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lunedì 2 ottobre 2023

La Siria e l'Impero del Cielo

Il commento di Raimbaud sul significato della recente visita del presidente Assad in Cina: l'ex ambasciatore considera la Cina un avamposto per le forze della resistenza che lottano contro l’egemonismo occidentale. 

Di Michel RaimbaudTraduzione dal francese di Maria Antonietta Carta 

L’accoglienza spettacolare che i leader cinesi, con Xi-Jinping in testa, hanno riservato al presidente Bashar al-Assad, accompagnato dalla moglie e da una delegazione imponente, ha colpito per la fastosità, il calore, il simbolismo e il contenuto vario.

Nell’Impero di Mezzo, dove la Storia non è una parola vana, hanno voluto che non ci fosse alcun dubbio sull’importanza politica, strategica e geopolitica attribuita a un Paese di antica civiltà, e sul suo ruolo cruciale nell’aspro confronto tra il blocco eurasiatico capofila del Sud globale da un lato e il campo USA-NATO che incarna l’Occidente dall’altro. E questo tributo è stato reso a un Capo di Stato che non si è mai arreso nella tormenta.

Gli Occidentali del 'campo del Bene', delle grandi democrazie, etc. avranno bisogno di tempo per riprendersi. Che gli piaccia o no, questo incontro tra Xi, diventato un demone del loro pantheon infernale, e Bashar al-Assad, che da tredici anni è lo zoccolo duro, li ha raggirati.

Le espressioni utilizzate nel comunicato congiunto e nelle dichiarazioni individuali gli hanno tolto la speranza di poter accantonare ex abrupto le relazioni sostanziali tra i due Paesi: ad esempio, l’annuncio dell’istituzione di un “partenariato strategico” tra Cina e Siria (analogo all’accordo firmato con l’Iran), l’insistente richiamo al rispetto della sovranità degli Stati, alla non ingerenza nei loro affari interni e all’osservanza del Diritto internazionale, etc...

Di fronte alla grande instabilità e alle incertezze della situazione mondiale, ‘’la Cina è decisa a continuare la collaborazione con la Siria, a sostenersi a vicenda, a promuovere una cooperazione amichevole e a difendere equità e giustizia a livello internazionale”, ha affermato il Presidente cinese. Dal canto suo, Bashar Al Assad ha ringraziato Xi e il governo cinese per ‘’tutto ciò che avete fatto per stare al fianco del popolo siriano in difficoltà’’, sottolineando l’importanza della visita nel contesto e le circostanze attuali: “perché oggi si costituisce un mondo multipolare che ripristinerà l’equilibrio e la stabilità internazionale”.

Il comunicato congiunto sottolinea che “la parte cinese continuerà a fornire alla Siria tutta l’assistenza possibile e a sostenerne gli sforzi per la ricostruzione e la ripresa”. Esso riafferma il principio della sovranità siriana e sottolinea l’imperativo della ricostruzione, chiedendo la fine delle sanzioni e di tutte le misure coercitive economiche e finanziarie, contrarie al diritto internazionale, illegali e letali; di natura quasi genocidaria. É la conferma che la politica cinese contrasta risolutamente la strategia occidentale ipocrita e mortifera.

Per i seguaci dell'"Ah beh e allora", ricorderemo le relazioni di vecchia data tra Damasco e il Regno di Mezzo. Il 1o agosto del 1956 la Siria, indignata per la trilaterale franco-anglo-israeliana, protestava a modo suo riconoscendo la Repubblica popolare cinese; secondo Paese arabo due mesi dopo l’Egitto di Gamal Abdel Nasser. Alla fine degli anni ’60, la Siria e la Cina avevano già stabilito relazioni militari di alto livello e Pechino forniva armi a Damasco. Nonostante le contingenze della storia mediorientale, della Guerra Fredda e delle controversie sovietico-cinesi, il commercio bilaterale è cresciuto comunque a passi da gigante. Nel 2010, alla vigilia della dannata “primavera araba”, la Cina diventò il più grande fornitore della Siria.

All’attenzione dei poetastri dell’analisi e dei lacchè della propaganda occidentale, si conferma che la Cina ha contribuito a rompere l’isolamento della Siria e ha respinto con fermezza qualsiasi interferenza, opponendosi a tutti i tentativi di “disarmare” lo Stato siriano e di rovesciare il suo governo. 

Un semplice aneddoto testimonia la reattività dell’Impero Celeste di fronte alla questione siriana.

Nella primavera del 2011, un giornalista parigino ben introdotto parlava con un diplomatico cinese di stanza a Parigi dell'intervento della NATO contro la Libia, sulla base dell'uso improprio della risoluzione del Consiglio di sicurezza del 1973, reso possibile dall'assenza di un veto di Mosca e/o di Pechino; stuzzicando il suo interlocutore sulla futura posizione della Cina di fronte al progetto che si andava già delineando come un intervento armato in Siria, si attirò una risposta sferzante: ‘’ Ci prendete per degli idioti? Non ci sarà mai più una risoluzione in stile libico del 1973. Gli faremo mordere la polvere’’.

Qualche tempo dopo, un veto russo-cinese, il primo di una lunga serie, avrebbe bloccato qualsiasi operazione sotto la copertura delle Nazioni Unite.

Ci sono stati davvero molti veti a favore della Siria, mentre in precedenza la Cina aveva sempre usufruito con grande parsimonia di questo diritto che in realtà non ha mai amato: dal suo ingresso nel Consiglio di Sicurezza, deciso dall’Assemblea Generale il 25 ottobre 1971, ci sono tre veti riguardanti casi cinesi (Tai Wan o Hong Kong), contro dodici o tredici voti insieme alla Russia per vietare alle Nazioni Unite un intervento armato contro la Siria. Va rilevata anche una cooperazione umanitaria e una discreta, per non provocare Washington, assistenza militare. I Cinesi si preoccupano, a ragione, per i mercenari Uiguri arruolati nel “movimento di resistenza del Turkestan orientale” (Xin Qiang), guidato dalla Turchia, e calati con le famiglie in Siria, dove sono a margine impiegati per la sostituzione etnica della popolazione locale scacciata, (vedi link https://oraprosiria.blogspot.com/2016/11/jihadisti-cinesi-in-siria.html, n.d.t.) nel nord del Paese controllato dai jihadisti. 

I rapporti di fiducia tra le due capitali e i due presidenti sono saldi. La visita di Bashar al-Assad a Pechino dal 21 al 26 settembre 2023 si svolge in un contesto molto diverso. Vittoriosa militarmente e politicamente, la Siria – il suo intero popolo – sta però soffrendo i tormenti per l’embargo occidentale, con pacchetti di numerose e varie sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. È a questa nuova fase di guerra ibrida, insieme all’occupazione e al saccheggio del nord-est del Paese, per non parlare della mobilitazione della Russia in Ucraina, che si deve una situazione di giorno in giorno più drammatica. 

Ma ci sono fattori geopolitici che modificano le linee e cambiano le regole del gioco. L’irruzione in atto della Cina su tutti i fronti diplomatici e conflittuali in Asia occidentale e in Medio Oriente (Afghanistan, Iran/Arabia Saudita, Iraq, Siria, Libano) tende a contrastare il “pivot” di Obama amato dalle élite subordinate dell’Occidente (Il Pivot to Asia era una delle principali iniziative di politica estera dell'amministrazione guidata da Barack Obama, n.d.t.), insieme alla crescente presenza economica in Africa. Pur mostrando chiaramente l’ambizione di ripristinare l’antica Via della Seta con OBOR, il suo “progetto del secolo” che mirava all’espansione verso ovest, la Cina ha accelerato lo spostamento a est verso l’Eurasia del centro di gravità della politica globale. Coloro che pensavano di piegare il Medio Oriente alle loro ambizioni o “domare” la Siria e cancellarla dalla mappa saranno delusi.

La Cina è un avamposto per le forze della resistenza che lottano contro l’egemonismo occidentale. 

Tra Mosca e Pechino, si è sviluppata una stretta collaborazione che apre la strada a una nuova e vigorosa sfida all’ordine mondiale come si è imposto per secoli. La volontà di rifondare è particolarmente evidente lungo l’immensa fascia “verde” il cui epicentro coincide con lo spazio siriano crocevia di civiltà e culla dei tre monoteismi; dove il sentimento del divino risale agli albori dei tempi e si è fuso con la Storia tanto da mescolare intimamente identità e credenze.

Non sorprende, quindi, che questa Siria, dove ininterrottamente regna il senso del sacro, del soprannaturale, abbia trovato il cammino della salvezza dalle parti della Russia eterna e dell’Impero Celeste. 

Michel Raimbaud

arretsurinfo.ch 26 settembre 2023,  Mondialisation.ca, 29 settembre 2023

Le affermazioni e le opinioni qui espresse sono quelle del loro autore e non possono in alcun modo essere attribuite ad OraproSiria

giovedì 29 giugno 2023

Ritorno da Damasco: note di viaggio

Articolo scritto da Michel Raimbaud.  Traduzione dal francese di  OraproSiria.

Michel Raimbaud è saggista, politologo, docente di relazioni internazionali, ex ambasciatore francese in Sudan, Mauritania e Zimbabwe e direttore onorario dell’Ofpra (Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi). Autore di numerosi articoli e libri di geopolitica, tra cui 'Le Soudan dans tous ses états', 'Tempête sur le grand Moyen-Orient', 'Les guerres de Syrie'.

