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domenica 16 agosto 2015

“I Salesiani in Siria fino al martirio: folli per Cristo”

Rilasciato padre Antonio Boudros, rapito da Al Nusra il 12 luglio a Shahba


ISIS ha  iniziato a distruggere  il Monastero siro-cattolico Mar Behnam
prezioso luogo sacro del 4° secolo, situato nella piana di Ninive 



Il commovente racconto di don Munir El Ra’i conclude il raduno del Movimento Giovanile Salesiano

Torino,  (ZENIT.org)

“I Salesiani sono pronti al martirio pur di rimanere in Siria”. Con queste parole don Munir El Ra’i, Ispettore Salesiano del Medio Oriente, apre la quarta ed ultima giornata al PalaRuffini di SYM 2015, prima dello spostamento al Colle Don Bosco, dedicata alle confessioni e caratterizzata dall’intervento del sacerdote siriano.
"Come Salesiani - ha detto - siamo presenti in sette nazioni del Medio Oriente in cui un conflitto dettato dagli interessi, non per l’umanità, non per la libertà o la democrazia, altro non è se non un grande gioco molto complesso in cui chi ne paga le conseguenze è il popolo, sono i giovani".
Un “big game” esercitato "da tutte le grandi potenze perché si tratta di un’area importante e strategica. Ebbene, noi salesiani siamo presenti e abbiamo deciso di rimanere nonostante le guerre e le difficoltà. Ci sono salesiani che piuttosto di lasciare quelle terre sono pronti al martirio", ha affermato don Munir.
"Parlare in quelle zone di perdono e amore per i nemici non è cosa facile", ha aggiunto. "Aleppo, la mia città, è, attualmente, la più colpita al mondo. Più di 3 milioni di abitanti colpiti dalla distruzione totale. Ho provato a chiedere ai giovani di Aleppo se possono perdonare e amare il nemico. L’ho chiesto a una ragazza rapita con la famiglia per quattro mesi, a ragazzi a cui è stata distrutta la casa, a una giovane maestra d’asilo  a cui è morto un bambino tra le braccia colpito da un cecchino, a ragazzi che hanno perso famiglia e amici. Tutti mi dicono che non possono perdonare, è difficile. Non c’è odio, ma amare i nemici è una follia, per il momento. Forse, mi dicono, per saper perdonare dobbiamo essere santi. Forse, più avanti riusciremo ma adesso è difficile. Ma, nonostante tutto, molti in confessione chiedono al signore di aiutarli a perdonare!".
Per il religioso si tratta di "un cammino difficile, ma possibile": "Sembra essere una follia - ha affermato -. Una follia chiedere di perdonare, ma cos’è la vita cristiana se non una vita di follia? Noi abbiamo le nostre guerre, voi avete le vostre, ma è necessario saper perdonare e amare fino in fondo. Una follia, non c’è una logica umana nel perdono. Ma stare con Cristo è essere pazzi, e insegna l’unico linguaggio universale che è l’amore. E per stare con Cristo è necessario essere preparati, nutriti bene. Siamo tutti invitati a imparare il linguaggio dell’amore che va ricercato su una frequenza speciale".
Quindi l'invito "a essere folli, essere folli con Cristo", una cosa "che richiede un grande sacrificio, anche il sacrificio della vita".
"In questi giorni in Medio Oriente, nonostante la sofferenza - ha aggiunto l'Ispettore Salesiano - tanti giovani hanno donato la loro vita a Cristo, tante nuove ordinazioni sotto le bombe, giovani che oggi danno la vita per servire il popolo siriano. Una follia, ma hanno imparato bene il linguaggio di Cristo. Vi invito ad essere folli, imparate il linguaggio dell’amore, perdonate, siate pazzi di Cristo e vi saranno aperte tutte le porte.
Tutti siamo toccati dal peccato - ha concluso - ma la cosa più bella è il ritorno, il ritorno a Cristo. Ma per farlo ci vuole coraggio, e una volta intrapresa la strada del ritorno Cristo sarà sempre pronto ad accoglierci a braccia aperte e solo allora avremo il dono del perdono".


A don Munir è stato poi chiesto come educare i giovani al perdono. "Noi che abbiamo scelto di rimanere in Medio Oriente - ha risposto - insegniamo ai ragazzi ad accettare l’altro lavorando con razze e religioni diverse: accettare l’altro, chiunque sia.
Seconda cosa chiediamo ai ragazzi di avere una forte e intima relazione con Cristo, solo la forza delle fede può condurre al perdono. In ultimo invitiamo a vivere bene i sacramenti della riconciliazione e dell’eucarestia: Don Bosco diceva che ci sono due ali con le quali possiamo volare in cielo, l’eucarestia e la riconciliazione, solo con esse potete volare. Coraggio cari giovani, coraggio!".

martedì 9 giugno 2015

Chi finanzia l’Isis in Siria?

Ribelli moderati confiscano le case cristiane in Idlib
Gli ex residenti di Al-Ghassaniyah hanno riferito che le loro case, le imprese, e le chiese sono state tutte
sequestrate illegalmente dai membri del gruppo di Al-Qaeda in Siria "Jabhat al-Nusra" ed dai loro affiliati
 Harakat Al-Ahrar Sham e Ajnad Al-Sham; 
questi stessi militanti non solo hanno sfrattato
i restanti abitanti cristiani, ma anche, sommariamente giustiziato coloro che
non aderiscono alle loro politiche.









Intervista a Ghaleb Kandil, esperto di geopolitica libanese
di Naman Tarcha

ZENIT, 9 Giugno 2015

Ghaleb Kandil, giornalista libanese, è direttore dell’agenzia di stampa New Orient News, analista politico e membro della commissione per l’audiovisivo libanese, presidente del Centro Nuovo Medio Oriente per gli studi strategici di Beirut. ZENIT ha approfittato della presenza dell’illustre esperto di Medio Oriente, intervistandolo durante la sua visita in Italia, in occasione della quale è stato ospite dell’Associazione Amici del Libano.


Il cosiddetto “Stato Islamico” ha occupato Palmira, un sito archeologico di grande importanza e una zona strategica per Damasco. Malgrado la Coalizione Usa, l’IS avanza, come mai?
Palmira è un punto importante per la prossima controffensiva dell’esercito siriano, che sta combattendo lo Stato Islamico su ogni fronte. Nella guerra ci sono obiettivi, ritiri, offensive e controffensive. Diverse zone sono state occupate dai terroristi e liberate dopo mesi. 
Quello che non viene riportato è il flusso di danaro, di armi e di jihadisti verso la Siria, attraverso il confine turco, giordano e libanese. Questo sostegno umano, militare e finanziario, proviene dalla Turchia, dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dalla Giordania. Ogni volta che arriva questo supporto, lo Stato Islamico fa un passo avanti.


Chi finanzia lo Stato Islamico?
Oggi l’Isis è sostenuta finanziariamente dalla Turchia. Come accade? Lo Stato Islamico ruba il petrolio siriano e iracheno, lo trasporta tramite camion verso la Turchia, lo vende dai porti turchi nel mercato nero. Il denaro viene pagato attraverso società turche, alcune delle quali riconducibili perfino a parenti di Erdogan. Il gruppo che è al potere in Turchia prende la sua tangente e il resto di quei soldi finisce nelle casse dell’Isis. 
Questa operazione è in corso, sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu. E accade ogni ora di ogni giorno. Dal Qatar e dall’Arabia Saudita poi un flusso di finanziamenti arriva all’IS ma anche ad Al Nusra e ai Fratelli Musulmani, che dopo la riconciliazione, fra Arabia Saudita e Turchia, promossa da Usa, hanno riunito i gruppi terroristici sotto il nome di Jaish al Fath, per una nuova escalation di attacchi contro la Siria. 


