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venerdì 4 ottobre 2013

"Con San Francesco ricominciamo"

Santuario di San Paolo "sulla via di Damasco"

I religiosi della Custodia di Terra Santa in Siria hanno scelto – non a caso - la data di nascita di san Francesco per ricominciare l’attività educativa

Da Vatican Insider , 3 ottobre 2013

di  Andrea Avveduto

“Il 4 ottobre iniziamo finalmente il catechismo con i bambini. Sono quasi 200 gli iscritti”. Quelle che potrebbero essere le parole di un parroco milanese sono invece di un frate francescano di Damasco, una delle città logorate dalla guerra civile. I religiosi della Custodia di Terra Santa in Siria hanno scelto – non a caso - la data di nascita di san Francesco per ricominciare l’attività educativa con i bambini.


Una festa che dentro a tante difficoltà riesce ancora a mettere la gioia nel cuore. In Siria, come in tutta la Terra Santa, la devozione per il poverello d’Assisi risale a quasi 800 anni fa.

Quando nel 1219, dopo la quarta – e disastrosa – crociata, san Francesco arrivò in Terra Santa,  e ottenne di parlare con il sultano Malek al-Kamel. E proprio lo stile dell’incontro, del dialogo e dell’apertura all’altro è parte fondamentale del carisma di chi ha raccolto l’eredità di Francesco e la vive quotidianamente in Siria.

La Custodia è presente ancora oggi, al servizio di tutti – cristiani e musulmani - tra le grandi difficoltà. “Non possiamo più andare a trovare i confratelli di Aleppo raccontano - ed è passato almeno un anno dall’ultima volta che ci siamo sentiti per telefono.”
Da Damasco le notizie del padre guardiano mostrano un quadro triste della realtà quotidiana. Anche se, confida, “la situazione è migliore rispetto ad altre città”. I suoi confratelli invece, se si esclude quelli di Lattakieh dove ancora si vive una situazione di “normalità”, vivono in condizioni ben peggiori”.

Il Nord del paese è impossibile da raggiungere, è tutto in mano a i ribelli”. Sono le zone più colpite dalla violenza, e dove i francescani ospitano il maggior numero di rifugiati. “Ma il costo della vita è inevitabilmente aumentato, e dar da mangiare a tutti diventa ogni giorno più difficile”.
A crescere però, è anche la fede della gente. “Le messe nei conventi sono regolari, e sempre più partecipate. Noi vogliamo che tutti rimangano Siria, e cerchiamo di stargli vicino per come possiamo”.

I frati continuano – instancabili - a pagare gli affitti delle case e a curare i malati. A volte però diventa un’impresa. “Ci hanno raccontato di una parrocchiana morta l’altro giorno per la febbre alta seguita alla frattura del femore. Non aveva medicine in casa e per diversi giorni nessuno è riuscito a trovarle. Noi ci stiamo attrezzando, e abbiamo cominciato a produrre medicine artigianali per far fronte alle emergenze”.

Ma su ciò che accadrà in Siria, e su cosa possiamo aspettarci nel prossimo periodo, taglia corto: “Senta, come faccio a sapere cosa accadrà tra qualche mese, dato che non ho certezze neanche sulle prossime settimane? La nostra certezza rimane la preghiera. Quella sì, che può fare miracoli.”

E' il  carisma francescano che  vive ancora oggi, in tutti quei frati che cercano di rispondere, con la vita, all’invito del loro fondatore: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile”.

L'APPELLO
ATS pro Terra Sancta

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-damasco-28328/

lunedì 19 agosto 2013

Il vescovo-gesuita caldeo Antoine Audo spiega perché non potrà partecipare al Meeting di Rimini.

E racconta le paure, i fatalismi e i sorprendenti segni di speranza che convivono nella città sfigurata dalla guerra





Vaticaninsider - 11/08/2013
di Gianni Valente

«Dovevo andare al Meeting di Rimini, ma non è tempo di fare viaggi». Antoine Audo, gesuita e vescovo caldeo di Aleppo, preferisce stare accanto al suo popolo sofferente e non crede sia il momento di correre rischi inutili per partecipare a conferenze sulla condizione dei cristiani in Siria. Mentre spiega a Vatican Insider i motivi del suo forfait, Audo descrive la condizione attuale della città martire che era tra le più fiorenti del mondo arabo, e ora ha interi quartieri ridotti in macerie.


Da quando era iniziata la guerra, Lei era uscito e rientrato parecchie volte dalla Siria. E ora?