In un lontano passato, quando il Deep State non era ancora altro che un incubo statunitense (come descritto da Ike Eisenhower o John Kennedy) e il mainstream non era altro che il sogno di un apprendista stregone, davamo credito ai "grandi reporter" e ad altri testimoni d’urto. La formula magica "Secondo un viaggiatore di ritorno da Baghdad" metteva il chiodo nella bara degli scettici di professione o degli antenati dei "cani da guardia" di una doxa nascente... Quei giorni sono passati. I milioni di morti, mutilati e feriti nelle innumerevoli guerre condotte dall’Asse del Bene in decine di paesi, i milioni di profughi e sfollati gettati sulle strade o sui mari, non bastano più a risvegliare le coscienze o a scuotere la buona coscienza della miriade di affiliati o membri di affinità che hanno scelto di servire incondizionatamente le tesi dell’Occidente in tutta la sua pompa… 

Il sottoscritto non è appena tornato da Baghdad, ma da Damasco. Da qui sento gli instancabili scettici, le "menti forti" che strombazzano: "Sì, ma la Siria non è la stessa, è Bashar...". Tranquilli, qui non si tratta di convincerli, perché si può vivere o morire consapevoli o stupidi: sta a ciascuno farsi un’idea propria. Ci limitiamo a ricordare che la Siria ha dovuto affrontare due guerre consecutive.

Colpita nel marzo 2011 dalla pandemia "rivoluzionaria" della Primavera araba, ha sperimentato per la prima volta, per oltre sette anni (fino all’autunno 2018), gli orrori di una guerra di aggressione non dichiarata, orchestrata dai tre membri permanenti occidentali del Consiglio di Sicurezza, sostenuti da una coalizione fluttuante nota come "Amici della Siria" (120 membri nel dicembre 2011, una dozzina nell’aprile 2012). 

Un’alleanza non ammessa, ma assunta, con gli islamisti ha rapidamente generato un flusso eterogeneo di 400.000 jihadisti accorsi dai quattro punti cardinali per prendere parte a questo "crimine supremo" (secondo le parole del Tribunale di Norimberga), dando alla sporca guerra di aggressione una sfumatura di "guerra santa". Santa ma sadica, visto che le sanzioni illegali euro-statunitensi cominceranno a piovere dalla primavera del 2011, a secchiate, con una foga maniacale che la dice lunga sul livello intellettuale di chi ha ideato il piano. 

L’esercito siriano ha resistito valorosamente per quattro anni e mezzo, aiutato dai suoi alleati regionali, permettendo allo Stato di "resistere". L’intervento della Russia, richiesto dal governo di Damasco, ha ribaltato la situazione: il settembre 2015 ha segnato l’inizio di un riflusso inesorabile come la marea crescente. Alla fine del 2018 non era solo una voce, ma un dato di fatto: il Presidente siriano aveva vinto la guerra, sia militarmente che politicamente.

In realtà, già nel 2016, il presidente Barack Obama, alla fine del suo mandato, non aveva fatto mistero delle sue ansie di signore della guerra. Sorridendo e indossando il premio Nobel per la pace come scudo, aveva menzionato una delle sue scoperte strategiche. O meglio, è stato Robert Malley, suo amico e consigliere per il Medio Oriente, a far uscire il gatto dal sacco quando ha confidato in un’intervista: "Gli Stati Uniti preferiscono che il conflitto in Siria continui se non hanno una carta forte sul terreno contro la Russia... Anche se questo significa prolungare la guerra all’infinito o favorire temporaneamente Da’esh". Per inciso, l’amabile presidente è stato l’inventore della teoria del "Leading from behind", che suona come un’ammissione di perversione o di impotenza: perché "guidare da dietro" se non per farsi vedere da davanti? Il modo migliore per prolungare il piacere dell’aggressione non sarebbe quello di trasformarla in una guerra ibrida, invisibile e infinita, con sanzioni, blocchi, embarghi, Caesar Act, misure coercitive lanciate a tutto spiano, sotto la copertura dell’extraterritorialità delle leggi statunitensi ancora in vigore, per punire collettivamente il popolo siriano? 

È in questo contesto che, per la prima volta dall’inizio della guerra, l’Association d’Amitié France-Syrie (Afs) ha organizzato una visita a Damasco di una delegazione di sei persone, con l’obiettivo di portare un messaggio di amicizia a un paese percosso dalle difficoltà, ma infinitamente coraggioso. La delegazione non aveva un mandato ufficiale o ufficioso, ma il suo scopo era quello di raccogliere impressioni e testimonianze, alla luce della situazione e dell’attualità (dal 15 al 19 maggio 2023), e anche di far conoscere la capitale e la Siria a coloro per i quali questo viaggio era una prima volta. 

Questo aspetto della visita è stato ben accolto dagli ospiti siriani. Sebbene l’accoglienza sia stata calorosa, non possiamo trascurare le domande sulla posizione della Francia negli ultimi dodici anni, provenienti da ogni parte. I nostri interlocutori non hanno nascosto le loro perplessità sulla logica di questa politica, sulle sue motivazioni e sulla sua validità.


È stato un viaggio emozionante, secondo tutti i membri della delegazione, che sono rimasti colpiti dal coraggio, dalla serenità e dall’orgoglio di questa popolazione duramente provata. Una popolazione orgogliosa di aver resistito e vinto, e a ragione... È questo che ci è saltato agli occhi quando abbiamo visto le strade trafficate e operose, stavo per dire come al solito. Era uno "spettacolo" amplificato dalla vista delle meraviglie della capitale che alcuni di loro avevano scoperto o rivisitato, a seconda dei casi, un campione dei tesori nascosti in questo bellissimo e magnifico paese abitato da una storia onnipresente dalla notte dei tempi, nei palazzi, nei templi, nelle moschee, nelle chiese, nelle cittadelle, nei vecchi quartieri, nelle rovine e nei siti archeologici...

Durante le numerose visite in cui hanno potuto parlare e ascoltare con calma, i visitatori sono stati anche sopraffatti dall’alta qualità e dall’enorme competenza dei loro interlocutori, donne e uomini, che erano privi di arroganza, parlavano in piena libertà e senza peli sulla lingua. Chi aveva dubbi e pregiudizi al suo arrivo ha potuto constatare che la tolleranza religiosa è profondamente radicata nel patrimonio: la moschea degli Omayyadi, la più antica del paese, non ospita forse la tomba di san Giovanni Battista, e la moschea del Saladino, all’ombra del minareto del Gesù?

Vivere la storia o abbandonarla?

Oggi un viaggio in Siria è una vera e propria lezione di coraggio. Vedere con i propri occhi un paese devastato, testimoniare il coraggio e l’orgoglio di un popolo ferito da oltre dodici anni di guerra ingiusta, illegale e criminale, significa compiere un pellegrinaggio, raccogliere testimonianze nel cuore della storia. Un viaggio del genere porta indubbiamente a meditare, se non a riflettere, sul destino dei cinquecentomila morti, dei due milioni di feriti e mutilati, dei sei milioni di persone gettate sulle strade dell’esilio e dei sette milioni di sfollati, senza dimenticare le vittime del terremoto dello scorso gennaio. L’incapacità degli occidentali di rispondere agli appelli di solidarietà che ci si aspetta in questi casi non è passata inosservata e a nessuno sarà sfuggito che essi stanno approfittando delle circostanze per sottoporre i loro esigui aiuti a condizioni inaccettabili, pretendendo che gli aiuti vengano convogliati attraverso il confine settentrionale, che è sotto il controllo di gruppi terroristici.

Come possiamo partecipare alla vendetta collettiva di un Occidente amareggiato dalla propria mediocrità contro un popolo già soffocato e asfissiato da sanzioni inique, degne di tempi che credevamo finiti? Come possiamo spiegare l’inspiegabile quando ci rifiutiamo di ammettere che siamo lontani cento leghe da qualsiasi cartesianesimo o logica? La nostra comprensione della situazione siriana è così lontana dalla realtà e basata su tali menzogne che è illusorio immaginare un ritorno al passato. Eppure il tempo stringe... 

Questo decennio 2020 potrebbe passare alla storia come una grande prima volta nella storia moderna e contemporanea. È la prima volta che la "comunità internazionale" è vittima di una frattura apparentemente irreversibile, al termine di un processo di rottura a cui nessuno voleva credere quando è iniziato, tra il dicembre 2021 e il febbraio 2022. È accaduto l’irreparabile: la cosiddetta "comunità" si è trovata divisa in due gruppi di nemici che si guardano in faccia e si contrappongono in un confronto globale: da una parte l’Occidente, dominante, arrogante e sicuro di sé, ma una piccolissima minoranza (dal 12 al 15% dell’umanità), e dall’altra il resto del pianeta, in altre parole la stragrande maggioranza della comunità delle nazioni, che chiede con veemenza di prendere il posto che le spetta. Si tratta di una richiesta legittima se prendiamo sul serio i valori branditi dai difensori dei diritti umani, sinceri o ipocriti che siano.


Tutti gli esseri umani, senza eccezioni, nascono uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità: questo è il principio principale che l’umanità dovrebbe iscrivere nella sua lista del patrimonio mondiale, prima di aggiungere l’aria di mare, le baguette, l’Himalaya, i parchi eolici, l’aereo a pedali o la macchina per fare i buchi nel formaggio gruviera. 

