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giovedì 21 novembre 2024

Il martirio: segno di viaggio nella fede – Simposio sui Martiri di Damasco

Nel 1219, San Francesco arrivò ad 'Acri con le Crociate che partivano dal continente europeo verso il Medio Oriente, ma arrivò in spirito d’amore, tolleranza e pace, Si incontrò con il Sultano che governava a quel tempo, cioè il Sultano Al-Kamil, il quale diede a San Francesco il permesso di visitare la Terra Santa e le sue chiese esistenti a quel tempo, e arrivò qui, a Gerusalemme, poi partì da Gerusalemme per Betlemme, e tornò a casa sua ad Assisi. Ma lasciò dietro di sé un piccolo gruppo di frati francescani, i Frati Minori, per stabilire il primo nucleo della presenza francescana in Terra Santa, quel nucleo crebbe, e il loro numero in Terra Santa si aumentò, e da qui, da Gerusalemme partirono verso altre città e anche verso altri paesi, così arrivarono anche in Siria, precisamente a Damasco. Andiamo insieme da qui, da Gerusalemme a Damasco.

Sabato 16 novembre, l’auditorium dell’Immacolata, presso il convento di San Salvatore a Gerusalemme, ha ospitato il simposio dedicato ai martiri di Damasco, canonizzati a Roma il 20 ottobre 2024. 

L’incontro, dal titolo “Il martirio. Segno di viaggio nella fede”, ha offerto l’opportunità di riflettere sul profondo significato del martirio cristiano, alla luce della testimonianza donata dai martiri francescani di Damasco.

I relatori hanno affrontato il tema del martirio da diverse prospettive. Fra Alessandro Coniglio, professore presso lo Studium Bilicum Franciscanum, ha esplorato le radici bibliche del martirio. Fra Ulisse Zarza, vicepostulatore delle cause dei santi della Custodia di Terra Santa, ha approfondito la dimensione ecclesiale del martirio, mentre Fra Narciso Klimas, direttore dell’archivio della Custodia, ha ricostruito il contesto storico che ha portato al martirio dei frati e dei laici maroniti a Damasco nel 1860. Il Custode di Terra Santa, fra Francesco Patton, nel suo contributo ha offerto una riflessione sul significato del martirio nella vita francescana, sottolineando come il dono totale di sé sia un tratto distintivo del seguace di San Francesco. Il Custode ha affermato: “Secondo San Francesco il martirio è l’orizzonte della vita cristiana. Francesco non dice che bisogna confessare di essere religiosi ma confessare di essere cristiani. Il martirio è il dono della vita per testimoniare il proprio amore nei confronti di Gesù, pertanto è l’orizzonte della nostra vita”.

I martiri di Damasco sono stati un grande esempio di fede e di amore per la vocazione francescana. Da qui nasce l’importanza di celebrare e ricordare la loro storia. 

Fr. Marwan Di’Des, membro del comitato organizzatore del simposio, ha sottolineato l’importanza di ricordare i martiri di Damasco oggi: “I martiri di Damasco sono stati martirizzati in una situazione di grande rivolta e caos durante la quale tutto il quartiere cristiano venne saccheggiato. I martiri francescani avevano la possibilità di fuggire, ma rifiutarono, preferendo rimanere accanto alla gente. Questo è stato il servizio dei francescani in Terra Santa. La nostra missione è legata a questi Luoghi e sull’esempio dei martiri di Damasco noi oggi restiamo qui.”. Il simposio nasce pertanto con l’obiettivo di far conoscere la tematica del martirio da una prospettiva cristiana. Conclude fra Marwan: “Il martirio cristiano è  l’immagine di Gesù Cristo che è il martire per eccellenza. Così anche noi cristiani dobbiamo essere fedeli a Dio ed alla nostra fede anche a costo di offrire il nostro  sangue. Non per amore della violenza, ma per amore di Gesù Cristo.

di Lucia Borgato, Custodia Terrae Sanctae

sabato 19 ottobre 2024

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (3° parte)

                                           

I TRE FRATELLI  MARONITI  MASSABKI
 

Francesco Massabki

Cristiano maronita, mercante di seta, era ben conosciuto a Damasco e stimato come uomo probo e pio.

