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mercoledì 6 giugno 2012

“La graduale trasformazione dell'opposizione siriana in un movimento diretto da musulmani estremisti, ispirato, alleato e coordinato con al-Qaeda non serve gli interessi dell'opposizione stessa in quanto la maggioranza dei siriani non si identifica con quei radicali”.

EDITORIALE ANALISI DIFESA
di Gianandrea Gaiani 


STRAGE DI HOULA: CASUS BELLI PER LA GUERRA ALLA SIRIA?

Tre stragi di civili a Homs, Hama e a Houla dove sono stati massacrate 108 persone, per metà bambini. Una strage subito attribuita dai media internazionali (in testa le immancabili al-Jazira e al-Arabya, organi di propaganda e disinformazione di Qatar e Arabia Saudita) ) e dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu alle forze governative siriane. Tutto è possibile in una guerra civile sempre più cruenta nella quale però le nefandezze abbondano tra i governativi come tra i ribelli. Inutile sottolineare che Bashar Assad dovrebbe essere impazzito per ordinare ai suoi di massacrare centinaia di innocenti a due passi dagli osservatori dell’Onu e sotto i riflettori dei media internazionali. I rapporti degli osservatori col basco blu guidati dal generale norvegese Robert Mood riferirono subito di persone colpite dalle schegge di granata, altre uccise con colpi a bruciapelo o a coltellate. Più tardi però, dopo il montare delle accuse a Damasco, hanno corretto il tiro riferendo di almeno una parte delle vittime colpite dai cannoni dei carri armati governativi. Damasco nega ogni responsabilità per una strage compiuta in una zona abitata da sunniti ma circondata da villaggi alauiti che sostengono il governo. Ce n’è abbastanza per sospettare della strage l’esercito e le milizie filo-Assad ma anche le molte anime della rivolta e i combattenti di al-Qaeda sempre più attivi in Siria provenienti dal vicino Iraq e che hanno già compiuto attentati e massacri. La dinamica della strage di Houla assomiglia infatti alle “spedizioni punitive” compiute dalle milizie di “al-Qaeda in Mesopotamia” contro villaggi sunniti iracheni che sostenevano collaboravano con le truppe statunitensi e con il governo di Baghdad. Quando al-Qaeda effettuò i primi attentati in Siria, contro sedi dei servizi segreti ad Aleppo e Damasco i ribelli ne attribuirono la responsabilità al regime di Assad, versione che ebbe ampia eco sui media (al-Jazira in testa, ancora una volta) finché lo stesso Dipartimento di Stato di Washington ammise che i terroristi di al-Qaeda erano entrati in forze in Siria per combattere il regime divenendo di fatto “alleati” ingombranti e imbarazzanti non solo dei ribelli ma anche dell’Occidente. La strage di Houla rischia di diventare quindi il “casus belli” per l’intervento militare internazionale da tempo chiesto da Turchia, Lega Araba e soprattutto dal Qatar e dai sauditi, sostenuti dagli anglo-americani e dai francesi. Anche se la Nato ha finora negato i preparativi di azioni belliche contro Damasco negli ultimi mesi sono emerse molte indiscrezioni che indicano il contrario incluse voci di pre-allerta di alcuni reparti alleati pronti a venire rischierati in Giordania, Libano o nelle basi britanniche a Cipro. Allo stesso modo negli ambienti diplomatici da tempo si sussurra che il Piano Annan è destinato a non riuscire a risolvere la crisi siriana ma può creare il contesto per un’azione internazionale che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sembra pronto a varare. Indiscrezioni che trovano conferme anche in quanto rivelato dal Washington Post che ha sentito ribelli siriani e di funzionari statunitensi secondo i quali nelle ultime settimane gli insorti hanno ricevuto molte armi moderne fornite da Qatar e Arabia Saudita nell’ambito di un piano coordinato dagli Stati Uniti. Traffici gestiti da alcune basi alla frontiera con la Turchia (Idlib) e col Libano (Zabadani) senza dimenticare che in Giordania /dove l’Italia sta inviando un ospedale da campo) si è tenuta recentemente l’esercitazione internazionale Eager Lion che ha visto la presenza di 12 mila militari americani e alleati (anche qualche decina di specialisti italiani del 185° reggimento acquisizione obiettivi) che hanno simulato operazioni simili a quelle richieste da un intervento militare in Siria. Anche i Fratelli Musulmani siriani, come ha confermato il membro del comitato esecutivo della Fratellanza Mulham al-Drobi, si riforniscono di armi grazie ai fondi messi a disposizione da ricchi siriani o dai Paesi del Golfo. Sul regime di Assad sembrano sempre meno disposti a investire anche gli “sponsor” russi e cinesi se è vero, come racconta Haaretz che le forniture di armi e munizioni (anche nordcoreane) che arrivano via