I leader della Francia farebbero bene a tenere la bocca chiusa, per evitare di aggravare ulteriormente l’angoscia in cui si trova la sua diplomazia assediata. In piedi sui suoi stivali o sui suoi tacchi alti, come Le Drian prima di lei, il ministro per l’Europa e gli affari esteri, la signora Colonna, probabilmente non sa che le sue parole non interessano a nessuno e non sono attese da nessuno. Le si potrebbe suggerire di limitarsi al dialogo con quegli europei che condividono la sua ignoranza, indifferenza e malafede. Processare Bashar al-Assad e portarlo davanti alla Corte penale internazionale o a qualsiasi altro organismo agli ordini dell’Occidente è un trucco che non funziona più e che ha esaurito tutto il suo fascino. Forse sarebbe utile sussurrare all’orecchio del ministro un elenco di persone che dovrebbero fare la fila alla Corte penale internazionale o comparire nell’agenda di altri organi di tale giustizia. Questa lista comprenderebbe molte persone che lei conosce, vivi e morti, dei morti o dei vivi ...

Non ha senso sabotare il futuro solo per il gusto di farlo, piaccia o meno ai guerrafondai del mainstream francese che fingono di ignorarlo. È criminale predicare a favore del mantenimento o dell’inasprimento di sanzioni economiche unilaterali, illegali e assassine di ogni tipo, che stanno avendo un effetto devastante sulle popolazioni civili, duramente colpite dal terremoto dell’inizio del 2023. Gli ingenui che attirano l’attenzione dei colletti bianchi, puliti e ben nutriti padri della virtù, sperando di farli sentire dispiaciuti, hanno sbagliato bersaglio, perché l’etnocidio pianificato del popolo siriano è il loro obiettivo, sia che provengano dall’altra parte dell’Atlantico, della Manica o qui in patria. E sono riusciti nel loro sporco intento: ancora oggi, l’80% dei siriani sopravvive al di sotto della soglia di povertà, spesso senza acqua, elettricità, benzina o gasolio, ma con un coraggio incommensurabile. 

Le nostre élite dovrebbero rendersi conto che, nel grande sconvolgimento del mondo e nella ricomposizione in corso, la Francia è considerata appartenere al campo degli aggressori. La Siria, invece, si è ritagliata un posto d’elezione nel campo dei vincitori, ed è a loro che si rivolgerà innanzitutto per la ricostruzione, oltre che ai paesi arabi "pentiti" (o rinsaviti) e ad alcuni paesi europei che, senza dire nulla, non hanno tagliato i ponti o sono tornati durante i dodici anni di guerra: Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Ungheria, Cipro, Grecia, Italia, ecc.

La Francia ha ancora la possibilità di unirsi al grande movimento di ritorno a Damasco, valorizzando il suo patrimonio di eccellenza: tutti hanno ricordato il nostro posto un tempo eminente nell’importante settore dell’archeologia, dove si affollano i candidati (anche europei) alla nostra successione, nel campo dell’insegnamento della lingua francese. Abbiamo visto l’ex scuola secondaria Charles de Gaulle, chiusa dal governo francese e riaperta grazie all’impegno di volontari, formando diverse centinaia di allievi; abbiamo parlato della nostra collaborazione con un paese il cui sistema medico, prima della guerra, era ai vertici mondiali in ogni campo e che, volontariamente o sotto la spinta degli eventi, ci ha fornito migliaia di medici.

La Francia ha ancora una possibilità, ma la finestra di opportunità è stretta, sia nel tempo che nello spazio. Il tempo stringe e la Siria, di cui la Francia fu la potenza delegata dopo la grande guerra, quando l’Impero ottomano fu smantellato, si appresta a tornare a essere il perno del Medioriente e del mondo arabo, a riprendere il suo posto nel cuore della storia.

Damasco, la perla d’Oriente, non sarà solo la capitale di un paese rinato dopo tante difficoltà, ma sarà anche la porta del mondo arabo in pieno risveglio, di cui la Siria è tornata ad essere "il cuore pulsante".

Domani sarà troppo tardi, se la terra dei lumi non ristabilisce il collegamento...

https://geopragma.fr/retour-de-damas-breves-de-voyage/

sabato 30 gennaio 2021

Dieci anni dopo ... Non parlarmi più di gelsomino!

 

Di Michel Raimbaud

   traduzione Gb.P.  OraproSiria

A un decennio dagli eventi della cosiddetta "primavera araba" che hanno sconvolto diversi paesi del Maghreb, del Medio Oriente e della penisola arabica, l'ex diplomatico e saggista francese Michel Raimbaud ci dà la sua opinione sulle sue conseguenze.


Quando nel cuore dell'inverno 2010-2011 compaiono a Tunisi e poi al Cairo le prime "rivoluzioni arabe" che frettolosamente battezziamo "primavere", esse godono di un favorevole pregiudizio, foriere di libertà e rinnovamento. Rapidamente, destituiscono "tiranni" inestirpabili e fanno una forte impressione: la loro vittoria è inevitabile e l'epidemia sembra destinata a conquistare tutti i paesi arabi.

Tutti ? Non proprio. Gli Stati colpiti - Tunisia, Egitto, Libia, Yemen, Siria e dal gennaio 2011 Algeria e Mauritania - hanno in comune l'essere repubbliche, moderni, sensibili al nazionalismo arabo, governi con una laicità tollerante e ciò fa porre una domanda: "Perché noi e non loro? ". Lo dirà il futuro, i "loro" sottintende i re, i reucci o gli emiri che sfuggono miracolosamente alla primavera e sembrano promessi a un'estate eterna ben condizionata: l'Arabia di Salman e Ben Salman, gli Emirati di Zayed e Ben Zayed, il Qatar dalla famiglia Al Thani, ecc. Mettiamoci pure il Marocco e la Giordania ed ecco tutte le monarchie, dall'Atlantico al Golfo, al riparo per predicare la "rivoluzione" ... In bocca a uno sceicco wahhabita o ad un emiro, la parola "rivoluzione" sembra buffa ma basta darle il suo significato etimologico (movimento astronomico che riporta al punto di partenza) per scoprire che ben si addice a un movimento guidato da fondamentalisti con l'appoggio dell'Occidente per rompere la retorica del movimento nazionale arabo: cosa che gli esperti delle "nostre grandi democrazie" auto strombazzate rifiuteranno di ammettere.

In compenso, nei paesi arabi e altrove, molti avranno capito ben presto che cosa queste primavere invernali non erano, cioè rivoluzioni "spontanee, pacifiche e popolari". Nonostante le promesse di un domani felice fioriscano, non ci vorrà molto per disilludersi: nel vuoto creato dalla liberazione dei "tiranni", è il disordine che si insedierà piuttosto che la democrazia che ci si aspettava. Lo stupore lascerà il posto alla disillusione, al "caos creativo" dei neoconservatori e alla barbarie degli estremisti che fanno un brutto servizio alla dolce musica delle promesse.

Il caso a volte fa le cose bene, la notizia di dicembre 2020 - gennaio 2021 ha registrato in prima pagina uno spettacolare flashback della "rivoluzione" tunisina, la prima della saga lanciata il 10 dicembre 2010 quando il giovane Bouazizi si dà fuoco per protestare contro la corruzione e la violenza della polizia. Dopo il disordine iniziale legato alla "liberazione" da Ben Ali, la patria di Bourguiba, patria del nazionalismo arabo, aveva conosciuto elezioni e fasi di stabilizzazione, anche progressi nella democratizzazione con il partito Nahda di Ghannouchi o suo malgrado, prima di degenerare in una guerriglia civile tra Fratelli Musulmani e riformisti laici. Dieci anni dopo, il caos prende il sopravvento. I progressi verranno sepolti?

In Egitto, la "primavera del papiro" non ha mantenuto le promesse dei suoi profeti. A parte lo "sfratto" del vecchio Mubarak, il suo processo e la morte in prigione, il successo (temporaneo) dei Fratelli Musulmani e la presidenza rustica di Mohammad Morsi, hanno prodotto una democrazia problematica e un potere autoritario sotto forte pressione. Il generale al-Sisi non sembra avere il controllo delle sue scelte. In un paese diviso dal prestigio offuscato, è combattuto tra le vestigia del nasserismo e la disperata ricerca di finanziamenti da parte dell'Arabia e dei ricchi emirati: l'Egitto ha superato il traguardo dei 100 milioni di abitanti e si sta sgretolando sotto i debiti, i problemi, le minacce (Etiopia, Sudan e acque del Nilo). Lo slogan "nessuna guerra in Medio Oriente senza l'Egitto" è di attualità, ma non si temono più i "Faraoni" del Cairo ...