Ora è molto più pericoloso uscire da Aleppo. Devo essere prudente. E in ogni caso non è il momento di lasciare la mia gente. La tensione aumenta, e la presenza dei vescovi qui adesso è più importante per le nostre comunità, anche a livello psicologico. 
Si sente minacciato?
Tutti ripetono a me e agli altri vescovi di muoversi con discrezione, di non indossare le vesti episcopali quando usciamo per non essere rapiti anche noi come è successo al vescovo siro-ortodosso Yohanna Ibrahim e a quello greco- ortodosso Boulos al-Yazigi.
Che ne è stato di loro?
Girano tante voci. Le ultime, attribuite dai giornali a un politico degli Usa, collegavano il rapimento a un “complotto” con implicazioni ecclesiastiche per costringere il Patriarcato siro ortodosso a lasciare Damasco e a trasferirsi in Turchia. Ma non sono cose serie. Sono solo speculazioni interessate.
È circolata la notizia della sparizione di padre Dall’Oglio?
Ne parlano tutti. Tutti si chiedono quale fosse lo scopo del suo rientro in Siria. Il conflitto, il caos e la lotta tra le varie fazioni rende tutto ambiguo e problematico da spiegare.
Anche a Aleppo la situazione è confusa?
Qui cresce da mesi l’incertezza e la paura. Tutti si fanno in continuazione la stessa domanda: che ne sarà di noi? E l’inquietudine è particolarmente sentita nei quartieri cristiani. Secondo me, Aleppo continua a vivere la situazione peggiore, almeno dal punto di vista psicologico.
Per quale motivo?
Gli abitanti delle altre zone, compresa Damasco, hanno delle vie di fuga, se i loro quartieri vengono travolti dal conflitto. Da Damasco, da Homs, da Lattakia e dalla costa possono fuggire verso il Libano, la valle dei cristiani e Beirut. Aleppo invece è chiusa nella morsa delle forze in guerra. La Turchia lascia passare  le armi e i gruppi che entrano per combattere il regime di Assad, e il primo obiettivo rimane Aleppo. Mentre dicono che nel nord-est si consolida sempre di più il controllo dei curdi.
Dalle immagini satellitari diffuse da Amnesty si vedono quartieri di Aleppo ridotti in macerie.
Almeno in mezzo milione hanno dovuto lasciare le loro case. Ci sono zone completamente abbandonate. L’80 per cento della popolazione non lavora da mesi e mesi. Tanti non hanno più soldi nemmeno per mangiare.  Si respira dovunque una povertà disperata, in una città che una volta era fiorente e dinamica.
Quale stato d’animo registra tra i suoi fedeli?
In molti cresce il fatalismo: qualsiasi cosa accadrà - dicono - sarà volontà di Dio. Sono i discorsi che si fanno per tirare avanti. Altri provano a reagire, e la reazione più immediata e realista è la fuga, che è già iniziata da tempo. Chi ha ancora soldi e mezzi fugge verso il Libano, i Paesi del Golfo, o l’Europa. I poveri rimangono tutti qui.

O la fuga, o la rassegnazione.  Non c’e nient’altro?
I giovani, loro sono incredibili. Oggi quelli dei gruppi Scout hanno rimesso a posto le sale e gli impianti sportivi che gestiscono per ricominciare le loro attività. Vogliono uscire fuori dalla paura e dal senso di rovina che sembra inghiottire tutto.

 Il 28 luglio, mentre Papa Francesco era a Copacabana, più di mille giovani hanno partecipato a una giornata di preghiera e convivenza in comunione di spirito coi milioni di loro coetanei radunati dalla Gmg di Rio. Io e altri tre vescovi della città abbiamo partecipato a diversi momenti di quella giornata. E il prossimo fine settimana, dopo l’Assunta, circa 200 giovani organizzano un festival sulla speranza. Nella condizione in cui vivono, i nostri ragazzi sono molto colpiti e confortati quando sentono Papa Francesco che li invita a non farsi rubare la speranza.


