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sabato 7 maggio 2016

“Per te preghiamo, Aleppo”: 8 maggio 2016 giornata mondiale di preghiera per Aleppo


Pray for Aleppo   08/05/2016
صلِّ من أجل حلب 
Prions pour Aleppe 
Preghiamo per Aleppo 
Carissimi amici, La situazione ad Aleppo in questi ultimi tre giorni e' un poco piu' calma. Ho visitato i feriti e le case distrutte negli ultimi attacchi: che pena e dolore!  
Abbiamo indetto Domenica una giornata di preghiera per Aleppo e per la pace in Siria 
Per favore, unitevi a noi. 
Saluti da Aleppo.
+Georges Abou-Khazen


“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (MT 5,9).
Un invito a tutti i giovani del mondo e del mondo salesiano a partecipare alla giornata di preghiera per la città di ALEPPO, l’8 maggio 2016

“Per te preghiamo, Aleppo”.
Preghiamo per tutti i bambini, i giovani e gli anziani, sui quali si aggira l'ombra della morte:

O Regina della Pace, prega per noi.

O Principe della Pace, dona a noi la Pace.

martedì 1 marzo 2016

I frati della Custodia in Siria: noi restiamo!


Terrasanta.net

Il 23 dicembre scorso al convento di San Salvatore a Gerusalemme, sede centrale della Custodia di Terra Santa, giungeva la notizia del probabile rapimento di fra Dhiya Azziz, un frate quarantenne di nazionalità irachena parroco nel villaggio siriano di Yacoubieh (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour). I suoi confratelli avevano perso i contatti con lui la mattina di quello stesso giorno, mentre il religioso stava rientrando in parrocchia dopo essersi recato in Turchia per incontrare i suoi familiari, profughi dall’Iraq. Fra Azziz era già stato vittima di un rapimento nel luglio del 2015, ma in breve era riuscito a sfuggire ai sequestratori. Stavolta è stato trattenuto più a lungo (12 giorni) e la notizia dell’avvenuta liberazione è stata diffusa da Gerusalemme, senza molti dettagli, la mattina del 4 gennaio 2016. Poche settimane più tardi il frate è giunto a Roma per un periodo di riposo lontano dalle tensioni della guerra. La sua vicenda ha riproposto ancora una volta a tutti i suoi confratelli un interrogativo cruciale: è bene ed opportuno restare nelle parrocchie dei villaggi siriani sotto il controllo delle forze islamiste avversarie del governo di Damasco anche se il numero dei cristiani locali continua a scemare perché molti se ne vanno? O è meglio ripiegare in attesa di tempi migliori?

Il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa, ha invitato tutti i frati a pregare e riflettere insieme, per aiutare lui e il suo consiglio a decidere se restare a Knayeh, Yacoubieh e Jdeideh, tre paesini della Valle dell’Oronte.
Molti frati hanno risposto al Custode per iscritto o a voce. Fra Pizzaballa ha voluto ringraziarli coralmente a fine gennaio con un messaggio che recita tra l’altro: «Ho letto con attenzione e meditato su tutte le vostre osservazioni, riflessioni e preoccupazioni. Le vostre opinioni sono state di grande aiuto e hanno reso meno faticosa la decisione da prendere. Di nuovo, grazie! Nella quasi totalità avete espresso con chiarezza il parere che sia doveroso restare nei villaggi, senza considerazione per il numero dei parrocchiani (circa 400 complessivamente nei tre villaggi) e nonostante il pericolo».

«La Custodia – soggiunge il padre Custode – non ha mai abbandonato i luoghi e la popolazione che la Chiesa le ha affidato, anche a rischio di pericolo. Non pochi tra i nostri martiri, anche nel periodo recente, sono morti in circostanze non troppo dissimili dalla situazione attuale. Un pastore non abbandona il suo gregge e non si chiede se le sue pecore valgano molto o poco, se siano numerose o giovani. Per un pastore tutte le pecore sono importanti e le ama tutte allo stesso modo».
A prendere il posto di fra Dhiya a Yacoubieh andrà, da Betlemme, un religioso ancora più giovane, fra Louay Bhsarat, che fin dall’inizio della guerra aveva dato la sua disponibilità ai responsabili della Custodia.







 Lettera inviata da fr. Samhar, frate della Custodia di Terra Santa che vive ad Aleppo in Siria, in cui chiede preghiere:

Ciao fra Matteo,  
Stiamo qui proprio male, ogni giorno cadono su di noi una pioggia di bombe da parte degli gruppi armati, ci sono stati diversi morti e purtroppo sono giovani di età 13_ 19_ 21_ 40_ 60 oltre ai feriti che stanno malissimo, e le case distrutte... la gente qui in questi giorni sono di più disperati... 
Vi chiedo di pregare di più per loro, noi, e tutta la Siria. 
Fr. Samhar 

Come vedete cari amici, la città di Aleppo in questi giorni è oggetto di forti scontri tra i gruppi armati dei ribelli e l'esercito siriano che sta cercando di liberarla con l'aiuto dei bombardieri russi. 
Vi chiediamo di pregare e di far pregare la gente per la pace in Siria e perché il Signore dia forza ai nostri frati di custodire con coraggio il gregge loro affidato. Anche in queste ore drammatiche. 
Si possono organizzare momenti di adorazione, preghiera o semplicemente legare questa intenzione a ciò che già fate. Rimaniamo in comunione con loro, non lasciamoli soli.Pace e bene. 
Fr. Matteo Brena Commissario di terra Santa per la Toscana

Ad Aleppo succede qualcosa di terribile, ma si ignora o non si vuole vedere

(ANS – Aleppo) – La situazione ad Aleppo?   “Qui tutto è confusione, la morte è ovunque, nessuno riesce a capire cosa sta succedendo e non si sa di chi fidarsi. Stavamo preparando con i giovani un’opera di teatro per festeggiare Don Bosco e ci siamo dovuti fermare perché diversi di loro sono morti durante i bombardamenti” , racconta con la voce spezzata don Luciano Buratti, uno dei tre salesiani che abita nella casa salesiana di Aleppo, in Siria.
Da tre anni si combatte costantemente nella città.  “Ogni notte cadono le bombe in tutto il vicinato e ogni giorno veniamo a conoscenza di qualcuno che ha perso un familiare o una persona cara” continua don Buratti, mentre sullo sfondo si sente il brusio dei ragazzi che giocano nel cortile dell’oratorio.
Quando gli si chiede riguardo la situazione concreta della casa salesiana, dice: 
“la nostra comunità ha scelto di continuare le sue attività come se nulla fosse; cerchiamo di offrire alle famiglie un luogo dove si respirino anche nel bel mezzo del caos la stabilità e l’armonia, di conseguenza, le attività della parrocchia e l’oratorio seguono il loro corso normale, come facevamo prima dei combattimenti; questa è una delle poche strutture che operano ancora con una certa normalità”.
La condizione dei cristiani è particolarmente difficile, si cerca di fuggire e chi ha soldi e può lasciare la Siria lo ha già fatto; gli altri cercano rifugio nelle città più sicure, ma molte persone, che non hanno possibilità, rimangono ad Aleppo.
Abbiamo un sacco di lavoro; è aumentato il flusso di persone che arrivano alla nostra parrocchia chiedendo servizi religiosi, cercano Dio e un po’ di conforto – prosegue il salesiano –. 
Grazie a Dio, noi Salesiani stiamo ben e riceviamo qualche aiuto da distribuire tra circa 200 famiglie della nostra parrocchia che hanno perso tutto”.
Attualmente si stima che rimangono circa due milioni di abitanti in questa città, antico simbolo della convivenza pacifica tra Cristiani e Musulmani; adesso si spera solo di sopravvivere.
I Salesiani di Aleppo animano due opere: quella di Aleppo, dedicata a san Giorgio, e quella di Kafroun, dedicata a Don Bosco, con i loro rispettivi oratori, una casa di accoglienza e una parrocchia; tutto funziona regolarmente, al servizio della gente.