Come sta conducendo la battaglia contro i terroristi l’Esercito siriano?
L’esercito siriano agisce secondo i propri piani. Ha una lista di priorità dei suoi obiettivi, adeguata alle proprie capacità umane e pratiche. Cerca di contenere queste aggressioni e si prepara a lanciare le controffensive. L’esito della battaglia di Qalamon sarà decisivo, liberando la forza di migliaia di militari siriani che ora sono impegnati lì e sono appoggiati dalla resistenza libanese di Hezbollah, forte e al suo fianco, e in prima linea a difesa della Siria e del Libano.
lanciamissili turchi decisivi per la vittoria di al Nusra ad Idlib

Come si può raggiungere una soluzione per la crisi siriana?
Bisogna fermare ogni attività terroristica, ogni rifornimento di soldi e di armi ai terroristi. Se ciò accadesse l’esercito siriano ci metterebbe pochi mesi per spazzarli via tutti. Chi è che sta impedendo la risoluzione o l’applicazione della risoluzione del consiglio di sicurezza Onu? Gli Stati Uniti, con la strategia di una guerra di logoramento. 
Infatti tutte le soluzioni nasceranno dai pesi e dagli equilibri locali e dentro l’area. Non credo che con l'eventuale firma dell’accordo nucleare, l’Iran riuscirebbe ad imporre a Washington a rinunciare a questo progetto. Ci vorrebbe uno sforzo più ampio. Non basta l’Iran, insieme alla Russia o alla Cina, bisogna che si aggiungano voci europee.

La divisione della Siria in cantoni su base religiosa: uno stato sunnita, uno sciita, uno cristiano. Questa è una delle soluzioni promosse anche in Europa…
In Siria non ci sono i presupposti per una divisione o una spartizione. In Siria c’è una grande massa sunnita popolare che è al fianco del governo. Il presidente Assad non gode solo del consenso alawita o cristiano ma anche l’appoggio della comunità sunnita, perché in Siria c’è un vero stato nazionale. Ma poi c’è, da parte di Assad e del suo governo, una forte volontà politica a mantenere salda l’unità della nazione anche a costo di una lunghissima guerra.

Il Presidente Assad era il nemico da sconfiggere, ora invece, anche se l'Occidente non vuole ammetterlo, è un alleato nella lotta al terrorismo. Quanta ipocrisia c’è?
È vero, per l'Occidente lo Stato Islamico è terrorista, ma sottobanco, i potenti chiudono gli occhi riguardo l’appoggio di Erdogan ai terroristi dell' IS, e di Qatar e Arabia Saudita ad Al Nusra, oltre alle organizzazioni terroristiche sostenute e finanziate legate ai Fratelli Musulmani. 
I Fratelli Musulmani, dapprima legati ai servizi segreti britannici e ora insieme agli americani, sono il fulcro di queste organizzazioni terroristiche. Diversi gruppi di intelligence europei hanno preso contatti in segreto con Damasco, perché i loro governi sono incapaci, miopi, e senza visione.

martedì 5 maggio 2015

"La crisi in Siria è parte di una guerra mondiale!": mons Arbach

Intervista all'arcivescovo melchita di Homs, mons. Jean Abdo Arbach

 Zenit.org , intervista di Iván de Vargas 

Quattro anni dopo dall'inizio della guerra in Siria, la crisi umanitaria è andata sempre più deteriorandosi, e tuttora non presenta alcun segno di miglioramento. Oltre 200mila persone hanno perso la vita in questi anni, secondo i dati delle Nazioni Unite, e chi è rimasto in vita è in preda ad una sofferenza schiacciante. Su una popolazione totale di 22milioni di abitanti, oltre la metà in Siria necessita di assistenza e di beni primari come acqua, cibo, cure sanitarie. Il resto, circa 6-7 milioni, sono sfollati fuggiti dalle loro case. La maggior parte è rifugiato in Libano (circa un milione), altri 600mila in Giordania.  
A raccontare a ZENIT tutto questo è l'arcivescovo greco-cattolico melchita di Homs, Hama e Yabrud, mons. Jean Abdo Arbach, intervistato in esclusiva a Madrid, in occasione della sua partecipazione alla Giornata sull'Oriente cristiano e il mondo arabo. Nel colloquio, il presule parla dei cristiani che vogliono rimanere in Siria e degli sfollati che vorrebbero tornare a casa; spiega poi che la crisi che attraversa il paese è il frutto di una guerra mondiale che si combatte sul suolo siriano. Al contempo, mons. Abdo interpella la comunità internazionale a trovare una soluzione dignitosa per le famiglie e i milioni di bambini che hanno fame, sono malati e necessitano di una educazione.  

Attualmente ci sono due piaghe in Siria: la guerra civile e le minacce del Califfato islamico. Da quando va avanti questa situazione?
La crisi in Siria, non è una crisi civile. Si tratta di una guerra mondiale combattuta nel territorio siriano. Quando potrà terminare? Parliamo di una domanda internazionale.
La Siria chiede pace e tranquillità. La gente è stanca e vuole tornare a casa. Vuole vivere con dignità. Abbiamo bisogno tutti di pace. Come ha detto il Papa: “Che tacciano le armi!”. Quindi, ripeto, che tacciano le armi!

È possibile trovare una soluzione alla crisi attraverso il dialogo?
Rispondo chiaramente. Nessuno può fermare il dialogo. Proprio oggi, per fortuna, è iniziato un dialogo interno tra il governo e l'opposizione siriana in Russia. Quindi c’è un dialogo. Ma si sta parlando in generale. Se si troverà una soluzione o meno, non lo so... L'opposizione è influenzata dalla comunità internazionale. Non c’è una posizione chiara sulla soluzione. Questo è il problema. Oggi, il Medio Oriente è tutto in fiamme. Non sappiamo chi è il responsabile. Non succede solo in Siria. È necessario che la comunità internazionale, insieme con i governi attuali, trovi una soluzione dignitosa per le persone, per le famiglie, per i bambini... E solo quando ci sarà la libertà e la dignità di dire la verità, si potrà giungere ad un vero dialogo. E la guerra finirà.

Cosa sta facendo la Chiesa per mitigare questa ondata di sofferenza? 
La Chiesa lavora molto. Ci sono riunioni permanenti del Papa con i patriarchi, o dei vescovi della Siria con i patriarchi. La Chiesa aiuta molto. La Chiesa è presente ovunque. La Chiesa dialoga, anche con i leader musulmani. Organizziamo molti incontri per promuovere la riconciliazione tra le due religioni. E per fortuna, siamo riusciti a fare tanto per questo. Il problema non è questo… È che ci sono alcune difficoltà. Ad esempio: cosa fare per far giungere gli aiuti in Siria? Il paese soffre un blocco da pare di Europa e Stati Uniti, e abbiamo quindi grande difficoltà a far entrare materiali in Siria.

L'atteggiamento dell'Occidente influenza la minoranza cristiana?
Il problema che ci si pone è se l'Occidente vuole che i cristiani rimangano nei loro paesi d'origine. Stiamo parlando di paesi che sono le radici stesse del cristianesimo: Siria, Libano, Iraq... Sono la culla del cristianesimo. Oggi, cosa pensa l'Europa dei cristiani? Per esempio, in Iraq prima della guerra del Golfo c’erano un milione e mezzo di cristiani. Oggi ce ne sono appena 200mila. Allora mi chiedo: qual è il futuro dei cristiani in Medio Oriente? Loro vogliono restare, vogliono vivere nella loro terra, dove ci sono le loro radici…
Quali sono le paure del popolo siriano?
In un certo senso, i siriani non hanno paura. Sono spaventati da Daesh [acronimo arabo per lo Stato Islamico, ndr] e dagli estremisti, ma non del Governo. Anzi, al contrario… Il Governo ci protegge. Grazie a Dio, dove permane l’autorità del Governo stiamo bene. Abbiamo festeggiato la Pasqua, possiamo pregare, conviviamo cristiani e musulmani insieme… Il problema sono i luoghi fuori controllo a causa della presenza degli estremisti, di Daesh o del Fronte Al-Nusra. Non permettono di pregare in nessun modo, né di entrare in Chiesa o uscire la notte. Non si può fare nulla. Non c’è libertà, ma solo terrore.
Per rispondere alla sua domanda, una paura per ogni siriano forse è l’interrogativo: quale sarà il mio futuro? Dovrò vivere un’altra guerra più avanti? I cristiani del Medio Oriente già si stanno abituando a vivere così. Ogni 25 anni c’è una guerra.
E le speranze?
Abbiamo una speranza e una fede molto grande, che non sono mai mancate. Per questo siamo vivi. La presenza della Chiesa tra i fedeli è molto importante, soprattutto per sostenere le famiglie cristiane. La mia presenza e quella dei miei fratelli vescovi in questi i luoghi, la presenza dei sacerdoti nelle parrocchie, aiuta tanto i cristiani.