E Lei?
Come vescovo e come gesuita mi sembra di cogliere dettagli importanti del suo stile, del suo modo di vivere la sua relazione con Cristo. Alla rinuncia di Benedetto XVI mi sono chiesto in che modo la Chiesa sarebbe mai potuta ripartire, dopo che si metteva da parte un teologo così grande e sensibile. Papa Francesco è stata la risposta inimmaginabile venuta dallo Spirito Santo. Come vescovo sento che è una ripartenza, un nuovo inizio.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-audo-meeting-rimini-27102/


ALEPPO: Il dolore della comunità dei Fratelli Maristi e di tutta Aleppo per l'assassinio del dottor Amine Antaki



Le strade che conducono alla città  di Aleppo sono sempre sotto attacco da parte di gruppi terroristici. Sabato 10 agosto. un autobus civile, che trasportava civili provenienti dal Libano ad Aleppo è stato attaccato da un gruppo terroristico della cosiddetta "opposizione armata" in Siria. Il Dr. Amine Antaki, uno dei passeggeri degli autobus, è stato ucciso durante l'attentato, come attestano i testimoni.

I terroristi hanno sparato contro il bus sulla strada Khanaser ad Aleppo per fermarlo. Il Dr. Antaki che sedeva dietro al conducente, è stato ucciso da un colpo in testa durante l'assalto. I terroristi responsabili dell'attacco sono membri di un gruppo estremista jihadista. Sua moglie, seduta accanto a lui,  è sopravvissuta all'aggressione.

 Il Dr. Amine Antaki, nato nel 1944 in Siria, è stato un ginecologo molto conosciuto in Aleppo. Egli è stato considerato come uno dei migliori medici in Siria. Egli è stato anche coinvolto in molte attività sociali.
Viene ricordata da tutti la sua bontà, la timida modestia e la grande generosità con cui si è speso senza riserve nel dispensare la propria competenza di ginecologo famoso ma semplice.

"Amine era un vero Marista per l'educazione, la sua spiritualità e la sua testimonianza".
Della sua collaborazione all'opera di solidarietà dei Fratelli Maristi abbiamo raccontato qui: 
http://oraprosiria.blogspot.it/2013/07/lettera-da-aleppo-notizie-dai-maristi.html

mercoledì 6 marzo 2013

Il Patriarca maronita Raï : il Conclave visto dal Medio Oriente

Il Collegio cardinalizio non può ignorare le sofferenze delle comunità cristiane mediorientali. 



È stato uno degli ultimi a sbarcare a Roma. Ma è subito entrato in partita. Il cardinale Bechara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, ha già distribuito ai porporati in pre-Conclave un dossier informativo sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente: «La Chiesa universale, e anche il prossimo Papa, non dovranno mai dimenticare che il cristianesimo ha la sua origine in Medio Oriente. E dovranno tener ben presente quello che sta succedendo alle comunità cristiane mediorientali. È una priorità che non può essere trascurata» 





da Vatican Insider . 6 marzo 2013
di Gianni Valente

Beatitudine, come capo di una Chiesa radicata in Medio Oriente, quali attese particolari registra tra i cristiani di quella regione rispetto al Conclave?
Forse non tutti hanno in mente quello che è accaduto negli ultimi anni. Dall’Irak del dopo-Saddam sono fuggiti un milione e mezzo di cristiani. Da Aleppo ne sono andati via almeno il 60 per cento. Non c’è più un cristiano a Homs. In Egitto la Chiesa copta è ancora forte. Ma con le nuove leggi ispirate alla Sharia tutto si farà più difficile. E poi ci sono i problemi in Terra Santa…
I cardinali, in Conclave, devono tener conto anche di questo. Se si parla solo dei problemi interni della Chiesa c’è il rischio di “avvitarsi”. Per questo ho distribuito a tutti un dossier sulla condizione attuale dei cristiani in Medio Oriente. I cristiani sono lì da duemila anni. Hanno contribuito a dar forma alla civiltà e alla cultura locale. Hanno trasmesso anche all’Islam il senso della moderazione. L’Islam autentico è quello moderato. Non quello dei radicalisti fondamentalisti foraggiati con armi e soldi da Paesi orientali e occidentali, per interessi politici ed economici.

Come è stata presa in Libano la rinuncia di Benedetto XVI?
Tutti l’hanno accolta come un atto di fede, forte, umile e di abnegazione. Una “Kenosis”. I musulmani sono rimasti pieni di ammirazione. Alcuni di loro si sono chiesti: ma cosa è mai il cristianesimo? Colui che nella Chiesa sedeva sul trono più alto, lascia volontariamente quella posizione! È stato visto come un esempio anche per tutti quelli che hanno incarichi rilevanti in ambito secolare: ha testimoniato con quale coscienza retta va assunto ogni genere di responsabilità.