lunedì 9 novembre 2015

"Chi sei tu per dire che oggi non c'è Messa?" : intervista a don Alejandro José Mendoza

di Cristina Sanchez Aguilar
Alfa y Omega

"Un giorno, circa un anno fa, stavano cadendo missili a Damasco.  Era Domenica, il giorno in cui celebriamo quattro Messe per oltre 500 giovani che frequentano il nostro oratorio. Ho preso la decisione di non celebrare la Messa, perché siamo nel centro della città e la maggior parte dei giovani vive lontano. Ogni fine settimana inviamo autobus per raccoglierli, ma questa volta ho avuto paura. Alla mattina ho mandato messaggi a tutti i responsabili per avvisare i ragazzi. Alle cinque del pomeriggio, all'ora della prima Eucaristia, apparve sulla soglia un gruppo di circa 25 giovani che erano arrivati a piedi da uno dei quartieri più lontani dal centro. Ero veramente arrabbiato con loro, ma mi hanno detto: "Chi sei tu per dirci che non possiamo venire a Messa?", E io ho dovuto restare in silenzio. Se per me questa decisione è stata difficile, immaginarsi per i loro genitori, che ogni giorno devono prendere la decisione se lasciarli andare a scuola o no. Se li lasciano, rischiano la vita dei loro figli. Se non li lasciano rischiano la loro formazione e il loro futuro."

Per questo il numero di giovani e di famiglie in fuga dalla Siria è sempre più alto.
Sono partiti moltissimi cristiani.  Il momento chiave è quando i ragazzi finiscono l'università;  allora devono scegliere di rimanere o di vendere tutto e ripartire da zero. Ma questa decisione implica intraprendere un viaggio in cui si può morire, e in cui tutto lo sforzo della loro vita sia inutile. Noi, per esempio, abbiamo formato moltissimi laici e da un giorno all'altro se ne sono andati. Per fortuna, ora abbiamo 80 animatori che ci aiutano nel lavoro pastorale.

Immagino che la prospettiva di poter emigrare in Europa li incoraggerà ulteriormente.
Sì. Quando i giovani vengono a parlare con me mi dicono che vogliono partire, soprattutto per l'Europa. Se questo viaggio è perché li hanno accettati in una università dico loro di andare avanti. Ma quando mi dicono che stanno per imbarcarsi da clandestini, mostro la mia disapprovazione. Ma il loro ragionamento è travolgente: "Padre, se vado posso morire, ma se resto qui è sicuro."

La situazione a Damasco peggiora di minuto in minuto.
Gli ultimi due mesi sono stati fatali, e anche se è ben protetta dal Governo, Damasco non riuscirà a resistere per sempre. Solo non ci piace quando ci confrontano ad Aleppo, perché se noi stiamo male, là è l'inferno. Ad esempio, a noi tagliano l'elettricità ogni giorno otto ore, ma Aleppo ha elettricità un'ora ogni due giorni. Qui può mancare il pane, ma là manca qualsiasi tipo di cibo.  Noi non abbiamo acqua quattro ore al giorno, loro sono stati per tre settimane senza acqua.

La guerra ha causato una evoluzione nella fede dei cristiani siriani che rimangono?
Certo. In Siria la fede si viveva in un senso molto tradizionale. Quando iniziò la guerra, la gente andò in crisi perché non aveva a che cosa aggrapparsi. Noi sacerdoti abbiamo collaborato con la crisi, perché all'inizio della guerra abbiamo detto a molti che se avessimo pregato forte, tutto sarebbe finito. E non è finita. E' stato un duro colpo per i cristiani. Così siamo cambiati insieme.  Ci siamo abbandonati al Signore e abbiamo deciso di costruire con le nostre mani il Regno. Come potremmo chiedere ai nostri fratelli musulmani di vivere in pace, quando la nostra pace non è quella vera? Ciò ha portato molti a vivere una fede molto profonda.

Una fede che ha portato benedizioni. Ora avete con voi 1.200 giovani.
Eravamo giunti ad averne solo 20, perché i genitori avevano paura di lasciare che i loro figli uscissero per strada. Così abbiamo iniziato a visitare le famiglie a casa. L'obiettivo principale era quello di dare conforto e distribuire l'assistenza economica che stava arrivando. Durante queste visite incontravamo giovani senza speranza che avevano visto i loro amici morti quando erano colpiti da un proiettile. Ci chiedevano a cosa serviva impegnarsi se dovevano morire comunque. Ci siamo centrati sul seguire un cammino spirituale forte con loro, e quelli che andavano rinascendo alla speranza ne contagiavano altri. Così, in estate abbiamo avuto al centro salesiano 1.200 giovani, e ci sono altri che vogliono iniziare a partecipare.
  
 (trad. dallo spagnolo di FM)
http://alfayomega.es/32598/quien-eres-tu-para-decir-que-hoy-no-hay-misa


martedì 15 settembre 2015

SIRIA, FINO A QUANDO ...? Visita del Superiore Salesiano del Medio Oriente.

Homs: la celebrazione della festa della S Croce, tanto cara ai cristiani siriani

3 settembre 2015

Anche quest’anno, come di consueto, ho voluto andare a visitare le tre opere salesiane di Kafroun, Aleppo e Damasco in Siria, mio Paese natale. Un Paese sempre più stremato e impoverito dalla guerra, ormai in corso da quattro anni, le cui conseguenze hanno assunto proporzioni devastanti sulle condizioni di vita della popolazione. Il presente comunicato è un breve resoconto di quella visita, attraverso il quale vorrei dare una testimonianza della realtà di questo Paese e dell’importante contributo prestato dai nostri confratelli salesiani e dalle nostre opere in queste drammatiche circostanza.