Il Consiglio dei Capi delle Confessioni cristiane di Aleppo ha appena lanciato un vigoroso appello…
Il popolo siriano non ce la fa più. È stanco. Aleppo ha già sofferto tanto in passato. E adesso viene bombardata coi razzi. Questo la comunità internazionale lo sa, ma non sa chi lotta contro chi. È necessario perciò che ci sia un lavoro congiunto per il rispetto, per fermare questi disastri. Chi fornisce le armi ai ribelli? Quante volte i nostri patriarchi hanno detto chiaramente che bisogna smetterla di inviare armi e denaro? Quando uno non viene più alimentato, smette di vivere.

Che messaggio vorrebbe inviare all’opinione pubblica?
Il mio messaggio è chiaro. È quello che dice il Vangelo: lavoriamo per la pace, lavoriamo per la giustizia. Basta armi! Basta violenza! Per Dio, per misericordia, per i bambini… Ci sono milioni di bambini che hanno fame e sono malati, che hanno bisogno che qualcuno si adoperi per dar loro un’educazione.
 Basta violenza! I nostri figli stanno per strada… Questa non è la nostra cultura. La nostra cultura è l’amore, la carità, la riconciliazione.

giovedì 26 febbraio 2015

Nei villaggi cristiani lungo il fiume Khabur, fonti confermano il rapimento di civili, la liberazione di alcuni e la distruzione di chiese. Il ruolo della Turchia.


Ultim'ora:  «Siamo riusciti a liberare le donne, i vecchi e i bambini cristiani rapiti dallo Stato islamico»

TEMPI, 25 febbraio
di Leone Grotti

Aggiornamento delle 18.00: Appena contattato da tempi.it, padre Ayvazian Antranig, responsabile dell’eparchia armeno-cattolica di Qamishli e rappresentante del WFP delle Nazioni Unite nel Nord Est della Siria, ha dichiarato: «Tre minuti fa mi ha chiamato un mio uomo, che ho inviato a trattare con i terroristi: siamo riusciti a liberare le donne, i vecchi e i bambini rapiti dallo Stato islamico. Siccome però gli scontri continuano, non siamo ancora riusciti ad andarli a prendere per non metterli in pericolo. Dovremmo riuscirci domani. Si trovano ora a 57 chilometri dal primo posto sicuro, nel villaggio di Msherfe. In tutto sono state rapite 163 persone. Di queste, 72 restano nelle mani dell’Isis a Mafluja mentre 26 o 28 a Habbade. Come li abbiamo liberati è un po' un segreto, ma loro ci rispettano». Domani l’intervista integrale.
http://www.tempi.it/siria-isis-ha-ucciso-milad-conquistato-villaggi-cristiani#.VO4jdGB0wqS

"Vogliono svuotare il Medio oriente dei cristiani e creare molti piccoli Stati confessionali."

AsiaNews , 25-02-2015


......
"Si parla di oltre 90 fedeli rapiti, ma secondo alcuni il numero ancora più grande, forse 150; una chiesa è stata distrutta, almeno tre villaggi di rito assiro sono stati occupati, la gente è dovuta scappare. Non abbiamo ancora notizie esatte, ma dalle prime testimonianze la situazione è drammatica". È quanto afferma ad AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando l'attacco sferrato il 23 febbraio scorso dallo Stato islamico contro alcuni villaggi cristiani assiri nel nord-est della Siria. Colpiti numerosi centri fra cui Tel Tamar, Tel Shamiran, Tel Hermuz, Tel Goran e Tel Khareta...

Il vicario apostolico di Aleppo si rivolge all'Occidente e alla comunità internazionale affermando con forza che "l'intervento militare contro lo Stato islamico non è la via giusta" per risolvere la crisi e restituire pace e sicurezza alla Siria e all'Iraq. "Non ho mai creduto nella guerra - precisa - perché essa crea ancora più odio e divisioni". 
L'Occidente, prosegue il prelato, dice di combattere questi gruppi "ma li aiuta dall'altra parte. Chi compra il loro petrolio, chi vende loro le armi, chi è coinvolto nel traffico di reperti archeologici, di beni antichi di inestimabile valore?". 
Mons. Georges Abou Khazen vede molta "ipocrisia" nella lotta ai terroristi, "che non si risolverà certo con le bombe, ma smettendola di finanziarli a livello economico e militare. Quello che chiediamo è di non aiutare questa gente, non vendere loro le armi, lo diciamo da tempo ma nessuno ci ascolta". 
Il prelato ricorda inoltre che la comunità assira sotto attacco vive "da migliaia di anni nella zona, con le proprie tradizioni e riti antichissimi. Li hanno sradicati senza difesa alcuna. Si fanno campagne per salvare gli animali in via di estinzione, per lasciarli nel loro habitat - accusa - e per noi cosa si sta facendo davvero?".
Fra i fedeli c'è un sentimento di paura, conferma mons. Georges, "tanti vogliono scappare ed è un segnale molto pericoloso. Svuotare queste terre del cristianesimo è una disgrazia per tutti quanti. Forse si vuole dar vita a un altro Afghanistan, nelle mani dei nuovi talebani". 
Questa è la nostra lettura, conclude il prelato, vogliono "svuotare il Medio oriente dei cristiani e creare molti piccoli Stati confessionali. Noi cristiani siamo gli unici sparsi per tutto il territorio di Siria e Iraq, siamo il solo elemento che difende l'unità del Paese e mantiene vivo il valore del pluralismo... un elemento che vogliono sempre più distruggere".

http://www.asianews.it/notizie-it/Siria:-150-cristiani-rapiti-dallo-Stato-islamico,-donne-stuprate-e-uccise.-Vicario-di-Aleppo:-“situazione-drammatica”-33561.html

La barbarie dell'Isis e il ruolo ambiguo della Turchia

L'esercito turco ha violato la sovranità territoriale siriana per evacuare una statua in ricordo dell'Impero ottomano. Nessuna interferenza nella operazione da parte dell'Isis, che controlla la zona

