di Manuel Nin
Dalle
«Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo.
Volete
che parli delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e
svariate, però tutte conducono al cielo. La prima è quella della
condanna dei propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e
sarai giustificato. Perciò anche il profeta diceva: «Ho detto:
Confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del
mio peccato». Condanna dunque anche tu le tue colpe. Questo è
sufficiente al Signore per la tua liberazione. E poi se condanni le
tue colpe sarai più cauto nel ricadervi. Eccita la tua coscienza a
divenire la tua interna accusatrice, perché non lo sia poi dinanzi
al tribunale del Signore.
Questa
è dunque una via di remissione, e ottima; ma ve n’è un’altra
per nulla inferiore: non ricordare le colpe dei nemici, dominare
l’ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso. Anche così avremo
il perdono delle offese da noi fatte al Signore. E questo è un
secondo modo di espiare i peccati. «Se voi in fatti perdonerete agli
uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a
voi».
Vuoi
imparare ancora una terza via di purificazione? E quella della
preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall’intimo del cuore.
Se
poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è l’elemosina.
Questa ha un valore molto grande.
Aggiungiamo
poi questo: Se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà
alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi
ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che non era in grado
di ricordare opere buone, ma alloro posto offrì l’umile
riconoscimento delle sue colpe e così si liberò dal grave fardello
che aveva sulla coscienza.
Abbiamo
indicato cinque vie di riconciliazione con Dio. La prima è la
condanna dei propri peccati. La seconda è il perdono delle offese.
La terza consiste nella preghiera. La quarta nell'elemosina. La
quinta nell'umiltà.
Non
stare dunque senza far nulla, anzi ogni giorno cerca di avanzare per
tutte queste vie, perché sono facili, né puoi addurre la tua
povertà per esimertene. Quand'anche ti trovassi a vivere in
grave miseria, potrai sempre deporre l’ira, praticare l’umiltà,
pregare continuamente e riprovare i peccati, e la povertà non ti
sarà mai di intralcio. Ma che dico? Neppure in quella via di perdono
in cui è richiesta la distribuzione del denaro, cioè l’elemosina,
la povertà è di impedimento. No. Lo dimostra la vedova che offrì i
due spiccioli.
Avendo
dunque imparato il modo di guarire le nostre ferite, adoperiamo
questi rimedi. Riacquistata poi la vera sanità, godremo con fiducia
della sacra mensa e con grande gioia andremo incontro a Cristo, re
della gloria, e conquisteremo per sempre i beni eterni, per grazia,
misericordia e bontà del Signore nostro Gesù Cristo.
Uno
dei bei testi di San Giovanni Crisostomo, che poi è entrato nella
grande maggioranza delle tradizioni cristiane di Oriente e di
Occidente, è l’omelia sulle Cinque
vie della riconciliazione con Dio.
Un testo in cui il Crisostomo presenta al suo uditorio, le vie per la
riconciliazione col Signore, che è a sua volta riconciliazione con
l’altro. È un testo bello, chiaro, di un predicatore che si trova
davanti al suo gregge, un gregge che sicuramente ha i suoi problemi,
i suoi limiti, ma che ha le sue grandezze, le sue cose belle e
positive, e, soprattutto un gregge che, come tutti noi, è stato
battezzato in Cristo ed è stato redento dal sangue di Cristo. Vi
propongo, in questi giorni all’inizio della Grande Quaresima, di
leggere il testo del Crisostomo e di cercare direi di sentirlo, di
ascoltarlo nella propria vita. D’altronde l’omelia, non è altro
che una rilettura dei capitoli 5 e 6 del vangelo di Matteo. Le cinque
vie che san Giovanni Crisostomo ci propone, sono delle vie, degli
aiuti possiamo dire, che ci faranno vivere la Quaresima in modo direi
molto cristiano. In fondo riprendono il filo conduttore delle
pericopi evangeliche delle quattro domeniche dell’inizio del
Triodion.
Giovanni
Crisostomo propone cinque vie che il cristiano ha in mano per
riconciliarsi con Dio. Alla conclusione della breve omelia dice:
Abbiamo
indicato cinque vie di riconciliazione con Dio,
la prima è la condanna
dei propri peccati, la seconda è il perdono delle offese, la terza
consiste nella preghiera, la quarta nell’elemosina, la quinta
nell’umiltà.
La prima è la
condanna dei propri peccati.
Si può dire anche la confessione dei propri peccati affinché il
Signore misericordioso li perdoni. Una confessione in primo luogo
della sua misericordia; confessare che Lui ci ama, ci perdona, ci
salva; questo è il cammino quaresimale cristiano. Confessare,
riconoscere i propri peccati per diventare, per essere coscienti che
abbiamo bisogno di lui, che non siamo, non saremo mai,
autosufficienti; forse è questo il primo peccato di cui dovremo
accusarci: la tentazione ad essere autosufficienti, il credere che
possiamo prescindere in tutto da Dio, e degli altri, dei fratelli.
La
seconda via è il perdono delle offese,
cioè anche il non ricordare le colpe dei nostri nemici; è un tema
che nasce dal Vangelo stesso e si trova quindi presente in tutta la
letteratura spirituale da Oriente ad Occidente. Il perdono
dell’offesa, il non condannare l’altro –lo ripeteremo spesso
nella preghiera di sant’Efrem durante la Quaresima. Guardate che
questa sarà la pietra angolare della nostra vita cristiana:
accettare
il perdono e darlo.
