Oriente, rifugiati, fuggono da una regione all'altra.

Oggi si parla sempre più di un piano che intende dar vita a un nuovo Medio oriente. Per noi è fonte di preoccupazione e di paura. 1400 anni di islam non ci hanno potuto strappare dalle nostre terre e dalle nostre chiese, mentre oggi la politica occidentale ci ha disperso ai quattro angoli della terra.

I cristiani sono sempre più vittime: il loro esodo dai Paesi del Medio oriente è inarrestabile. Attualmente, secondo le stime sono - in tutto - tra i 10 e i 12 milioni su una popolazione complessiva di 550 milioni di abitanti, pari al 3% circa. La pressione esercitata contro i cristiani e le minoranze religiose in Medio oriente è aumentata nel corso degli ultimi decenni, alle volte in modo sommesso e, in altri momenti, in modo aperto, pubblico. Le discriminazioni, ingiustizie, sequestri, emarginazioni, intimidazioni in molte parti del mondo arabo-islamico danno loro l'impressione di essere destinati all'estinzione.

Tutto questo deriva dall'instabilità della maggior parte di questi Paesi e dalla crescita dell'islamismo radicale, sotto il manto di ciò che è conosciuto con il nome di "islam politico"; quanto alla "Primavera araba", essa è stata esautorata dagli estremismi. Il progetto "politico" dell'islam è di far rinascere il califfato tanto a Damasco quanto in Iraq! Il loro modo di pensare e di fare guerra è un ritorno al Medio Evo! I cristiani sono ammessi a restarvi come cittadini di seconda classe!

L'invasione americana dell'Iraq ha portato alla morte di un vescovo [mons. Paulos Faraj Rahho, morto nelle mani dei sequestratori nel marzo 2008, ndr], sei sacerdoti assieme a più di mille fedeli, 66 chiese sotto attacco e 200 casi di rapimento. Circa la metà dei cristiani irakeni, che in precedenza erano un milione e mezzo, hanno lasciato il Paese per il timore di violenze e la persecuzione religiosa, soprattutto dopo il massacro che ha avuto luogo a Baghdad nel 2010, nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso e l'attacco agli studenti cristiani di Qaraqosh, diretti all'università.
L'appropriazione dei beni appartenenti ai cristiani, considerati come privi di diritti perché non musulmani, le lettere di minaccia ricevute dai cristiani, così come da membri di altre minoranze non musulmane, spingono i cristiani a sentirsi come cittadini di serie B. Dunque, la domanda è questa: questi uomini e queste donne che hanno un passato grande e illustre alle spalle, sono destinati a scomparire dalla Mesopotamia e dalla terra dei loro avi?

In Siria, i cristiani sono esposti agli attacchi dei ribelli islamisti. Questi ultimi hanno spazzato via Maaloula, una storica città cristiana in cui gli abitanti parlano l'aramaico, la lingua di Gesù. Due vescovi, numerosi preti, dodici religiose sono stati rapiti e liberati di recente: 1200 cristiani sono stati uccisi, il 30% delle chiese sono state distrutte e 600mila cristiani hanno lasciato il Paese e quelli che sono rimasti vivono nell'inquietudine e nella paura!
Il pastore presbiteriano ed ex presidente del Consiglio delle Chiese del Medio oriente Riad Jarjour ha dichiarato: "Se la situazione continua in questo modo, verrà un momento in cui non ci saranno più cristiani in Siria".

I Copti in Egitto hanno subito i peggiori attacchi. I kamikaze musulmani hanno assassinato almeno 85 fedeli nella Chiesa di Tutti i Santi e un centinaio di chiese sono state oggetto di attacchi.
Il Libano è l'unico Paese della regione in cui i cristiani hanno ancora un peso politico e una certa libertà di azione, anche se il loro potere è parzialmente in declino a partire dall'accordo di Taëf, che rimane in bilico!

In poche parole, tutti i cristiani pensano all'emigrazione, almeno per un periodo di tempo determinato.