mare a Tartus e Latakia non godono più dei crediti agevolati di un tempo ma vengono pagate in anticipo da un fondo costituito dai petrodollari di Teheran, ormai l’unico vero alleato di Damasco. Ufficialmente Barack Obama ha chiesto la collaborazione di Mosca per gestire una “soluzione yemenita” con l’esilio di Assad e l’avvio di una transizione politica ma nei fatti Washington sembra puntare più a una “soluzione libica” e la strage di Houla potrebbe creare il contesto mediatico e sociale favorevole ad approvare un intervento bellico internazionale. Il Consiglio nazionale siriano (Cns), organo dei ribelli, chiede armi per difendere la popolazione e iniziative militari potrebbero venire presto varate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il presidente francese Francois Hollande pare deciso a emulare in Siria le gesta di Sarkozy in Libia e dopo aver sentito il premier britannico David Cameron ha dichiarato che “la follia omicida del regime rappresenta una minaccia per la sicurezza dell'area”. Il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi non esclude nessuna opzione contro il regime di Assad e il leader dei liberaldemocratici europei Guy Verhofstadt ha chiesto esplicitamente un intervento militare internazionale. Sono bastati poco più di un centinaio di morti, per metà bambini, per ventilare senza timidezze un intervento finora ufficialmente escluso dall’Alleanza Atlantica.
Eppure le truppe di Assad sono impegnate in veri e propri combattimenti contro ribelli appartenenti a gruppi diversi e spesso rivali ma che possono contare su armi sempre più moderne e che non si tratti di una guerra tra militari e civili indifesi lo si evince anche dal bilancio delle vittime redatto dall’Osservatorio dei diritti umani, emanazione dei rivoltosi, che ammette che su 13 mila morti oltre 3 mila erano militari di Assad e che molti dei più di 9 mila civili uccisi erano ribelli. Del resto non sarebbe la prima volta che eccidi e massacri, veri o “costruiti” ad arte, aprono la strada all’internazionalizzazione di un conflitto interno. Nel 1995 alla strage di Srebrenica seguì l’intervento dell’Alleanza Atlantica in Bosnia, nel 1999 le fosse comuni di Racak diedero il via all’intervento della Nato in Kosovo nonostante un team medico bielorusso avesse accertato che si trattava di cadaveri raccolti da più parti ai quali era stato sparato alla nuca post mortem. L’anno scorso l’intervento alleato in Libia è stato favorito dalle notizie, rivelatesi poi infondate, di fosse comuni, massacri di bambini e stupri di massa compiuti dai soldati di Gheddafi. Il parallelo con la Libia non è azzardato non solo considerando la mole di disinformazione diffusa mediaticamente in questi mesi dai ribelli siriani ma anche analizzando le ultime dichiarazioni politiche nelle quali la nota di linguaggio sembra essere “proteggere i civili”. La stessa motivazione che animò l’intervento della Nato in Libia battezzato Operazione “Unified Protector”. In quel caso vennero protetti a suon di bombe e missili anche i molti civili che sostenevano il regime di Gheddafi e anche in Siria pare che buona parte dei civili stia con Assad o quanto meno non abbia intenzione di lasciare il proprio Paese in mano a milizie armate, bande irregolari e jihadisti.
Difficile dargli torto guardando all’attuale situazione libica e alle leadership occidentali impegnate ai consegnare Damasco agli islamisti.
“Come già in Egitto, in Siria i Fratelli musulmani sono riusciti ad appropriarsi della rivolta, fino a costituirne ora la spina dorsale”: questa la valutazione espressa dall’esperto israeliano, Jacques Neriah, in una analisi pubblicata dal Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa). “Negli ultimi mesi - nota Neriah (in passato consigliere del premier Yitzhak Rabin) - sono scesi in campo i Salafiti e altre piccole organizzazioni islamiche ''in una sollevazione orchestrata ed alimentata da al-Qaeda”. Il principale gruppo di opposizione, guidato dal leader in esilio, Burhan Ghalioun, sembra entrato in “un processo di disintegrazione”. Ghalioun - secondo Neriah - non è riuscito ad imporre la propria autorità sull'Esercito della libera Siria (Fsa). Il carattere radicalmente islamico della insurrezione è nel frattempo divenuto più marcato, grazie anche - secondo Neriah - all'intervento di combattenti islamici accorsi da Afghanistan, Pakistan, Iraq, Libia, Tunisia e anche da Paesi europei.
“La graduale trasformazione dell'opposizione siriana in un movimento diretto da musulmani estremisti, ispirato, alleato e coordinato con al-Qaeda non serve gli interessi dell'opposizione stessa in quanto - secondo Neriah - la maggioranza dei siriani non si identificano con quei radicali”.