Al termine di dieci anni di guerra contro aggressori a più facce (paesi atlantici, Israele, forze islamiste, Turchia, Qatar e Arabia in testa, terroristi da Daesh ad Al Qaida), la Siria si trova in una situazione tragica, pagando per la sua fermezza sui princìpi, la sua fedeltà alle alleanze e il carico simbolico che porta: non avrà avuto la primizia di una chiamata al Jihad? L'America ed i suoi alleati respingono "l'impensabile vittoria di Bashar al-Assad" e la loro "impensabile sconfitta". A causa delle sanzioni, delle misure punitive dell'Occidente, dell'occupazione americana o degli intrighi turchi, dei furti e dei saccheggi, la Siria non può essere ricostruita. La "strategia del caos" ha fatto il suo lavoro. È giunto il momento delle guerre invisibili e infinite sostenute da Obama. Tuttavia, il futuro del mondo arabo dipende da qualche parte, e in gran parte, dalla forza del suo "cuore pulsante". Con tutto il rispetto per chi finge di averla seppellita, anche evitando di menzionare il suo nome, la Siria è indispensabile al punto di cristallizzare le ossessioni : nessuna pace senza di essa in Medio Oriente.

Passato attraverso la Rivoluzione dei Cedri nel 2005, dopo aver sopportato la primavera autunnale del 2019, le tragedie del 2020 e il caos del 2021, il Libano avrà avuto la sua rivoluzione. Sanzionato, affamato, asfissiato, minacciato dai suoi "amici", condivide volente o nolente il destino del Paese fratello che è la Siria. Un terzo della sua popolazione è composto da rifugiati siriani e palestinesi. Sta cambiando il suo destino, dopo cento anni di "solitudine" nel Grande Libano dei francesi?

In Palestina è la "primavera" perpetua. "Transazione del secolo", tradimenti tra amici e Covid oblige, la questione palestinese sembra abbandonata, tranne che per la Siria che paga a caro prezzo il suo attaccamento alla "sacra causa". Martirizzati, rinchiusi a vita, umiliati e vittime dell'etnocidio, i palestinesi sapranno scegliere i propri alleati senza tradire chi non li ha traditi? Tra inglese e francese, fate attenzione ai falsi amici, ma a volte costoro parlano turco o arabo. Il Re del Marocco, Comandante dei Fedeli e discendente del Profeta, Presidente del Comitato al-Quds, si è appena normalizzato con Israele, consegnando l'Ordine di Maometto a Donald Trump. È il quarto ad entrare nel campo dei liquidatori, dopo gli ineffabili Emirati Arabi Uniti, il Bahrain sopravvissuto a una primavera straordinaria e l'ex Sudan. Quest'ultimo ha messo al fresco Omar al-Bashir, ma ha anche rinnegato i suoi principi, compreso quello dei "tre no a Israele". Fa amicizia con lo zio Sam e muore d'amore per Israele, ma i due non hanno amici, soprattutto non tra gli arabi.

L'Iraq non ha avuto bisogno di una "primavera araba" per scoprire cosa significassero "democratizzazione" in stile americano e pax americana. Il paese di Saddam, martirizzato per trent'anni e semispartito in tre entità, lotta per liberarsi dall'abbraccio degli Stati Uniti, di cui i suoi leader sono tuttavia l'emanazione. Per i neoconservatori di Washington e Tel Aviv è servito come test della "strategia del caos", e sta pagando per questo.

Invasa illegalmente dalla NATO nel marzo 2011 in nome della "Responsibility to Protect", la Libia ha pagato un prezzo pesante alle ambizioni occidentali. Gheddafi vi morì in un episodio di cui Hillary Clinton, l'arpìa del Potomac, ha esultato indecentemente. Sul fronte della democratizzazione, la Jamahiriya, i cui indici di sviluppo erano esemplari, aveva ereditato dall'estate del 2011 un caos che aveva suscitato l'ammirazione di Juppé. Dietro le rovine libiche e le macerie del Grande Fiume, ricordi dei bombardamenti umanitari della coalizione arabo-occidentale, giacevano le casse che l'Asse del Bene aveva alleggerito di centinaia di miliardi di dollari dalla Jamahiriya, non persi per tutti. Il sogno di Gheddafi - un'Africa con una sua moneta indipendente dall'euro e dal dollaro - è stato rubato. Chi amava troppo la Libia può gioire: ora ce ne sono diverse, da due a cinque a seconda degli episodi.

Potremmo appesantire il bilancio parlando della tenace Algeria, dello Yemen martirizzato dai Sauditi e dall'Occidente, dell'Iran, ecc ...: le "primavere" sono state la peggior catastrofe che gli arabi potessero conoscere. Eppure, benchè intrappolati tra l'Impero americano e il blocco eurasiatico russo-cinese, il mutato contesto geopolitico sta lavorando a loro favore.

Se non hanno nulla da aspettarsi dagli Stati Uniti, che, da Obama a Biden passando per Trump, vedono il mondo arabo solo con gli occhi di Israele e con il profumo di petrolio, farebbero bene a scommettere sul ritorno della Russia come riferimento politico e l'arrivo della Cina attraverso le Vie della Seta. Sta a loro scegliere tra le guerre senza fine offerte loro dalla "potenza indispensabile" o la via di rinascita che l'alternativa strategica aprirebbe loro. Niente è ancora giocato del tutto.

Michel Raimbaud

https://francais.rt.com/opinions/83279-printemps-arabes-dix-ans-apres-ne-me-parlez-plus-de-jasmin-michel-raimbaud

giovedì 30 aprile 2020

La Siria denuncia il terrorismo economico dell'embargo imposto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati occidentali


Il delegato permanente della Siria presso le Nazioni Unite, Bashar Al Jaafari, ha affermato che le misure economiche coercitive unilaterali che alcuni Paesi usano come arma nella loro guerra terroristica contro la Siria impediscono ai Siriani, tra le altre cose, di sovvenire alle loro necessità di base e ostacolano anche gli sforzi dello Stato per affrontare la pandemia del nuovo Coronavirus.

Durante una sessione di videoconferenza del Consiglio di Sicurezza dedicata alla situazione umanitaria in Siria, Al Jaafari ha spiegato che il blocco e le sanzioni economiche imposte impediscono alla Siria di ottenere attrezzature per l'esame, la diagnosi, la prevenzione e il trattamento dell'epidemia di Covid-19.
"Le sanzioni impediscono inoltre alla Siria di importare ventilatori polmonari, letti di terapia intensiva, ambulanze, attrezzature di laboratorio, attrezzature per centri di isolamento, forniture sanitarie e protettive necessarie per gli operatori del settore sanitario, oltre a farmaci oncologici e dispositivi di risonanza radiografica, tomografica, assiale e magnetica e endoscopica, ultrasuoni, monitor e impianti di ossigeno ", ha spiegato.

Il diplomatico ha indicato che alcuni membri del Consiglio di Sicurezza usano ancora l'embargo come piattaforma per attuare le loro politiche estere e per aizzare contro la Siria con falsi pretesti.
Ha anche assicurato che la Siria ha inviato, in collaborazione con i Paesi amici colpiti dalle misure coercitive, una serie di messaggi e chiamate al Segretario Generale delle Nazioni Unite e ai presidenti del Consiglio di Sicurezza per chiedere la revoca di queste misure disumane che costituiscono terrorismo economico e uno stigma da parte dei governi che le impongono.

https://www.sana.sy/es/?p=137982


L'appello di una donna siriana al mondo: "Siate umani, revocate le sanzioni"!



La signora Noomah Ali, giornalista della televisione siriana, ha scritto, "a nome di tutti i siriani", una lettera in cui si rivolge "al mondo" ...
Troverete il testo qui sotto in una libera traduzione, ma che vuole essere fedele.

La Siria, dopo aver resistito al flagello terroristico, sarà in grado di superare anche la pandemia di Covid-19

Appello:
Come siriani, insieme a voi affrontiamo il coronavirus ... Ma sapete che dal 2011 abbiamo affrontato da soli tutti questi potenti Paesi che stanno camminando a fianco dell'America ... Va aggiunto, e questo è un grosso problema, che un piccolo virus invisibile ad occhio nudo ci costringe a rimanere confinati in casa, ci proibisce di uscire, di lavorare, costringendoci a mettere in attesa la nostra volontà di vivere. E che mentre ci sono tutti questi attacchi terroristici, queste organizzazioni di takfiristi, da Daesh ad "Al Nosra" e "Ahrar Al Sham", da Machin et Truc & Cie e tutto il bataclan, con tutti i risultati sinistri del loro terrorismo, del loro tradimento: massacrarono, tagliarono le teste, divorarono il cuore dei soldati dell'esercito siriano, arrostirono le teste, scuoiarono vivi ... Organizzarono il commercio di organi, catturarono le donne, vendettero esseri umani sui mercati degli schiavi, praticavano la pulizia etnica e delle confessioni religiose, coltivava la menzogna, l'ipocrisia, riducendo pressoché a nulla qui fondamentali da rispettare: dalle interruzioni di corrente alle carenze di carburante, fino all'incendiare i raccolti di grano e l'eradicazione degli ulivi.

Ma lo stato siriano non ha dichiarato un coprifuoco, non ha deciso di chiudere i mercati, né ha cercato di infondere paura nelle menti delle persone come precauzione o per metterle in guardia. Gente pacifica, non abbiamo avuto paura e la nostra determinazione non si è indebolita ... Al contrario, l'abbiamo affrontato, in solitudine, in silenzio e con orgoglio; tra noi, i martiri nell'esercito sono più numerosi delle vittime del coronavirus. Nonostante tutto questo, tu, questo mondo a cui mi appello, le tue palpebre non hanno battuto ciglio ...
Ho compassione per l'Italia, ho compassione per la Spagna, ma i popoli di questi Paesi hanno avuto compassione per la mia di paura, il freddo di cui soffro, la malattia che colpisce me, siriana, cittadina di un paese che è ancora in guerra ... ho compassione per gli americani, ma gli americani hanno la minima compassione per me, cittadina siriana assediata economicamente e ridotta alla povertà che conosciamo, mentre l'America beneficia delle crescenti sanzioni economiche imposte a noi siriani, mentre l'eliminazione di tali sanzioni ci consentirebbe almeno di affrontare la carenza del settore sanitario. Possiamo forse sconfiggere questo virus americano ?!!