2 - L'importanza della presenza cristiana in Medio oriente
Il cristianesimo affonda le sue radici nel Medio oriente. In Palestina, Siria, Libano, Iraq ed Egitto i cristiani sono stati maggioranza ben prima dell'ingresso dell'islam. Erano ben organizzati e hanno contribuito alla costruzione della civiltà arabo-islamica accanto ai loro fratelli musulmani, ecco perché la loro presenza nel mondo arabo e musulmano è essenziale, anche per il solo stesso fatto della diversa religione, della loro apertura e delle loro competenze. In generale, i cristiani costituiscono una élite!
I cristiani non sono una minoranza e devono ricoprire a pieno titolo un posto e un ruolo nella vita pubblica, perché il venir meno di questo ruolo marcherebbe la fine della loro presenza. Il presidente libanese Michel Sleiman, inaugurando il primo Congresso generale dei cristiani d'Oriente, che si è tenuto a Raboué (Libano) il 28 e 29 ottobre 2013, ha affermato in proposito: "L'avvenire dei cristiani dipenderà dalla loro capacità di rafforzare la logica della moderazione, dell'apertura e del dialogo al loro interno, così come i loro sforzi per costruire uno Stato forte e inclusivo, che apre la via alla partecipazione di tutte le componenti della società nella vita politica e nell'amministrazione pubblica, senza tener conto del peso demografico delle comunità. Il ripiegamento verso se stessi e l'isolamento, così come il ricorso alla protezione militare straniera, diventa pericoloso".
Infine, Habib Ephram nel corso del medesimo congresso ha lanciato un appello commovente finalizzato a preservare l'identità dei cristiani d'Oriente nel rispetto della storia, del diritto e dell'umanità stessa.

C'è da sperare che questa lunga tradizione storica possa aiutare i cristiani della Siria e altri a preservare il loro ricco patrimonio e a continuare a offrire il loro prezioso contributo alle diverse culture esistenti.
I cristiani del Medio oriente possono giocare oggigiorno un ruolo essenziale nel dialogo tra l'Occidente e l'islam, possono essere un ponte che avvicina e unisce. Per questo l'Occidente è chiamato a mantenerli nei luoghi di origine. Robert Fisk in un articolo pubblicato sul quotidiano britannico "The Indipendent" descrive il fenomeno dell'emigrazione dei cristiani del Medio oriente, equiparandolo a un colpo per la civiltà arabo-islamica, e a una tragedia all'interno di un Paese considerato come un simbolo di pluralismo e coesistenza.


martedì 1 aprile 2014

« La nostra presenza dà a questa gente la forza di restare, e la loro permanenza qui rafforza la nostra decisione di restare. Siamo strette in questo abbraccio».


TEMPI , 1 aprile, 2014 
di Rodolfo Casadei

Un giorno nel monastero delle suore trappiste italiane in Siria. 





Reportage da Azeir, dove sorge il monastero di una piccola comunità di religiose italiane. «Più di tutto apprezzano il fatto che noi restiamo qui con loro, in un momento come questo, che sembra non finire mai»






AZEIR (confine settentrionale fra la Siria e il Libano). 
Stanno lì, fra l’arbusto delle rose tutto spinoso e ancora privo di boccioli, e un rosmarino verdeggiante. Modesti fiori color lilla, coi petali lunghi come quelli delle margherite che spuntano fuori da un centro nero e infossato. Si direbbero astri alpini. Dopo un inverno siccitoso, da due giorni la collina è spruzzata di pioggia e pettinata dal vento, e i colori si offrono freddi e introversi. «Forse ti stai chiedendo che senso ha coltivare fiori mentre intorno infuria la guerra. Ma è proprio adesso che c’è bisogno della bellezza. E anche per il futuro. Chi vivrà domani dovrà trovare qui la serenità che viene dalla bellezza».
Marta aggiusta la giacca a vento sull’abito trappista bianco e nero e guarda verso le colline più lontane, quelle dell’interno. L’ultimo profilo in fondo, azzurrino, meno arrotondato e più svettante di quelli intorno, è Krak des Chevaliers, l’antico castello crociato. Per due anni occupato dai jihadisti di Jabhat al Nusra, che vi sgozzavano i prigionieri nella piazza d’armi e poi collocavano le teste decapitate in cima alle torri.


Ventitré milioni di siriani cercano di immaginarsi la loro vita quando la guerra sarà finita. Molti cacciano via il pensiero come un’illusione molesta. Temono che non finirà mai o che loro non riusciranno a vedere i giorni della pace. Ma chi è che mette fra parentesi se stesso e col pensiero corre agli altri, ai siriani che sopravviveranno a questo olocausto che dura da tre anni e a quelli che nasceranno, quelli che saliranno su questa collina, dove oggi echeggiano le artiglierie, e cercheranno il Dio della pace negli spazi silenziosi di un monastero? Quattro monache cistercensi italiane: Marta, Marita, Adriana e Rosangela. Che qui ad Azeir, un piccolo villaggio maronita sul confine col Libano, a metà strada fra Homs e Tartus, hanno cominciato tre anni e mezzo fa a costruire il loro monastero.

