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lunedì 13 ottobre 2025

Per Ahmed al-Sharaa tappeti rossi a New York

Il nuovo presidente siriano (considerato un terrorista ricercato fino a pochi mesi fa) è con molti altri capi di Stato e di governo a New York per l'assemblea generale dell'Onu. Lo accolgono abbracci e strette di mano, quasi che fosse il leader di un Paese prospero e democratico, cosa che ancora non è.
 

di Fulvio Scaglione

L’operazione adesso è completata. Gli esperti di marketing lo chiamerebbero rebranding, come quando la vecchia gazzosa fu ribattezzata con un bel nome in inglese e venduta come una bibita nuova. Il terrorista Abu Mohammed Al Jolani, che fino a un anno fa era il leader militare di Hayat Tahrir al-Sham (erede di Al Qaeda) ed era ricercato con una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa, è stato definitivamente trasformato nel signor Ahmed al-Sharaa, presidente provvisorio (sì, come no!) della nuova Siria, quella finalmente liberata da Bashar al-Assad e quindi abbracciata dal mondo libero, dall’Occidente che con tanta intensità desiderava vederla affrancata dalla dittatura. Il presidente Al-Sharaa è volato negli Usa ed è stato accolto da David Petraeus, ex generale che comandava le truppe americane in Iraq (quelle contro cui Al Jolani sparava) e poi direttore della Cia, che premurosamente gli ha chiesto (non è uno scherzo, ci sono mille video a testimoniarlo) se riesce a riposare bene la notte. Poi Al-Sharaa ha parlato all’Onu ed è stato ricevuto dal segretario di Stato americano Marco Rubio. Molte foto testimoniano di cordiali saluti e abbracci da parte di molti altri capi di Stato e di governo europei, a cominciare da Emmanuel Macron.

Uno potrebbe pensare che in Siria sia tornata, di colpo, la democrazia. E invece… in ottobre è eletta la nuova Assemblea legislativa, con questo sistema: dei 210 parlamentari totali, un terzo (e cioè 70) sarà scelto dal presidente; gli altri saranno eletti su liste bloccate in collegi elettorali ristretti. Un’elezione simile in un altro Paese del Medio Oriente sarebbe definita «elezione farsa». Ma noi siamo talmente innamorati della nuova Siria che ci sta tutto bene. 

Anche, per esempio, che le milizie di Hayat Tahrir al-Sham abbiano trucidato centinaia e centinaia di alawiti, vecchi donne e bambini compresi, nella regione di Latakia. Che i cristiani, come testimoniato anche da Terrasanta.netvivano nella preoccupazione. Che i drusi abbiano ingaggiato una vera guerra pur di non sottostare al nuovo regime. E naturalmente che la Turchia, vecchio sponsor di Al Jolani, continui a occupare una fetta consistente della Siria a Nord, mentre a Sud un altro grosso pezzo se l’è preso Israele.

Ma conviene così, a quanto pare. Il bene trionfa e gli affari prosperano.

https://www.terrasanta.net/2025/09/siria-per-ahmed-al-sharaa-tappeti-rossi-a-new-york/


Quand rien n'a été élu... Les élections les plus rapides de l'histoire !