ZENIT.ORG, 25 febbraio 2015
di Naman Tarcha 

Ancora una volta la storia si ripete. Negli stessi territori in cui, cento anni fa, i turchi commisero il primo genocidio ai danni dei cristiani mediorientali (armeni, siri, caldei e assiri), le stesse vittime sono oggi perseguitate dai terroristi dello Stato islamico.
I jihadisti hanno compiuto un nuovo feroce assalto a 30 villaggi siriani della comunità cristiana degli assiri nella provincia di Hasakah, nel nord-est della Siria. Il tentativo è stato quello di riconquistare terreno e trovare vie di fuga e rifornimenti, dato l'avanzamento delle Forze armate siriane a nord di Aleppo e la resistenza delle forze di difesa curde. Tal Hermez, Tal Tamer, Tal Shmeram, Tal Tawil sono solo alcuni dei villaggi sul fiume Khabur, assaltati dai miliziani con circa 40 mezzi armati all'alba di lunedì.
Jack Bahnam Hindo, vescovo della chiesa siro-cattolica a Hasakeh, ha confermato che la maggior parte degli abitanti sono stati sfollati nella città vicina di Qameshli, ma almeno 70 civili - per lo più donne e bambini - risultano in mano ai terroristi, portati in un luogo sconosciuto.
"Decine di cristiani assiri sono stati presi in ostaggio dai jihadisti, probabilmente allo scopo di usarli come scudi umani o merce di scambio con riscatto o rilascio”, sottolinea mons. Hindo. Il quale critica duramente la coalizione occidentale: "Voglio dire chiaramente che noi abbiamo la sensazione che siamo lasciati soli nelle mani di Daash (acronimo arabo di Stato islamico di Iraq e Levante ndr), i caccia americani sorvolavano la zona, ma non sono mai intervenuti".
Fonti locali riferiscono di case e abitazioni occupate e bruciate dall'Isis: quattro uomini delle guardie locali rimasti uccisi negli scontri, mentre é stata data alle fiamme la chiesa di Al Shamiye, una delle più antiche della Siria.
Gli attacchi dei terroristi sono avvenuti per rompere l'assedio imposto alla zona strategica, Ras Al-ain, cittadina di confine con la Turchia, e riconquistare l'autostrada che collega le città siriane di Qameshli e Hasakeh, lungo la quale si trova Al Raqaa, dichiarata capitale dello Stato islamico.
Le forze di difesa assire sostenute dai raid aerei dell'esercito siriano hanno respinto i terroristi e si preparano alla controffensiva, mentre le forze di difesa curde avevano già ripreso il controllo di 20 villaggi negli ultimi giorni.

Si registrano intanto tensioni anche tra la Siria e la Turchia. La scorsa notte l’esercito turco è entrato in territorio siriano per evacuare il mausoleo dedicato a Suleyman Shah, nonno di Osman, fondatore dell'Impero ottomano, che morì annegato, nel 1231, mentre attraversava il fiume Eufrate, vicino la fortezza di Jaabar. Malgrado la salma non fosse mai ritrovata, fu costruito un mausoleo in suo ricordo.
L’edificazione avvenne in un sito extraterritoriale, soggetto a sovranità turca a seguito di un accordo franco-turco del 1921 (durante l’epoca coloniale francese). Tuttavia la statua fu trasferita dalle autorità siriane nel 1972 dal luogo originale per consentire la costruzione della grande diga siriana.
L’intervento dei militari turchi a difesa della statua di Suleyman Shah è stato definito dal Governo di Damasco “una palese aggressione” per cui “Ankara ne risponderà”.
Da segnalare che i miliziani dell’Isis, nonostante abbiano fatto saltare in aria decine di santuari, mausolei e tombe sacre in Iraq e in Siria, hanno sempre risparmiato il mausoleo, l'unico rimasto in piedi, anche se dista solo 100 km dalla città siriana Al Raqaa, dichiarata capitale del cosiddetto Stato Islamico.
L'operazione dei militari turchi non è stata disturbata né da parte dei combattenti curdi di Kobane, né dall'Isis che controlla la zona, suscitando molti interrogativi.
La Turchia è stata ad oggi l'unico Paese in grado di liberare i propri ostaggi dalle mani del cosiddetto Stato islamico: 49 persone sono state tratte in salvo tra diplomatici e loro familiari, sequestrati presso il consolato turco a Mosul dopo l'assalto dell'organizzazione terroristica alla città irachena.
Il Governo turco ha subito precisato che quella della scorsa notte è solo un'operazione temporanea, e presto costruirà un mausoleo nuovo, sempre però sul territorio siriano, a 200 metri dal confine turco nei pressi di Ain Al-arab (Kobane).
Alla Turchia di Erdogan viene attribuito un ruolo ambiguo, visto il rifiuto di partecipare alla Coalizione guidata dagli Stati Uniti. Anche l'opposizione turca accusa Erdogan e il suo partito di condurre politiche dannose a scapito della stabilità e della sicurezza interna al Paese, attraverso il sostegno ai gruppi armati in Siria.

http://www.zenit.org/it/articles/la-barbarie-dell-isis-e-il-ruolo-ambiguo-della-turchia

sabato 3 gennaio 2015

Samaan Daoud: le Festività in Siria tra paura e speranza


I cristiani in Siria si sentono abbandonati e rischiano la vita ogni giorno, tuttavia le loro poche chiese ancora attive sono piene di fedeli durante le messe

Lo ha raccontato a ZENIT Samaan Daoud, già guida turistica per italiani prima dello scoppio della guerra. Samaan è uno dei cattolici siriani che, coraggiosamente, ha scelto di rimanere nel suo paese.  

Zenit, 22 dicembre 2014

Ci può raccontare della sua attività di guida turistica in Siria?
Iniziai a fare la guida turistica con gruppi italiani nel 1994 ma purtroppo dal 12 maggio 2011 ho perso improvvisamente questo lavoro. Continuo a fare la guida ma non più turistica: nel 2012, dopo nove mesi di stop, ho cominciato a guidare i giornalisti nei campi di battaglia e nelle zone di conflitto. Ero a Maalula, quando nel settembre 2013 fu presa dai fondamentalisti Qaedisti del Fronte di Al-Nusra. Attualmente traduco anche libri dei Salesiani del Medio Oriente dall'italiano all'arabo: in totale ne ho tradotti sei.

Come è tradizione per i siriani trascorrere il Natale? Ci sono usanze particolari?
Il Natale è una festa nazionale a cui tutto il popolo partecipa: soltanto i cristiani fanno il presepe, tuttavia la maggior parte dei siriani allestisce l’albero del Natale in casa propria. Vi sono ancora cristiani che fanno il digiuno natalizio, che dura quaranta giorni e che rappresenta un’antica tradizione cristiana medio-orientale. In questo mese ci sono tanti concerti che si tengono sia nelle chiese che in grandi teatri. Le strade vengono abbellite con addobbi natalizi ma purtroppo nei ultimi tre anni, molti di questi addobbi non si vedono più, perché tante famiglie hanno perso dei loro cari e il paese è mezzo distrutto (in questi tre anni in Siria sono state distrutte 3 milioni di case).
Alla vigilia tutti i cristiani vanno in chiesa per la messa, poi nella tarda serata fanno la cena. Il giorno di Natale tutte le famiglie si incontrano dal capo famiglia ed ogni zona della Siria ha il suo piatto particolare; ad esempio, il piatto natalizio più noto a Damasco si chiama kibbeh (grano macinato fino con carne di montone): questa pasta viene riempita di carne fritta, pistacchi, cipolle e poi messa nello yogurt cotto. Nella tradizione damascena si serve un piatto bianco, sempre a base di yogurt.

Che tipo di Natale trascorreranno i cristiani in Siria? Hanno paura?
I cristiani in Siria hanno paura e vivono in uno stato di grande preoccupazione, siamo nel mirino del fanatismo e del radicalismo islamico. Siamo un obiettivo facile da colpire e abbiamo avuto molti martiri cristiani in questa assurda guerra. Quasi il 50% dei cristiani sono fuggiti dal paese, la maggior parte della comunità cristiana, che si trova ad Aleppo, è in grandissimo pericolo perche sia l’Isis che il fronte di Al-Nusra li minacciano in continuazione. I cristiani fuggono da Aleppo: ero lì un mese fa ed ho visto tanta sofferenza e tanta paura. Lo stesso discorso vale per i cristiani del Nord-Est della Siria, nella zona di Al-Qamishli, dove l’Isis circonda la zona e ha ucciso e rapito tanti cristiani, impossessandosi anche dei loro terreni.