Salesiani di KAFROUN
Sono entrato in Siria attraverso il Libano, iniziando la visita dalla nostra casa salesiana di Kafroun il 29 Giugno.
Ero appena arrivato, quando mi è giunta la triste notizia della morte di un nostro confratello, don Charbel Daoura, avvenuta in un incidente stradale in Sud Sudan. Essendo lui originario della zona di Kafroun, abbiamo deciso di celebrare il funerale nel suo villaggio e per la prima volta la salma di un nostro confratello (giunta in aereo) ha avuto sepoltura nell’area dell’opera salesiana. Al funerale erano presenti tanti preti, suore, familiari e giovani, accorsi per l’ultimo saluto. Per due giorni la nostra casa e i salesiani hanno sospeso le attività, mettendosi disponibili ad accogliere le visite di condoglianze per il defunto don Charbel.. Per tutto il periodo estivo la comunità e l’opera di Kafroun è stata diretta da Don Luciano Buratti, missionario italiano, e dal chierico egiziano Gobràn, insieme al cooperatore salesiano Johnny Ghazi e alla sua famiglia. Questi ultimi portano avanti l’intera gestione e le attività dell’opera durante l’anno. La zona di Kafroun è stata fino ad ora una delle più tranquille della Siria. Per questo motivo molte famiglie sfollate accorrono da Homs, Damasco e Aleppo per trovare rifugio in quella vallata. La nostra opera è frequentata quindi sia da giovani della zona, sia da tanti sfollati costretti a lasciare le proprie case a causa del pericolo e della distruzione che imperversa in tutto il Paese. È un’opera che raggruppa, in questa drammatica e persistente situazione di guerra, un mosaico di gente, proveniente da svariate parti della Siria, che si recano là per incontrarsi, apprendere, crescere umanamente, spiritualmente e culturalmente, oltre che giocare, cantare e danzare.
Stando con loro, mi sono molto rallegrato. Ho provato grande gioia, ammirazione e commozione nel vedere centinaia di ragazzi e ragazze, giovanissimi, venire e partecipare all’estate ragazzi, realizzata anche quest’anno e perfettamente organizzata e portata avanti, oltre che dai salesiani, da molti animatori e collaboratori laici. Per facilitare la partecipazione del maggior numero possibile di ragazzi e ragazze, è stato offerto un servizio di navetta dai vari villaggi della vallata fino alla nostra opera. Ho potuto incontrare tanti giovani, le loro famiglie, e vivere intense esperienze di ascolto, condivisione e dialogo. In questi momenti, le persone hanno ancor più bisogno di parlare, sfogarsi, e di qualcuno che sia disponibile all’ascolto e alla condivisione di tante storie di sofferenza. L’ascolto è un segno di vicinanza, di sostegno morale e spirituale. Questa esperienza mi ha fatto crescere profondamente come Salesiano.
Nonostante le tante sofferenze, la distruzione e la morte, ho potuto constatare come la voglia di vivere, di gioire e di sperare è sempre più forte, e ciò mi ha riempito di gioia. La gente ha bisogno e voglia di giocare, danzare, cantare, pregare, nonostante le drammatiche circostanze li portino a chiedersi: “Dov’è Dio? Perché Dio permette tutto questo? Non basta tutto questo sangue, tutta questa distruzione? Fino a quando ancora? Basta! Non ce la facciamo più”. Sono interrogativi che ho cercato di affrontare con loro, parlando di perdono, fede, speranza, ma non è facile. La gente è sempre più stanca, stremata, a livello morale, spirituale e materiale. Tutte le famiglie, oltre alla tragedia della distruzione, della morte, ormai vivono il dramma dell’emigrazione, della fuga, della ricerca di una vita migliore, fuori dalla Siria. Le famiglie si disgregano e si dividono ulteriormente. Coloro che partono affrontano viaggi pericolosi e destini incerti, coloro che restano soffrono della mancanza delle persone che partono e della preoccupazione per la loro sorte. In Siria ho visto la sofferenza della persone che restano e la mancanza di coloro che sono ormai partite. E di fronte alla moltitudine di persone che lasciano il paese, sempre più si convincono di non avere altre possibilità: tutti partono! Si domandano: “Che senso ha rimanere qui, soli, in costante pericolo, senza alcuna prospettiva?”.

Questo dramma sta cambiando la fisionomia sociale del paese in generale, ma ne risente fortemente anche quella ecclesiale. La presenza cristiana, in passato così forte, si sta indebolendo e disgregando, sia in qualità che in qualità, drammaticamente.
La Messa domenicale a Kafroun, ha rappresentato un bellissimo momento di raccoglimento e comunione. Circa 700 persone hanno preso parte alla celebrazione tenutasi in cortile, alla presenza di cristiani di differenti riti. È stato bello accogliere tutte queste persone, così toccate dalla guerra che le ha portate a vivere il dubbio e l’incertezza nel loro cammino di fede, e vederle tornare a pregare, ritrovare la fede, a confessare i propri peccati. Momenti d’incontro e condivisione come questi, pervasi da spirito familiare e di comunione, sono un motivo di conforto, di aiuto, di sostegno.


