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venerdì 4 marzo 2016

Mons. Khazen: "effetti positivi della tregua in atto, ma basta connivenze straniere con l’Isis, lasciate liberi i siriani di decidere per loro stessi”

piazza Hamdiya trasformata in cimitero per mancanza di spazio ora soprannominata dai locali Piazza dei martiri

ZENIT, 4 marzo 2016
di Federico Cenci


Si sarebbe dovuto tenere questa settimana un tour in Italia di mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini. Il presule avrebbe partecipato ad una celebrazione quaresimale e ad una serie di conferenze per raccontare il dramma che si sta consumando in Siria, sulla pelle dei suoi abitanti, specie delle minoranze religiose come i cristiani.  Tuttavia, proprio l’improvviso rinfocolarsi di questo dramma ha costretto mons. Abou Khazen a rinunciare al suo viaggio in Italia. Per telefono egli ha annunciato che doveva annullare gli appuntamenti  perché “Aleppo non ha vie percorribili in questo momento”, in quanto “l’unica strada che collega la città al Sud è stata liberata dall’esercito regolare, ma altre sono ancora in mano alle milizie armate”. Mons. Abou Khazen ha inoltre spiegato che Aleppo è “tagliata fuori dai rifornimenti”, pertanto non possono arrivare aiuti. A qualche giorno di distanza, ZENIT lo ha contattato per sapere come si sta evolvendo la situazione e quali sono le speranze del popolo siriano riguardo i negoziati di pace che riprenderanno il 9 marzo a Ginevra.
Eccellenza, cosa sta accadendo in queste ore ad Aleppo?   In queste ore ad Aleppo la situazione è meno difficile e meno grave di qualche giorno fa. L’esercito regolare è riuscito a rompere l’assedio e liberare l’unica strada che collega Aleppo alle altre zone della Siria, che l’Isis ed al-Nusra avevano in parte occupato. Quindi ora i rifornimenti, i viveri, il carburante, ecc. stanno arrivando in città. Ma siamo ancora da sei mesi  senza elettricità e da circa due mesi anche senza acqua. E in questi giorni i bombardamenti sui quartieri civili sono diminuiti notevolmente.
Quindi la tregua scattata sabato scorso sta producendo effetti positivi?   La tregua scattata sabato scorso sta producendo effetti molto positivi: ha fermato i fiumi di sangue e risparmiato morte, distruzioni e tanto dolore e sofferenze. Sta inoltre incoraggiando il processo di riconciliazione tra i siriani in varie parti della Siria, oltre ad aver dato una bella spinta ai negoziati programmati. Questa tregua sta permettendo che gli aiuti umanitari arrivino nelle zone assediate. Speriamo solo che il cessate il fuoco duri.
Ritiene, come ha recentemente detto il presidente Bashar al-Assad, che la catastrofe umanitaria in Siria sia dovuta, oltre che alla guerra, anche all’embargo imposto dai Paesi occidentali?      L’abbiamo detto dall’inizio che l’embargo imposto dai Paesi occidentali è un crimine! Tale metodo non aiuta mai, come sempre chi ne soffre e ne paga le conseguenze è solo il popolo. Tutto il popolo, ma in modo speciale i più poveri e deboli: andiamo mendicando per aiutare la popolazione e la gente che soffre la fame, mentre a causa dell’embargo centinaia di migliaia di siriani che lavorano all’estero non possono trasferire una piastra alle loro famiglie in Siria. Migliaia di studenti siriani che si specializzano all’estero devono interrompere i loro studi perché le loro famiglie non possono inviargli il denaro necessario, né il Governo pagare la borsa di studio per molti di loro. La gente soffre il freddo – ad Aleppo d’inverno si arriva a temperature al di sotto degli zero gradi – senza che si possano avere né gasolio né gas per riscaldarsi. Per non parlare della mancanza di medicine, macchinari necessari per gli ospedali, pezzi di ricambio, etc… Mi chiedo, al di là di aver prodotto questi disastri, l’embargo è forse riuscito a portare la pace e risolvere il conflitto?