In questa immane tragedia della guerra, si levano voci di speranza, come quella di papa Francesco che più di un anno fa, convocò una giornata di preghiera per fermare l'intervento militare internazionale che effettivamente non avvenne. Che speranze destano nei cristiani siriani la Chiesa Cattolica e il Papa?
I cristiani in Siria oltre a sentire la paura, soffrono della sindrome da abbandono. È difficile rimanere in Siria. Se non viene garantita pace, la sicurezza e la possibilità di lavorare, è impossibile chiedere ai cristiani di rimanere. Non bastano  parole ci vogliono degli atti più forti contro questo fanatismo che distrugge e minaccia la nostra esistenza… 
In Occidente taluni ci criticano perché siamo a favore del regime di Damasco, ma non hanno capito che l’opposizione al regime è più sanguinaria e disumana del regime stesso. 
Il miracolo è che, nonostante le enormi difficoltà gli sfollati e i rifugiati cristiani mantengono una forte fede in Gesù l’Emmanuele e le chiese sono piene di fedeli.

http://www.zenit.org/it/articles/il-natale-in-siria-tra-paura-e-speranza


"Il Natale sottoterra di noi cristiani. Il presepe unica gioia"

Padre, madre e due figli. A Damasco vivono con l'incubo delle bombe: "Quando esci di casa rischi la vita, il dono del Signore è un po' di sicurezza in più"

Il Giornale, 22/12/2014 , di Gian Micalessin -

«Stavamo facendo il presepe. Michael all'improvviso si è bloccato. Ci ha pensato un attimo... poi l'ha detto. “Papà perché non ci mettiamo le foto di chi non c'è più?”. Io e Riima siamo quasi scoppiati a piangere. Michael ha solo dodici anni, ma come tutti i bimbi è riuscito a ricordarci in quattro parole l'inferno a cui siamo sopravvissuti. L'inferno in cui ancora viviamo. In un attimo ci sono passati davanti questi quattro anni, con il loro carico di guerra, morte e tristezza. In un attimo abbiamo rivissuto lutti, paure e orrori».

L'amico Samaan è il solito fantasma squadrettato evocato da Skype. Riima, sua moglie, gli è accanto. Dietro nell'ombra digitale ed evanescente del piccolo appartamento giocano Philippe e Michael. Fuori, tredici gradini più su, ci sono piazza Khouri, il quartiere cristiano di Khassan, la Damasco in guerra. Quante volte abbiamo parcheggiato in fretta. Quante volte io e Samaan siamo corsi a testa bassa giù per quella scala mentre mortai e missili ribelli colpivano il quartiere cristiano di Damasco. Riima era sempre lì, oltre la porta socchiusa, oltre quei tredici gradini. A guardarci con quel misto di rimprovero e preoccupazione. A urlarci «veloci, veloci che vi fanno secchi». E nel piccolo soggiorno tra divano e televisione c'erano, come ora, gli occhioni di Philippe e Michael. Filippo ha 16 anni un piede in gesso. «No, mica per le bombe ... giocando a calcio dai salesiani», mi urla in fretta prima di tornare al presepe. «Vedi siamo ancora qui. Ancora vivi, ma ancora prigionieri di questa guerra, di questa casa. Pronti per un altro Natale in gabbia», sussurra Riima. Lei quell'appartamento nel seminterrato non l'ama proprio. Samaan l'ha affittato in fretta e furia quando le schegge spazzavano il balcone della loro grande casa di Jaramana, un quartiere diventato d'improvviso prima linea ribelle. «Non è spaziosa come quella, ma è sicura perché sta quasi sottoterra» - le ripete lui. «Ma quest'anno - s'arrabbia Riima - è pure gelida, faremo il Natale in frigorifero». Samaan scuote la testa. Sospira. «È vero abbiamo dovuto rinunciare alla stufa, ma che ci posso fare? Il diesel è scomparso. Se lo tiene tutto il Califfato. Da quando l'Isis ha conquistato gli ultimi pozzi nel nord est la situazione è drammatica. Il gasolio è introvabile. E quello venduto sottobanco ha un prezzo impossibile. Spero solo che non nevichi. Il problema dei prezzi è terribile. Chi come me faceva la guida turistica non lavora da tre anni.

A Damasco è pieno di cristiani nella mia situazione. Noi cristiani non lavoravamo per lo stato, preferivamo le attività individuali. E quindi la maggior parte di noi sopravvive con i risparmi di prima della guerra. L'altro giorno sono andato dal calzolaio. Una volta mi faceva i tacchi in dieci minuti, tra una chiacchiera e l'altra. Stavolta è scoppiato a ridere. "Butta le scarpe su quella montagna là dietro e se sei fortunato - m'ha detto - te le ridò tra dieci giorni". Mi son girato e ho capito. C'era una vera montagna di scarpe in attesa. Qui nessuno compra più niente. Tiriamo avanti tutti con quel che abbiamo. E più passa il tempo, più peggiora. I vestiti nuovi per i figli erano uno dei simboli del Natale. Quest'anno rinuncio anche a quelli. E Riima mi ha detto di scordarmi pure le castagne. L'odore delle caldarroste fatte saltare nella padella e servite prima del pranzo è il ricordo di tutti i miei Natali fin da quand'ero bimbo. Ora chi le trova più. Le poche che arrivano costano un occhio della testa. Sono un ricordo impossibile». Riima sorride. «Eppure una piccola speranza io quest'anno ce l'ho. Oggi il tuo amico Samaan mi ha portato a fare una passeggiata. Era una settimana che non mettevo il naso fuori. Ma è bastato. Per un attimo, per la prima volta dopo tre lunghi anni ho respirato l'atmosfera di Natale. No, non pensare, non quella di un tempo quando dalle cucine arrivava l'odore del kahak al minad del biscotto di Natale messo a cucinare con latte burro e cannella. Non il clima spensierato di un tempo quando le famiglie correvano da un negozio all'altro tirandosi dietro pacchi e pacchetti. No, scordatelo, tutto quello non c'era. Le famiglie camminavano e basta. Qualcuno neppure parlava. Ma era già qualcosa. Li ho guardati e, d'improvviso, ho capito. Anche Daoud e io, per la prima volta dopo tanti mesi, passeggiavamo tranquilli. Senza chiederci se saremmo tornati a casa vivi. Un mese fa non era così. Uscivi e ti facevi il segno della croce. Poteva succedere in qualsiasi momento. Una granata o un missile ti cadevano accanto, ti facevano a pezzi. Da un anno e mezzo i ribelli di Al Nousra, quelli di Al Qaida erano a due chilometri da qui. Ci tenevano sotto tiro. L'esercito adesso è riuscito a respingerli un po' più in là. E noi ora, grazie a Dio, respiriamo. L'ho letto negli occhi degli altri cristiani del quartiere. Ho capito che quel po' di sicurezza in più era il vero regalo del Signore per Natale. Per questo sono tornata a casa e ho urlato... dài facciamo il presepe».

Samaan sorride. «Dovessimo fare come dice Philippe dovremmo metterci almeno quindici foto, le foto di quelli che se ne sono andati in questi dodici mesi. Uccisi anche dalle malattie. Perché la guerra non ti uccide solo con le bombe e i proiettili. Il tumore s'è appena portato via Dahsan il fratello di Riima. Se non fosse per l'embargo, per la mancanza di medicine, per i cecchini ribelli che battono la zona di Harasta attorno all'ospedale di Berroumi sarebbe ancora qui. Berrouni è l'unico ospedale per i malati di cancro. Eppure tante volte abbiamo dovuto rinunciare alle terapie, girare l'auto, tornare a casa.... altrimenti rischiavi di morire in strada con una pallottola in testa». Riima scosta Saaman, occupa l'obbiettivo. «Abbiamo fatto il presepe, ma non l'albero. Quando sei in lutto qui in Siria non fai l'albero. L'albero è simbolo di gioia, ma se la tua vita è nera, l'albero non la può riaccendere. Qui nel quartiere ci sono tanti presepi, ma pochi alberi. George Kalash il figlio dei vicini, quelli dell'appartamento due piani sopra, è morto a marzo. Il colpo di mortaio è caduto all'entrata del palazzo. L'ha fatto a pezzi. Michael lo conosceva bene. Non è stato facile spiegarglielo. È difficile spiegare la morte a un bimbo di dodici anni. Per questo forse ha detto quella frase. Un Natale tranquillo non basterà a rimarginare tutte le ferite. Non ne possiamo più di stragi, autobombe, corpi mutilati. Non ne possiamo più del terrore che c'infliggono quei fanatici ribelli. Philippe e Michael cresceranno segnati da questi orrori. Noi già lo siamo».