In Siria le monache del monastero di Valserena, provincia di Pisa, sono arrivate nel 2005. Hanno vissuto per un certo tempo ad Aleppo, accolte dal vicario latino mons. Nazzaro, e intanto cercavano il luogo adatto per un insediamento. In Siria ci sono sempre stati monasteri ortodossi, soprattutto femminili, ma cattolici non ce n’erano più da parecchio tempo. Benché nei cattolici siriani fosse rimasto vivo il desiderio di esperienze di vita contemplativa. Ma la ragione per cui delle monache italiane hanno attraversato il mare e sono venute qui, e sono rimaste anche quando i tempi si sono fatti duri, è fondamentalmente un’altra.
Nel refettorio di quello che per ora è l’edificio principale del monastero (ma il progetto è di farne la foresteria e di costruire un altro fabbricato per il capitolo, il dormitorio, la biblioteca, la chiesa, ecc.) su un tavolo si scorge un libro: Christian de Chergé: une biographie spirituelle du prieur de Tibhirine. «Questa presenza monastica è il risultato della riflessione iniziata nel nostro ordine, nel ramo femminile come in quello maschile, sulla vicenda del monastero di Tibherine, in Algeria», commenta Marta, la priora.
Nel marzo del 1996 sette monaci trappisti cistercensi dell’abbazia di Nostra Signore dell’Atlante furono prelevati da presunti combattenti islamici e uccisi qualche tempo dopo. Un comunicato attribuito al Gia, il Gruppo islamico armato, quasi due mesi dopo il rapimento annunciò che erano stati sgozzati. I loro corpi non sono mai stati ritrovati: solo le teste decapitate.
Il loro priore era Christian de Chergé, nato in Alsazia quando questa era ancora governata dalla Germania e poi trasferitosi in tenera età in Algeria con la famiglia e col padre militare, comandante di un reggimento di artiglieria in Africa. Un paio di anni prima del rapimento che si sarebbe concluso con la morte, padre Christian aveva scritto una lettera d’addio che doveva rivelarsi profetica. Cominciava così: «Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese».  
le tombe dei  Trappisti di Tibhirine

 E concludeva: «Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze. Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto. In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso! E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo a-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! InshAllah».
«Per noi che eravamo lontane il significato della presenza dei nostri confratelli a Tibherine è diventato chiaro dopo la loro morte», spiega Marta. «Prima di allora, quel monastero era noto più che altro per i problemi che aveva avuto: era stato sul punto di essere chiuso, le autorità avevano limitato il numero dei monaci. Dopo il loro sacrificio, abbiamo sentito la chiamata che veniva dalla loro esperienza: quella di frati oranti che si erano dati in una gratuità totale. Tutto l’Ordine si è interrogato. Un primo gruppo di monache di tutto il mondo ha dato la sua disponibilità ad aprire un altro monastero in un paese islamico. Un tentativo in Tunisia due anni dopo è stato ben presto abbandonato. A Valserena io e suor Marita abbiamo sollevato la questione e manifestato la nostra disponibilità. La comunità ha deciso di assumere la fondazione di un monastero in un paese del Vicino Oriente, e insieme alla nostra superiora suor Monica abbiamo cercato. Abbiamo vissuto per alcuni anni in un appartamento ad Aleppo nel quartiere di Maidan, dove adesso c’è la guerra. Poi abbiamo cominciato a costruire qui, dove ci siamo trasferite nel settembre 2010».