Salesiani di ALEPPO
La mattina del 7 Luglio sono partito verso Aleppo in autobus, un viaggio abbastanza tranquillo e sicuro, nonostante le 8 ore di viaggio su strade in alcuni tratti completamente distrutte. Sono arrivato nel pomeriggio nella mia città, nel posto dove sono nato e cresciuto, ormai completamente irriconoscibile. Ogni visita mi mostra una città sempre più distrutta. Questa grande città, una delle più antiche al mondo, che fino a pochi anni fa contava circa tre milioni di abitanti, è attualmente considerata uno dei luoghi più pericolosi al mondo.
Arrivato alla casa salesiana, i Salesiani e i giovani mi hanno accolto con uno spirito di gioia e ottimismo cristiano e salesiano. All’ingresso mi hanno fatto indossare un casco ed un giubbotto antiproiettile e un elmetto, “per motivi di sicurezza e per proteggerti”. Mi hanno detto, scherzando: “L’opera e l’oratorio sono chiusi!”.
Ho quindi potuto incontrare i miei confratelli, il direttore Georges Fattàl, don Simon Zakerian, i diaconi Pier Jabloyan e Dani Gaurie, e il pre-novizio Mishel Hajjar. Ho gioito nel constatare come ancora oggi, da questa opera, provengono ancora tante vocazioni di salesiani consacrati e di salesiani cooperatori. Il Signore ci ha benedetto finora con buone e numerose vocazioni, un segno di amore e benedizione per questa casa. Ho ringraziato i salesiani di Aleppo per la testimonianza di vita religiosa e continua donazione portata avanti con grande sacrificio per i giovani di Aleppo. Qui ad Aleppo ho potuto sentire e toccare con mano la grandezza della nostra missione salesiana, in particolare attraverso i miei incontri con i vari preti, religiosi e le famiglie della città, che mi hanno ripetuto più volte della straordinaria oasi di pace e di gioia e di speranza che questa presenza rappresenta.
Proprio durante i giorni di visita ad Aleppo ho vissuto uno dei momenti più commoventi della mia vita, l’ordinazione di Pier Jabloyan, tenutasi l’11 luglio nella nostra chiesa. L’ordinazione s’è svolta nel rito armeno cattolico, alla presenza del vescovo Boutros Marayati, e di tanti religiosi, preti, suore e giovani accorsi per celebrare assieme l’evento. Nonostante la morte, la distruzione e la sofferenza che regnano nella città, l’ordinazione è stato  un segno preziosissimo di vita, di donazione e gioia. Un prete ordinario in un tempo straordinario: ecco Pier, un giovane cresciuto in quell’oratorio, che dopo l’ordinazione sarà destinato proprio all’oratorio di Aleppo. Alla messa è seguito un gioioso momento di festa, canti e danze e un rinfresco per tutti i presenti.
Anche ad Aleppo ho preso parte alle attività dell’estate ragazzi, meravigliosamente organizzata e gestita. Quest’anno ha visto la partecipazione di oltre 700 ragazzi, ragazze e giovani provenienti da varie parti della città, a cui è stato similmente offerto il servizio navetta per raggiungere l’opera in sicurezza. Un bel gruppo di animatori, che ha aiutato nello svolgimento quotidiano delle attività estive, ha contributo a creare un bel clima. Per tanti ragazzi giovani e per le loro famiglie frequentare l’opera significa respirare un’aria di gioia, di speranza, in un clima familiare : “Ghèr ‘alam”, cioè (letteralmente) “un altro mondo”, un’oasi di pace.
L’estate ragazzi è un evento caratterizzato da momenti ricreativi, culturali ed educativi in tutte le opere salesiani del mondo. Ma in un contesto come quello di Aleppo assume un significato ancora più ampio dal punto di vista pastorale educativo. Questi momenti aiutano i ragazzi a liberarsi, a sfogare la tensione e il peso della sofferenza e della paura a cui sono sottoposti quotidianamente, e a ritrovare la forza psicologica e spirituale per poter sopportare e affrontare tale situazione.
Quest’anno, dopo 4 anni, la comunità salesiana insieme ha deciso di riorganizzare i campi estivi per i ragazzi che frequentano l’opera ad Aleppo. Dopo 4 anni di chiusura, di “prigionia” all’interno della città, i ragazzi della scuola media e poi delle superiori hanno potuto finalmente rivivere quest’esperienza che li ha portati per 5 giorni in montagna, presso l’opera di Kafroun. Hanno partecipato 180 ragazzi delle scuole medie e in seguito 140 ragazzi delle scuole superiori, accompagnati da diversi animatori e collaboratori. È stata un’esperienza molto significativa, che ha permesso ai ragazzi di godere della bellezza e della tranquillità della natura. Per la prima volta hanno dormito senza sentire il pericolo della guerra, hanno vissuto assieme come una grande famiglia, condividendo momenti di gioia e di preghiera.

Aleppo, una città che contava un’ampia presenza cristiana di vari riti e chiese, ha visto una continua diminuzione di tale presenza, ridottasi ad oggi di circa due terzi. L’emorragia di cristiani è conseguenza sia del prolungamento del conflitto, della condizione socio economica e dell’alto costo della vita, sia per la scarsità di possibilità di lavoro e di generi di prima necessità, e sia anche, in terzo luogo, per la distruzione di quartieri cristiani. Tante chiese, antiche e rilevanti da un punto di vista artistico e culturale, sono state anch’esse colpite. Tutto ciò ha fatto crescere in modo rapido e massiccio l’esodo di cristiani dalla città.
Anche ad Aleppo ho potuto parlare personalmente con i giovani e le famiglie. E’ difficile parlare di certi temi con persone che hanno perso i propri affetti più cari e che ogni giorno si chiedono dove sia Dio. Ho cercato di aiutarli, offrendo loro ascolto e conforto morale, parlando di amore e di riconciliazione.
La mancanza di acqua corrente ed elettricità costringe la gente a sopravvivere con quantità ridotte di acqua, soprattutto potabile, con gravi conseguenze in termini di condizioni di salute, anche dovendo far fronte alla scarsità di elettricità che va ad intaccare e rendere difficoltose le più basilari attività quotidiane. Ho lasciato Aleppo il 20 Luglio, tornando a Kafroun e partecipare così alle attività per altri pochi giorni. Da lì sono diretto il 25 luglio verso l’opera di Damasco in minibus, insieme a don Simon e a un gruppo di giovani animatori.

Salesiani di DAMASCO
Domenica 26 Luglio ho presieduto la messa in cortile, alla presenza del nunzio apostolico, del suo segretario e delle nostre Sorelle salesiane, celebrando anche l’occasione dell’insediamento di Don Simon Zakarian come nuovo direttore, al posto del direttore uscente, don Alejandro Leòn Mendoza. Erano presenti oltre 500 giovani, e mi ha commosso vedere il loro amore nel congedarsi dai loro padri salesiani, sia ad Aleppo, nel salutare Don Simon, sia a Damasco, per quelli che hanno dovuto salutare don Alejandro. Per quanto comprendiamo la tristezza dei giovani nel dire arrivederci ai loro padri spirituali, sappiamo che questi cambiamenti rientrano nella logica religiosa salesiana, del voto di obbedienza e di dedizione al servizio ai giovani, ovunque nel mondo. La celebrazione si è quindi conclusa con un bel momento di saluto a don Alejandro e un abbraccio caloroso di benvenuto a don Simon.
Ho avuto ampia comodità di incontrare la comunità salesiana di Damasco, sia dei confratelli: Don Alejandro, Don Munir Hanashi e don Felice Cantele, sia della nostre Sorelle, le Figlie di Maria Ausiliatrice, che a Damasco hanno due ampie presenze: una all’Asilo e un’altra all’ospedale Italiano, ove offrono un servizio prezioso ed importante alla popolazione siriana, in particolare in questo momento drammatico.
Anche a Damasco, come ad Aleppo, le attività estive erano bene animate ed organizzate, supportate dalla presenza di animatori e collaboratori salesiani e frequentate da circa 900 giovani provenienti da aree anche molto lontane dalla città. In virtù del numero particolarmente alto di partecipanti, i ragazzi sono stati divisi per fasce d’età, assegnando giorni precisi per lo svolgimento delle attività, ospitandoli dalla mattina fino alla sera e offrendo loro ogni giorno pasto e trasporto.
Il centro di Damasco, a differenza di città come Aleppo, appare ancora relativamente meno pericoloso. La situazione è tuttavia peggiorata notevolmente negli ultimi tempi, diventando più instabile e insicura. Anche lì gli effetti della scarsità di acqua, dei tagli all’elettricità, del carovita e della mancanza di lavoro pesano sulle condizioni di vita della popolazione, che sempre più numerosa decide di lasciare il paese.
I ragazzi e gli animatori mi hanno fraternamente accolto nell’Opera e ogni gruppo mi ha reso partecipe di piccole presentazioni teatrali, musicali e artistiche preparate nel corso del periodo estivo. Chiamato a rivolgere una parola di saluto al termine di queste attività, li ho ringraziati e spronati a conservare quell’ottimismo e quella gioia che rappresentano il cuore dello spirito salesiano e ho ricordato loro le belle parole del Papa Francesco nel 21 giugno 2015 rivolte ai figli e figlie di Don Bosco nella basilica di Santa Maria Ausiliatrice in occasione del bicentenario della nascita di Don Bosco: “I Salesiani mi hanno aiutato ad affrontare la vita senza paure e ossessioni, ad andare avanti nella gioia, nella preghiera. Educate i ragazzi a non avere paura. Non dimenticatevi la caratteristica del vero oratoriano: La gioia. E con questa gioia cercate e amate Gesù per incontrarlo tutti i giorni”.