Sulle "elezioni" riprendiamo il post pubblicato su Facebook da InfoSyrie.fr

Par : Dr Bassam Abu Abdullah
5 octobre 2025

« Dans un pays gouverné par l'étonnement plutôt que par la logique, les élections à l'Assemblée du peuple se sont déroulées comme une brise par un après-midi de juillet : rapides, invisibles, et personne ne savait d'où elles venaient ni où elles allaient.
Des élections sans compétition, sans foule, sans voix à entendre... seulement l'écho de phrases toutes faites : « mariage démocratique », « participation massive » et « urnes équitables », comme s'il s'agissait de poèmes d'une époque d'hypocrisie nationale.
Mais cette fois, les chiffres ne mentent pas ; ils sont hilarants :
À Zabadani, Ammar Ashrafani a gagné avec seulement 15 voix.
Quinze ! Un chiffre qui pourrait être obtenu dans un seul café si ses clients décidaient d'accomplir leur « devoir national » entre une tasse de café et une cigarette.
À Qatif, Khaled Arafat Orabi a gagné avec 18 voix, soit l'équivalent d'un demi-bus aux heures de pointe.
À À al-Tall, Ayman Abdo Shamo a réalisé son exploit historique avec 24 voix, un nombre suffisant pour établir une « société coopérative », et non un « conseil populaire ».
À Darayya, où les cendres ont une histoire, Mu'ayyad Habib n'a recueilli que 30 voix, comme si la ville n'avait même pas organisé d'élections, mais simplement envoyé une convocation symbolique pour des funérailles politiques.
Al-Nabk a élu Muhammad Sharif Talib avec 18 voix, un nombre suffisant pour former une équipe de réserve de football avec un staff technique.
À Qatana, Ali Masoud Masoud a obtenu 12 voix… seulement 12 !
Un nombre digne d'une élection à qui remportera le siège, et non d'une élection nationale censée représenter des centaines de milliers de personnes.
Dans la campagne de Damas et à Yabroud, le décompte des voix semblait plus généreux :
Muhammad Suleiman al-Dahla (75 voix),
Muhammad Azzam Haidar (68 voix),
Hassan Ahmad Saif al-Din Ataya (65 voix) votes).
On peut dire ici que la participation était « acceptable » au regard des « grandes élections familiales ».
Mais le couronnement est venu de Douma, où les chiffres semblaient astronomiques en comparaison :
Hussam Hamdan (105 voix),
Nizar al-Shayeb (103 voix),
Mustafa Saqr (91 voix).
Oh, la cohue démocratique ! Cent électeurs d’un coup ! Les comités de dépouillement ont dû avoir besoin d’eau froide pour résister à ce déluge populaire.
De quel genre d’élections s’agit-il ?
Qui représente qui ?
La nation est-elle devenue un petit quartier et le peuple un groupe de parents ?
Suffit-il qu’une famille compte ses votes pour que les lois d’un État soient rédigées en son nom ?
Tout au long de l’histoire, nous avons assisté à des élections passionnantes, frauduleuses, houleuses et tendues, mais jamais auparavant nous n’avons vu d’élections aussi silencieuses, aussi rapides que les résultats étaient annoncés avant même que l’encre ne soit froide.
Peut-être que cet exploit sera bientôt étudié sous le titre : Élections quantiques : où le candidat vote avant même d'être vu.

À une époque où le peuple est devenu un accessoire rhétorique, l'« Assemblée du peuple » est devenue un tableau symbolique, où des acteurs assis sans public débattent de questions que personne ne peut entendre, tout comme un acteur dans un théâtre abandonné s'adresse à des chaises vides avec une assurance surprenante.

Nizar Qabbani a dit un jour :

« Je t'aime profondément, et je sais que le chemin vers l'impossible est long. »

Aujourd'hui, nous lui disons du fond de cette impossibilité :

Nous aimons profondément notre pays, mais le chemin vers de véritables élections est bien plus long que toute impossibilité poétique.

En conclusion, le peuple syrien adresse ses félicitations officielles :

« Nous félicitons les vainqueurs de ce mariage secret, qui s'est déroulé sans bruit, sans foule et avec le moins de participants possible. » Vous avez prouvé que la démocratie peut être menée avec humour, et avec un nombre de voix insuffisant pour constituer une troupe de dabke.
Félicitations à vous, députés.
Vous avez bien représenté les absents,
et avec votre modeste nombre, vous avez enregistré les élections les plus rapides de l'histoire… et le sentiment de dignité nationale le plus lent. 

giovedì 9 ottobre 2025

Firmato accordo che prevede la cessazione degli attacchi nella Striscia di Gaza


Condividiamo la gioia dei bambini di Gaza all'annuncio del possibile accordo per la cessazione del genocidio 



Comunicato Stampa Patriarcato Latino di Gerusalemme sull’annuncio di un accordo a Gaza

Gerusalemme, 9 ottobre 2025

Il Patriarcato Latino di Gerusalemme accoglie con gioia l’annuncio di un accordo che prevede la cessazione degli attacchi nella Striscia di Gaza e la liberazione immediata degli ostaggi, così come quella dei prigionieri palestinesi. Il Patriarcato auspica ardentemente che tale intesa venga pienamente e fedelmente attuata, affinché possa segnare l’inizio della fine di questa terribile guerra. Il Patriarcato ribadisce l’assoluta urgenza di un immediato soccorso umanitario e dell’ingresso incondizionato di aiuti sufficienti per la popolazione sofferente di Gaza. Soprattutto, il Patriarcato prega affinché questo passo apra un cammino di guarigione e di riconciliazione tanto per i Palestinesi quanto per gli Israeliani.