È cambiato qualcosa negli ultimi cinque mesi, da quando è iniziato l’intervento russo?    In questi  ultimi cinque mesi, da quando l’intervento russo è iniziato, molte cose sono cambiate. Nei 18 mesi di intervento della cosiddetta coalizione internazionale anti Isis (condotto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, ndr), i terroristi avevano occupato il 50% dei territori occupati. In questi ultimi 5 mesi di intervento russo, l’Isis ha perso il 20% di territorio che occupava, e anche gli altri gruppi jihadisti – ad esempio al-Nusra – perdono posizioni. L’esercito regolare è riuscito ad avanzare e a liberare molti villaggi e cittadine, permettendo così ai profughi di tornare. Soprattutto, è riuscito a fare riaprire gli edifici scolastici in questi posti e far tornare i ragazzi alla scuola dopo qualche anno di abbandono. E poi ricordo che alla Russia dobbiamo riconoscere di essersi impegnata in modo particolare per i negoziati e per la tregua.
Lei ha parlato in passato di quella in Siria come di una “guerra per procura”. Quali Paesi sarebbero coinvolti? E a quale scopo?    Il mio non è un giudizio temerario. Sono i fatti a dimostrare questa affermazione e ormai anche tutti i mass-media lo confermano. Così come lo confessano i Paesi stessi coinvolti, a partire dagli Usa, passando per alcuni Paesi europei, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar…
A quali fatti fa riferimento?   Ciò che affermo lo si può dedurre facilmente analizzando alcuni aspetti di questa guerra: come è stato possibile che decine di migliaia di combattenti stranieri riuscissero a varcare i confini per arrivare in Siria? Chi li ha armati ed addestrati? Come ho detto prima, durante l’intervento della cosiddetta coalizione internazionale anti Isis, con a capo gli Usa, l’Isis ha occupato il 50% della Siria, ossia la metà del territorio! E aggiungo: chi sta acquistando il petrolio dall’Isis a costi ridottissimi? Chi sta comprando i tesori archeologici rubati dall’Isis in Iraq e in Siria? Gli unici che combattono l’Isis sul territorio sono i curdi e l’esercito regolare siriano. Ebbene, la Turchia sta bombardando i curdi e gli Usa non ne vogliono sapere dell’esercito regolare…
Il 9 marzo a Ginevra riprenderanno i colloqui di pace per la Siria. Qual è la vostra speranza?   Abbiamo una forte speranza. Speranza che finalmente vengano lasciati liberi i siriani di negoziare e di decidere per loro stessi, senza imporre gli interessi delle potenze regionali straniere. Questa è la condizione affinché i colloqui siano proficui. I siriani sono ormai stanchi di questa assurda guerra, più stanchi ancora dei tanti combattenti stranieri giunti in Siria per creare scompiglio e per imporre la sharia.
Secondo Lei i cristiani siriani sono destinati a un futuro lontano dalla loro terra?  Purtroppo già molti cristiani hanno lasciato la Siria e l’Iraq per cercare un futuro altrove, lontano dalla loro terra. Altri sono invece decisi a rimanere nonostante tutto. Il nostro futuro sta nelle mani del Buon Dio, che nell’Antico Testamento ha realizzato il suo piano salvifico per mezzo del Piccolo Resto rimasto o tornato dall’esilio. La Siria è l’Antiochia da dove, dopo Gerusalemme, è partito l’annuncio della Buona Novella e dove i discepoli di Gesù sono stati chiamati cristiani per la prima volta. E non credo che questo nome e questi discepoli spariranno. Continueremo a dare testimonianza in Oriente. San Paolo si è convertito alle porte di Damasco ed il Signore è capace di mandare altri Paolo.