A Damasco ho incontrato diversi gruppi e associazioni di ragazzi, famiglie e madri impegnati con dedizione nell’educazione e nella missione salesiana. Sono stato reso partecipe dell’esperienza di un gruppo di giovani che hanno condotto attività di volontariato in alcuni villaggi al confine col Libano, organizzandovi per due settimane un’esperienza di estate ragazzi e vivendo un importante momento di crescita umana e spirituale. Un altro gruppo di volontari ha portato avanti per un mese un’interessante e rilevante esperienza di animazione missionaria, recandosi in una delle zone periferiche più povere e pericolose della città, a contatto con giovani di differente  credo e fede religiosa. L’esperienza del volontariato, quando condotta da giovani che vivono essi stessi situazioni di estrema difficoltà e precarietà, è particolarmente importante e significativa: nonostante le difficoltà e la pericolosità dell’ambiente, questi giovani si sono messi al servizio dei più sfortunati, e attraverso quest’esperienza hanno trovato la gioia del dono e del servizio e hanno scoperto quanto bene è possibile fare attraverso l’educazione alla pace e alla convivenza. Secondo noi salesiani, la sfida più grande in questi momenti è l’educazione, l’educazione alla creazione di una cultura di pace, di amore e di perdono, capace di superare questi lunghi anni di guerra, di odio, sangue e distruzione.

Nel corso della mia permanenza ho incontrato inoltre un gruppo di giovani che stanno vivendo l’esperienza vocazionale del Vieni, Vedi. Due di essi hanno voluto vivere un’esperienza prolungata all’interno dell’opera, partecipando alla vita salesiana e aiutando i Padri nelle loro attività quotidiane. Anche i Salesiani di Damasco hanno organizzato per i ragazzi esperienze di campo estivo. Due gruppi di circa 140 ragazzi sono stati coinvolti e hanno trascorso 5 giorni di campo estivo in montagna, a Kafroun. E’ stato un momento anche per loro particolarmente importante, potendo godere di un ambiente differente, di pace e serenità per la prima volta dopo 4 anni.
Il 5 Agosto sono stato invitato a presiedere la messa delle prime professioni di 6 giovani suore siriane salesiane, alla presenza del Nunzio, del suo Segretario, dell’Ispettrice suor Lina, e di molti preti, religiosi e religiose, e di tante famiglie e giovani. E’ stato molto bello partecipare e assistere al momento di consacrazione a Dio di queste giovani suore proprio in questi momenti particolarmente difficili in Siria
Il 6 agosto nel tardo pomeriggio ho infine lasciato il Paese, recandomi in Libano nella nostra casa di EL Houssoun, per partecipare alla festa dell’ordinazione sacerdotale del nostro giovane confratello libanese Georges El Mouallem, in rito greco-cattolico.

Conclusione
Voglio ringraziare il Signore per avermi dato modo di compiere questa visita e ascoltare e confortare tanti fratelli in grande difficoltà in questo tragico momento.
Ringrazio i fratelli salesiani, i nostri cooperatori e animatori che portano avanti con dedizione la loro missione, nonostante i gravi pericoli, le fatiche e le difficoltà quotidiane.
Ringrazio la Divina Provvidenza che ci assiste giorno dopo giorno e ci permette di continuare ad offrire aiuto e sostegno spirituale, morale e materiale alla popolazione più colpita, attraverso i nostri benefattori.
Continuiamo a pregare affinché questa drammatica guerra in Siria, e tutte le guerre che affliggono il Medio Oriente e altri paesi del mondo possano finalmente finire: queste guerre rappresentano purtroppo un grande e complesso gioco di interessi, che tendono a prevalere sul bene comune e fondamentale dell’uomo. Preghiamo quindi che il Nostro Signore Gesù possa infonderci sempre speranza e donarci infine la vera pace.

Abuna Munir El Rai
SDB MOR 

domenica 16 agosto 2015

“I Salesiani in Siria fino al martirio: folli per Cristo”

Rilasciato padre Antonio Boudros, rapito da Al Nusra il 12 luglio a Shahba


ISIS ha  iniziato a distruggere  il Monastero siro-cattolico Mar Behnam
prezioso luogo sacro del 4° secolo, situato nella piana di Ninive 



Il commovente racconto di don Munir El Ra’i conclude il raduno del Movimento Giovanile Salesiano

Torino,  (ZENIT.org)