Lei, prima di venire a Roma per il Conclave, è stato a Mosca. Quali attese vi ha trovato?
Sono andato su invito di Kirill, il Patriarca di Mosca. Abbiamo parlato per ore dei cristiani in Medio Oriente e degli spazi di collaborazione a livello culturale, religioso e sociale; come della promozione dell’unità tra le Chiese cattoliche e ortodosse in Medio Oriente, per il bene della regione e la testimonianza cristiana tra i musulmani. Ho ammirato la rifioritura della Chiesa ortodossa russa: hanno eretto nel mondo 184 diocesi, il Patriarca in pochi anni ha ordinato 60 vescovi. Poi ho incontrato anche il presidente della Duma Sergej Naryshkin e i suoi consiglieri: sul conflitto siriano ho elogiato la linea politica russa, che è contro la guerra e preme per far aprire negoziati tra il regime e l’opposizione.
 È bene che tutti lo sappiano, anche i cardinali: quello che oggi sta succedendo in Medio Oriente non ha niente a che vedere con l’avvento della democrazia. Gli interessi politici di forze esterne puntano a destabilizzare l’intera area fomentando i conflitti inter-confessionali tra musulmani. E i cristiani, quando c’è il caos, sono spesso vittime innocenti.

Lei è uno dei quattro capi di Chiese cattoliche d’Oriente che entreranno in Conclave. Quale contributo porterete? E uno di voi potrebbe essere eletto Papa, o ci sono ostacoli di carattere ecclesiologico?
Noi con la nostra presenza testimoniamo che la diversità è una ricchezza nella Chiesa. Uno di noi può diventare Papa? Il Papato è una vocazione divina. Il Signore sceglie la persona che Lui vuole. In quanto ai cardinali essi debbono unirsi nella preghiera e nella concertazione per identificare col suffragio la persona voluta da Dio.

Nell’elezione del Papa c’è un modo legittimo e pastoralmente opportuno di tener conto dei fattori geo-politici?
Di solito ci si augura che il Papa sia uno delle proprie parti, che conosca e sappia affrontare i problemi e le urgenze pastorali che si vivono nella propria area. Ma non possiamo avere un Papa per ogni Paese. L’importante è che il lavoro nelle congregazioni generali fornisca un quadro veritiero della condizione della Chiesa in tutte le aree del mondo. In modo che il nuovo Papa abbia conoscenza delle nuove sfide e attese e sia aiutato a esercitare un ministero che per sua natura è universale.

Ma i cristiani del Medio Oriente come vedrebbero un Papa statunitense?
Lo vedrebbero come il Papa, e basta. In Medio Oriente i cristiani e anche i musulmani hanno una venerazione verso la figura del Papa, chiunque egli sia. Critiche alla sua persona semplicemente non esistono. Il Papa è il Papa e non importa per loro che sia americano, spagnolo, italiano o altro.

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/conclave-22923/



Il Patriarca maronita di Antiochia e di tutto l'Oriente, Béchara Boutros Raї:  i diritti dei cristiani in Medio Oriente e la pace in Siria 


R.- Con Kirill abbiamo parlato del significato della presenza dei cristiani in Medio Oriente, che si trovano in questi Paesi dal tempo di Gesù, 600 anni prima dell’islam! I cristiani non sono stranieri, hanno dato l’impronta del Vangelo, l’impronta della cultura cristiana, alle culture locali e, infatti, chi viene in Medio Oriente trova gli ambienti musulmani differenti da altri ambienti perché la cultura cristiana ha permeato la vita sociale, culturale, politica ed economica di queste regioni e poi anche la rinascita culturale e sociale in Medio Oriente è avvenuta grazie ai cristiani.

D. – Quindi, cosa avete detto durante questi incontri?

R. - La prima cosa da dire è che i cristiani sono cittadini che hanno tutti i loro diritti e quindi rappresentano una grande missione per il mondo, perché i cristiani fanno conoscere all’islam la realtà del cristianesimo, un cristianesimo aperto, che rispetta la persona umana, i diritti dell’uomo, le libertà. Vivendo con i musulmani, inviamo questo messaggio del cristianesimo. Dall’esperienza di convivialità noi faremo conoscere l’Occidente alla realtà dell’islam e i musulmani faranno conoscere ai musulmani la realtà del cristianesimo. Quindi la presenza cristiano-musulmana è necessaria per il mondo. 