giovedì 3 marzo 2016

Patriarca Rai: l’incontro tra il Papa e Kirill è stato un fatto provvidenziale e i cristiani del MO giudicano positivamente l’intervento russo nel conflitto siriano


Il Medio Oriente è sconvolto dalla tempesta delle guerre, del terrorismo e delle pulizie etnico-religiose. Ma la tempesta passerà, e anche i cristiani non spariranno dalle terre dove è nato Gesù e si è diffuso il primo annuncio cristiano. 
Il cardinale libanese Boutros Bechara Rai, Patriarca di Antiochia dei maroniti, non sembra contagiato dai toni catastrofici che segnano tanti interventi di altri vescovi e Patriarchi mediorientali. Lui dà ragione con accenti appassionati della speranza cristiana che lo anima anche riguardo al futuro del Vangelo in quella parte del mondo. 
Beatitudine, esponenti di altre Chiese cattoliche orientali hanno espresso riserve per l’abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, e soprattutto per la dichiarazione comune da loro sottoscritta. Come è stato vissuto quell’evento tra i cristiani del Medio Oriente?
“Da noi l’ecumenismo non è una questione accademica. È la vita di tutti i giorni. Tra cristiani di diverse tradizioni ci incontriamo spesso e decidiamo tutto insieme. Abbiamo percepito l’incontro tra il Papa e il Patriarca russo come un fatto provvidenziale, e io l’ho scritto anche al Papa. La dichiarazione comune, la sto leggendo un pezzo per volta al programma di formazione cristiana che tengo ogni settimana in tv. Ho cominciato coi paragrafi dedicati ai cristiani in Medio Oriente. La prossima settimana tratterò della parte sulla famiglia. Io ho rapporti fraterni anche col Patriarca Kirill. Ci scriviamo sempre, mi sono consultato con lui anche sulle questioni della politica”.
Quale giudizio prevale tra i cristiani del Medio Oriente riguardo all’intervento russo in Siria, che ha cambiato le sorti del conflitto e viene criticato da molti circoli in Occidente?
“La Russia si occupa da sempre dei cristiani del Medio Oriente, soprattutto quelli ortodossi. Nel solo Libano, i russi hanno aiutato a far nascere almeno un’ottantina di scuole ortodosse, che rappresentano un contributo importante per la vita ecclesiale. Riguardo alla guerra, ai nostri occhi l’intervento della coalizione guidata dagli americani non ha fatto altro che consolidare i jihadisti del Daesh, lo Stato Islamico. E questo ci spingeva sempre a porci delle domande. Poi sono arrivati i russi, stanno colpendo Daesh e allora si sentono le proteste di chi li rimprovera di voler solo sostenere il regime siriano… Allora non ci si capisce più niente. Noi sappiamo solo che non è possibile essere preda delle organizzazioni terroristiche: Daesh, al Qaida, al Nusra, e i mercenari che ci mandate dall’Occidente… Quindi noi giudichiamo positivamente questo intervento russo, come una lotta concreta lotta contro il Daesh. Poi, è ovvio che tutti gli Stati hanno i propri interessi politici. Ma almeno c’è una Nazione, la Russia, che parla anche dei cristiani del Medio Oriente”.
Ma c’è sempre bisogno di qualcuno che difende dall’esterno i cristiani del Medio Oriente? Non c’è il pericolo di teorizzare per loro nuovi protettorati, come quelli esercitati un tempo dalle potenze occidentali? 
“Non c’è più nessun protettorato, e forse non c’è mai stato. Gli Stati facevano i loro interessi, sotto la coperta del protettorato. Noi non abbiamo bisogno di protettori. Abbiamo bisogno solo che dall’esterno ci lascino in pace, Prima di questi interventi esterni, c’erano stati tanti problemi, ma negli ultimi tempi vivevamo in pace. Lungo la storia abbiamo sempre trovato le vie per andare avanti”.
Eppure ci sono tante forze e organizzazioni, anche politiche, che dicono di voler aiutare i cristiani in Medio Oriente.
“Sì, va bene, ma si tenga conto che noi non siamo degli individui isolati, o delle piccole minoranze derelitte. Siamo la Chiesa di Cristo, che si trova in Medio Oriente. Ci sono quelli che trattano i cristiani mediorientali come dei poveretti, quelli che dicono: venite da noi, che vi accoglieremo, cinquanta qui, cento lì, cinquecento in quell’altro Paese…. A questi dico che le cose non funzionano così. Noi vogliamo rimanere nella terra nostra, insieme ai musulmani, dove abbiamo vissuto insieme per 1400 anni, e vogliamo rimanerci nel nome del Vangelo. Abbiamo creato una cultura insieme, una civiltà insieme. E tutti quelli che ora combattono in Medio Oriente, non sono del Medio Oriente”.
L’alternativa obbligata, in Medio Oriente, è tra regimi autoritari e fanatismo jihadista?
“L’ultimo tempo di sangue e dolore è iniziato coi popoli di diverse nazioni che esprimevano il legittimo desiderio di riforme politiche. È un diritto chiedere cambiamenti. Ma poi quelle richieste sono sparite, e sono venute fuori le organizzazioni terroristiche, sostenute da fuori con i soldi, le armi e il sostegno logistico. A tanti che ne parlano sempre, la democrazia e la libertà non interessa davvero. Hanno altri interessi”.
C’è anche chi, riguardo alla condizione vissuta ora dai cristiani in Medio Oriente, utilizza sempre le categorie di persecuzione e addirittura di genocidio. L’uso di queste espressioni è sempre appropriato?