Sua Beatitudine il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, ha dichiarato:

“È una buona notizia e siamo molto felici. È un primo passo, una prima fase. Naturalmente ve ne saranno altri, e certamente sorgeranno altri ostacoli. Ma ora dobbiamo gioire di questo passo importante che porterà un po’ più di fiducia per il futuro e anche nuova speranza, specialmente per i popoli, sia israeliano che palestinese.”
“Ora finalmente vediamo qualcosa di nuovo e di diverso. Certamente vi sarà anche una nuova atmosfera per la continuazione dei negoziati, anche se la vita dentro Gaza resterà terribile ancora per molto tempo. Ma ora siamo felici e speriamo che questo sia solo l’inizio di una nuova fase in cui possiamo, poco a poco, iniziare a pensare non più alla guerra, ma a come ricostruire dopo la guerra.”

Il Patriarcato loda il lavoro di tutti coloro che hanno preso parte ai negoziati ed esprime apprezzamento per i loro instancabili sforzi che hanno reso possibile questo passo.

In questo tempo così delicato, il Patriarcato invita tutti a unirsi alla Giornata di Preghiera per la Pace indetta da Papa Leone XIV l’11 ottobre. Il Signore abbia misericordia della Terra Santa e le conceda la pace.

https://www.lpj.org/index.php/it/news/press-release-on-the-announcement-of-an-agreement-in-gaza

domenica 5 ottobre 2025

Rinnoviamo alla Regina di Palestina la preghiera di intercessione per la pace

  dal Card. Pizzaballa , Patriarca di Gerusalemme dei Latini

5 ottobre 2025

A tutta la diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme 

Carissimi fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!

Sono due anni che la guerra ha assorbito gran parte delle nostre attenzioni ed energie. È ormai a tutti tristemente noto quanto è accaduto a Gaza. Continui massacri di civili, fame, sfollamenti ripetuti, difficoltà di accesso agli ospedali e alle cure mediche, mancanza di igiene, senza dimenticare coloro che sono detenuti contro la loro volontà.

Per la prima volta, comunque, le notizie parlano finalmente di una possibile nuova pagina positiva, della liberazione degli ostaggi israeliani, di alcuni prigionieri palestinesi e della cessazione dei bombardamenti e dell’offensiva militare. È un primo passo importante e lungamente atteso. Nulla è ancora del tutto chiaro e definito, ci sono ancora molte domande che attendono risposta, molto resta da definire, e non dobbiamo farci illusioni. Ma siamo lieti che vi sia comunque qualcosa di nuovo e positivo all’orizzonte.

Attendiamo il momento per gioire per le famiglie degli ostaggi, che potranno finalmente abbracciare i loro cari. Ci auguriamo lo stesso anche per le famiglie palestinesi che potranno abbracciare quanti ritornano dalla prigione. Gioiamo soprattutto per la fine delle ostilità, che ci auguriamo non sia temporanea, che porterà sollievo agli abitanti di Gaza. Gioiamo anche per tutti noi, perché la possibile fine di questa guerra orribile, che davvero sembra ormai vicina, potrà finalmente segnare un nuovo inizio per tutti, non solo israeliani e palestinesi, ma anche per tutto il mondo. Dobbiamo comunque restare con i piedi per terra. Molto resta ancora da definire per dare a Gaza un futuro sereno. La cessazione delle ostilità è solo il primo passo –necessario e indispensabile – di un percorso insidioso, in un contesto che resta comunque problematico.

Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che la situazione continua a deteriorarsi anche in Cisgiordania. Sono ormai quotidiani i problemi di ogni genere che le nostre comunità sono costrette ad affrontare, soprattutto nei piccoli villaggi, sempre più accerchiati e soffocati dagli attacchi dei coloni, senza sufficiente difesa delle autorità di sicurezza.

I problemi, insomma, sono ancora tanti. Il conflitto continuerà ancora per lungo tempo ad essere parte integrale della vita personale e comunitaria della nostra Chiesa. Nelle decisioni da prendere riguardo alla nostra vita, anche le più banali, dobbiamo sempre prendere in considerazione le dinamiche contorte e dolorose da esso causate: se i confini sono aperti, se abbiamo i permessi, se le strade saranno aperte, se saremo al sicuro.