D. - Alcuni parlano di conflitto di religione, conflitto di culture e di civiltà …
R. – Non viviamo un conflitto di questo tipo. Sì, ci sono problemi politici, problemi economici, però non esiste un conflitto tra le culture, anzi viviamo come componenti complementari. Purtroppo c’è una certa politica che fomenta il radicalismo, il fondamentalismo. Stati dell’Oriente e dell’Occidente sostengono gruppi integralisti e radicali con armi, soldi e sostegno politico. E’ questo che crea problemi in Medio Oriente. Quindi noi vogliamo insistere per dire al mondo che l’islam è moderato nella sua maggioranza, non è fondamentalista, non è integralista.

 
D. Cosa auspica?
R. – Bisogna che la pace nel Medio Oriente possa regnare perché musulmani e cristiani possano dare testimonianza questa al mondo. Noi non vogliamo chiedere protezione ma pace e stabilità, perché possiamo continuare a dire questo messaggio all’umanità: cristiani e musulmani vivono in pace nella terra dove Gesù si è incarnato, dove il Vangelo è partito.

Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/articolo.asp?c=669786
del sito Radio Vaticana

lunedì 5 novembre 2012

“Preghiere e aiuti concreti per evitare la distruzione della Siria”

“La Chiesa e il monastero di Santa Maria, sulle rive del fiume Eufrate, sono state distrutte da un’esplosione sabato 27 ottobre. E’ un evento che ci ha sconvolto e per questo chiediamo le vostre preghiere e il vostro aiuto per la Siria”

Agenzia Fides 5/11/2012

E' quanto scrive, in un accorato messaggio inviato all’Agenzia Fides, S. Ecc. Mons. Eustathius Matta Roham, Arcivescovo metropolita Siro-ortodosso dell’Arcidiocesi di “Jazirah ed Eufrate”, nella Siria Orientale, dopo l’attentato all’unica chiesa siro-ortodossa della cittadina di Deir Ezzor (vedi Fides 27/10/2012). L’Arcivescovo racconta a Fides: “La comunità cristiana di Deir Ezzor era già fuggita, nella quasi totalità, la scorsa estate, per i pesanti combattimenti in città. Molti cristiani sfollati si sono rifugiati ad Hassake, dove c’è un centro della nostra Arcidiocesi. La comunità cristiana aveva lavorato instancabilmente, e con grandi sacrifici, per dieci anni, dal 1994 al 2004, per costruire la chiesa e la scuola cristiana di ‘Al-wahda’. Dei criminali hanno distrutto questa splendida opera in meno di un minuto. Ci chiediamo: sono forse questi i frutti della Primavera Araba?”. Il messaggio giunto a Fides si conclude con un invito a tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà: l’Arcivescovo chiede “preghiere e azioni concrete per fermare l’inesorabile distruzione della creazione di Dio in Siria”.
 http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40235&lan=ita


La lenta agonia delle comunità cristiane. Il grido di allarme non giunge alla diplomazia mondiale

Vatican Insider, 3/11/2012
  di Marco Tosatti
E’ uno dei tanti esempi di vite spezzate da questa guerra “senza volto”, come qualcuno l’ha definita. E che nel racconto di una piccola famiglia cristiana fuggita in Francia : Fadi, Myriam e Teresa, (sono nomi falsi), esprime tutta la sua tremenda durezza. Sono riusciti a lasciare il Paese, e aspettano che venga loro riconosciuto lo status di rifugiati. “Aide a l’Eglise en detresse” in Francia ha raccolto la loro testimonianza.
Fadi e la sua famiglia abitavano a Bab Touma (la porta di Tommaso) a Damasco; il principale quartiere cristiano della capitale. Bab Touma è un quartiere protetto dai soldati dell’esercito regolare, ma a dispetto di questo la vita è diventata un inferno. “Davanti alle panetterie c’è la coda dalle 6 del mattino - raccontano . Una volta non abbiamo avuto pane per tre giorni”.
 Una parte delle scuole sono ancora aperte, ma per timore di attentati i genitori preferiscono tenere i bambini a casa. “A Jaraman, un quartiere vicino, una mia amica è andata a iscrivere la figlia a scuola, a settembre. Un’auto bomba è esplosa vicino a loro, e le ha uccise”.
 continua a leggere su: http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-cristiani-christians-cristianos-19408/