“Il problema in Medio Oriente non un problema di persecuzione dei musulmani sui cristiani. I problemi sono altri: quelli tra sciiti e sunniti, tra regimi e gruppi terroristici, e tra Arabia Saudita e Iran, che si fanno la guerra sul suolo della Siria, dell’Iraq, dello Yemen, e in Libano si fanno guerra politica. I cristiani ci vanno di mezzo, ci sono stati attacchi mirati, perchè nel caos succede sempre così. Ma non possiamo parlare di persecuzione vera e propria e sistematica, e tanto meno di genocidio. Ci sono molte più persecuzioni contro i musulmani che contro i cristiani, I cristiani sono vittime come tutti gli altri, ma i 12 milioni di siriani che sono dovuti scappare dalle loro case non sono cristiani. Anche le atrocità del Daesh sono rivolte più contro i musulmani che contro i cristiani”.
Ma anche fuori dagli scenari di guerra, nei Paesi del Medio Oriente i cristiani vivono spesso situazioni obiettive di discriminazione. 
“Ci sono difficoltà, maltrattamenti, ci sono regimi che non rispettano la libertà religiosa, ma tutto questo è un’altra cosa rispetto alla persecuzione e addirittura al genocidio. E sono situazioni con cui noi abbiamo una certa familiarità storica. Se ci si lascia in pace, troveremo noi le soluzioni per andare avanti nelle situazioni nuove che ci troveremo a vivere. I protettorati del passato, di cui abbiamo accennato prima, hanno fatto più danni che bene ai cristiani che dicevano di voler difendere. Gli Stati fanno solo i loro interessi, e i cristiani venivano identificati come un corpo estraneo, da espellere. Mentre noi nelle nostre terre ci siamo nati, e abbiamo saputo vivere anche sotto i regimi più dittatoriali. Per questo nelle nostre terre noi non saremo mai “minoranze”, anche se rimanesse un solo cristiano in tutto il Medio Oriente I cristiani mediorientali riconoscono i limiti, rispettano le leggi e le autorità costituite. Sanno bene di vivere in Paesi dove l’islam è religione di Stato, la Sharia e sorgente principale delle leggi. Desiderano le riforme, Certo. Ma rispettano i tempi della storia. A quelli che vengono con le bombe, che fanno la guerra con la scusa di voler la democrazia e le riforme, o addirittura dicono di voler aiutare i cristiani, non si può dar credito. Non vogliono davvero le riforme. Cercano altro”.
Quale è allora il modo di aiutare i cristiani che soffrono?
“Chi riceve i colpi non è come quello che li conta. Dobbiamo sempre immedesimarci con chi è in difficoltà, perché siamo la Chiesa di Cristo. Ma stare vicino a chi soffre non vuol dire invitare i cristiani a fuggire dalle loro terre. Bisogna aiutarli lì dove si trovano. Ai politici stranieri che incontro ripeto sempre: fate finire la guerra, trovate soluzioni politiche ai conflitti, e lasciateci in pace, Non chiediamo altro”.
Nel disastro del Medio Oriente, il Libano vive una crisi istituzionale devastante. Eppure non è stato risucchiato dai conflitti. 
“Il Libano rimane una necessità per tutto il Medio Oriente. Lì cristianesimo e islam vivono in una condizione di eguaglianza”.
Ma anche lì la situazione politica è bloccata dallo scontro tra forze allineate con l’Iran o con l’Arabia Saudita. 
“All’Iran chiediamo sempre di fare pressioni sul Partito sciita di Hezbollah, perchè la smettano di boicottare le elezioni presidenziali. Siamo senza Presidente da quasi due anni, fanno mancare sempre il quorum alle riunioni del parlamento convocate per l’elezione. Al posto di Presidente deve essere eletto un cristiano maronita. Ma quelli di Hezbollah hanno deciso di boicottare ogni candidatura che non sia gradita a loro”.
Vede davvero qualche possibilità di trovare una via d’uscita dal conflitto siriano? 
“Finché la Turchia tiene aperte le frontiere a tutte le organizzazioni terroristiche, la pace rimane un sogno. E la coscienza della comunità internazionale sembra essere morta. Tutti questi esseri umani sparsi nelle strade del mondo non significano niente, per chi ha in mano il potere nel mondo”.
Tanti capi cristiani ripetono dichiarazioni catastrofiche. Lei, invece, una volta ha detto che anche questa tempesta passerà. 
“I cristiani non sono un gruppo etnico-religioso, e non sono un partito politico. Sono i figli della Chiesa di Cristo. La loro presenza, anche in Medio Oriente, non dipende solo dagli equilibri politici e dalle vicissitudini della storia. C’è una tempesta, e allora noi facciamo il gioco della canna, che si piega, non si irrigidisce, e la tempesta passa, e la canna non si spezza. Abbiamo vissuto difficoltà peggiori di quelle presenti, ai tempi di Mamelucchi e degli Abassidi. Anche i Patriarchi maroniti hanno vissuto per 400 anni in posti inaccessibili, in piccole celle in alte montagne, altre volte nel profondo di valli isolate, per custodire e essere custoditi nella fede cattolica. La fede non è mai spenta dalle tribolazioni, come si vede bene anche in tutta la storia della Chiesa di Roma. Io sento che il Medio Oriente ha più che mai bisogno di noi, ha bisogno di sentire un’altra voce. Diversa da quella della guerra, dell’odio, del sangue innocente sacrificato. Ha bisogno della voce del Vangelo. Oggi più che mai”.  
http://www.lastampa.it/2016/02/21/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/non-c-nessun-genocidio-di-cristiani-e-non-ci-servono-protettori-k1buJtC2euLob4snOaNsjI/pagina.html 