La mancanza di chiarezza sulle prospettive future, che sono ancora tutte da definire, inoltre, contribuisce al senso di disorientamento e fa crescere il sentimento di sfiducia. Ma è proprio qui che, come Chiesa, siamo chiamati a dire una parola di speranza, ad avere il coraggio di una narrativa che apra orizzonti, che costruisca anziché distruggere, sia nel linguaggio che usiamo che nelle azioni e gesti che porremo.

Non siamo qui per dire una parola politica, né per offrire una lettura strategica degli eventi. Il mondo è già pieno di parole simili, che raramente cambiano la realtà. Ci interessa, invece, una visione spirituale che ci aiuti a restare saldi nel Vangelo. Questa guerra, infatti, interroga le nostre coscienze ed è all’origine di riflessioni, non solo politiche ma anche spirituali. La violenza spropositata a cui abbiamo assistito fino ad ora ha devastato non solo il nostro territorio, ma anche l’animo umano di molti, in Terra Santa e nel resto del mondo. Rabbia, rancore, sfiducia, ma anche odio e disprezzo dominano troppo spesso i nostri discorsi e inquinano i nostri cuori. Le immagini sono devastanti, ci sconvolgono e ci pongono davanti a ciò che san Paolo ha chiamato “il mistero dell’iniquità” (2Tes 2,7), che supera la comprensione della mente umana. Corriamo il rischio di abituarci alla sofferenza, ma non deve essere così. Ogni vita perduta, ogni ferita inflitta, ogni fame sopportata rimane uno scandalo agli occhi di Dio.

Potenza, forza, violenza sono diventati il criterio principale sul quale si fondano i modelli politici, culturali, economici e forse anche religiosi del nostro tempo. Abbiamo sentito molte volte ripetere in questi ultimi mesi che bisogna usare la forza e solo la forza può imporre le scelte giuste da fare. Solo con la forza si può imporre la pace. Non sembra che la storia abbia insegnato molto, purtroppo. Abbiamo visto nel passato, infatti, cosa producono violenza e forza. Dall’altro lato, però, in Terra Santa e nel mondo, abbiamo assistito e vediamo sempre più spesso la reazione indignata della società civile a questa arrogante logica di potere e di forza. Le immagini di Gaza hanno ferito nel profondo la comune coscienza di diritti e di dignità che abitano il nostro cuore.

Questo tempo ha messo alla prova anche la nostra fede. Anche per un credente non è scontato vivere nella fede tempi duri come questo. A volte percepiamo forte dentro di noi la distanza tra la durezza degli eventi drammatici da un lato, e la vita di fede e di preghiera dall’altro. Come se fossero lontane l’una dall’altra. L’uso della religione, inoltre, spesso manipolata per giustificare queste tragedie, non ci aiuta ad accostarci con animo riconciliato al dolore e alla sofferenza delle persone. L’odio profondo che ci invade, con le sue conseguenze di morte e dolore, costituisce una sfida non indifferente per chi vede nella vita del mondo e delle persone un riflesso della presenza di Dio.

Da soli non riusciremo a comprendere questo mistero. Con le nostre sole forze non riusciremo a stare di fronte al mistero del male e a resistergli. Per questo sento sempre più impellente il richiamo a tenere fisso lo sguardo su Gesù (cf. Eb 12,2). Solo così riusciremo a mettere ordine dentro di noi e a guardare alla realtà con occhi diversi.

E insieme a Gesù, come comunità cristiana vorremmo raccogliere le tante lacrime di questi due anni: le lacrime di chi ha perso parenti, amici, uccisi o rapiti, di chi ha perso casa, lavoro, paese, vita, vittime innocenti di una resa dei conti di cui ancora non si vede la fine.

Lo scontro e la resa dei conti sono stati la narrativa dominante di questi anni, con la inevitabile e dolorosissima conseguenza delle prese di posizione. Come Chiesa la resa dei conti non ci appartiene, né come logica né come linguaggio. Gesù, nostro maestro e Signore, ha fatto dell’amore che si fa dono e perdono, la sua scelta di vita. Le sue ferite non sono un incitamento alla vendetta, ma la capacità di soffrire per amore.