TESTIMONIANZA da ALEPPO



Aleppo - Lunedi, 5 Novembre 2012 - Giovedi sera 1 novembre, un colpo di mortaio è caduto sulla nostra casa di famiglia in Aleppo, che è stata bruciata e distrutta.
Questo è il luogo dove sono nato e dove erano i ricordi della mia infanzia. La casa della mia adolescenza e la mia giovinezza non esiste più.
Fortunatamente, nessun membro della mia famiglia è stato ferito, erano andati via tutti da Aleppo due mesi e mezzo fa per rifugiarsi in montagna.
Nei giorni scorsi,  niente nella vita  aveva più alcun senso per me. Ma dopo un fine settimana in stato di shock e depressione, ho deciso di affrontare il male per perseguire il bene, ho scelto di affrontare l'ingiustizia per essere più attivo e più al lavoro.
In questo primo giorno della settimana, ho voluto condividere il mio dolore.
D.H.
http://www.leveilleurdeninive.com/p/special-syrie.html


Rosario contro le persecuzioni in Siria

11 Novembre Piazza della Rotonda (davanti al Pantheon) ore 16.30-17.30
Rosario per la persecuzione dei Cristiani in Siria aperto a tutti i gruppi, senza bandiere di partito, ma solo con simboli cristiani.

per contatti info@militiachristi.it
 

martedì 16 ottobre 2012

IL PAPA INVIA UNA DELEGAZIONE IN SIRIA

Lo ha annunciato il card Bertone al Sinodo. “Porteranno la nostra solidarietà e un’offerta personale dei padri sinodali alla popolazione”

da Vatican Insider , 16 ottobre

"Consolamini, consolamini popule meus..."
Benedetto XVI ha «disposto che una Delegazione si rechi nei prossimi giorni a Damasco con lo scopo di esprimere, a nome Suo e di tutti noi: la nostra fraterna solidarietà a tutta la popolazione, con un’offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che della Santa Sede». Lo ha annunciato il card. Tarcisio Bertone al Sinodo.

«Non possiamo essere semplici spettatori di una tragedia come quella che si sta consumando in Siria: alcuni interventi sentiti in aula ne sono la prova. Convinti che la soluzione della crisi non può essere che politica e pensando alle immani sofferenze della popolazione, alla sorte degli sfollati nonchè al futuro di quella nazione, alcuni di noi hanno suggerito che la nostra assemblea sinodale possa esprimere la sua solidarietà», ha detto il cardinale segretario di Stato nel suo intervento pomeridiano al Sinodo dei Vescovi.
  
«Il Santo Padre - ha proseguito - ha così disposto che una Delegazione si rechi nei prossimi giorni a Damasco con lo scopo di esprimere, a nome Suo e di tutti noi: la nostra fraterna solidarietà a tutta la popolazione, con un’offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che della Santa Sede; la nostra
vicinanza spirituale ai nostri fratelli e sorelle cristiani; i nostri incoraggiamenti a quanti sono impegnati nella ricerca di un accordo rispettoso dei diritti e dei doveri di tutti, con una particolare attenzione a quanto previsto dal diritto umanitario».
  
Della delegazione, ha annunciato Bertone, fanno parte: il cardinale Laurent Mosengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa; il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York; monsignor Fabio Suescun Mutis, ordinario militare in Colombia; monsignor Joseph Nguyen Nang, vescovo di Phat Diem; monsignor Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato; monsignor Alberto Ortega, officiale della Segreteria di Stato.
  
«Si presume - ha concluso il card. Bertone - che esperite le formalità necessarie con il nunzio apostolico e con le autorità locali, la delegazione si recherà a Damasco la settimana prossima. Nel frattempo preghiamo perchè prevalgano la ragione e la compassione».


Il Vescovo armeno-cattolico Marayati: la visita della delegazione del Sinodo “motivo di speranza per i cristiani e per tutti gli abitanti della Siria”

Aleppo (Agenzia Fides) - “La notizia che una delegazione del Sinodo dei Vescovi in corso a Roma verrà in Siria è un motivo di speranza per i cristiani e per tutti gli abitanti della Siria. Tutti ci auguriamo che la visita assuma il profilo di una vera e propria missione di pace, per chiedere la riconciliazione tra le parti che si combattono”. Così dichiara all'Agenzia Fides l'Arcivescovo di Aleppo degli armeni cattolici, Boutros Marayati. Nella città martire da mesi al centro dei bombardamenti e degli scontri tra esercito governativo e milizie degli insorti, l'eventualità di essere visitati da una delegazione di Cardinali e Vescovi provenienti da Roma rappresenta già di per sé un segno potente: “La visita annunciata fa capire quanto la Santa Sede e i Vescovi di tutto il mondo abbiano a cuore le sorti di tutti i popoli del Medio Oriente. Sarebbe bello che venissero a Aleppo. Li aspettiamo. Se vengono a trovarci saremo contenti” commenta Monsignor Marayati.