Sposato e padre di otto figli, tutti educati secondo i valori cristiani, dava ovunque esempio di grande generosità, soprattutto verso i poveri e i bisognosi.

Era legato ai frati francescani per i quali fungeva da procuratore. Insieme ai fratelli Mooti e Raffaele si trovava presso il convento di San Paolo nell’ora del martirio.


Mooti Massabki

Viveva con la moglie e i suoi cinque figli nella medesima casa del fratello maggiore Francesco.

Frequentava quotidianamente il convento di San Paolo, sia per la preghiera che per svolgere l’attività didattica nella locale scuola dei ragazzi.

Pronto a versare il suo sangue per Cristo, come insegnava nelle lezioni di catechismo, non esitò ad offrire la sua vita in nome della fede.


Raffaele Massabki

Fratello minore di Francesco e di Mooti, celibe, prestava volentieri il suoi aiuto ai frati e ai propri familiari; era molto devoto della Madonna e si soffermava a lungo in preghiera nella chiesa del convento.

Era ancora presente tra le mura conventuali di San Paolo nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860, quando irruppero i Drusi, dai quali fu ucciso insieme ai suoi due fratelli.





Testimonianza odierna di Fadi Massabki: La santità, vocazione per tutti i cristiani


Fadi Massabki, originario di Damasco, imprenditore nel settore dell’arredamento di lusso, è considerato il discendente più prossimo ai fratelli Massabki. Si tratta dei tre laici maroniti che saranno canonizzati il 20 ottobre a Roma, insieme a otto frati francescani della Custodia di Terra Santa. Il gruppo è meglio noto come Martiri di Damasco”.

Fadi e la sua famiglia parteciperanno alla processione offertoriale, durante la Messa della canonizzazione dei “Martiri di Damasco”, il 20 ottobre a Piazza San Pietro (Roma). “I santi sono un messaggio del Signore, per ricordarci la forza della fede” dice. “La santità è un percorso per ogni cristiano. Soprattutto ai nostri giorni, abbiamo bisogno della fede per combattere il male e le tribolazioni”.


Fadi è discendente di Francesco Massabki, il più anziano dei tre fratelli martiri. Quest’ultimo era mercante di seta e padre di otto figli. Era conosciuto per le sue virtù, e grazie al suo lavoro serio e onesto, riuscì ad acquisire fortuna, rispetto e successo. Di Francesco era nota la generosità verso i poveri e verso la Chiesa, e la profonda fede, che nutriva con la preghiera e i sacramenti. Tra i nipoti di Francesco figura Louis Massabki (1874-1960), nonno di Fadi e iniziatore della “Massabki Furniture”, azienda specializzata nella lavorazione del legno e nell’arredamento di lusso. Oggi, Fadi è tra gli eredi dell’azienda di famiglia oltre che di una storia di santità. 

Quando nel 2012 gli stabilimenti e le proprietà di famiglia sono stati distrutti dalla guerra scoppiata in Siria, Fadi Massabki è emigrato a Odessa (Ucraina) e poi a Erbil (Iraq). “Sono tornato in Siria nel 2019, per ristabilire qui l’azienda di famiglia” dice. Vive tra Aleppo e Damasco, insieme a sua moglie, Vilma, interior designer. Esporta in diversi paesi del Medio Oriente e negli USA. I suoi due figli, Rhea e Jean, studiano entrambi in Francia. “La vita in Siria è accettabile, nonostante le difficoltà. Non posso lasciare la Siria; in questa ‘terra santa’ ci sono le mie radici, l’azienda di famiglia e tanto da costruire”.