http://cca.analisidifesa.it/it/magazine_8034243544/numero129/article_456471347486735456425416671454_7505023515_0.jsp

lunedì 4 giugno 2012

A proposito di "sollevazione democratica"

Da Avvenire- 4 giugno 2012
Siria, i ribelli: «Abbiamo ucciso almeno 80 militari governativi»
I ribelli siriani hanno ucciso almeno 80 soldati delle forze fedeli al presidente Bashar al-Assad nel fine settimana in scontri e attacchi in diverse parti del Paese. Lo riferiscono gli attivisti anti-regime dell'Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra.

Secondo gli attivisti, fonti mediche hanno confermato l'identità di 80 soldati uccisi sui 100 annunciati dai ribelli, che affermano di aver distrutto numerosi carri armati in varie zone, incluse quelle di Damasco e Idlib. Nei giorni scorsi, alcuni comandanti dei militari ribelli radunati nell'Esercito libero siriano (Esl) hanno affermato di sentirsi "liberi da ogni impegno" rispetto alla tregua prevista dal piano di pace di Kofi Annan se il governo di Damasco non avesse fermato le violenze. Rami Abdelrahman, il capo dell'Osservatorio, ha affermato che molti posti di blocco, almeno 4, delle forze governative sono stati distrutti nella provincia di Idlib.