In questo tempo drammatico la nostra Chiesa è chiamata con maggiore energia a testimoniare la sua fede nella passione e risurrezione di Gesù. La nostra decisione di restare, quando tutto ci chiede di partire, non è una sfida ma un rimanere nell’amore. Il nostro denunciare non è un’offesa alle parti, ma la richiesta di osare una via diversa dalla resa dei conti. Il nostro morire è avvenuto sotto la croce, non su un campo di battaglia.

Non sappiamo se questa guerra davvero finirà, ma sappiamo che il conflitto continuerà ancora, perché le cause profonde che lo alimentano sono ancora tutte da affrontare. Se anche la guerra dovesse finire ora, tutto questo e molto altro costituirà ancora una tragedia umana che avrà bisogno di molto tempo e tante energie per ristabilirsi. La fine della guerra non segna necessariamente l’inizio della pace. Ma è il primo passo indispensabile per cominciare a costruirla. Ci attende un lungo percorso per ricostruire la fiducia tra noi, per dare concretezza alla speranza, per disintossicarci dall’odio di questi anni. Ma ci impegneremo in questo senso, insieme ai tanti uomini e donne che qui ancora credono che sia possibile immaginare un futuro diverso.

La tomba vuota di Cristo, presso cui mai come in questi due anni il nostro cuore ha sostato in attesa di una risurrezione, ci assicura che il dolore non sarà per sempre, che l’attesa non sarà delusa, che le lacrime che stanno innaffiando il deserto faranno fiorire il giardino di Pasqua.

Come Maria di Magdala presso quello stesso sepolcro, noi vogliamo continuare a cercare, anche se a tentoni. Vogliamo insistere a cercare vie di giustizia, di verità, di riconciliazione, di perdono: prima o poi, in fondo ad esse, incontreremo la pace del risorto. E come lei, su queste vie vogliamo spingere altri a correre, ad aiutarci nel nostro cercare. Quando tutto sembra volerci dividere, noi diciamo la nostra fiducia nella comunità, nel dialogo, nell’ incontro, nella solidarietà che matura in carità. Noi vogliamo continuare ad annunciare la Vita eterna più forte della morte con gesti nuovi di apertura, di fiducia, di speranza. Sappiamo che il male e la morte, pur così potenti e presenti in noi e attorno a noi, non possono eliminare quel sentimento di umanità che sopravvive nel cuore di ognuno. Sono tante le persone che in Terra Santa e nel mondo si stanno mettendo in gioco per tenere vivo questo desiderio di bene e si impegnano a sostenere la Chiesa di Terra Santa. E li ringraziamo, portando ciascuno di loro nella nostra preghiera. “Circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Eb. 12,1-2).

In questo mese, dedicato alla Vergine Santissima, vogliamo pregare per questo. Per custodire e preservare da ogni male il nostro cuore e quello di coloro che desiderano il bene, la giustizia e la verità. Per avere il coraggio di seminare germi di vita nonostante il dolore, per non arrendersi mai alla logica dell’esclusione e del rifiuto dell’altro. Preghiamo per le nostre comunità ecclesiali, perché restino unite e salde, per i nostri giovani, le nostre famiglie, i nostri sacerdoti, religiosi e religiose, per tutti coloro che si impegnano per portare ristoro e conforto a chi è nel bisogno. Preghiamo per i nostri fratelli e sorelle di Gaza, che nonostante l’infuriare della guerra su di loro, continuano a testimoniare con coraggio la gioia della vita.

Ci uniamo, infine, all’invito di Papa Leone XIV che ha indetto per sabato 11 ottobre una giornata di digiuno e di preghiera per la pace. Invito tutte le comunità parrocchiali e religiose ad organizzare liberamente, per quella giornata, momenti di preghiera, come il rosario, l’adorazione eucaristica, liturgie della Parola e altri momenti simili di condivisione.

Ci avviciniamo alla festa della Patrona della nostra diocesi, la Regina di Palestina e di tutta la Terra Santa. Nella speranza che in quella giornata ci si possa finalmente incontrare, rinnoviamo alla nostra Patrona la preghiera di intercessione per la pace.

Un fraterno augurio di bene a tutti!

   †Pierbattista Card. Pizzaballa

https://www.lpj.org/index.php/it/news/to-the-diocese-of-the-latin-patriarchate-of-jerusalem