Samaan annuisce. Lui nell'ultimo anno li ha vissuti tutti. «A febbraio un colpo di mortaio ha centrato lo scuola bus armeno qui alla porta orientale. Ho visto l'autista e quei quattro scolari dilaniati. Poi i colpi sono caduti davanti alla scuola di Michael. Quella mattina c'era sangue dappertutto. Ho riaccompagnato a casa Philippe e Michael e sono corso all'ospedale, cercavo la figlia di un mio amico. Al reparto lui non c'era... però sentivo le urla della figlia. Ho riconosciuto la sua voce. Gridava «papà, papà dove sono le mie gambe...». Se ci ripenso mi vengono i brividi. Ogni volta che Philippe e Michael sono in giro da soli risento quella voce. E fino a quando continuerò a sentirla non riassaporerò né la gioia della vita né quella del Natale».

http://www.ilgiornale.it/news/natale-sottoterra-noi-cristiani-presepe-unica-gioia-1077716.html

martedì 9 dicembre 2014

Vers un nouveau Moyen-Orient. La fin des chrétiens ?

Astérix, l’iPhone et la baleine


Colloque de l’AED
Paris, 5 décembre 2014

Excellences, chers Pères, Mesdames et Messieurs, chers amis,
Nous voici réunis pour réfléchir sur ce qui agite l’actualité depuis quelque temps, et en particulier depuis cet été avec la chute de Mossoul, à savoir le Moyen-Orient. Avec l’émergence de l’Etat islamique et toutes les réactions en chaîne qui en découlent, on ne voyait pas très bien en effet comment faire l’impasse sur cette question qui intéresse bien au-delà de la sphère religieuse. En réalité, tout le monde aujourd’hui se sent plus ou moins concerné par ces événements avec le trouble pressentiment que cette violence pourrait, tôt ou tard, nous rattraper.
Mais avant de penser à notre propre sort, il convient de se pencher sur ce que vivent ces populations emportées comme fétus de paille par la tempête du désert qui semble s’être installée durablement sur le Moyen-Orient depuis l’opération du même nom en 1991.
Bien entendu, nous aurons à coeur de veiller particulièrement au sort de nos frères chrétiens dans cette région, d’autant plus qu’ils paient sans doute un prix proportionnellement bien supérieur aux autres la déliquescence de l’état de droit dans la région. Cela ne nous empêche pas toutefois d’également compatir aux souffrances de l’ensemble de la population car tout le monde y est exposé.
Etre chrétien y est de moins en moins une bonne idée mais mieux vaut ne pas être yézidi non plus, ni chiite dans une région sunnite, ni le contraire, ni même sunnite modéré si vous êtes aux mains de sunnites rigoristes. A ce rythme-là, on se demande bien quel avenir la région pourra avoir et les populations concernées avec.

Pour en revenir aux chrétiens, le simple fait, au niveau du sous-titre, de poser la question de leur fin dans ce nouveau Moyen-Orient est déjà en soi un élément de réponse. Cela signifie que l’éventualité de leur disparition aujourd’hui ne relève plus d’une provocation rhétorique ou d’un scénario exagérément alarmiste mais malheureusement d’une probabilité croissante, reflétée par le titre de la quatrième et dernière partie du colloque, « Entre cercueil et valise ».

Mais avant cela, il nous faudra faire un retour en arrière avec le bilan d’un siècle. Dans sa chute, l’empire ottoman a été aussitôt remplacé par un redécoupage franco-britannique. Arrive-t-on à la fin d’un cycle ? A-t-on réellement digéré ce XXème siècle, que ce soit au Moyen-Orient ou chez nous d’ailleurs ? S’est-on vraiment remis de 1914 et de ce gigantesque suicide continental dont nous célébrons le centenaire ?

Or, pour le Custode de Terre Sainte, le père Pizzabella, cette année 2014 est au Proche-Orient ce que la Première guerre mondiale a été pour l’Europe. « Les anciennes règles n’existent plus » dit-il, « mais nous ignorons encore à quoi ressembleront les nouvelles règles ».
Ce sera la première partie de notre journée. Nous verrons ensuite quel jeu les grandes puissances jouent dans la région (si l’on peut parler de jeu au vu des conséquences dramatiques pour les populations locales). Cette analyse globale entre histoire et géopolitique, économie et diplomatie nous occupera toute la matinée. Dans l’après-midi, c’est plutôt la dimension religieuse qui nous intéressera avec le décryptage de la montée djihadiste dans le monde musulman et son impact sur la présence chrétienne dans cette région du monde.
D’ores et déjà, je tiens à remercier chacun de nos intervenants pour avoir accepté notre invitation et pour nous aider à mieux comprendre le Moyen-Orient dont on a dit qu’il était compliqué. Je remercie tout particulièrement Frédéric Pichon qui nous a aidés à affiner et enrichir le programme de cette journée.
***
En préparant cette introduction, trois mots me sont venus à l’esprit : Astérix, l’iPhone et la baleine. Permettez-moi de développer un peu.

Astérix tout d’abord. Lorsque je réfléchis au Moyen-Orient me revient quasi-systématiquement en mémoire l’Odyssée d’Astérix. Dans cet album, le druide Panoramix n’a plus de potion magique et envoie Astérix, Obélix et Idéfix chercher de l’huile de roche (c’est-à-dire du pétrole, dont nous reparlerons) là où l’or noir se trouve déjà à l’époque, au Moyen-Orient.
Il y a une page où Uderzo, le dessinateur, ne s’est pas foulé : le même dessin revient image après image où l’on voit nos gaulois préférés se prendre un déluge de flèches de la part de Mèdes puis d’un groupe d’Akkadiens puis de Hittites, d’Assyriens et autres Sumériens qui se font la guerre. C’est drôle mais ce que l’on en retire, c’est que la guerre dans la région, c’est une habitude, voire une tradition !
Cela n’enlève rien à l’aspect tragique de l’actualité, d’autant que l’on a certainement gravi des degrés dans la violence mais cela permet de prendre du recul : après tout, les problèmes n’y datent pas d’hier. Rassurez-vous néanmoins, les albums d’Astérix ne sont pas mon unique source de recherches.

Concernant l’iPhone, c’est plus précisément à Siri que je pense. Siri est une application informatique qui comprend les instructions verbales données par les utilisateurs et tente de répondre à leurs requêtes. Qualifiée d' « assistant personnel intelligent », l’application équipe les iPhones depuis trois ans. Si vous dites à votre téléphone « que se passe-t-il au Moyen-Orient ? » par exemple, Siri vous répond en vous proposant une dizaine de tweets qui évoquent le Moyen-Orient dans l’actualité.
Quoiqu’il en soit, la proximité sémantique de Siri avec la Syrie m’autorise de faire un parallèle. Si l'application permet de trouver des explications sur la crise au Moyen-Orient, il va de soi que la Syrie est une des explications de cette crise, et sans doute une des plus importantes.