Da Asia News 05/06/12
Damasco (AsiaNews/Agenzie) - I ribelli siriani non rispetteranno più il cessate il fuoco in vigore dal 12 aprile e lanciano un appello a tutti i Paesi islamici sunniti chiedendo di finanziare con ogni mezzo la "guerra santa" contro il regime di Bashar al-Assad. Intanto, il governo siriano caccia gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Turchia.
Oggi, il generale ribelle Mustafa al - Sheikh ha annunciato la creazione della Military Coalition For Syrian Revolutionaries Front, nuovo fronte armato della guerra contro Assad che riunirà tutte le milizie di opposizione in unico esercito. Lo scopo è armare "tutti i combattenti islamici", creando un corridoio sui confini con Turchia e Iraq dove far passare armi e denaro. Tale strategia è in atto da mesi e vede fra i principali finanziatori dei ribelli Arabia Saudita e Qatar, ma è finora è sempre stata negata da entrambi i Paesi del Golfo e dagli stessi ribelli.
Ieri, il Syrian Nataional Council (Snc), gruppo politico che rappresenta parte dei ribelli siriani, si è dissociata dalla coalizione militare, sottolineando che l'unica strada percorribile è il piano di pace proposto da Lega Araba e Nazioni Unite. Ahmad Fawzi, portavoce del Snc accusa i Paesi occidentali e i media di aver decretato morto il piano di Kogi Annan già prima della sua applicazione. "In molti mi chiedono se anche secondo me il piano di pace in sei punti è superato, se è alla fine, se è morto. Senza avere una risposta vera tutti hanno già scritto il suo necrologio. Ma esso è per il momento l'unica opzione che consente di affrontare il conflitto in modo pacifico".
http://www.asianews.it/notizie-it/I-ribelli-siriani-per-la-guerra-totale.-Assad-espelle-alcuni-ambasciatori-24944.html