Fadi ha ereditato da Francesco Massabki e dai suoi avi la passione per il lavoro e una grande fede“La mia fede si basa soprattutto sull’insegnamento di aiutare chi è nel bisogno, e nel credere che Dio è al mio fianco nei momenti di difficoltà. Questo mi dà forza per compiere buone azioni. Se seminiamo amore, raccogliamo benedizioni”. Spesso, Fadi prega davanti alle reliquie dei fratelli Massabki e sosta nella chiesa francescana dove sono stati martirizzati. “Avverto la loro santità e la loro vicinanza. I fratelli Massabki erano commercianti, erano laici che hanno dedicato la loro vita alla Chiesa: sono i miei modelli di riferimento, perché dimostrano che un laico può diventare santo attraverso le sue azioni nella vita di ogni giorno”.

https://custodia.org/it/news/fadi-massabki-la-santita-vocazione-tutti-i-cristiani

QUI I LINK AI DUE PRECEDENTI ARTICOLI CHE ILLUSTRANO LE FIGURE DEI SANTI  MARTIRI DI DAMASCO:

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (1° parte) https://oraprosiria.blogspot.com/2024/10/verso-il-20-ottobre-la-canonizzazione.html

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (2° parte) https://oraprosiria.blogspot.com/2024/10/verso-il-20-ottobre-la-canonizzazione_01067505228.html

mercoledì 16 ottobre 2024

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (2° parte)

Memoria di Sant'Ignazio di Antiochia , patrono della Siria

Il reliquiario dei Martiri di Damasco, un capolavoro di fede e arte



Engelbert Kolland: dal Tirolo alla Terra Santa: la storia di padre Engelbert (“Abuna Malak”)



Michael Kolland nacque a Ramsau il 21 settembre 1827. Narrano le fonti che fu lavorando come boscaiolo, a contatto con la natura, che ebbe l’opportunità crescere umanamente e maturare l’idea di diventare sacerdote. Nell’autunno del 1845 si decise di completare la sua formazione scolastica e riprendere gli studi interrotti,  al termine dei quali chiese e ottenne di essere accolto nel convento dei Frati Minori di Salisburgo per servire il Signore nell’Ordine di San Francesco di Assisi. Con la vestizione religiosa, il 19 agosto 1847, ricevette il nome di “Engelbert” che significa “splendente come un angelo”.

«I testimoni lo descrivono come sano, robusto, il volto ridente, i capelli biondi e gli occhi azzurri – racconta fra Ulise ZarzaVice postulatore e membro, insieme a fra Rodrigo Machado Soares e fra Narciso Klimas, del Comitato di preparazione delle celebrazioni per la canonizzazione dei Martiri  –. In convento si sentiva a casa ed era amato da tutti grazie al suo carattere affabile: ebbe una devozione particolare per la Madre di Dio».

A Bolzano si dedicò allo studio delle lingue straniere, italiano, francese, spagnolo, inglese e soprattutto arabo.  Dopo la professione solenne, il 22 novembre 1850, e l’ordinazione sacerdotale nel 1851, manifestò al Capitolo provinciale la disponibilità per diventare missionario in Terra Santa.

Accolta la sua richiesta, si imbarcò da Trieste alla volta di Giaffa: la traversata durò dal 27 marzo al 13 aprile 1855.

«Si conserva una lettera in cui racconta il suo viaggio  – continua fra Ulise Zarza – segnato da grandi sofferenze, in mare e in terra. La descrizione di quando giunse a Gerusalemme, dopo tante pene, rivela tuttavia la devozione e l’ardore che nutriva per la Terra Santa. Le sue parole sono state: “Scesi da cavallo. Il pensiero che in quella città il Signore, nostro Redentore, avesse versato il suo prezioso sangue anche per la mia salvezza, mi fece piangere ancora più forte. Alle tre del pomeriggio, nella stessa ora in cui morì Gesù Cristo, giravo a piedi per le vie di Gerusalemme. Laddove egli aveva portato la sua pesante croce, volli anch’io camminare a piedi”».

Come ogni missionario in Terra Santa, anche Fra Engelbert prestò servizio per un certo tempo presso il Santo Sepolcro. Nonostante la dura vita nel convento scriveva: “la vicinanza al monte Calvario e agli altri luoghi in cui Nostro Signore ha tanto sofferto rende tutto sopportabile”. Più tardi ricevette l’obbedienza del Custode di Terra Santa di andare a Damasco, nel convento di San Paolo. «Svolse con facilità gli incarichi che gli venivano affidati – sottolinea fra Ulise Zarza –  grazie alla conoscenza dell’arabo, che gli permise rapidamente di conquistare il cuore dei fedeli. Questi lo chiamavano “Padre Angelo” perchè il nome di Engelberto era troppo lungo: e perciò era stato abbreviato in Engel, che divenne poi Angel».