Secondo il capo della comunità armeno-cattolica di Aleppo, la missione dei Pastori cattolici in Siria può realisticamente aprire uno spiraglio inedito per la soluzione del conflitto siriano, proprio in virtù del suo profilo sui generis: ”Finora - spiega a Fides l'arcivescovo Marayati - ci sono state perdite terribili, per tutti. Morti, distruzioni, sfollati, vite in fuga. La storia insegna che a volte i nemici possono trovare un'intesa e col tempo riconciliarsi. Anche in Europa i popoli si sono fatti la guerra, e ora sono amici e collaborano in pace. Ma questo chiede un intermediario che sappia parlare anche al cuore ferito delle persone, non usando solo il linguaggio del calcolo politico. La delegazione del Sinodo può avere questa funzione diplomatica, in senso umano. Testimoniando la passione per la dignità umana condivisa da musulmani, ebrei e cristiani, possiamo provare a salvare gli uomini, le donne e i bambini che qui soffrono e aspettano salvezza, in una situazione che sembra senza via d'uscita”.
Riguardo ai motivi che alimentano il conflitto, Boutros Marayati invita a evitare letture superficiali e fuorvianti: “l Vescovi - spiega a Fides - conoscono bene la situazione. Ormai non è più solo questione di riforme democratiche richieste o osteggiate. In questa situazione disastrosa è entrato di tutto. La situazione è complicata. E tra le altre cose, quello che preoccupa è l'emergere del fanatismo religioso. Quando la religione diventa violenta e si combatte in nome di Dio, viene messa a repentaglio l’intesa con i fratelli delle altre religioni, che qui abbiamo condiviso per tanto tempo. Anche per questo attendo con speranza l'arrivo qui in Siria dei Cardinali e dei Vescovi provenienti da Roma: tutto quello che si muove in favore del popolo siriano, da qualunque parte venga, sarà benedetto dal Signore”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=40100&lan=ita

lunedì 23 aprile 2012

23 aprile: in Siria si fa memoria di San Giorgio

Indomito testimone, fortissimo difensore dei cristiani nella prova

Monastery of Saint George


  Siria, cristiani vessati dai ribelli

L’opposizione al regime impone la tassa islamica ai fedeli di Homs 

di Marco Tosatti  -  da Vatican Insider 21/04/2012

Da Homs, una delle città più travagliate dei mesi e nelle settimane passate dagli scontri fra l’esercito siriano e i ribelli giungono notizie che non fanno sperare in un futuro meno tragico per i cristiani di quel Paese, il giorno in cui la lunga dittatura del partito Baath, controllato dalla minoranza alawita del clan Assad dovesse finire. “L’esercito dell’opposizione impone la tassa islamica sui cristiani di Homs”; la notizia ha cominciato a circolare una settimana fa, e ha trovato conferma nei giorni scorsi.

continua la lettura su http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-homs-14488/



mercoledì 21 marzo 2012

Un altro pezzo di storia della Chiesa che rischia di finire cancellato per sempre.

Homs, la città simbolo del dramma siriano ha donato un papa alla Chiesa
di Giorgio Bernardelli
da Vaticaninsider 21/03/2012

Dimostranti nella città di Homs
Dimostranti nella città di Homs

Si chiamava Aniceto e fu il decimo successore di Pietro. Da quella terra arrivò anche il vescovo Nemesio, grande filosofo del IV secolo

Le immagini terribili dei corpi martoriati delle donne e dei bambini l'hanno trasformata nella città simbolo del dramma siriano. Quello che però ben pochi sanno è che Homs - la terza città più importante della Siria, dopo Damasco e Aleppo - ha una storia significativa anche dal punto di vista cristiano. Al punto da aver donato persino un Papa alla Chiesa di Roma.


Si chiamava Aniceto e fu il decimo successore di Pietro: veniva appunto da Emesa - come veniva chiamata Homs nell'antichità - e fu sulla cattedra di Pietro nel II secolo, in un periodo compreso tra il 155 e il 168. È venerato come santo e la sua festa liturgica ricorre il 17 aprile. Non è chiaro come dalla Siria fosse arrivato nell'Urbe: alcune fonti sostengono che avesse dovuto pagare con l'esilio la sua opposizione allo gnosticismo. Del resto il suo nome in greco significa «non conquistato» e il ministero di Aniceto come vescovo di Roma fu proprio contraddistinto da una ferma opposizione alle dottrine eretiche di Marcione, che aveva trovato molto diffuse. La sua guida fu quella di chi voleva ristabilire l'ordine nella dottrina, anche attraverso una particolare cura del ministero dei preti e dei diaconi. Si occupava persino del loro aspetto: il Liber Pontificalis racconta infatti che fu il Papa venuto da Homs a decretare che i sacerdoti non potessero portare i capelli lunghi.