venerdì 1 giugno 2012

Il patriarca cattolico: cristiani usati come scudi umani dai ribelli

IL SUSSIDIARIO - INTERVISTA a GREGORIO LAHAM
venerdì 1 giugno 2012
Cristiani siriani usati come scudi umani dai ribelli negli scontri a fuoco con l’Esercito regolare di Assad. A denunciarlo è il patriarca Gregorio III Laham, massima autorità cattolica di Damasco Patriarca di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti. Il patriarca racconta di rapimenti notturni dei fedeli della sua diocesi, con pagamenti fino a 200mila dollari Usa per il riscatto, case confiscate o fatte saltare per aria, continue incursioni armate di musulmani sunniti nei quartieri cattolici. Nel corso dell’intervista a Ilsussidiario.net, Gregorio III rivela i particolari della sua ultima udienza con Papa Benedetto XVIII, nel corso della quale si sono confrontati a lungo sulla crisi siriana. E sulla strage di Hula sottolinea: “E’ contro ogni logica che sia stata compiuta dal governo. L’artiglieria dell’Esercito si trovava fuori dal villaggio, mentre le esecuzioni sono state perpetrate da qualcuno penetrato nel centro abitato”.
Patriarca Gregorio III, com’è la situazione per i cristiani in Siria?
 La loro situazione è problematica non soltanto in quanto cristiani ma anche in quanto cittadini in difficoltà. I ribelli entrano nei loro quartieri, mettendoli in fuga dalle loro case: è successo a Homs, Yabroud, Rabli e altrove nella Valle dei Cristiani. Il risultato è un vero e proprio esodo dei cristiani siriani che non si sentono più sicuri nel loro Paese.
A chi appartengono i gruppi che cacciano i cristiani dalle loro case?
 Sono musulmani sunniti appartenenti alle fazioni ribelli, ma spesso anche terroristi o banditi. Bisogna dirlo chiaramente: in Siria non si fronteggiano più soltanto governo e opposizione, ma c’è anche un terzo elemento che punta soltanto a sovvertire la legge. I cristiani sono vittime del caos nel Paese che è stato causato dagli oppositori.
Che cosa fanno i “banditi” una volta entrati nei quartieri cristiani?
 La loro semplice presenza è già di per sé un elemento di insicurezza, perché crea un’atmosfera terroristica. Appena si insediano in un luogo hanno inizio gli scontri con l’Esercito regolare. I terroristi uccidono soldati o funzionari, come è successo a Homs e nei villaggi intorno alla città.
I ribelli aggrediscono i cristiani?
I ribelli usano i civili cristiani, i loro quartieri e le loro case come scudi umani negli scontri con l’Esercito. E allora accade quello che accade. Non capisco perché questi musulmani sunniti vengano in quartieri e villaggi che non sono i loro.
Quali altre violenze sono subite dai cristiani?
 I banditi estorcono denaro ai cristiani o li rapiscono nottetempo e li rilasciano dopo due o tre giorni in cambio di riscatti del valore fino a 200mila dollari. In alcuni casi questi gruppi hanno confiscato le case dei civili, magari per poi distruggerle.
Che cosa è possibile fare per proteggere i cristiani siriani?
 Se l’Europa vuole salvare i cristiani siriani, deve incoraggiare il piano di pace di Kofi Annan. Qualsiasi piano alternativo, come pure l’ipotesi di nuove sanzioni, indebolisce soltanto gli sforzi del mediatore Onu. La comunità internazionale ha affidato la missione ad Annan e bisogna lasciarlo lavorare. Il problema è che prima l’Europa gli ha affidato un mandato e ora è contro di lui. E’ questo che impedisce al piano Annan di fare dei passi avanti.
Chi è responsabile delle violazioni della tregua?
 La tregua è stata violata dai ribelli e non da Assad. Il regime non ha alcun interesse a fare fallire il piano Annan. Su 10mila morti dall’inizio della rivolta, si contano migliaia di vittime anche tra i soldati. Il governo deve proteggere l’intero Paese, e non soltanto i manifestanti che sono sempre armati. A nome anche degli altri vescovi siriani, posso affermare che non è mai avvenuto che una manifestazione disarmata fosse attaccata dall’Esercito. Il governo non attacca se non è attaccato. A Hula sono stati uccisi 15 soldati prima della strage, che non è stata compiuta dai fedeli di Assad.
Ne è davvero certo?
 Non riesco a immaginare che un governo e un esercito organizzato possano uccidere dei bambini così. Soprattutto in un momento in cui si trova sotto gli occhi del mondo intero.
In un primo momento a essere accusata è stata l’artiglieria dell’Esercito …
L’artiglieria si trovava fuori dal villaggio, mentre è più probabile che chi ha compiuto la strage siano state le forze dell’opposizione all’interno del centro abitato. Non ho elementi per affermarlo con certezza, ma è la cosa che mi sembra più logica.
I ribelli, che chiedono solo democrazia, avrebbero invece dei motivi per uccidere i bambini?
 La democrazia non c’entra, all’origine delle rivolte c’è la volontà internazionale e locale di distruggere le Siria. Noi abbiamo già abbastanza democrazia, anche se non al cento per cento, e siamo sulla via per rafforzarla. Negli ultimi dieci anni il clima del mio Paese è diventato più liberale e democratico, nonostante la presenza dei servizi segreti. Noi cristiani siamo i primi a chiedere un cambiamento, ma riteniamo che quest’ultimo non possa venire da una rivoluzione armata.
Perché i cristiani si sentono più sicuri con Assad che con l’opposizione?
 Perché non sappiamo chi siano questi oppositori. I cristiani sono protetti quando c’è sicurezza nel Paese. Attualmente invece la Siria è nel caos, e a provocarlo non è certo il governo.

Lei ha parlato con il Papa della crisi siriana? Mi sono incontrato con Papa Benedetto XVI il 15 marzo scorso. Gli ho confidato la mia convinzione che la Siria deve essere realmente un Paese libero, e che occorre che i siriani trovino una soluzione per il loro avvenire conquistandola con le sole loro forze. Mentre occorre dire no alle ingerenze dalle potenze straniere.
E il Papa che cosa le ha risposto?
 Il Papa mi ha ascoltato, come fa sempre in queste circostanze. Benedetto XVI del resto è intervenuto diverse volte a favore del dialogo in Siria: la sua voce è la più forte tra quanti cercano una soluzione pacifica. Non posso che ringraziarlo per questa posizione così positiva e oggettiva. Francia, Germania e Regno Unito invece sono capaci soltanto di scagliarsi contro Assad. Il Papa al contrario chiama al dialogo. Se l’Europa seguisse la linea del Santo Padre, la crisi siriana potrebbe raggiungere una soluzione.
 (Pietro Vernizzi)