“I Salesiani sono pronti al martirio pur di rimanere in Siria”. Con queste parole don Munir El Ra’i, Ispettore Salesiano del Medio Oriente, apre la quarta ed ultima giornata al PalaRuffini di SYM 2015, prima dello spostamento al Colle Don Bosco, dedicata alle confessioni e caratterizzata dall’intervento del sacerdote siriano.
"Come Salesiani - ha detto - siamo presenti in sette nazioni del Medio Oriente in cui un conflitto dettato dagli interessi, non per l’umanità, non per la libertà o la democrazia, altro non è se non un grande gioco molto complesso in cui chi ne paga le conseguenze è il popolo, sono i giovani".
Un “big game” esercitato "da tutte le grandi potenze perché si tratta di un’area importante e strategica. Ebbene, noi salesiani siamo presenti e abbiamo deciso di rimanere nonostante le guerre e le difficoltà. Ci sono salesiani che piuttosto di lasciare quelle terre sono pronti al martirio", ha affermato don Munir.
"Parlare in quelle zone di perdono e amore per i nemici non è cosa facile", ha aggiunto. "Aleppo, la mia città, è, attualmente, la più colpita al mondo. Più di 3 milioni di abitanti colpiti dalla distruzione totale. Ho provato a chiedere ai giovani di Aleppo se possono perdonare e amare il nemico. L’ho chiesto a una ragazza rapita con la famiglia per quattro mesi, a ragazzi a cui è stata distrutta la casa, a una giovane maestra d’asilo  a cui è morto un bambino tra le braccia colpito da un cecchino, a ragazzi che hanno perso famiglia e amici. Tutti mi dicono che non possono perdonare, è difficile. Non c’è odio, ma amare i nemici è una follia, per il momento. Forse, mi dicono, per saper perdonare dobbiamo essere santi. Forse, più avanti riusciremo ma adesso è difficile. Ma, nonostante tutto, molti in confessione chiedono al signore di aiutarli a perdonare!".
Per il religioso si tratta di "un cammino difficile, ma possibile": "Sembra essere una follia - ha affermato -. Una follia chiedere di perdonare, ma cos’è la vita cristiana se non una vita di follia? Noi abbiamo le nostre guerre, voi avete le vostre, ma è necessario saper perdonare e amare fino in fondo. Una follia, non c’è una logica umana nel perdono. Ma stare con Cristo è essere pazzi, e insegna l’unico linguaggio universale che è l’amore. E per stare con Cristo è necessario essere preparati, nutriti bene. Siamo tutti invitati a imparare il linguaggio dell’amore che va ricercato su una frequenza speciale".
Quindi l'invito "a essere folli, essere folli con Cristo", una cosa "che richiede un grande sacrificio, anche il sacrificio della vita".
"In questi giorni in Medio Oriente, nonostante la sofferenza - ha aggiunto l'Ispettore Salesiano - tanti giovani hanno donato la loro vita a Cristo, tante nuove ordinazioni sotto le bombe, giovani che oggi danno la vita per servire il popolo siriano. Una follia, ma hanno imparato bene il linguaggio di Cristo. Vi invito ad essere folli, imparate il linguaggio dell’amore, perdonate, siate pazzi di Cristo e vi saranno aperte tutte le porte.
Tutti siamo toccati dal peccato - ha concluso - ma la cosa più bella è il ritorno, il ritorno a Cristo. Ma per farlo ci vuole coraggio, e una volta intrapresa la strada del ritorno Cristo sarà sempre pronto ad accoglierci a braccia aperte e solo allora avremo il dono del perdono".


A don Munir è stato poi chiesto come educare i giovani al perdono. "Noi che abbiamo scelto di rimanere in Medio Oriente - ha risposto - insegniamo ai ragazzi ad accettare l’altro lavorando con razze e religioni diverse: accettare l’altro, chiunque sia.
Seconda cosa chiediamo ai ragazzi di avere una forte e intima relazione con Cristo, solo la forza delle fede può condurre al perdono. In ultimo invitiamo a vivere bene i sacramenti della riconciliazione e dell’eucarestia: Don Bosco diceva che ci sono due ali con le quali possiamo volare in cielo, l’eucarestia e la riconciliazione, solo con esse potete volare. Coraggio cari giovani, coraggio!".

lunedì 25 maggio 2015

"Ci vogliono morti, ma noi rimarremo qui, con la nostra gente": voce unanime dei religiosi da Damasco e da Aleppo


Intervista a don Alejandro Leon, salesiano di Damasco


Don Alejandro si occupa di un centro giovanile a Damasco e come tutti i religiosi di Siria è in mezzo ai suoi fedeli anche in queste ore difficili in cui i miliziani di Isis sembrano avvicinarsi minacciosamente alla capitale.

ilsussidiario.net. 

Don Leon, lei conosceva di persona il sacerdote rapito, padre Murad?
Non di persona, ma il suo nome era noto. Il suo prodigarsi per i suoi fedeli e non solo era ben noto in Siria.

Ha idea di chi ci sia dietro a questo rapimento?
No, non ho idea, ma in Siria non vengono rapiti solo i preti, i cristiani siriani rischiano la vita ogni giorno, siamo tutti in pericolo allo stesso modo. E' una situazione di pericolo, la nostra, che vive tutto il popolo.

Dopo la caduta di Palmira la situazione è ancora più difficile. La gente fugge di casa?
Sì, tanta gente fugge. Tutto il nord, tutta la zona di Aleppo è nelle mani dell'Isis e tutti sappiamo cosa fa questa gente quando conquista una città, uccide e fa violenze terribili. Quando si avvicinano a un villaggio è logico che la gente fugga, ha paura di essere uccisa. 

Adesso si sono avvicinati ulteriormente a Damasco. Come vivete questa situazione?
Con tanta paura. Ci sono sempre più missili che arrivano sulla città, armi sempre più potenti, i miliziani dispongono, è evidente, di armi nuove e sempre più distruttive. 

Il rapimento di padre Jacques che si era rifiutato di lasciare la sua comunità, riporta in primo piano la testimonianza di voi religiosi in Siria.
Non è nulla, è il minimo che possiamo fare. Quella che voi chiamate testimonianza da parte di noi religiosi in Siria, è solo il minimo che possiamo fare, è un obbligo con la nostra coscienza di religiosi, con l'impegno che abbiamo preso. Come cristiani prima che come religiosi, noi rimarremo qui, con la nostra gente. 

Vi sentite abbandonati dall'occidente?
Sappiamo che c'è tanta gente che ci accompagna, con la preghiera e l'aiuto economico, tante persone preoccupate per noi, ma da voi in occidente c'è anche tanta disinformazione, tanta manipolazione delle notizie.

In che senso?
Chi ha il potere in occidente manipola l'informazione e non dice la realtà di quello che succede qui. 

Cosa vorreste che si dicesse?
Semplicemente la verità: che i governi occidentali continuano ad appoggiare e aiutare la gente sbagliata.

Intende che l'occidente avrebbe dovuto appoggiare Assad?
Esattamente, con lui la situazione non era certo questa, la libertà religiosa era rispettata. I governanti occidentali dovrebbero togliere le sanzioni contro di lui, ad esempio.

Come vivono i cristiani di Damasco questa situazione?
Non è uguale per tutti, non tutti sanno vivere queste prove che sono molto forti. Il centro giovanile di cui mi occupo ospita circa 650 ragazzi e non c'è uno di loro che non abbia perso almeno un parente o un vicino di casa. Tutti sono toccati dalla guerra e c'è chi vive crisi di fede. Ma in generale questa situazione ci ha spinti a essere più autentici, a cogliere maggiormente l'essenziale, che vuol dire Cristo. Tanta gente soffre duramente, ma la comunità cristiana adesso ha una fede più forte, il sentimento che prevale è la testimonianza di fede del popolo che è molto forte. 