martedì 1 marzo 2016

I frati della Custodia in Siria: noi restiamo!


Terrasanta.net

Il 23 dicembre scorso al convento di San Salvatore a Gerusalemme, sede centrale della Custodia di Terra Santa, giungeva la notizia del probabile rapimento di fra Dhiya Azziz, un frate quarantenne di nazionalità irachena parroco nel villaggio siriano di Yacoubieh (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour). I suoi confratelli avevano perso i contatti con lui la mattina di quello stesso giorno, mentre il religioso stava rientrando in parrocchia dopo essersi recato in Turchia per incontrare i suoi familiari, profughi dall’Iraq. Fra Azziz era già stato vittima di un rapimento nel luglio del 2015, ma in breve era riuscito a sfuggire ai sequestratori. Stavolta è stato trattenuto più a lungo (12 giorni) e la notizia dell’avvenuta liberazione è stata diffusa da Gerusalemme, senza molti dettagli, la mattina del 4 gennaio 2016. Poche settimane più tardi il frate è giunto a Roma per un periodo di riposo lontano dalle tensioni della guerra. La sua vicenda ha riproposto ancora una volta a tutti i suoi confratelli un interrogativo cruciale: è bene ed opportuno restare nelle parrocchie dei villaggi siriani sotto il controllo delle forze islamiste avversarie del governo di Damasco anche se il numero dei cristiani locali continua a scemare perché molti se ne vanno? O è meglio ripiegare in attesa di tempi migliori?

Il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha invitato tutti i frati a pregare e riflettere insieme, per aiutare lui e il suo consiglio a decidere se restare a Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh, tre paesini della Valle dell’Oronte.
Molti frati hanno risposto al Custode per iscritto o a voce. Fra Pizzaballa ha voluto ringraziarli coralmente a fine gennaio con un messaggio che recita tra l’altro: «Ho letto con attenzione e meditato su tutte le vostre osservazioni, riflessioni e preoccupazioni. Le vostre opinioni sono state di grande aiuto e hanno reso meno faticosa la decisione da prendere. Di nuovo, grazie! Nella quasi totalità avete espresso con chiarezza il parere che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani (circa 400 complessivamente nei tre villaggi) e nonostante il pericolo».