Accettare il perdono da Dio e dal fratello, e questo delle volte ci
chiederà una buona dose d’umiltà, perché accettarlo è ammettere
in qualche modo che abbiamo sbagliato, che abbiamo peccato. E, legato
allo stesso tema, il non ricordare le colpe degli altri, il ricordo
dei mali subiti.
La
terza via consiste nella preghiera.
Preghiera fervorosa, ben fatta, che viene dal profondo del cuore. E
una preghiera per noi, per la nostra vita, ma anche e soprattutto una
preghiera per gli altri, per la Chiesa, per il mondo.
La
quarta via consiste nell’elemosina.
Il dare gratuitamente, con compassione nel senso più forte del
termine, cioè dando qualcosa che ci faccia uscire da noi stessi,
uscire dal nostro utile soltanto, e ci porti a compatire con gli
altri, a condividere quello che siamo e viviamo.
La
quinta via consiste nell’umiltà.
Collegata questa quinta via con la quarta; umiltà come atteggiamento
di accoglienza del dono; del dono di misericordia e di perdono di
Dio, del dono dell’amore e della compassione dell’altro.
Vi
propongo questo testo del Crisostomo -e proponendolo non vi propongo
altro che il discorso della montagna del capitolo 5 del Vangelo di
Matteo. Sono cinque vie che dovrebbero configurare il nostro vivere
quaresimale, configurarci a Cristo Signore. La dimensione
penitenziale che spesso si dà alla Quaresima non avrà -non ha-
nessun senso se non come preparazione alla Pasqua: la penitenza, il
digiuno, le altre forme di privazione guardano non a se stesse ma
alla Pasqua di Cristo.
Giovanni
Crisostomo non ci propone altro che vivere la Quaresima –tutta la
nostra vita cristiana con un atteggiamento di sincerità e di verità
come cristiani, per arrivare a configurarci con Cristo stesso. Quello
che viviamo e il come lo viviamo in questo periodo deve rispondere a
qualcosa che è radicato nel più profondo del nostro cuore;
altrimenti le pratiche che osserveremo potrebbero diventare vane.
Ricordate l’ammonimento che troviamo in uno dei tropari del
mercoledì della settimana dei latticini: “Digiunando
dai cibi, anima mia senza purificarti dalle passioni, invano ti
rallegri per l’astinenza, perché se essa non diviene per te
occasione di correzione, sei in odio a Dio come menzognera e ti rendi
simile ai perfidi demoni che non si cibano mai”.
Giovanni
Crisostomo ci propone come terza via “una preghiera fervorosa, ben
fatta, che viene dal profondo del cuore”. E se un seme nasce dalla
terra, dal cuore della terra, è perché qualcuno, il vento, il
contadino, l’ha gettata lì; la preghiera deve nascere dal profondo
del nostro cuore, e questo perché qualcuno la introduce lì e noi
tutti l’accogliamo. E questo qualcuno è il Signore stesso per
mezzo della preghiera della Chiesa. Una preghiera che non sarà mai
qualcosa di soggettivo, bensì molto oggettivo, datoci dalla Chiesa
stessa.
In
questo momento che inizieremo il nostro cammino quaresimale, vi
chiedo di essere uomini e donne di preghiera, una preghiera
personale, che rafforza il vostro rapporto personale e filiale con
Dio. E una preghiera comunitaria, ecclesiale, frequentando la
liturgia della nostra Chiesa, nella nostra cattedrale della
Santissima Trinità, a Giannitsà, a Kifissià, a Nea Makri.
Sentendoci tutti pietre vive dell’Esarcato. Una frequentazione
della liturgia che è necessaria perché è anche una pedagogia per
tutti noi nel quotidiano imparare il cammino della preghiera. Quindi
vi esorto a una preghiera personale, a una preghiera comunitaria /
ecclesiale. E anche in questi momenti della storia che ci tocca di
vivere, una preghiera per tutta la Chiesa: per i vescovi, per i
sacerdoti, per tutti i fedeli, affinché il cammino quaresimale di
quest’anno ci porti a vivere nella plenitudine la Santa Pasqua.
Concludo
lasciandovi un testo degli Apoftegmi dei Padri che riprende lo
spirito dell’omelia del Crisostomo che vi ho proposto all’inizio.
Si
racconta di due amici che camminavano insieme per il deserto. A un
certo punto litigarono e uno schiaffeggiò l’altro. Colui che fu
schiaffeggiato si sentì ferito nel suo orgoglio, ma non disse niente
e scrisse sulla sabbia: “Oggi il mio migliore amico mi ha
schiaffeggiato”. Continuarono a camminare finché trovarono una
oasi e lì decisero di fare un bagno. Colui che era stato
schiaffeggiato si trovò ad essere inghiottito dall’acqua e dal
fango fino a quasi annegare. L’amico però gli salvò la vita.
Allora colui che era sfuggito alla morte scrisse su una pietra: “Oggi
il mio migliore amico mi ha salvato la vita”. L’altro gli chiese:
“Ma perché quando ti ho schiaffeggiato hai scritto sulla sabbia ed
adesso che ti ho salvato la vita scrivi sulla roccia?” L’altro
rispose: “Quando qualcuno ti fa del male o ti ferisce, dobbiamo
scriverlo sulla sabbia affinché lì il vento del perdono possa
cancellare e portare via quello che abbiamo scritto. Ma quando
qualcuno ci fa del bene, lo dobbiamo incidere sulla roccia affinché
mai possa essere cancellato.
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