«Sarebbe dovuta essere una collocazione provvisoria – continua fra Ulise Zarza –, fino a quando ci fosse stato a disposizione un confratello spagnolo con una buona conoscenza dell’arabo.  Siccome, però, Fra Carmelo Bolta Bañuls, il parroco di Damasco, era ammalato, il giovane e dinamico Padre Engelbert assunse praticamente tutti gli incarichi pastorali. Fu sua l’iniziativa di costruire un campanile per la chiesa del convento, collocando una campana pesante circa mezzo quintale. Un gesto coraggioso, visto che il convento era situato proprio di fronte a una moschea».

Svolgeva questi incarichi quando subì il martirio.

Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1860, un commando druso di persecutori entrò nel convento.

All’accostarsi del pericolo Fra Engelbert fuggì dal convento e si nascose in una casa vicina con un maronita chiamato Metri, che invece scampò alla carneficina.

«Fu questo maronita che ci racconta gli ultimi istanti della vita di Padre Angelo – spiega fra Ulise Zarza –. Il Padre, dopo essere stato scoperto, cessò da ogni difesa e rimase tranquillo:  esortato a farsi musulmano per avere salva la vita, rispose: «Non posso, perché sono cristiano e ministro di Gesù Cristo». La sua vita si concluse a colpi di ascia, a 33 anni. E sopraggiunse così il martirio “con quella calma e quella santa libertà che il Signore concede ai difensori della sua causa”».

Il  10 ottobre 1926  Fratel Engelbert fu beatificato insieme agli altri dieci martiri del monastero di San Paolo. Il 10 luglio è giorno di commemorazione nell'arcidiocesi di Salisburgo. Nel 1986 fu elevato a secondo  patrono parrocchiale  della sua parrocchia natale Zell am Ziller.

Preghiera al Beato Engelbert Kolland “Abouna Malak” – “Padre Angelo”
Pieno dello spirito di San Francesco,
sei andato in Terra Santa.
Lì hai proclamato la fede e hai versato il tuo sangue per Cristo.
Aiutami ad avere il mio cuore pieno di amore per Cristo
affinché io possa vivere nella potenza della fede
come testimone del Vangelo nella vita di ogni giorno.
Prega il Signore per noi, affinché nella sua chiesa
si risveglino molte vocazioni, al sacerdozio e alla vita religiosa
per l'istituzione di sante famiglie e
nella ricerca dell’amore cristiano nella vita di ogni giorno.
Accendi nei credenti attraverso la tua intercessione
lo spirito missionario che ti ha ispirato,
lo zelo per l'apostolato e la disponibilità generosa
alla devozione amorosa. Amen
Imprimatur dell'Arcivescovo Ordinario di Salisburgo, dall'8 aprile 2011


Nicanor Ascanio Soria: la vocazione al martirio



Tra gli undici martiri di Damasco che saranno canonizzati il prossimo 20 ottobre a Piazza San Pietro, figura fra Nicanor Ascanio Soria: appartenente alla Diocesi di Madrid, spese la maggior parte della sua vita in Spagna. Il Signore lo chiamò al martirio a solo un anno dal suo arrivo in Terra Santa.

La desamortización

Nicanor nacque nel 1814 in un villaggio vicino Madrid, a Villarejo de Salvanés. Educato in un ambiente di fede molto conservatore, a 16 anni vestì l’abito francescano nel convento di Santa Maria de La Salceda, in Alcarria, nella Provincia religiosa dei Frati Minori Osservanti di Castiglia.

"Il suo percorso di vita conventuale fu interrotto dalla esclaustrazione imposta dalle leggi di 'desamortización' di Mendizábal nel 1835 – racconta fra Ulise Zarza, vice postulatore e membro del Comitato di preparazione delle celebrazioni per la canonizzazione dei Martiri  –, ovvero il complesso fenomeno di azioni legali contro la Chiesa, con conseguenze disastrose per gli ordini religiosi, molti dei quali vennero soppressi.  Ecco perché fra Nicanor fu ordinato sacerdote nel clero diocesano".