Il y a eu une sorte d’unanimité internationale à détruire la Syrie, sous prétexte que son Président qui, je le rappelle, était tout de même invité au défilé du 14 juillet à Paris il y a encore six ans, n’était pas assez démocratique. Passons sur le fait que s’il fallait faire la guerre à tous les pays du monde qui ne sont pas démocratiques, on n’aurait pas fini de sitôt et que cet argument, hormis en Occident où il est brandi en permanence par la propagande d’Etat, n’est absolument pas pris au sérieux dans le reste du monde, que ce soit au fin fond de la brousse africaine ou dans les rizières asiatiques.
Il va de soi que cette unanimité recouvrait d’autres intérêts. Pour la péninsule arabique, Arabie Saoudite et Qatar, il s’agissait de punir le régime syrien pour s’être opposé à la construction d’un oléoduc traversant la Syrie en vue du marché européen, mais aussi de briser l’arc chiite qui va de l’Iran au Liban et qui passe par l’Irak et la Syrie, les alaouites au pouvoir à Damas étant apparentés au chiisme. Tout cela est bien cohérent.
Pour l’Occident, il s’agissait de faire plaisir à nos amis de la péninsule arabique, ceux que nous venons de nommer, car il nous faut leur vendre des armes et ils détiennent une partie croissante de notre dette, ce qui nous oblige quelque peu…
Or, la perte de contrôle par le régime syrien d’un partie importante du nord-est du pays a permis à la rébellion, lourdement armée et financée, de prospérer. L’Etat islamique, né en Irak pour combattre les américains, y a trouvé refuge, s’y est aguerri, enrichi, renforcé avant de revenir en Irak cet été et de prendre Mossoul, tombée le 10 juin. La question syrienne est donc bien au coeur de ce nouveau Moyen-Orient.

Après Astérix et l’iPhone, troisième mot : la baleine. Il s’agit bien sûr du monstre marin dans lequel séjourna pendant trois jours le prophète Jonas qui cherchait à fuir la mission que Dieu lui avait donnée, à savoir la conversion de Ninive, l’ancienne Mossoul. Rétrospectivement, on peut se demander si sa mission fut réellement une réussite car, comme nous le voyons encore aujourd’hui, cette ville pose problème.
Toujours est-il qu’à l’époque, Jonas finit par arriver à Ninive et dispose de trois jours pour obtenir le repentir de la population dont l’injustice et l’impiété ont précipité le courroux divin. Or, dès le premier jour, tous, à commencer par le roi, se repentent et demandent pardon à Dieu qui retient ainsi le châtiment préparé. Ninive et la baleine, ça va ensemble.
Comment ne pas imaginer les chrétiens du Moyen-Orient comme étant aux prises du monstre marin ? Comme Jonas, ils veulent fuir. Comme Jonas, ils sont ballotés par la tempête. Comme Jonas, ils sont finalement sacrifiés par les autres et jetés par-dessus bord. Que vont-ils devenir ?
Mais Jonas nous apprend aussi que Dieu veille. Après trois jours, qui annoncent les trois jours de l’ensevelissement du Christ, Jonas est libéré. Dieu fait aussi miséricorde puisqu’il suffira d’un jour de repentance pour sauver Ninive. Même s’il semble parfois tarder, car son temps n’est pas le nôtre, on peut imaginer que Dieu ne reste pas indifférent à cette région d’où il a appelé le premier croyant, Abraham, et où il s’est incarné.

Quel est donc son plan pour le Moyen-Orient ? Et comment va-t-il opérer alors que les intérêts et les appétits des différents acteurs locaux et internationaux ne cessent de se contrarier ? Les cartes sont en train d’être redistribuées, la carte du Moyen-Orient remodelée. En route donc pour cette odyssée, à la recherche de clés pour mieux comprendre les enjeux de cette région et imaginer le scénario du futur
.
Bonne journée à tous !
Marc Fromager, directeur de l’AED.

http://www.aed-france.org/actualite/communique-plus-de-400-personnes-autour-de-la-question-du-moyen-orient/

Le sort des chrétiens au Moyen-Orient n'a intéressé personne en Occident, dénonce Marc Fromager

lunedì 1 dicembre 2014

Turchia, rifugio inospitale per i cristiani residenti e rifugiati provenienti dall'Iraq e dalla Siria.

vita da profughi a Istambul
  Zenit.org,  Roma, 28 novembre 2014 - 
Sébastien de Courtois, Aiuto alla Chiesa che soffre

  Dall'inizio della guerra in Iraq nel 2003, e soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Siria nel 2011, la Turchia è diventata il percorso di passaggio o la destinazione,  per centinaia di migliaia di profughi. Molti Cristiani di Iraq e Siria, e molti giovani, persone single, disposte a correre grossi rischi. Ai primi di novembre, una nave che trasportava immigrati clandestini provenienti dalla Turchia alla Bulgaria è affondata poco dopo l'ingresso nel Bosforo, nel suo  cammino verso la Bulgaria.
  La maggior parte dei rifugiati finisce in Istanbul, l’enorme  metropoli in grado di ospitare molte persone.
"E 'difficile sapere esattamente quanti cristiani ci sono, dal momento che né l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nè le stesse Chiese  tengono alcune conteggio delle persone secondo l'appartenenza religiosa. Diamo il benvenuto a tutti coloro che sono nel bisogno e vengono da noi ", racconta  monsignor François Yakan, vicario patriarcale per i Caldei in Turchia, ad  “Aiuto  alla Chiesa che Soffre”.

 Molti rifugiati sognano di iniziare una nuova vita in Europa o in America. Ma ciò può richiedere molto tempo. Nel frattempo, in Turchia per i profughi non esiste il diritto ufficiale di lavorare.
"A volte bisogna aspettare anni, e questo è terribile per le famiglie che sono state divise e disperse in varie parti del mondo. Non posso trovare la soluzione a tutte le situazioni ", dice il vescovo, che lavora a stretto contatto con le Nazioni Unite, il governo turco e con  le organizzazioni umanitarie internazionali e locali.

 I principali paesi che offrono i visti sono USA, Canada e Australia. L'Europa ha chiuso i battenti, se non in circostanze del tutto eccezionali, come è successo questa estate (2014) quando la Francia e la Germania hanno aperto le loro  frontiere ai cristiani e yazidi espulsi da ISIS da Mosul e da altre città della piana di Ninive.

 Amer Bahnan è arrivato da Mosul con la sua famiglia. E’  qui da 18 mesi. "La vita era diventata impossibile per la mia famiglia in Iraq. Sono andato prima in Siria, poi in Libano e  infine sono venuto in Turchia ".  Amer aveva subito quattro operazioni  al cuore.

"Abbiamo vissuto per le strade dal 2008 ... Non sappiamo dove andare. In Iraq siamo stati privati di tutto, derubati; non abbiamo più  casa; né denaro, nè dignità,  niente. "

La maggior parte dei rifugiati vive in periferia, appena fuori la città, stipati in blocchi di appartamenti in affitto, che condividono tra diverse famiglie, spesso in condizioni antiigieniche. Una donna racconta la sua storia: "Sono vedova e ho cinque figli. 16 mesi fa siamo partiti da Duhok. L'ambasciata americana ha appena respinto la mia domanda.". Adesso vuole provare ad andare in Canada, dove  già vivono altri suoi fratelli. Nessuno della sua famiglia è rimasto in Iraq.

  I residenti Cristiani non sono in migliori condizioni
chiesa di Urfa
 Si ritiene che siano solo 100.000 i cristiani che vivono in permanenza in Turchia, una piccolissima frazione del totale di 75 milioni di abitanti del paese, che per la stragrande maggioranza sono musulmani sunniti. La percentuale della popolazione cristiana era molto più alta, ma la quantità è caduta durante il genocidio armeno e l’ omicidio di massa dei cristiani siriaci ortodossi tra il 1895 e il 1915, quando milioni di fedeli perirono. Ancora oggi, ci sono migliaia di chiese e monasteri sparsi in tutto il paese, molti dei quali in rovina e abbandonati.

 Oggi i cristiani in Turchia sono considerati 'stranieri' nel proprio paese, anche se c'è libertà di culto. Negli ultimi anni sono stati uccisi diversi sacerdoti cattolici e protestanti. Hrant Dink, giornalista turco di origine armena, ha subito la stessa sorte. Difensore del riconoscimento del genocidio armeno, e attivista per i diritti delle minoranze in Turchia,  è stato assassinato nel 2007. Una parte importante dell'opinione pubblica in Turchia sta ancora considerando i cristiani col sospetto di voler destabilizzare il paese.