Sono solidale con ogni essere umano, per la semplice ragione che sono siriana. Per me, il messaggio consegnato millenni fa dal dio siriano Baal, lungi dall'essere superficiale, era destinato a rimanere per l'eternità ("Rompi la tua sciabola, prendi il tuo piccone e seguimi in modo che seminiamo l'amore e la pace al centro della terra. Sei siriano e la Siria è il centro della terra "). E noi in questo momento, in questo confronto globale, desideriamo la pace per tutto il mondo. Affrontiamo questo virus con coraggio, lo stesso coraggio che ci ha permesso di affrontare colui che è accusato di averlo creato (America). E vorrei aggiungere questo: quando gli europei, gli americani e gli arabi nel Golfo si trovano in isolamento, devono notare che l'elettricità non viene interrotta, che hanno il pane e che hanno tutti gli alimenti essenziali per rafforzare il loro sistema immunitario. Noteranno anche che io, come cittadino siriano, non ho tutte queste cose semplici di cui godono al posto del loro isolamento sanitario. E non è tutto, perché ho anche un fratello, o un padre o un marito "al fronte", che combattono i gruppi terroristici che i suddetti Paesi sostengono. E a causa del confinamento, del coprifuoco e delle misure precauzionali, questo combattente così caro ai nostri cuori non può più, anche durante il suo "congedo", ritrovarsi con la sua famiglia, sua madre o suo figlio ...

La mia ultima parola: siate umani, revocate le sanzioni per tutti i Paesi e mettete fine a tutte le vostre guerre contro tutti i Paesi. Smettete di fabbricare armi e rivolgetevi all'umanità, perché la condizione umana è la più bella e la più pura delle condizioni che si possano trovare sulla terra. Basta spargimenti di sangue !!
Fine dell'appello.
    Noomah Ali, giornalista siriana


Non conosco Noomah Ali, ma il suo testo mi ha toccato profondamente. Poiché non è solo un grido dal cuore, è anche un promemoria della verità, tutta la verità, nient'altro che la verità, senza trucco e senza esagerazione, lontano dalla prudenza diplomatica, dalle bugie dei media, dai trucchi politici e piroette intellettuali.
Non possiamo criticare una giornalista siriana che lavora a Damasco per aver ricordato che il suo Paese ha affrontato dal 2011 una guerra selvaggia organizzata dall'America e dai suoi alleati, denunciata senza mezzi termini. Se non ricorda lo spaventoso bilancio - non meno di 400.000 morti, circa due milioni di feriti, paralizzati e disabili e una buona dozzina di milioni di rifugiati o sfollati - il suo elenco dei crimini commessi è impressionante ed edificante. Tuttavia, ella non fa che ricordare la semplice verità, così ben nascosta dagli ipocriti, e la sua denuncia dei criminali dovrebbe rinfrescare i ricordi che vacillano.
Sì, il coronavirus è una piaga inquietante che sta già facendo molti danni e non ha ancora finito di farlo. Ma qualunque sia il suo impatto in Siria, dove pure è apparso, non cancellerà le immense disgrazie di una guerra che è entrata nel suo decimo anno, anche se tende a nasconderle, come è già il caso. - e più che mai in questi tempi coronarici - nel panorama mediatico delle nostre coste, amnesico dopo essere stato invaso per così tanto tempo dalle menzogne e dalla negazione della giustizia.

Chi darebbe torto alla signora Noomah per mettere in luce il doppio standard che i professionisti della compassione amano, una compassione a senso unico poiché le disgrazie dell'Occidente sono le uniche ad essere universali. Il suo vibrante appello all'America e ai suoi alleati per revocare "sanzioni contro tutti i Paesi" e porre fine a tutte le guerre dovrebbe essere ascoltato da uomini e donne di buona volontà, per cui il virus della guerra è almeno devastante come quello delle pandemie.

Dimenticata da parte nostra, la guerra delle sanzioni comminate dall'America (e da altri paesi) contro la Siria (o verso altri paesi) è una guerra invisibile, un eccellente pretesto per non vederne la fine. Non è meno spietato del confronto militare che, con ogni probabilità, sta volgendo al termine. È illegale, infame, criminale. È un insulto all'umanità del mondo. Deve cessare immediatamente e senza indugio e senza condizioni. Gli aggressori avranno ancora da prendersi cura dei propri affari, se non altro per questa misteriosa pandemia che semina il caos nel seno del disordine e li disturba in tutte le loro certezze.

Michel Raimbaud, 3 aprile 2020
 (trad. Gb.P.)

lunedì 21 ottobre 2019

"Le guerre di Siria": resistenza, istruzioni per l'uso

"Mentono ... e sanno che mentono ... e sanno che noi sappiamo che mentono ... Eppure continuano a mentire sempre più forte"  

è la frase, scritta da Naguib Mahfouz, che Michel Raimbaud  mette in evidenza nel suo libro "Les guerres de Syrie".





Introduzione alla lettura, di Majed Nehmé
Mondialisation, 03 ottobre 2019
trad. Gb.P. per OraproSiria