La vocazione al martirio

La disponibilità al martirio fu una nota costante della sua spiritualità.

Durante la sua lunga attività di parroco, fu nominato cappellano del monastero delle Monache concezioniste di Aranjuez. Qui Nicanor ebbe l’opportunità di incontrare nel 1858 la Serva di Dio Suor Maria de los Dolores y Patrocinio, favorita da doni mistici e nota per aver realizzato la fondazione di vari monasteri con un certo spirito di riforma.

Raccontano le fonti – spiega fra Ulise – che mentre un giorno celebrava la messa all'altare della Beata Vergine d'Olvido, della cui Sacra Immagine Miracolosa era devotissimo, sentì improvvisamente vivo l’impulso ad andare in Terra Santa per dare lì la sua vita. Per sapere se quella era davvero una vocazione autentica, andò a visitare la venerata madre Patrocinio: la risposta fu che 'la sua ispirazione veniva dal Cielo'".

La "conducta de los mártires"

Quando migliorarono le condizioni politiche del paese, fra Nicanor chiese al Commissario della Obra Pía di Madrid di potersi incorporare al Collegio di Priego - dove venivano accolte le vocazioni missionarie per la Terra Santa. Il 25 gennaio 1859 salpò da Valencia con il vapore Barcino, con 14 religiosi tra cui i tre confratelli Nicolás Maria Alberca, Pedro Soler e Juan Jacob Fernández, anch’essi tra i martiri di Damasco. L'imbarcazione, che fu definita “conducta de los mártires”, ovvero “condotta dei martiri”, raggiunse Giaffa il 19 febbraio.

«Pronto a tutto, anche a morire»

In Terra Santa, Fra Nicanor venne destinato al convento di Damasco per studiare l’arabo.

Pochi giorni prima di sacrificare la propria vita il Custode di Terra Santa gli notificava una nuova obbedienza: lasciare Damasco per servire con la sua opera nella parrocchia di San Salvatore a Gerusalemme. Stava per assumere il suo incarico quando in Siria cominciarono i moti contro i cristiani e scoppiò la persecuzione a Damasco.

"La sua 'disponibilità' al martirio ‒ continua fra Ulise ‒ è nota anche da una lettera indirizzata al Custode di Terra Santa, perché decidesse egli stesso per lui. La sua disposizione d’animo era infatti quella di obbedire prontamente al superiore maggiore, essendo pronto a tutto, anche a morire. La risposta del Padre Custode lo invitava ad attenersi a quanto stabilito dal suo superiore diretto, ma a tenersi pronto a partire da Damasco una volta che le condizioni lo avrebbero permesso".

Fra Nicanor si trattenne dunque a Damasco, dove trovò compimento il suo desiderio di martirio, all’età di 46 anni.  "Le fonti e i testimoni raccontano che la notte del 9 luglio 1860 ‒ racconta fra Ulise ‒  quando i persecutori entrarono nel convento gli chiesero di abbracciare la religione musulmana, e lui rispose con fermezza: 'No! Sono cristiano! Se volete potete uccidermi'. Un aguzzino gli conficcò un pugnale al collo e così diede testimonianza della sua fede cristiana".

Ciò avvenne nel corridoio superiore meridionale del convento, dove Dio gli donò la corona del martirio, insieme al suo superiore e ad altri sei religiosi francescani.


Nicolás María Alberca Torres

Sacerdote del Collegio Missionario di Priego (Cuenca), dei Minori Osservanti (1830-1860)

Nato nel 1830 ad Aguilar de la Frontera, Córdoba (Spagna).

Già religioso tra i Fratelli dell’ospedale Jesús Nazareno di Cordoba, fu accolto tra i Frati Minori nel 1856 e ordinato sacerdote nel 1858.

Chiamato alla vita missionaria, giunse in Terra Santa nel 1859 e fu destinato al convento di Damasco per l’apprendimento della lingua araba.


Pedro Nolasco Soler Méndez

Sacerdote del Collegio Missionario di Priego (Cuenca), dei Minori Osservanti (1827-1860)


Nato nel 1827 a Lorca, Murcia (Spagna).