Cosa vorrebbe dire ai cristiani d'occidente?
Io ringrazio di cuore tutti, perché so che tanta gente con la preghiera e gli aiuti che ci possono inviare sono con noi. Ma bisognerà che questa testimonianza, anche se so che è molto difficile, questo sentimento popolare arrivi a chi ha il potere.
 I vostri governanti appoggiano la parte sbagliata, continuano a vendere armi o a comprare il petrolio di contrabbando perché più economico. Qualcuno in occidente lo compra e questi sono soldi che servono per uccidere i cristiani di qui. Se il vostro popolo facesse la voce più forte per noi sarebbe una grande cosa.



Antoine Audo SJ, Vescovo caldeo di Aleppo: 

a orchestrare l’espulsione dei cristiani dal Medio Oriente sono i Paesi della regione da sempre allineati con l’Occidente


VATICAN INSIDER, 
Intervista di gianni valente

«Forse rimarremo in pochi. Ma rimarremo. Anche se ci imporranno di pagare la Jizya, la tassa di sottomissione». È vescovo nella città martire di Aleppo, il gesuita Antoine Audo. E vescovo della Chiesa caldea, la comunità cattolica orientale più decimata dall'emorragia di fedeli innescata dalle convulsioni mediorientali degli ultimi decenni.


Lei ha detto che nei conflitti in Medio Oriente c'è chi usa anche le sofferenze dei cristiani per nascondere le dinamiche reali delle guerre.
L'allarme ricorrente sui cristiani perseguitati può essere letto da almeno due punti di vista.
In certi ambienti c'è una propaganda intensa che punta a aumentare la paura indistinta dell'Occidente nei confronti dell'islam, per suscitare la spinta emotiva popolare e così giustificare un maggior controllo sugli ambienti musulmani, soprattutto in Europa.
Dall'altro, ci sono Paesi della regione che con il loro islam wahhabita e l'ansia di rivalse storiche verso la cristianità non riescono a sopportare nemmeno l'idea di una presenza dei cristiani in Medio Oriente. Queste due logiche, per paradosso, si sostengono l'una con l'altra, e convergono fatalmente nello spingere i cristiani fuori da tutta la regione. In Siria non era così. E anche adesso è falso presentare il conflitto siriano come una guerra tra cristiani e musulmani. Ma è questo il messaggio che vogliono far passare, perché fa comodo a tutti.

Il tema della persecuzione dei cristiani viene strumentalizzato nelle strategie geopolitiche?
I Paesi che ho citato sono gli unici che si muovono nella prospettiva di “ripulire” il Medio Oriente dai cristiani autoctoni. Il wahhabismo poi collega il cristianesimo alla modernità, all'eguaglianza dei diritti e al principio di cittadinanza. Tutte cose che loro rifiutano.
Eppure proprio quei Paesi sono gli alleati storici dell'Occidente nella regione. E i circoli occidentali che fanno propaganda e mobilitazione permanente sul tema della persecuzione dei cristiani si accordano splendidamente con la loro strategia. E intanto usano il tema della persecuzione dei cristiani per spingere le loro opinioni pubbliche a giustificare i loro nuovi interventi armati nella regione e aumentare la paura verso gli islamici.
Dicono che le guerre servono per difendere i cristiani. Così cercano di motivare la loro presenza nella regione. Una cosa che non era successa ai tempi delle guerre nel Golfo, quando Papa Wojtyla non aveva dato nessuna sponda a chi voleva presentare gli interventi a guida Usa come nuove Crociate.

Però anche capi delle Chiese cristiane d'Oriente hanno applicato alle sofferenze attuali dei cristiani la definizione di “genocidio”.
Certe affermazioni vanno messe nel contesto del Centenario del Genocidio degli armeni e del Genocidio assiro. In molti siamo ancora segnati da quelle vicende. Anche il mio bisnonno è morto in Turchia in quei massacri, e il resto della famiglia si salvò trovando rifugio a Aleppo. Ci viene spontaneo parlare di Genocidio, anche esagerando. Ma un modo per dire che abbiamo paura. Temiamo che possa riaccadere quello che abbiamo già visto accadere.

Servono a qualcosa le mobilitazioni, o le richieste di interventi internazionali?
Per quattro anni ho ripetuto instancabilmente che l'unica via d'uscita era la soluzione politica del conflitto, che potesse aprire la via alla riconciliazione. Ma ora mi sembra sempre più chiaro che c’è una agenda per distruggere il Paese, spezzettarlo su base settaria senza mettere in conto la permanenza dei cristiani, che devono solo andare via. Questo è il messaggio che ci arriva adesso.

Domenica 24 maggio, una bomba ha colpito l'Arcivescovado siro-ortodosso di Aleppo, danneggiando la preziosa biblioteca del Vescovo Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, rapito il 22 aprile 2013 (foto Jamil Diarbakerli)

Stavolta, come ne uscirete?
Come Chiesa faremo di tutto per rimanere. Anche se dovessimo vivere sotto il potere dei jihadisti e pagare la Jizya, la tassa di sottomissione. Quelli che vogliono partire, partiranno. Ma un piccolo gruppo resterà. I vecchi, i poveri, i sacerdoti, i religiosi. Continueremo in ogni modo a confessare la nostra fede nel nostro Paese, nella condizione data. Anche se si consolidasse il regime del Califfato. Rimarremo lì, e vedremo cosa succede. Possiamo provare a trovare una soluzione, un modo per andare avanti, come abbiamo già fatto nella storia. Non è la prima volta. Questo è il mistero della Chiesa, che nel mondo rimane inerme. E la sua forza non consiste mai negli interventi e nei sostegni esterni. 

Ci sono organizzazioni che aiutano i cristiani a andar via. E il Patriarca caldeo è da tempo in conflitto con alcuni preti che sono emigrati in America senza il consenso dei superiori, dicendo che erano minacciati di morte certa.
Io rispetto le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per i sacerdoti è diverso. Chi ha delle responsabilità nella Chiesa e va via, lo fa perché sceglie la soluzione più comoda. Se poi si giustifica presentandosi come vittima della persecuzione, questo è anche oltraggioso nei confronti dei veri perseguitati.

sabato 25 aprile 2015

«Davvero, non immaginate quanto bene fate quando fate il bene» Intervista a padre Alejandro, salesiano venezuelano a Damasco

«Noi siamo una famiglia. 

Siamo quel quasi nulla che fa la differenza»



TEMPI, 24 Aprile 24 2015
di Rodolfo Casadei

Padre Alejandro ha parlato a Concorezzo (Mb), quinto appuntamento della sua ultima giornata italiana, e oggi riparte per Damasco, via Libano. Questo salesiano venezuelano, il cui nome completo è Alejandro José Leon Mendoza, è residente in Siria dall’1 luglio 2011. Da tempo è direttore del Centro giovanile salesiano nel quartiere di Mazraa. Negli anni precedenti trascorreva in Siria i periodi estivi. Il suo trasferimento permanente è cominciato quando la guerra civile stava mettendo radici. 