Non è un caso che il primo capitolo del libro 'Le guerre di Siria' di Michel Raimbaud, ex ambasciatore, ex presidente dell'OFPRA, professore di scienze politiche e scrittore, si intitoli - riprendendo la famosa frase di Catone il vecchio "Carthago delenda est" (Cartagine deve essere distrutta) - "Delenda est Syria": una vecchia ossessione ".  Un vecchio accanimento senza dubbio perchè Catone, che era solito pronunciare questa formula ogni volta che iniziava o terminava un discorso davanti al Senato romano, qualunque fosse l'argomento, aveva anche partecipato alla guerra contro la Siria, al tempo guidata dal re Antioco III° il Grande! Quest'ultimo ebbe l'audacia di ricevere il fuggitivo Annibale nella sua corte e di aiutarlo ad armarsi contro Roma, allora unica potenza egemonica emergente.
Perché tanta implacabilità?
Vedendo in questa colonia fenicia una certa emanazione dell'antica Siria, Michel Raimbaud ricorda che dopo oltre due millenni la Siria di oggi sembra essere la Cartagine di questa Roma dei tempi moderni che è l'America, la vecchia ossessione è ancora lì (pagina 26). Riattivata dall'indipendenza, nel dopoguerra, è ancora più rilevante dopo gli anni '90 che hanno visto l'ascesa degli Hezbollah in Libano con il sostegno attivo della Siria. Questo supporto ha permesso a questo movimento di costringere l'occupante israeliano a ritirarsi, nel 2000, dai territori libanesi che deteneva dal 1978. Un importante punto di svolta geopolitico e una prima negli annali del conflitto arabo-israeliano. Dalla guerra del giugno 1967, Israele non era mai stato costretto a lasciare un territorio arabo occupato senza contropartita, o più esattamente senza capitolazione, come nel caso dei fallaci accordi di pace del 1979 risultanti dai negoziati di Camp David con l'Egitto di Sadat o dal trattato di pace del Wadi Araba del 1994 con la Giordania, o infine gli accordi di Oslo tra Israele e l'Olp nel 1993.  Questo mercato degli inganni ha solo portato a una maggiore occupazione e annessione di territori palestinesi senza che il fantomatico Stato palestinese promesso - in cambio del riconoscimento dello Stato di Israele - vedesse la luce del giorno! La Siria, da parte sua, ha rifiutato categoricamente questi colloqui e contrattazioni sotto la guida degli Stati Uniti, optando per negoziati multilaterali con all'ordine del giorno: pace, pace dovunque, contro la restituzione di tutti i territori arabi occupati in Palestina, Siria e Libano. Ossia, il diritto internazionale contro strategia del fatto compiuto. Il rifiuto dell'establishment sionista di ritirarsi da tutti i territori arabi occupati ha solo rafforzato la determinazione della resistenza libanese, sostenuta dall'Iran ma soprattutto dalla Siria, di liberare il sud libanese occupato. Ciò che fu fatto nel 2000.  Una sconfitta israeliana da una parte e una vittoria del nascente asse di resistenza dall'altra. Questo ritiro senza gloria dell'esercito israeliano fu sentito come un'umiliazione dai generali israeliani. Nel 2006, l'esercito israeliano, apertamente sostenuto dagli Stati Uniti, dai paesi occidentali e dai loro ausiliari arabi (Arabia Saudita, Egitto, Giordania) voleva cancellare questa umiliazione puntando alla distruzione di Hezbollah, primo passo per indebolire la Siria che non aveva lesinato sui mezzi per aiutare la resistenza irachena contro l'occupazione americana della Mesopotamia nel 2003. Fu a sue spese. A parte la distruzione delle infrastrutture civili libanesi, Israele ha dovuto ritirarsi vergognosamente, rassegnandosi ad accettare uno status quo con Hezbollah e non attraversare più il confine terrestre del Libano, anche se una piccola parte del paese dei Cedri, le fattorie di Chaba'a, restò occupato. La parte dei vinti non si limitò al solo Israele, ma si estese all'Arabia Saudita, alla Giordania e all'Egitto che avevano scommesso sulla sconfitta di Hezbollah, preludio alla caduta della Siria, poi dell'Iran, nei dossier dei neoconservatori americani.
Dopo il fallimento del vertice chiamato 'ultima chanche' che aveva riunito a Ginevra il presidente Hafez al-Assad, già gravemente ammalato, e il presidente americano Bill Clinton nel marzo 2000, gli Stati Uniti avevano disperato di riportare la Siria all'ovile. Il presidente siriano non aveva ceduto sull'integrità del territorio siriano. Senza il ritiro israeliano da tutto il territorio siriano occupato e una soluzione del conflitto palestinese in conformità con il diritto internazionale, nessuna pace. La Siria non voleva cadere nella trappola di un accordo quadro, come nel caso di Oslo, in cui ogni clausola doveva essere oggetto di infinite discussioni e colloqui bizantini. Anche se gli Stati Uniti avevano promesso alla Siria la bellezza di $ 40 miliardi in cambio della firma di un accordo quadro.
D'ora in poi, la Siria viene nuovamente designata come nemica da sconfiggere.
"Da un quarto di secolo", scrive Michel Raimbaud, "questo amabile paese figura in primo piano nella lista dell'Asse del Male (nelle parole dell'ineffabile Debeliou, imperatore dei bigotti e capo progettista di massacri seriali). Uno Stato canaglia, uno Stato paria, uno Stato "preoccupante" (a scelta), viene accostato all'Iran, all'Iraq di Saddam, alla Libia di Gheddafi, a Cuba, alla Corea del Nord, all'ex Unione Sovietica e la Russia di oggi, la Cina di sempre. "
Per i neoconservatori è necessario "dissanguare lentamente la Siria"
L'autore cita un articolo premonitore, pubblicato nel febbraio 2000, un mese prima del vertice Clinton-Assad, firmato dal neoconservatore David Wurmser. Quest'ultimo chiede inequivocabilmente di non dare tregua alla Siria, di intrappolarla in un conflitto in cui "sanguinerà lentamente fino alla morte"! Tutto un programma ...
'Le guerre di Siria' dà al lettore un'analisi storica e geopolitica senza precedenti per la sua chiarezza, la sua profondità geostrategica e il suo spirito di sintesi e dialettica, spiegando senza mezzi termini le vere ragioni dell'accanimento occidentale in generale e degli Stati Uniti in particolare contro questo paese chiave. È in linea con il suo precedente libro geopolitico, “Tempesta sul Grande Medio Oriente”, pubblicato nel 2015, ristampato nel 2017, tradotto in arabo con la prefazione di Richard Labévière. Attraverso la guerra contro la Siria, iniziata nel febbraio-marzo 2011, sulla scia delle mal soprannominate primavere arabe, made in USA, come dimostra il nostro amico Ahmed Bensaada nella sua magistrale indagine "Arabesque$" sul ruolo degli Stati Uniti nelle rivolte arabe (la prima edizione risale al 2011, una seconda edizione ampliata è stata pubblicata a Bruxelles e Algeri nel 2016), Michel Raimbaud rivela una moltitudine di guerre, almeno quindici: una guerra dell'Impero contro gli Stati recalcitranti; una guerra al servizio di Israele; una guerra per il controllo delle vie energetiche; una guerra contro la Russia, la tradizionale alleata (di Damasco ndt), che ha ritrovato, grazie alla resilienza di Damasco, la sua grandezza e il suo ruolo di protagonista nella scena internazionale; una guerra contro l'Iran, l'altro Stato paria, e contro la resistenza libanese, che, grazie in particolare alla Siria, ha somministrato una umiliante sconfitta all'occupante israeliano; una guerra mediatica senza precedenti nella storia e, ultimo ma non meno importante, una guerra contro l'internazionale jihadista sostenuta dalla Turchia, dalle monarchie del Golfo e dall'Occidente, senza tuttavia nascondere la guerra civile stessa.
 Autopsia di un "complotto confessato".
Con prefazione dello scrittore Philippe de Saint Robert, un gollista che fu al centro dell'elaborazione della politica araba della Francia sotto de Gaulle e Pompidou, oggi svanita, il libro è composto da 15 capitoli, densi, ricchi, didattici, e spiega le radici di queste guerre, addita i loro attori, analizza i loro metodi operativi e analizza, alla fine, le vere ragioni della sconfitta di questa vasta impresa criminale. Si va dalla "vecchia ossessione" di distruzione della Siria che ha guidato i passi dei suoi numerosi nemici, allo svolgersi della guerra stessa, alla creazione di un'opposizione esterna, al progetto che i neoconservatori stanno alimentando per l'asservimento della Siria, alla guerra dei media, alla strumentalizzazione del terrorismo per abbattere un potere secolare, alla genesi dell'asse di resistenza e, infine, alla guerra per la pace, la riconciliazione e la ricostruzione.
In tutti i capitoli, l'autore che aborrisce le principali tesi dei media mainstream che si sono distinti nell'arte di mascherare la realtà e di prendere i desideri dei loro sponsor per la realtà, chiama le cose con il loro nome. È uno dei rari geopolitologi che non si sono lasciati intimidire dai media, dagli esperti, dai politologi da operetta che, in una unanimità che non sopporta alcuna contraddizione, avevano profetizzato troppo rapidamente per lo Stato siriano un crollo certo e imminente. Ebbene, sono stati miseramente smentiti. La Siria, dopo nove anni di guerra che è durata più a lungo delle due grandi guerre mondiali messe insieme, è certamente ancora sanguinante, martirizzata, distrutta, assediata, ma ancora in piedi. Senza aspettare la liberazione delle ultime parti ancora occupate del suo territorio dagli Stati Uniti e dai loro ausiliari europei, la Turchia e i suoi burattini, daechisti e qaidisti, sta già iniziando a lavorare.  Ad Aleppo, Homs, Palmyra e ovunque siano stati spazzati via i parassiti terroristi, sono iniziati i cantieri di ricostruzione, senza attendere la revoca delle sanzioni occidentali, che sono criminali oltre che essere controproducenti. Il popolo siriano, che ha stupito il mondo per la sua capacità di resilienza, senza dubbio lo sorprenderà maggiormente per la sua capacità di ricostruirsi e ricostruire il suo paese contando prima di tutto su se stesso ma anche sui suoi alleati (Russia, Cina, Iran ...). Vale la pena ricordare che la Siria, sin dalla sua indipendenza, si è costruita e sviluppata senza l'aiuto dell'Occidente, perfino malgrado esso... La diga dell'Eufrate, i principali progetti di ristrutturazione sono stati completati contando innanzitutto sulle capacità e sul dinamismo del popolo siriano stesso con il sostegno dei suoi veri amici dei paesi orientali e dei non allineati.
Questo libro, afferma Michel Raimbaud "fornirà alcune idee, forse rispondendo alle domande di coloro che vorrebbero capire. È anche dedicato agli 'spiriti forti' a cui “non la si fa”, agli scettici che dopo tutto questo tempo 'non si pronunciano' tra "il massacratore" e "l'opposizione pacifica" che ha preso le armi in Siria, alle "anime belle" normalmente incredule quando si evoca di fronte a loro l'attivismo delle nostre "grandi democrazie". "Speriamo", scrive ancora, "che sarà in grado di aumentare la cultura dei fruitori del dibattito televisivo, di alimentare le informazioni degli intervistati del micro-marciapiede. Sarà utile ai manichini tentati dal riciclaggio, agli intellettuali bloccati nel loro schema "rivoluzionario", ai produttori di notizie rinchiuse nella loro menzogna, a coloro che avranno la memoria che vacilla e fingono di non ricordare molto bene. "
Il merito di questo libro non si limita all'informazione e all'analisi, alle confutazioni, che mettono le cose in chiaro sulla realtà della guerra contro la Siria. L'immensa qualità di questo libro risiede nel coraggio del suo autore, che attraverso i suoi scritti precedenti e in particolare il suo libro di riferimento sulle questioni geopolitiche di questo conflitto (Tempesta sul Grande Medio Oriente), è stato in grado di opporsi alla follia politico-mediatica e alla cecità collettiva riguardo alla Siria. Dallo scoppio della guerra mondiale contro la Siria nel febbraio-marzo 2011, poche persone stavano scommettendo un copeco sulla possibilità che lo Stato siriano emergesse vittorioso. Noi facevamo parte della redazione di Africa-Asia, questa minoranza che aveva scelto con lucidità, argomentazioni a sostegno, di smentire tutte le "Cassandre". Michel Raimbaud era uno di questi. Proprio come il nostro amico Richard Labévière, uno dei pochi geopolitici francesi ad aver analizzato a fondo i dettagli della "guerra globale" contro la Siria, in particolare dal punto di vista della lotta contro il terrorismo, e che ha pagato un pesante tributo per il suo impegno per la verità, che aveva messo in guardia in una famosa cronaca pubblicata nel numero di febbraio 2015 di Afrique-Asie con il titolo premonitore: "Terrorismo e diplomazia: diritti contro il muro suonando il clacson". Fondatore e capo-redattore del quotidiano online Proche et MoyenOrient, è anche uno specialista in relazioni internazionali e in particolare della Siria a cui ha dedicato molti libri, tra cui Le Grand Retournement. Baghdad-Beirut, dove descrive il travisamento della diplomazia francese e il suo cieco allineamento con i neoconservatori americani e annuncia, premonitore (il libro è stato pubblicato nel 2006), la futura guerra globale contro la Siria.
Come non menzionare anche i rari harakiri di chi aveva osato opporsi al linciaggio isterico sulla Siria, come nel caso di Frederic Pichon, autore di "Siria, perché l'Occidente aveva torto", o Bruno Guigue, che aveva dedicato innumerevoli analisi per stigmatizzare le menzogne e la truffa intellettuale di coloro che si erano costituiti come "siriologhi" (leggi in www.afrique-asie.fr la sua analisi "Disinformazione: le migliori perle dei ciarlatani della Rivoluzione siriana, settembre 2016).
"Le guerre di Siria" appare nel momento in cui l'esito vittorioso, ma così doloroso, del conflitto non è più in dubbio. Le edizioni Glyphe, che hanno avuto il coraggio di pubblicarlo, testimoniano la propria nobiltà di editori, che non esitano a rischiare a costo di offendere i detentori del pensiero unico. Rischiano al servizio della verità e della libertà di espressione; in breve: al servizio della democrazia.
Un libro indispensabile, magistrale. Da leggere e far leggere assolutamente. * Le guerre di Siria , di Michel Raimbaud, prefazione di Philippe de Saint Robert, edizioni Glyphe, Parigi 2019.