Un altro episodio legato alla vita di Aniceto lo racconta Eusebio di Cesarea, uno dei maggiori storici del cristianesimo antico: fu durante il suo ministero sulla cattedra di Pietro che Policarpo di Smirne, grande vescovo dell'Oriente, si recò a Roma. Scopo del viaggio era discutere con Aniceto la questione della data della celebrazione della Pasqua, che già allora divideva i cristiani: Policarpo con tutto l'Oriente manteneva il 14 del mese ebraico di nisan, la data della Pasqua ebraica. Pio I, invece, il predecessore di Aniceto, aveva stabilito che la Resurrezione di Gesù fosse celebrata la prima domenica dopo il plenilunio di primavera. Neanche con un Papa siriaco si riuscì a trovare l'accordo: «Policarpo non poteva persuadere il Papa - annota Eusebio -, né il Papa persuadere Policarpo. La controversia non fu risolta, ma - precisa lo storico - le relazioni non furono interrotte». Non è chiaro se papa Aniceto sia morto davvero martire sotto l'imperatore Marco Aurelio: non si conosce nessun dettaglio sulla sua morte. Fu comunque il primo vescovo di Roma sepolto nelle catacombe di san Callisto. E lì le sue spoglie rimasero fino al 1604, quando vennero trasferite nella cappella di Palazzo Altemps, in piazza sant'Apollinare, dove tuttora riposano.


Accanto a questo Papa un'altra figura importante del cristianesimo dei primi secoli il cui nome è stato legato a quello di Homs è il vescovo Nemesio di Emesa, filosofo del IV secolo. È ricordato per il suo Peri physeos anthropou («Sulla natura dell'uomo»), il primo trattato in cui l'antropologia venne affrontata da un punto di vista cristiano; un'opera che ebbe una grande influenza sul pensiero teologico successivo, sia in Oriente sia in Occidente. Rigettando il mito platonico di un'anima separata dal corpo, Nemesio sosteneva che per comprendere davvero questo rapporto fosse necessario partire dalla Cristologia: tra anima e corpo, diceva, esiste la stessa relazione che in Cristo vede uniti nell'incarnazione il Verbo divino e la natura umana.


Al di là di questi due personaggi la vera gloria cristiana di Homs fu però legata a un altro evento prodigioso avvenuto nel V secolo: secondo un'antica tradizione, infatti, nel 452 a Emesa san Giovanni Battista apparve all'archimandrita del locale monastero indicandogli il luogo poco lontano dove era sepolta la sua testa. Nel posto dove fu rinvenuta la reliquia fu costruita la chiesa di san Giovanni Battista che per alcuni secoli fu meta di pellegrinaggi cristiani. Quando, poi, nel 637 la città fu conquistata dagli arabi metà della chiesa venne trasformata in moschea. Ma i pellegrinaggi cristiani a Emesa finirono solo nel IX secolo, quando la reliquia della testa di san Giovanni Battista fu poi trasferita a Costantinopoli.


Non significò comunque la scomparsa del cristianesimo da Homs, che qui finora era rimasto sempre una presenza significativa. Nel XX secolo - ad esempio - fu da questa città che i fedeli di rito assiro riorganizzarono la loro presenza dopo gli anni difficili della persecuzione ottomana. Lo stesso cardinale Ignace Moussa Daoud, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, è stato dal 1994 al 1998 archieparca di Homs prima di essere eletto patriarca di Antiochia dei Siri. Di qui la domanda inquietante: che cosa sopravviverà di questa grande storia dopo la tragedia che Homs sta vivendo in questi mesi? Le notizie diffuse qualche settimana fa da l'Oeuvre d'Orient - una ong francese particolarmente vicina alle Chiese d'Oriente -, parlavano di una comunità in fuga dalle violenze, provenienti non solo dall'esercito ma anche da alcune milizie fondamentaliste sunnite. Esiste, dunque, anche un dramma tutto cristiano dentro la tragedia di Homs. Con un altro pezzo di storia della Chiesa che rischia di finire cancellato per sempre.