Padre Alejandro, noi ci siamo visti quattordici mesi fa a Damasco. Com’è cambiato lo stato della sicurezza? È migliorata o peggiorata?
Direi che è peggiorata: gli ordigni sparati dai mortai sono diventati più potenti, arrivano più lontano. Nella nostra zona, una delle più riparate, ne cadevano 2-3 all’anno. Ne sono arrivati fra i 15 e i 20 nei primi quattro mesi di quest’anno. Nei quartieri a forte presenza cristiana come Baab el Touma e Jaramana la qualità della sicurezza ha continuato a degradarsi. Abbiamo vissuto un bel periodo fra settembre e dicembre, le ostilità si erano affievolite. Con l’anno nuovo sono riprese intensamente.


In un contesto del genere, cosa vuol dire essere presente come salesiano? Tu sei stato assegnato alla Siria proprio quando la ribellione si stava trasformando in lotta armata, e hai vissuto lì tutto questo periodo.
Diciamo che è diventata una “questione personale”. Noi salesiani insistiamo molto sul concetto che la realtà umana che si crea nei nostri centri giovanili è una famiglia. Che siamo una famiglia. Come potrei andarmene, o chiedere di andarmene, dopo aver predicato per tanto tempo in tutti i modi che siamo una famiglia? Come potrei lasciare le persone alle quali ho detto “siamo un’unica famiglia”? Non potrei più dormire la notte. E poi mi sono reso conto di un’altra cosa. Noi siamo piccoli, siamo quasi un nulla. Ma siamo quel quasi nulla che fa la differenza. Quando sono arrivato io, al centro giovanile c’erano 250 persone, in maggioranza bambini. Poco dopo c’è stato il crollo, per la paura dei bombardamenti non veniva quasi più nessuno, in una settimana venivano lì 30 ragazzini. Adesso sono 650 alla settimana, e in maggioranza sono giovani delle scuole medie superiori e universitari. Sono cristiani di tutti i riti, cattolici e ortodossi. Diciamo la Messa insieme, tutti si accostano all’Eucarestia.


Si parla molto dei profughi siriani all’estero, tre milioni e passa. Ma più di 20 milioni di siriani continuano a vivere all’interno del loro paese, sei milioni come sfollati. Come fanno a resistere?
Voglio essere onesto: quelli che sono rimasti dentro al paese è perché non hanno il modo per andarsene. Se potessero, i siriani se ne andrebbero tutti per fuggire la guerra. Ma una volta accettata l’idea che per loro non ci sono le condizioni per partire, lottano per vivere in un modo che abbia senso, lottano per una vita che abbia dignità. E allora noi religiosi ci impegniamo con loro a educare, a preparare una generazione di ricostruttori. Ci stiamo preparando alla ricostruzione. Le Chiese chiedono ai cristiani di restare, di non andarsene, ma onestamente io non me la sento di insistere coi fedeli con cui sono in rapporto: per noi sacerdoti è relativamente facile decidere di restare, ma per un padre e una madre di famiglia che sono responsabili della vita dei loro figli, la scelta è più difficile. Studiare seriamente, formarsi, nella Siria di oggi è molto difficile. Per questo io sono comprensivo.


Le parole riconciliazione e perdono hanno uno spessore nella situazione attuale? Oppure sono travolte dagli eventi?
Siamo maturati molto come comunità cristiana su questi temi, perdono e riconciliazione. La vita è maestra, se ci mettiamo in ascolto di quello che ci dice. Con umiltà abbiamo percorso la strada della maturazione. Fra i musulmani il cammino è più difficile, perché si sono polarizzate le differenze fra sunniti, sciiti e alawiti. Ma soprattutto perché nella cultura tradizionale araba i morti vanno onorati; oggi in Siria praticamente tutte le famiglie hanno perduto qualcuno, e il modo più comune di rendere onore ai morti assassinati è di vendicarli. Questo rende più difficile l’uscita dal ciclo della violenza. E rende più necessaria la presenza dei cristiani: potrebbero avere un ruolo importante nella ricostruzione del paese. I cristiani in Siria sono come il ponte che unisce le due sponde del fiume che divide una grande città. Il ponte è piccolo, ma senza di esso le due metà della grande città resterebbero separate. Si dice che ormai i cristiani sono appena il 4 per cento di tutta la popolazione. Ma hanno un compito di grande responsabilità.



Cosa hai detto nei tuoi incontri in giro per l’Italia? 
Ho descritto la vita quotidiana e i suoi problemi, specialmente ai più giovani, e ho raccontato storie di persone, testimonianze. Giovani che sono diventati capifamiglia perché il padre è morto per la guerra, che hanno dovuto organizzare la fuga della famiglia. Storie che fanno capire la natura dei cristiani siriani. Un giovane del nostro oratorio per un certo tempo è rimasto sequestrato, rapito da un gruppo di estremisti islamici. La famiglia non aveva soldi per pagare il riscatto, e la sua situazione si faceva di giorno in giorno più difficile. Un giorno i rapitori lo hanno lasciato da solo con una guardia armata che doveva controllarlo. A un certo punto il guardiano si è tolto dalla spalla il fucile, perché gli causava dolore. Allora il rapito, che prende parte alle nostre attività sportive, gli ha detto: «Posso farti io un massaggio, il dolore ti passerà. So fare i massaggi perché assisto una squadra di calcio». Il sequestratore è rimasto stupito: «Noi stiamo discutendo se ammazzarti o lasciarti andare libero, perché la tua famiglia non riesce a pagare, e tu ti offri per massaggiarmi? Perché fai questo?». E il nostro giovane ha risposto: «Perché sono cristiano, e noi cristiani facciamo così!». Alla fine lo hanno liberato senza che la famiglia avesse pagato nulla. Un’assoluta rarità!



I cristiani nel mondo vi stanno aiutando? Gli italiani vi stanno aiutando?
Sì, e da questi aiuti nascono conseguenze virtuose che voi nemmeno immaginate. Quest’inverno degli amici di Lecco ci hanno fatto avere delle giacche pesanti, molto utili per l’inverno, soprattutto a causa della scarsità di gasolio per il riscaldamento nel periodo invernale. Una parte di questa spedizione è stata finanziata vendendo oggetti che erano stati prodotti da bambini delle scuole elementari. Quando i nostri universitari lo hanno saputo, sono rimasti profondamente colpiti. Mi hanno detto: «Abbiamo capito che nessuno è troppo piccolo e impotente per fare il bene». Come gesto di ringraziamento, hanno deciso di dedicare una parte del loro tempo ad attività di animazione e di gioco rivolte ai bambini musulmani dei centri di raccolta per gli sfollati in città. Davvero, non immaginate quanto bene fate quando fate il bene».