lunedì 3 giugno 2019

Pompieri e Incendiari


 Michel Raimbaud, 26 maggio 2019
L’autore francese di questo articolo, nato nel 1941 - saggista politico, scrittore, insegnante, una lunga e proficua carriera con incarichi diplomatici di rilievo, più volte ambasciatore, lunghi soggiorni in numerosi Paesi: Brasile, Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Mauritania, Sudan…, dal giugno 2000 al febbraio 2003 direttore in Francia dell’Ufficio per la protezione di immigrati e apolidi (OFPRA), poi all'amministrazione centrale del Quai d'Orsay, poi ancora ambasciatore, nello Zimbabwe – osserva il mondo con spirito libero e racconta le vicende della geopolitica con grande passione e maestria anche nello stile, vivace e coinvolgente. Dopo il pensionamento nel 2006, intraprende l’attività di conferenziere e insegna presso il Centre d’Études Diplomatiques et Stratégiques (CEDS). Tra le sue numerose opere, ‘’Tempête sur le Grand Moyen-Orient’’ (Tempesta sul Grande Medio Oriente), del 2015. Continua a dedicare molti articoli alla drammatica e iniqua guerra contro la Siria con i suoi risvolti regionali e mondiali. Merita di essere letto.
Maria Antonietta Carta
Dicembre 1991. Ieri. E in due soli anni il mondo mutò. L'ordine bipolare est-ovest crollava in seguito alla scomparsa dell'URSS e l'Occidente usciva vittorioso da una competizione che, in effetti, non era durata più di 45 anni: un tempo piuttosto corto sulla scala della Storia. Prima di tutto, gli Stati Uniti, inebriati da un trionfo inaspettato, si pavoneggiarono senza sapere cosa fare. Nel 1992, uno dei loro politologi, Francis Fukuyama, dichiarò la fine della Storia per mancanza di protagonisti all’altezza dell’unica superpotenza superstite.
Sbigottito, il coro occidentale si bevette con piacere questa idiozia: secondo quel profeta troppo frettoloso, il mondo si sarebbe paralizzato, senz’altra scelta che schierarsi con il nuovo padrone. Per i potenziali refuznik, si trattava di sottomettersi o rassegnarsi e, adottando l’eredità del "mondo civilizzato" dell'era coloniale e del "mondo libero" della guerra fredda, ecco che la "Comunità internazionale" is born, come si dice nella lingua franca contemporanea. I Paesi che osarono rifiutare la nuova regola del gioco USA finirono nella gehenna degli Stati fuorilegge: in bancarotta, canaglie, emarginati, “preoccupanti", come diremo presto. Mentre i Paesi “liberati’’ dal comunismo dovettero intraprendere una riconversione incondizionata e senza fronzoli ... Bisognava sbarazzarsi di falci, martelli, dell'Internazionale proletaria e, per molte delle loro élite, di tutto un trascorso diventato ingombrante.

Non lo chiamavano ancora in questo modo, ma il “Momento unipolare americano" era già in marcia e non amava quelli che trascinavano i piedi. Tuttavia, l'eternità prevista implicitamente nel libro di Fukuyama (La fine della Storia e l'ultimo uomo) sarebbe terminata troppo presto per apparire lunga. Non avrebbe superato il ventesimo anno. Infatti, nel marzo 2011, dopo vent'anni di misfatti il momento unipolare iniziava ad andare a rotoli e la Storia riprendeva la sua marcia verso un ordine mondiale più equilibrato quando Russia e Cina si fecero forzare la mano e si unirono per l’ultima volta alla "Comunità internazionale" per lasciare "implicitamente” il campo libero all'intervento della NATO in Libia, ma nel mese di ottobre dello stesso anno un doppio veto di Russia e Cina metteva fine all’onnipotenza di Washington e dei suoi suppletivi vietando ogni intervento di regime change a Damasco.
Nel 2019, l'ordine imposto dagli Stati Uniti, ingiusto, tirannico e caotico, sta morendo, ma l'Occidente, riluttante ad ammetterlo, continua a credere fermamente nella loro leadership ‘’naturale’’, in nome di un'universalità proclamata e rivendicata. Preferisce non vedere che la loro pretesa è sfidata dall'immensa coorte di popoli. Nel terzo millennio, non è più possibile accettare questa prerogativa di stampo feudale data per scontata dai Signori del pianeta. In pochi anni, la geografia politica e la mappa di un ‘’Paese immaginario’’ di sicuro sono molto cambiate nel mondo arabo-musulmano, ma anche altrove.

Due “campi" polarizzano questa nuova realtà partorita nel dolore. Il primo scommette sulla legalità e il diritto internazionale per arrivare a tutti i costi a un mondo multipolare equilibrato in grado di vivere in pace. Il secondo, successore del "mondo libero" di un tempo, non ha trovato niente di meglio che inventarsi il caos "costruttivo" o "innovativo" per garantire la sostenibilità di un'egemonia contestata. Da entrambi i lati, gli uomini al potere mostrano uno stile in accordo con queste scelte di fondo.
Senza trascurare la concorrenza quotidiana più combattuta tra Stati Uniti e Cina e l'ineluttabile scontro tra gli obiettivi di Trump, promotore spontaneo del "caos creativo" e di XI-Jinping, adepto metodico della "distensione costruttiva", è il duo russo-americano che rimane per il momento al centro del confronto. I leader di entrambe le parti – Eurasia e Occidente - che hanno preso il posto dei protagonisti del conflitto Est/Ovest, Putin e Trump, sono attori importanti della vita internazionale e devono coesistere, che lo vogliano o no ...

Non è necessario essere un osservatore molto acuto per indovinare che tra i due uomini non esiste molta sintonia. Non si tratta di una semplice questione di stile, ma di universi mentali e intellettuali opposti. Se il caso, per sua natura spesso capriccioso, decidesse di rendere il mondo invivibile, non agirebbe diversamente, consentendo che in questo preciso e decisivo momento della Storia due personalità così diverse siano deputate a rappresentare e " gestire" una riunione al Vertice tra Stati Uniti e Russia nel modo conflittuale che conosciamo.
Vladimir Putin è un capo di Stato popolare nel suo Paese e rispettato all’estero perché è l'architetto indiscusso della rinascita della Russia. Questo invidiabile prestigio non si deve a un qualche populismo di bassa lega o a un atteggiamento demagogico, ma al suo lavoro. L'inquilino del Cremlino comunica volentieri. Dai suoi discorsi senza enfasi si può intuire un uomo sicuro del suo potere, ma assolutamente poco incline ai toni confidenziali. Eppure, dietro un volto placido si nasconde un umorismo caustico che di tanto in tanto può sorprendere con uno scherzo inaspettato, deliziando i suoi sostenitori e permettendo ai neo-kremlinologi di arricchire il loro armamentario di pregiudizi "occidentali".

Ecco perché la breve frase del presidente russo a Sochi lo scorso 15 maggio, dopo l'incontro con l’omologo austriaco Alexander Van der Bellen, non sarà rimasta inascoltata. Interrogato durante una conferenza stampa su ciò che il suo Paese potrebbe fare per "salvare" l'accordo nucleare iraniano, Putin ha spiegato tra il serio e il faceto: "La Russia non è una squadra di pompieri, non possiamo salvare tutto". Non avrei potuto scegliere parole migliori per dire che molti incendiari si insinuano tra gli "interlocutori’’ a cui Mosca ama riferirsi con instancabile ottimismo. Senza dubbio, Trump è considerato il più pericoloso.
Al fuoco, pompieri! C’è una casa in fiamme! La tiritera è all'ordine del giorno. "Fuoco e incendiario"? Si direbbe il gioco per una serata in famiglia, uno di quelli che si amavano un tempo: un po’ noiosi e polverosi, ma efficaci per distrarre i bambini quando piove, tra nano giallo e piccoli cavalli. Tuttavia, si sarà capito, gli incendiari a cui pensa Putin si collocano su un altro registro. Non si tratta di delinquenti che bruciano bidoni della spazzatura, auto e negozi nelle "strade" occidentali, per conto di una "militanza" deviata ... Il presidente russo sicuramente pensa a una classe di criminali che sfugge totalmente alle imputazioni, alle azioni giudiziarie e alle punizioni: quella dei piromani di Stato in giacca e cravatta, arroccati ai vertici del potere nelle grandi democrazie autoproclamate che rientrano nell’ "asse del bene’’ o nella sua orbita. Negli "Stati di diritto", si ritiene legittimo incendiare il pianeta per annientare ogni resistenza all'egemonia dell'Impero Atlantico.