monache-azeir-siria04Una presenza umile, «oranti fra gli oranti». «L’umiltà ti mette al posto giusto. Altrimenti perdi Cristo». In questa terra la preghiera della maggior parte degli oranti è quella islamica. Come vivere e comunicare la specificità cristiana con questi credenti? Come celebrare l’unità con loro senza scivolare nel relativismo o in un ecumenismo al ribasso? «Sì, quando si parla di dialogo fra persone di religione diversa si rischia sempre di scivolare nell’affermazione che una fede vale l’altra. Ma questo succede quando della fede non si fa esperienza, quando la si riduce a discorsi religiosi», spiega suor Marta.
«O la mia fede prende tutto, cioè è rapporto totale con Dio, oppure stiamo facendo solo discorsi religiosi. Questo è il tempo di manifestare la gioia del mio rapporto con Cristo, voglio fare conoscere a tutti questa gioia, qualunque sia il prezzo da pagare. Perciò non sarò mai d’accordo con chi dice “è tutto uguale, è tutto la stessa cosa”. La mia fede è l’anima della mia vita, e chiedo all’altro di parlarmi della sua. A partire da questo accolgo le parole semplici e sincere dei musulmani che mi dicono: “Abbiamo lo stesso Dio, siamo una cosa sola, preghiamo insieme”. Ma non sarà mai un sincretismo dottrinale: non posso rinunciare a Cristo».

C’è un dettaglio della vita del padre Christian de Chergé che solo i lettori della biografia conoscono: in gioventù aveva avuto la vita salvata da un amico musulmano algerino, Mohamed. Lo aveva difeso da un’aggressione di strada. Il giorno dopo Mohamed era stato trovato ucciso: aveva pagato con la vita il suo intervento in difesa di un infedele. Nel cuore di Christian erano riecheggiate le parole dell’amico, dopo che lui lo aveva ringraziato per il provvidenziale intervento e gli aveva promesso di pregare per lui: «Lo so che tu pregherai per me. Ma sai, i cristiani non sanno pregare!». E Christian era diventato un monaco trappista…




«C’è una bontà di fondo nei cristiani e nei musulmani di questo paese, che è la speranza della Siria», dice suor Marta. Fa effetto sentir dire queste parole dopo una notte percorsa dai tonfi sordi delle artiglierie, confusi coi rumori degli infissi scossi dal vento. I combattimenti attorno alla vicina Zara non hanno conosciuto requie: la pioggia notturna anziché spegnerli sembra averli eccitati. «È proprio quando c’è maltempo che i ribelli muovono le loro forze», aveva avvisato un ufficiale giù al posto di blocco a Talkalakh, sulla strada per venire qui, da poco tornata alla tranquillità. La cittadina al confine col Libano ha conosciuto assalti, battaglie, cambi di padrone sin dal maggio 2011. Da poco è in vigore un’altra tregua. Di notte ribelli arrivano dal Libano, scendono e poi risalgono la stretta vallata di confine, girano attorno alla collina di Azeir e del suo monastero, e si dirigono verso l’interno. Una mattina di due anni fa c’è stata una vera e propria battaglia coi soldati del vicino posto di blocco che è sconfinata nella proprietà del monastero, 300 metri da qui.

«Facciamo la spesa a Talkalakh, ci conoscono tutti e sanno che vogliamo bene a tutti. In corriera le donne, sunnite o alawite, cercano di parlare con noi. Ci confidano i loro problemi: senza conoscerci personalmente, solo sapendo che siamo venute fin qui e restiamo qui per pregare fra loro, si fidano di noi».
I lavori per l’allestimento del monastero sono quasi fermi a causa della situazione generale, ma quando erano in corso coinvolgevano persone di ogni estrazione religiosa. A curare gli alberi e l’orto erano un sunnita e un giovane alawita. «Sembravano proprio padre e figlio», ricorda con struggimento Marta.


 «È il rapporto personale con Dio che fa cambiare i rapporti fra le persone. È Dio che ci fa essere una cosa sola, ma occorre che ciascuno viva fino in fondo la sua fede. Noi preghiamo e lavoriamo i campi, abbiamo una vita semplice, e questo è un segno che la gente di qui, cristiani e musulmani, percepisce. In cuor loro, avrebbero preferito avere qui delle suore di vita attiva, che aprivano un asilo o un ambulatorio. Ma ammirano la preghiera e ne sentono il bisogno, sentono anche il bisogno di luoghi di preghiera come questo. E più di tutto apprezzano il fatto che noi restiamo qui con loro, in un momento come questo, che sembra non finire mai. La nostra presenza dà a questa gente la forza di restare, e la loro permanenza qui rafforza la nostra decisione di restare. Siamo strette in questo abbraccio».

http://www.tempi.it/un-giorno-nel-monastero-delle-suore-trappiste-italiane-in-siria-siamo-qui-per-far-conoscere-cristo-a-qualunque-prezzo#.Uzqw9EaKDwo

Per chi desiderasse sostenere la presenza delle Monache Trappiste in Siria:
http://www.valserena.it/associazione_nsdp_aiutosiria.html