 E’ in questo contesto che  Papa Francesco compie la sua visita pastorale in questo paese, dal 28 al 30 novembre. Certamente uno dei suoi obiettivi sarà quello di attirare l'attenzione sul passato cristiano turco, come testimoniano le città di Efeso e  Antiochia, che hanno  giocato un ruolo chiave nella vita e nella missione di S. Paolo. Inoltre il Pontefice rafforzerà ulteriormente le relazioni con il mondo ortodosso con l’ incontro con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
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  Sébastien de Courtois scrive per Aiuto alla Chiesa che Soffre Fondazione della Santa Sede che fornisce assistenza ai sofferenti e perseguitati della Chiesa in oltre 140 paesi.

http://www.zenit.org/en/articles/turkey-is-not-a-welcoming-home-for-christians-neither-residents-nor-refugees

http://www.aed-france.org/actualite/turquie-etre-un-refugies-chretiens-dirak-a-istanbul/

Francesco incontra i profughi: condizioni intollerabili, basta guerre


Istanbul, l'opera dei Salesiani per i rifugiati


sabato 22 novembre 2014

I Paesi del Golfo e il terrorismo islamico

Il recente summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo potrebbe rappresentare una svolta nei rapporti con l'Isis


Zenit.org,  

di Naman Tarcha 

Riordinare la “Casa del Golfo”. È questo l’obiettivo a cui è giunto il Consiglio di Cooperazione del Golfo, riunitosi in un summit a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, lo scorso 16 novembre. Il risultato conseguito è stato il ritorno degli ambasciatori di Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita in Qatar, dopo che i propri governi li avevano richiamati nel marzo scorso.

La crisi diplomatica con Doha può ritenersi dunque appianata. La causa scatenante era stato il protagonismo assoluto ostentato dal Qatar, uno dei Paesi più ricchi della regione, che si è rivelato in una politica estera che gli altri Paesi del Golfo avevano considerato dannosa ai loro interessi e agli equilibri politici dell’area.
Il Qatar, sovente accusato di un silenzioso sostegno a diverse formazioni islamiste, è stato accostato anche al Movimento dei Fratelli Musulmani, messo al bando da diversi Paesi arabi giacché considerato organizzazione terroristica.
Proprio questo rapporto privilegiato con i Fratelli Musulmani é stato uno dei motivi dell'isolamento di Doha, la quale ospita i loro leader. Doha che inoltre rappresenta, insieme al suo principale alleato, la Turchia, una seria minaccia alle politiche saudite a sostegno del potere di Al Sisi in Egitto e in tutto il Medio Oriente. All'interno di questo scacchiere si collocano poi le dichiarazioni dell’Isis secondo cui l’Arabia Saudita sarebbe il loro prossimo obiettivo bellico.
Uno degli elementi che ha particolarmente spinto il Qatar a rivedere la sua politica, è stato la pubblicazione da parte degli Emirati Arabi di una “lista nera” composta di ottantatre enti religiosi e movimenti politici dichiarati organizzazioni terroristiche. In cima compare il Movimento dei Fratelli Musulmani e l’Unione mondiale degli ulema islamici.
http://erebmedioriente.tumblr.com/post/102869959331/islam-emirati-arabi-contro-i-fratelli-musulmani-di

Quest’ultima organizzazione, nata a Londra nel 2004, è guidata dallo sceicco egiziano Yusuf Qaradawi, residente in Qatar, presidente dell’Unione e noto  propagandista di Al Jazeera. Qaradawi aveva dichiarato recentemente illecito combattere l’Isis, rivelando che Al Baghdadi, capo dell’organizzazione terroristica, è affiliato ai Fratelli Musulmani.
La lunga lista comprende 23 brigate legate ad al Qaeda che combattono tra le fila dell’opposizione contro il governo siriano, come Ahrar Al Sham e Al Nusra. Accanto a queste organizzazioni impegnate sui campi di battaglia, ve ne sono altre che sono considerate luogo di raccolta di denaro per finanziare i terroristi con armi o per reclutarli: tra loro spiccano l’Unione delle organizzazioni islamiche in Europa e diverse organizzazioni islamiche europee, tra le quali anche l’Alleanza Islamica d'Italia.
http://www.iltempo.it/cronache/2014/11/18/alleanza-islamica-italia-nella-lista-del-terrore-1.1345956

La pubblicazione di questa lista da parte degli Emirati Arabi e la frattura risanata tra Paesi del Golfo e Qatar, sono due elementi che potrebbero rappresentare una svolta capace di coinvolgere tutto il Medio Oriente.
Un ricco canale di finanziamento nei confronti dei terroristi si avvia verso la chiusura?

http://www.zenit.org/it/articles/i-paesi-del-golfo-e-il-terrorismo-islamico

lunedì 13 ottobre 2014

Arcivescovi e sacerdoti rapiti in Siria: 540 giorni nell'oblio del mondo

Nessun indizio, nessun riscatto, nessuna informazione mai trapelata dal 22 aprile 2013. Intanto i rapitori si sono trasformati in un Califfato ricco e organizzato



di Naman Tarcha

Sono spariti nel nulla i due arcivescovi Johanna Ibrahim, vescovo Siro ortodosso, e Bulos Yazjil, vescovo greco ortodosso. Sono trascorsi esattamente 540 giorni da quel 22 aprile 2013, quando i due presuli sono stati rapiti durante una missione umanitaria di mediazione per liberare due preti siriani: p. Michel Kaial, giovane sacerdote armeno cattolico, e Isaac Mahfouz, greco ortodosso, sequestrati dai gruppi armati nel nord della Siria. 

I due arcivescovi sono stati prelevati sull'autostrada che collega la città Aleppo al confine turco siriano, mentre rientravano dalla Turchia. Rabbia e angoscia hanno segnato sin dai primi giorni, la comunità cristiana siriana per il destino dei due presuli molto amati e stimati dai fedeli.
Ibrahim, vescovo di Aleppo della chiesa Siro ortodossa, è infatti uno dei principali esponenti delle Chiese Orientali in tutto il Medio Oriente; Yazji è invece il fratello dell'attuale Patriarca Greco Ortodosso in tutto il mondo e Capo della più numerosa comunità cristiana in Siria.
Era chiaro sin dall'inizio che i rapitori erano a conoscenza della importanza di cui godevano le loro vittime; anzi, con il senno di poi, appare chiaro che tutto fosse stato progettato nei minimi dettagli. Di fatto, in tutto questo tempo non è trapelata alcuna informazione sull'identità dei rapinatori, né sul luogo e sul destino delle vittime, tantomeno sono state avanzate richieste di risarcimento o riscatto.
L'obiettivo è dunque politico. Ovvero traumatizzare le comunità cristiane in Siria, spaventarle e costringerle ad abbandonare il paese. Una tattica che rientra nel tentativo degli estremisti di svuotare il Medio Oriente dai cristiani, cittadini autoctoni e proprietari di quelle terre.
Diverse volte si era accesa la speranza per le trattative in corso, grazie alla mediazione del Qatar che, in diretto contatto con i gruppi armati, era già stato protagonista del rilascio delle monache di Maloula rapite dai terroristi di Al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda.
Malgrado i forti rapporti della Turchia con diversi gruppi armati, i negoziati tuttavia non hanno portato a nulla. Dei due arcivescovi fino ad oggi non c'è nessuna traccia e quelli che erano gruppi armati e combattenti d'opposizione nel frattempo si sono trasformati in uno Stato Islamico, con un Califfato, organizzato, attrezzato, super armato, considerato uno dei più ricchi gruppi terroristici al mondo.
Il silenzio assordante dell'Occidente su questi crimini in Siria, oggi sotto una grave minaccia di terrorismo, scuote le coscienze dei cittadini europei e accende forte dibattito sulle politiche adottate dai propri governi sull'altra sponda del Mediterraneo.
Allo stesso tempo, spinge tanti siriani a non credere alle superficiali e apparenti preoccupazioni di Usa e Europa sul destino delle minoranze etnico religiose e dei cristiani d'Oriente soprattutto, attualmente le vere vittime del terrorismo.