Dopo alcune esperienze lavorative, nel 1856, a 29 anni, fu accolto tra i Frati Minori e fu ordinato sacerdote nel 1857.

L’anno successivo inoltrò richiesta per la missione della Custodia di Terra Santa, dove giunse il 20 febbraio 1859. Destinato al convento di San Paolo a Damasco, vi trascorse poco più di un anno prima di subire il martirio.



Francisco Pinazo Peñalver

Religioso professo della Provincia di San Francesco di Valencia, dei Minori Osservanti (1802-1860)

Nato nel 1802 nel villaggio di El Chopo di Alpuente, Valencia (Spagna).

Fu ammesso al noviziato dei Frati Minori nel 1831. Come fratello laico svolse l’ufficio di sagrestano fino al 1835, anno della soppressione degli ordini religiosi in Spagna. Per poter riabbracciare la vita comunitaria optò per la Custodia di Terra Santa, dove giunse nell’ottobre 1843.

Per circa 17 anni esercitò le mansioni di cuoco e di sarto in vari conventi. Nel convento di Damasco, al momento del martirio fungeva da sacrestano.



Juan Jacob Fernández

Religioso professo della Provincia di San Giacomo di Compostella, dei Minori Osservanti (1808-1860)

Nato nel 1808 nella località di Moire, Ourense (Spagna).

Nel 1831 entrò come fratello laico tra i Frati Minori.

La soppressione degli ordini religiosi, nel 1835, interruppe per alcuni anni la sua esperienza di vita conventuale. Nel 1858 chiese di essere associato alla Custodia Terra Santa. Nel 1859 prese stanza nel convento di Damasco in qualità di cuoco.


https://www.custodia.org/it/verso-il-20-ottobre-la-canonizzazione-dei-martiri-di-damasco


 ................... SEGUE .....

martedì 15 ottobre 2024

Verso il 20 ottobre: la canonizzazione dei Martiri di Damasco (1° parte)

I santi martiri di Damasco – otto frati francescani della Custodia di Terra Santa e tre laici maroniti - sono rappresentati come un’unica fraternità riunita intorno all’Eucaristia.  In basso, ripresa fedelmente da antiche fotografie ottocentesche, è riprodotta la città di Damasco, luogo del martirio e comunità su cui i santi martiri esercitano la loro speciale protezione. A destra, accanto a Ruiz, sono rappresentati san Carmelo Bolta e, in ginocchio san Pedro Soler, uno dei frati più giovani della comunità. Il primo era vicario della comunità e mostra la croce di Gerusalemme, simbolo della della Custodia di Terra Santa. A sinistra della composizione si trovano i tre santi fratelli Massabki: san Francesco mostra lo stemma del patriarcato cattolico Maronita, san Mooti tiene un rampo di palma, simbolo del martirio, e san Raffele, il più giovane dei tre, tiene le mani giunte, a ricordo del suo amore alla preghiera. A corona di queste figure, sono rappresentati gli altri cinque santi martiri francescani. A ciascuno di loro si è cercato di attribuire sembianze il più possibile vicine alla loro reale fisionomia, riferendosi ai ritratti autentici pervenuti alla postulazione, o alle immagini di culto realizzate dopo la beatificazione e consolidate nell’immaginario popolare.



Dal sito della Custodia di Terra Santa riprendiamo le notizie relative alla prossima canonizzazione dei Santi Martiri di Damasco, a cui affidiamo il presente momento drammatico per tutto il Medio Oriente e in particolare il futuro della amata Siria nell'oscuro disegno di destabilizzazione e ulteriore sofferenza per il popolo siriano  delle potenze del mondo ed infernali ...
Pubblicheremo dal sito della Custodia, che ringraziamo sentitamente, giorno per giorno alcune brevi biografie del Santi che saranno canonizzati, come occasione unica di conoscenza di un tratto di storia poco conosciuta della presenza cristiana a Damasco nel 1800, affinchè siano “un segno di speranza per tutta la Chiesa in Siria".
Il Custode di Terra Santa 
Fra Patton ha messo in evidenza la presenza congiunta, nel gruppo dei martiri, di frati minori e di fedeli laici:
“Sia un esempio di come bisogna collaborare tra i diversi riti all’interno della Chiesa cattolica e tra le diverse Chiese, per far conoscere Gesù Cristo e custodire la presenza cristiana in Siria, piccola ma estremamente significativa e importante”.