«La Custodia – soggiunge il padre Custode – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo. Non pochi tra i nostri martiri, anche nel periodo recente, sono morti in circostanze non troppo dissimili dalla situazione attuale. Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo».
A prendere il posto di fra Dhiya a Yacoubieh andrà, da Betlemme, un religioso ancora più giovane, fra Louay Bhsarat, che fin dall’inizio della guerra aveva dato la sua disponibilità ai responsabili della Custodia.







 Lettera inviata da fr. Samhar, frate della Custodia di Terra Santa che vive ad Aleppo in Siria, in cui chiede preghiere:

Ciao fra Matteo,  
Stiamo qui proprio male, ogni giorno cadono su di noi una pioggia di bombe da parte degli gruppi armati, ci sono stati diversi morti e purtroppo sono giovani di età 13_ 19_ 21_ 40_ 60 oltre ai feriti che stanno malissimo, e le case distrutte... la gente qui in questi giorni sono di più disperati... 
Vi chiedo di pregare di più per loro, noi, e tutta la Siria. 
Fr. Samhar 

Come vedete cari amici, la città di Aleppo in questi giorni è oggetto di forti scontri tra i gruppi armati dei ribelli e l'esercito siriano che sta cercando di liberarla con l'aiuto dei bombardieri russi. 
Vi chiediamo di pregare e di far pregare la gente per la pace in Siria e perché il Signore dia forza ai nostri frati di custodire con coraggio il gregge loro affidato. Anche in queste ore drammatiche. 
Si possono organizzare momenti di adorazione, preghiera o semplicemente legare questa intenzione a ciò che già fate. Rimaniamo in comunione con loro, non lasciamoli soli.Pace e bene. 
Fr. Matteo Brena Commissario di terra Santa per la Toscana

Ad Aleppo succede qualcosa di terribile, ma si ignora o non si vuole vedere

(ANS – Aleppo) – La situazione ad Aleppo?   “Qui tutto è confusione, la morte è ovunque, nessuno riesce a capire cosa sta succedendo e non si sa di chi fidarsi. Stavamo preparando con i giovani un’opera di teatro per festeggiare Don Bosco e ci siamo dovuti fermare perché diversi di loro sono morti durante i bombardamenti” , racconta con la voce spezzata don Luciano Buratti, uno dei tre salesiani che abita nella casa salesiana di Aleppo, in Siria.
Da tre anni si combatte costantemente nella città.  “Ogni notte cadono le bombe in tutto il vicinato e ogni giorno veniamo a conoscenza di qualcuno che ha perso un familiare o una persona cara” continua don Buratti, mentre sullo sfondo si sente il brusio dei ragazzi che giocano nel cortile dell’oratorio.
Quando gli si chiede riguardo la situazione concreta della casa salesiana, dice: 
“la nostra comunità ha scelto di continuare le sue attività come se nulla fosse; cerchiamo di offrire alle famiglie un luogo dove si respirino anche nel bel mezzo del caos la stabilità e l’armonia, di conseguenza, le attività della parrocchia e l’oratorio seguono il loro corso normale, come facevamo prima dei combattimenti; questa è una delle poche strutture che operano ancora con una certa normalità”.
La condizione dei cristiani è particolarmente difficile, si cerca di fuggire e chi ha soldi e può lasciare la Siria lo ha già fatto; gli altri cercano rifugio nelle città più sicure, ma molte persone, che non hanno possibilità, rimangono ad Aleppo.
Abbiamo un sacco di lavoro; è aumentato il flusso di persone che arrivano alla nostra parrocchia chiedendo servizi religiosi, cercano Dio e un po’ di conforto – prosegue il salesiano –. 
Grazie a Dio, noi Salesiani stiamo ben e riceviamo qualche aiuto da distribuire tra circa 200 famiglie della nostra parrocchia che hanno perso tutto”.
Attualmente si stima che rimangono circa due milioni di abitanti in questa città, antico simbolo della convivenza pacifica tra Cristiani e Musulmani; adesso si spera solo di sopravvivere.
I Salesiani di Aleppo animano due opere: quella di Aleppo, dedicata a san Giorgio, e quella di Kafroun, dedicata a Don Bosco, con i loro rispettivi oratori, una casa di accoglienza e una parrocchia; tutto funziona regolarmente, al servizio della gente.