In questi stessi Paesi, i professionisti del pensiero, della scrittura, dell'analisi, della diplomazia o della politica adoperano con compiacimento una roboante retorica sul “Grande disegno", sulla "Strategia planetaria”, sulle "Ambizioni geopolitiche" o altre frottole. È chiaro che non scorgono l'ombra di un’ingiustizia e non li sfiora il sospetto di un’arbitrarietà nelle campagne finalizzate a devastare Paesi, popoli, spesso intere regioni, e restano indifferenti quando si menziona il tremendo bilancio delle guerre funeste scatenate dai loro governanti mafiosi.
I nostri moderni piromani sono insaziabili: non contenti di non provare vergogna o rimorso per i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità, i genocidi o i politicidi già commessi, minacciano e sanzionano a destra e a manca annunciando apertamente le loro intenzioni aggressive: Siria, Libia, Ucraina, Iran, Venezuela, Russia, Cina… Insomma, tutti i Paesi che osano ignorare i loro diktat.

Addio al diritto internazionale, buonanotte agli accordi internazionali, all'inferno la Carta delle Nazioni Unite, alle fanfare della diplomazia, del suo linguaggio desueto e delle sue prassi astruse. Infatti, con quasi 700 basi documentate dal Pentagono un po’ ovunque e soprattutto in Europa, Asia-Pacifico, Medio Oriente e Africa e con oltre 200.000 militari di stanza all'estero (50.000 in Germania, decine di migliaia nel resto del Continente europeo, 40.000 in Giappone e 28.000 in Corea del Sud), gli Stati Uniti e i loro scagnozzi sono soli contro il mondo.
Sotto la copertura di scelte imprevedibili, di ordini, contro-ordini e di dissensi nella sua amministrazione, Trump e la sua bella squadra - il sinistro John Bolton, il mellifluo Mike Pompeo, l'elegante Mike Pence, per non parlare del genero damerino Jared Kushner - seminano il caos e provocano incendi in tutti i continenti: esattamente ciò che è al centro del grande disegno ideato dagli USA per imporre al mondo la loro legge.

Negli anni di Reagan, Washington era riuscita a trascinare l'Unione Sovietica nella corsa agli armamenti e poi a impantanarla in una guerra inutile in Afghanistan, che avrebbe causato il suo declino. Probabilmente, il team di Trump cerca di ripetere l'esperienza, moltiplicando ovunque gli incendi nella speranza che la Russia di Putin si lasci indurre a svolgere il ruolo del pompiere universale. In Venezuela, l'impegno di Mosca ricorda quello dell'Unione Sovietica a Cuba, lo sforzo per incendiare gli Stati baltici e l'ex baluardo dell'Europa orientale, la Georgia, poi l'Ucraina, sono altrettante provocazioni alle porte della Russia.

Rimane il Grande Medio Oriente di Debeliou, al centro del nuovo conflitto Est/Ovest: dal suo nucleo (Siria, Libano, Palestina, Giordania, Iraq) all’Iran e Turchia, Yemen e Penisola Arabica fino all’Africa (Nord, Sahel, Corno, Golfo di Guinea...). Infine, c'è “l’Accordo del secolo" inventato da Trump con l’intento di "eliminare" il popolo palestinese per compiacere Israele: i miliardi versati e il ghigno compiaciuto degli autocrati potrebbe infiammare la polveriera...
Questa moltiplicazione di focolai - in un mondo dove le fondamenta della legge e della vita internazionale sono violate senza scrupoli, e dove alle parole è stato sistematicamente sottratto il vero senso - mira a scoraggiare potenziali vigili del fuoco: che si lascino intrappolare e non sapranno più dove sbattere la testa nell’estenuante tentativo di smentire notizie false (fake news), o false accuse per denunciare operazioni sotto falsa bandiera, per mantenere una parvenza di ragione in un mondo sempre più caotico, e per rispettare unilateralmente i principi che i piromani deridono.

Due esempi illustreranno l'ipocrisia della situazione:
Nonostante numerosi esperti e osservatori la considerino terminata e vinta da Damasco, la guerra in Siria continua in un contesto confuso e con un rimescolamento delle carte impressionante, scoraggiando qualsiasi analisi attendibile.
Il Dr. Wafik Ibrahim, specialista di affari regionali, osserva che per la sola liberazione, simbolica e peculiare, di Idlib in questo nono anno di guerra, “l’esercito siriano affronta dieci avversari" che unificano i loro sforzi per ostacolare il ritorno alla pace.  Le maschere sono cadute.

Erdogan è incastrato in manovre acrobatiche tra Stati Uniti e Russia e in una strategia aggrovigliata tra Mosca, Teheran, i gruppi terroristici che sponsorizza e le milizie curde che combatte, mentre cerca un ipotetico "cammino” di Damasco. La Turchia è impegnata militarmente e senza riserve con l'invio diretto di rinforzi e armamenti pesanti alle organizzazioni terroristiche, in primo luogo Jabhat al-Nusra (marchio siriano di al-Qaida), ribattezzato Hay'at Tahrir al-Sham (in Arabo: هيئة تحرير الشام, transliterazione: Hayʼat Taḥrīr al-Shām, "Organizzazione per la liberazione del Levante").
Per gli Stati Uniti, si tratta, se non di impedire, di ritardare il ritorno dello Stato siriano nel nord del Paese - governatorato di Idlib e/o la sponda orientale dell'Eufrate - mantenendo alcuni elementi sul terreno come deterrenti, con il pretesto di combattere Daesh che è una creazione de facto del nostro zio Sam – e aggiungiamo i loro “supporti automatici”: Nazioni Unite e Lega Araba, nel ruolo di paraventi legali e utili ausiliari di Washington; Gran Bretagna e Francia, gli associati; L'Arabia Saudita, che continua a finanziare il terrorismo a est dell'Eufrate contro i Turchi, ma si unisce a loro nel governatorato di Idlib; gli Emirati, l'asso nella manica USA specialmente in Siria. Tutti questi protagonisti sostengono le forze resistenti del terrorismo (tuttora 30.000 jihadisti di tutte le nazionalità).

Allo stesso tempo, il capestro delle sanzioni - armi di distruzione di massa il cui uso è un vero crimine di guerra - mira a prevenire la ricostruzione del Paese e a provocare una rivolta contro "il regime ".
In questa congiuntura, il lancio alla fine di maggio di un ennesimo "caso’’ di attacco chimico debitamente attribuito al "regime di Bashar al Assad " (da Latakia) sarebbe quasi una buona notizia, in quanto significherebbe che l'esercito siriano sostenuto dalle forze aeree russe, nonostante le manovre del nuovo Grande Turco, ha finalmente iniziato la liberazione di Idlib, congelata dal settembre 2018 (in seguito alla creazione di una zona di de-escalation sotto l'egida di Russia e Turchia). Lo scenario è ben noto e vi ritroviamo Hayʼat Taḥrīr al-Shām (ex-Jabhat al-Nusra). Le intimidazioni volano, senza dubbio invano, e storie di comodo hanno sempre meno successo.

L'offensiva degli USA contro l'Iran, in seguito al loro ritiro dal “Trattato sul nucleare" del 2015, ha creato profonde tensioni in Medio Oriente. Lo scambio di minacce attiene per lo più alla gesticolazione diplomatica, ma la saggezza è una qualità rara nell'entourage del Paperon de Paperoni alla Casa Bianca. I pompieri si affaccendano per spegnere l'incendio sempre pronto a riaccendersi nei giacimenti di gas e petrolio della regione: tra la Svizzera, l'Oman e la Russia, a chi toccherà di gettare il suo secchio d'acqua sulle scintille? Il Cremlino veglia per non lasciarsi sopraffare: ha sostenuto l'accordo sul nucleare e ha incoraggiato Teheran a rimanervi fedele, ma "gli Americani sono i primi a dare la colpa", "L'Iran è oggi il Paese più controllato e più trasparente al mondo sul nucleare", "La Russia è pronta a continuare a svolgere un ruolo positivo", ma il futuro del trattato "dipende da tutti i partner: Stati Uniti, Europa e Iran ...".

Aiutati che la Russia ti aiuterà... Il discorso è così ragionevole che a volte ci si chiede se la diplomazia russa, tanto "insopportabilmente paziente" non si sia sbagliata d’epoca davanti al fenomeno Trump, al suo Puffo, agli Europei rassegnati e ai pazzi loro alleati ... C’è ancora tempo per le chiacchiere?
       Michel Raimbaud
      Traduzione di: Maria Antonietta Carta
https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/429-pompiers_et_incendiaires_