OraproSiria


I vostri nomi sono scritti nei cieli

L’Ordine dei Frati Minori e la Custodia di Terra Santa, insieme alla Chiesa maronita, si stanno preparando a un evento molto importante: il prossimo 20 ottobre verranno dichiarati santi gli undici "Martiri di Damasco", otto frati francescani e tre laici maroniti uccisi in odio alla fede a Damasco in Siria, nella notte tra il 9 e 10 luglio 1860.

Il contesto storico

L’evento martiriale si colloca nel contesto di persecuzione contro i cristiani ad opera dei Drusi sciiti, che a partire dalla primavera 1860 si allargò dal Libano alla Siria. Il 9 luglio 1860 la folla fanatica dei persecutori invase il popoloso quartiere cristiano di Damasco, che contava circa 3.800 abitazioni, e si abbandonò ad ogni sorta di violenza, dopo aver chiuso tutte le vie di fuga. Quella stessa notte, un commando di rivoltosi, animato da odio religioso, riuscì a penetrare nel convento francescano di San Paolo attraverso una porta nascosta indicata da un traditore: qui furono barbaramente trucidati otto frati minori – sette di nazionalità spagnola e uno di nazionalità austriaca – e tre cristiani laici maroniti

Da subito, fu evidente a tutti che si trattava di una morte martiriale: alle undici vittime, infatti, prima di infliggere i colpi mortali, gli aggressori chiesero di rinunziare alla fede cristiana e di abbracciare l’Islam, invito che fu decisamente rifiutato. Furono beatificati da Pio XI nel 1926.


Gli eroici testimoni della fede:


Il martirio si colloca nel contesto della persecuzione contro i cristiani ad opera dei Drusi sciiti, che dal Libano si era allargato fino alla Siria e che provocò migliaia di vittime. Nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1860, un commando druso entrò nel convento francescano nel quartiere cristiano di Bab-Touma, e massacrò otto frati - Manuel Ruiz, Carmelo Bolta, Nicanor Ascanio, Nicolás M. Alberca y Torres, Pedro Soler, Engelbert Kolland, Francisco Pinazo Peñalver y Juan Jacobo Fernández - e tre cristiani di rito maronita, i fratelli Massabki. Si trattò con chiarezza di martirio: alle undici vittime, infatti, prima di ucciderle, gli aggressori chiesero di rinunciare alla fede cristiana e abbracciare l’islam, invito che fu decisamente rifiutato.  Tra l’altro, i tre fratelli maroniti erano anche terziari francescani. Nel convento francescano di Bab-Touma, dove è avvenuto il martirio si conservano le reliquie dei beati.

Manuel Ruiz López

Sacerdote professo della Provincia dell’Immacolata Concezione, dei Minori Scalzi o Alcantarini (1804-1860)

Nato nel 1804 a San Martín de las Ollas, Burgos (Spagna), ed entrato nel 1825 tra i Frati Minori, fu ordinato sacerdote nel 1830.

L’anno successivo fu inviato in Terra Santa dove, dopo aver appreso le lingue locali, svolse un fecondo apostolato. Nel 1847 fu costretto a tornare in Europa per motivi di salute, ma ritornò in Terra Santa nel 1858. La notte dell’eccidio, appena i rivoltosi penetrarono nel convento, corse in chiesa per consumare le Specie Eucaristiche, in modo che non fossero profanate. Fu ucciso ai piedi dell’altare.




Fra Carmelo Bolta Bañuls:al servizio in Terra Santa per 29 anni

Sacerdote professo della Provincia di San Francesco di Valencia, dei Minori Osservanti (1803-1860)

 Nato nel 1803 a Real de Gandía, Valencia (Spagna).

Nel 1825 fu accolto tra i Frati Minori e nel 1829 fu ordinato sacerdote. Nel 1831 partì alla volta della Terra Santa dove risiedette nei conventi di Giaffa, Damasco ed Ein Karem, nel Santuario della Visitazione. Nel 1851 fu trasferito a Damasco con l’incarico di parroco e insegnante di lingua araba.

Era uno dei più anziani, tra quelli che trovarono la morte nel convento di San Paolo a Damasco a causa del violento attacco contro i cristiani, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860.

Fra Carmelo Bolta Bañuls aveva 58 anni: parroco per i latini, insegnava l’arabo ai giovani missionari e si trovava nel convento quando entrarono i persecutori Drusi.

Carmelo Bolta Bañuls era nato in un piccolo villaggio spagnolo, Real de Gandía (Valencia) il 29 maggio 1803. Cresciuto in una famiglia di sana tradizione religiosa, da giovanissimo fu fortemente affascinato dai racconti di suo zio materno, il francescano Padre Isidoro Bañuls, di rientro dalla missione in Terra Santa. 

«Le fonti a nostra disposizione – sottolinea fra Ulise Zarza, Vice postulatore e membro, insieme a fra Rodrigo Machado Soares e fra Narciso Klimas, del Comitato di preparazione delle celebrazioni per la canonizzazione dei Martiri  – raccontano che fu dallo zio che Pascual, come si chiamava prima della sua professione religiosa, ebbe notizia dei santuari di Gerusalemme, di Betlemme, di Nazaret e del modo che avevano i frati di solennizzare il Natale e la Pasqua in questi luoghi». 

Ammesso al noviziato del Real Convento di San Francesco di Valencia dei Minori Osservanti, divenne frate minore e fu ordinato sacerdote nel 1829: una volta ottenuto dai Superiori il permesso di recarsi nelle missioni di Terra Santa, si imbarcò, insieme a Padre Manuel Ruiz, il 20 luglio 1831 alla volta di Giaffa, dove giunse il 3 agosto 1831.

«Sappiamo che era un uomo colto, cordiale e affabile nei modi, ma di salute cagionevole – continua fra Ulise –. È per questo che dovette dimettersi dopo pochi mesi dall’incarico di Superiore dell’ospizio di Giaffa perché il clima nuoceva alla sua salute». Durante la sua permanenza in Terra Santa Padre Carmelo, che padroneggiava le lingue orientali, si dedicò per lo più all’insegnamento ai confratelli religiosi che si preparavano al sacerdozio a Gerusalemme.

Fu guardiano a Damasco per tre anni (1843-1845) e successivamente, dal 1845 al 1851 fu parroco ad Ain-Karem, al Santuario della Visitazione. Nel mese di settembre 1851 fece ritorno a Damasco come parroco ed insegnante di lingua araba ai giovani sacerdoti: nel suo incarico, alla fine degli anni Cinquanta, fu affiancato da Padre Engelbert Kolland, anch’egli martire. 

«Nel caso di Padre Carmelo abbiamo un testimone de visu del suo martirio – spiega Fra Ulise –. Si tratta di Naame Massabki, figlio di Mooti, uno dei tre martiri maroniti. Naame all’epoca dei fatti era un ragazzo, e si era nascosto in un angolo della chiesa al momento dell’irruzione dei drusi all’interno del convento».

«È lui che ci parla degli ultimi istanti della vita del religioso: percosso fortemente dai suoi aguzzini, essi lo minacciarono di morte se non avesse abbracciato l’Islam. Le ultime parole di Carmelo furono: “Giammai, perché Gesù Cristo dice: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma quello che può uccidere corpo ed anima e mandarli all’inferno”. Ecco, questa è una cosa che accomuna Padre Carmelo e Fra Manuel Ruiz a tutti gli altri martiri: perché nella loro storia c'è un momento puntuale in cui accolgono quella grazia: la grazia del martirio». 

 Oggi Carmelo Bolta è titolare dalla omonima Cofradía di Real di Gandía, che annualmente ne celebra la festa pubblica. A lui sono dedicate la piazza della chiesa parrocchiale di Real di Gandía e anche alcune istituzioni civili: la sua casa natale, le scuole pubbliche primarie e la Cooperativa Agricola Valenciana.

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